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Racconterò la mia storia ancora una volta, anzi la racconterò tutte le volte che vorrete, la racconterò finché mi si seccherà la lingua ma non sposterò una virgola dalle versioni precedenti perché tutto quello che ho detto corrisponde al vero, per quanto incredibile e pazzesco può sembrare. Già, pazzesco, perché una storia simile può uscire solamente dalla mente di un pazzo, signor commissario, ma io non sono pazzo, glielo posso mettere per iscritto, non lo faccio per avere l’infermità mentale, non mi interessa andare in galera. Potete chiudermi in una cella e buttare via la chiave, sono pronto a scontare qualunque pena, basta che non devo tornare fuori ed affrontare quella cosa.
Ho addosso il suo odore, come un marchio indelebile, e se esco mi troverà, ne sono certo, mi troverà e porterà a termine la sua vendetta. Sì, perché di questo si tratta, di vendetta. Abbiamo ucciso il suo compagno e lei non avrà pace finché non avrà ucciso anche me come ha fatto con Ciccio e Lele.
Strano vero, di come mi sia facile confessare un omicidio.
Mi sono costituito e forse di questo il giudice ne terrà conto, ma l’ho fatto solamente per salvarmi la vita, per avere un posto dove nascondermi, altrimenti non mi sarei mai precipitato a bussare al portone della Questura.
D’accordo, adesso ricomincio, ho tutto stampato nella testa.
Mi piacerebbe poter tornare indietro a ieri sera e modificare l’evento delle cose, vorrei non essere mai uscito con i miei amici, vorrei non aver mai fermato quella coppia, vorrei non aver mai sparato, ma ormai è tardi per pentirsi. Quello che è stato è stato.

Siamo diventati grandi insieme, io ed i miei amici.
Abbiamo frequentato la stessa scuola, lo stesso bar, le stesse strade del quartiere di periferia. Fin da ragazzi ci piaceva fare i bulli con i compagni di scuola più piccoli per rubargli gli spiccioli, commettere qualche furtarello, picchiare i più deboli.
Siamo cresciuti per strada, tra casermoni grigi e campi sterrati, con il mito della macchina grossa per portarci a spasso le ragazze. Il tempo lo passavamo seduti in qualche bar a giocare con le macchinette mangiasoldi oppure facendo a botte con quelli degli altri quartieri. Ciccio era quello più grosso, lo chiamavamo così proprio per il suo fisico, un ammasso di ciccia che quando ti veniva addosso ti riduceva a una polpetta. Nessuno gli resisteva e quando c’era da menare le mani andava sempre avanti lui per primo, si buttava addosso agli avversari e li schiacciava. Lele era il capo, quello più sveglio, quello che ragionava per tutti. Se avesse voluto avrebbe trovato un lavoro fisso senza fatica ma amava i soldi facili, perciò si dava da fare con gli scippi e con i furti negli appartamenti., ma la sua specialità era il furto delle automobili. Non ci metteva niente ad aprire un’auto e metterla in moto. In tal senso aveva le mani d’oro, dico aveva perché adesso è morto e le sue mani... bè, le sue mani se le è mangiate quella creatura orribile.
Credo che non scorderò mai l’urlo di Lele mentre quella cosa gli frantumava le dita come se fossero grissini e poi gli strappava le mani.
Infine c’ero io, uno che non ha mai avuto voglia di lavorare e che quando trovava un posto non riusciva a tenerselo più di una settimana. Uno sbandato con degli amici più sbandati di lui, un ladro, un farabutto, uno che ha dato solo dispiaceri alla sua famiglia. Se soltanto avessi saputo, signor commissario, se avessi potuto sospettare quello che stava per accadere quella sera...
Già, la serata... avevo bighellonato tutto il giorno per il quartiere, passando da un bar all’altro e facendo un salto alla sala corse, finché mi ero trovato con Ciccio ai giardini. Saranno state le dieci di sera e a quell’ora i giardini erano deserti perché la brava gente ha paura ad andarci, ma io e Ciccio avevamo appuntamento con un tizio che ci doveva vendere un po' di erba.
Dunque, eravamo lì con questo tizio a tirare sul prezzo quando ti vediamo arrivare Lele alla guida di una Audi 80 rubata. Il mio amico scese dalla macchina tenendo una bottiglia di liquore in mano e ci fece cenno di raggiungerlo. A quel punto sarei dovuto andarmene, si vedeva lontano un chilometro che era già mezzo ubriaco, avrei dovuto girare sui tacchi e tornare a casa ma invece, come sempre accadeva, lo seguii.
Girammo senza meta per la città, spingendoci fino in centro per vedere come se la passava la gente con la grana. Io stavo seduto davanti e ogni volta che vedevo una bella ragazza tiravo una sorsata di vodka dalla bottiglia di Lele. Seduto sul sedile posteriore, Ciccio fumava una canna riempiendo l’abitacolo con l’aroma dell’erba. Ricordo che ci siamo fermati in un bar a fare rifornimento di birra e in capo a due ore eravamo tutti e tre fumati e bevuti come non ci era mai capitato prima.
Intorno all’una eravamo di nuovo nel nostro quartiere, parcheggiati in una strada buia, a ridosso di una fabbrica abbandonata. Lasciai cadere una lattina di birra vuota sopra le altre che ricoprivano il tappetino dell’Audi e dissi -Ragazzi, vado a casa a piedi. Ho voglia di sgranchirmi un po' le gambe.
Mi sentivo la testa pesante e avevo voglia di prendere un po' d’aria fresca. Stavo per scendere quando Lele mi afferrò per un braccio e disse -Aspetta, voglio mostrarti una cosa.
Io lo guardai e vidi brillargli negli occhi una luce strana, la stessa luce che gli illuminava il viso quando ci proponeva un colpo. -Che c’è?- domandai e la pistola era apparsa nella sua mano come per incanto.
Giuro che un pistola grossa come quella l’avevo vista solamente nei film polizieschi. La canna era così lucida che ci si poteva specchiare, il calcio massiccio sembrava impossibile da impugnare. Ciccio mandò un fischio di ammirazione e io pensai al rumore che doveva fare quando sparava.
-E’ una magnum 44- spiegò Lele. Raccontò di averla trovata nel vano portaoggetti del cruscotto e di essere intenzionato a tenersela. Una bestia di pistola in grado di far secco un uomo a un chilometro di distanza. Io continuavo a fissare la pistola scuotendo la testa, dicendo che secondo me era una gran cazzata, che c’era da mettersi nei guai, ma Lele aveva già deciso e mentre io e Ciccio continuavamo a blaterare dei problemi che un’arma poteva tirarci addosso, lui se l’era infilata nella tasca del giubbotto e aveva messo in moto.

Vedemmo la macchina cinque minuti dopo. Era ferma accanto al marciapiede, con le quattro frecce accese e il cofano alzato. Chino a esaminare il motore con una torcia in mano c’ era un uomo. Pensai che avesse avuto un guasto e mentre gli passavamo accanto vidi la donna. Era seduta in macchina e osservava l’uomo attraverso il parabrezza. Per un istante si girò verso di noi e... non so spiegarmelo, ma ho sentito un brivido scendermi lungo la schiena. Quello sguardo mi aveva gelato il sangue, come un avvertimento che ci imponesse di andarcene senza voltarci, ma proprio in quel momento Lele decise il nostro destino.
Aveva fatto inversione e stava tornando indietro -Ma che ti prende?- domandai io. E lui -Diamo un senso alla serata.
Ci guardò con quell’espressione che conoscevamo fin troppo bene e aggiunse -Ci facciamo consegnare la grana e filiamo via.
Scoppiò in una risata roca e impugnò la pistola.
-Una rapina a mano armata. Forte!- esclamò Ciccio. Sentivo l’eccitazione nella sua voce. Ciccio era fatto così, non ci voleva niente a convincerlo. Io pensavo ancora allo sguardo della donna e al disagio che avevo provato -Oh, no Lele, no- dissi, ma il mio amico aveva già inchiodato ed era sceso incamminandosi verso la coppia.
La donna fu la prima a notarci. Nel frattempo era scesa dalla macchina e si era messa accanto all’uomo, che ora si stava pulendo le mani con uno straccio. Lele ci precedeva di alcuni metri e quando fu abbastanza vicino, affinché potessero vedere la pistola, disse -Dateci i soldi. Subito.
Per alcuni secondi non accadde nulla. Nessuno gridò e non ci furono scene di panico. Lele li minacciava sventolandogli la pistola sotto il naso e quelli se ne stavano tranquilli a fissarlo come un serpente fisserebbe un coniglio. A dire la verità non sembravano affatto impauriti, anzi era come se non ci considerassero.
Credo che fu il loro atteggiamento a far innervosire Lele. Avanzò di un passo e puntò la pistola contro l’uomo -Dammi i soldi- gli intimò e l’attimo dopo il mio amico era steso per terra col naso rotto.
Non avevo mai visto nessuno muoversi così velocemente.
Fino a quel momento avevo guardato la donna, attirato dalla sua bellezza glaciale. Una bellezza che a guardarla feriva gli occhi, affilata come un rasoio.
Quello sguardo metteva paura, in fondo ci potevi scorgere l’istinto del predatore.
Poi l’uomo aveva fatto un movimento rapido con il braccio e Lele era volato in aria come un birillo. Quando era ricaduto aveva mollato la pistola per tenersi tutte e due le mani sulla faccia. Potevo vedere scorrergli il sangue attraverso le dita. Ciccio partì all’attacco, caricando a testa bassa, forte dei 110 chili che si portava addosse e anche lui terminò a terra come un sacco di patate. L’uomo lo aveva spostato con una mano sola, con la stessa naturalezza con la quale si caccia via una mosca.. Guardai disorientato i miei amici, consapevole che era giunto il mio turno. L’uomo avanzava verso di me e non credo che volesse solo strapazzarmi, penso che volesse uccidermi. Stava già cambiando, potevo vedere le dita allungarsi in artigli e macchie scure muoversi sotto la pelle del viso. La bocca era irta di denti triangolari che sbucavano dalle gengive attraverso rivoli di sangue.
Nemmeno nei miei incubi peggiori avevo visto qualcosa di simile. Un attimo prima era un uomo e l’attimo successivo era una creatura orrenda che sbavava sangue ed emetteva versi striduli che facevano accapponare la pelle. Per un momento pensai di essere talmente fatto da non riuscire più a distinguere la realtà, ma quando vidi quella cosa chinarsi sopra Ciccio e strappargli un orecchio e metterselo in bocca, qualcosa dentro di me cedette. Il panico mi era entrato dentro come un chiodo arroventato... vedevo i miei amici strisciare per terra, li vedevo urlare, vedevo la lingua nera e appuntita di quel mostro saettargli tra le labbra mentre masticava l’orecchio di Ciccio.
Raccolsi la pistola di Lele e sparai diritto nella testa di quell’essere un attimo prima che mi azzannasse. Il rumore dell’esplosione fu enorme e il braccio mi schizzò all’indietro per effetto del rinculo così violentemente che lasciai cadere la magnum. Un’ ombra nera balzò addosso a Lele avvolgendolo con grosse ali membranose. Era la donna, ora completamente mutata.
Non era rimasto nulla della bellezza che avevo ammirato... stavo guardando una creatura con la pelle grigia e gli occhi arancioni grandi come palline da golf, una criniera bianca le incorniciava il viso spigoloso dove risaltava una bocca enorme piena di zanne. Lele si dibatteva, schiacciato da quella mole gigantesca, lottava e urlava... urlava ogni volta che la creatura gli infliggeva una ferita strappandogli brani di carne. Gli tranciò le dita con un morso e gli sfilò le mani dai polsi come fossero guanti. Non lo dimenticherò mai, non dimenticherò mai lo sguardo disperato del mio amico mentre quel mostro gli infilava gli artigli nel collo facendogli esplodere la gola...
Poi la creatura mi guardò e mi sputò addosso. Un odore pestilenziale mi colpì così forte da farmi quasi svenire. Era odore di decomposizione, di cose morte da tempo.
Scappai. Scappai così velocemente che sembravo volare, con Ciccio che mi seguiva tenendosi la mano contro l’orecchio che non aveva più. Lo sentivo gemere e mormorare frasi sconnesse, respirando affannosamente. Fortunatamente la macchina aveva il motore acceso, così come l’aveva lasciata Lele, altrimenti non sarei stato in grado di farla partire senza le chiavi.
Partimmo a tutto gas, con il rombo del motore che saliva di giri e ci riempiva la testa. Ciccio stava accasciato contro la portiera e piangeva come un bambino, tenendosi il fazzoletto intriso di sangue sul buco nella faccia. Io guidavo con gli occhi incollati allo specchietto retrovisore, aspettando di vedere comparire da un momento all’altro la creatura. Mi sentivo ancora addosso quell’odore orribile... il suo odore... e mi strofinavo la faccia fino a sentir male. Ero quasi sicuro di avercela fatta ma i miei pensieri di salvezza svanirono all’improvviso quando qualcosa ci piombò addosso colpendoci con la forza di un maglio. Ciccio mi guardò con gli occhi dilatati dal terrore e cacciò un urlo quando gli artigli della creatura bucarono la lamiera della capote e gli sfiorarono la faccia. Quella maledetta ci aveva seguiti, volando sopra di noi come un pipistrello e adesso stava aprendo la macchina come fosse una scatola di sardine.
Quel poco di lucidità mentale che mi era rimasta la usai per fermare la macchina e precipitarmi fuori. A quel punto credo che Ciccio fosse già morto... preferisco pensarla così piuttosto che immaginare di averlo abbandonato. Ho ancora nelle orecchie le urla stridule lanciate dalla creatura mentre straziava il volto del mio amico con gli artigli, aprendogli squarci orrendi nel cranio, spremendolo come un limone.
Scappai senza voltarmi, inseguito dai versi agghiaccianti della creatura. Il quartiere nel quale avevo spadroneggiato per tutta la vita, adesso mi voltava le spalle, incurante delle mie invocazioni di aiuto. Intorno avevo solamente campi incolti e capannoni abbandonati, eppure la creatura non mi inseguì. Volò via in un frullio di ali, scomparendo rapidamente dalla mia vista.
Pensai che la sua sete di vendetta si fosse placata ma in realtà sapevo che presto sarebbe tornata a cercarmi. Ho addosso il suo odore, come un marchio indelebile, per questo sono venuto qui, l’unico luogo dove forse non verrà a prendermi.
Mi hanno detto che l’uomo che ho ucciso non aveva né zanne, né artigli.
Forse è così che fanno, si trasformano quando vogliono e se muoiono tornano normali, così nessuno si accorge di niente. Una specie mutante mischiata alla nostra. Pazzesco, vero, signor commissario... Chissà quante volte abbiamo incontrato qualcuno di loro camminando per strada... sento ancora quell’odore schifoso, così forte da bloccare il respiro... signor commissario, perché vedo quelle strane macchie scure agitarsi sotto la sua faccia?