Nuove visioni del mondo: relatività e meccanica quantistica

I quanti di energia di Planck
Il primo "rivoluzionario" ad aprire la carrellata di idee nuove è, ironia della storia, un conservatore: il tedesco Max Planck. La formula per l'energia in una cavità a temperatura fissata (ottima approssimazione di corpo nero) è uno degli anelli mancanti per completare le conoscenze dei fisici di fine '800. La maggiorparte dei contemporanei di Planck ritiene infatti che la fisica abbia raggiunto una sorta di "saturazione" e che nulla di profondo (se non pochi dettagli, come il corpo nero) sia rimasto da spiegare.
Nel 1900 Planck ottiene una formula con cui può prevedere il comportamento della radiazione di corpo nero per la prima volta a tutte le frequenze. Tale comportamento era ben noto invece sperimentalmente da molto tempo. La chiave sta in due idee inedite: l'energia nella cavità non assume tutti i valori possibili tra uno iniziale e uno finale, ma è distribuita in "pacchetti" o quanti; la seconda idea è che l'energia di un quanto è proporzionale alla frequenza ? della radiazione e il coefficiente di tale proporzionalità dev'essere una nuova costante universale, oggi nota come costante di Planck (h=6,63 10-27 erg). L'energia di un quanto è quindi E = h? e solo multipli interi di E sono permessi: E, 2E, 3E, ecc.Inizialmente Planck non vede molto al di là della porta che egli stesso ha sfondato con la sua scoperta, considerata dapprima solo una trovata ingegnosa in grado di riprodurre fedelmente i dati osservati. Anzi, per anni cercherà invano di recuperare l'ipotesi dei quanti dalla fisica classica, dove l'energia e tutte le grandezze variano con continuità
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I quanti di luce di Einstein
La prima applicazione importante non legata al corpo nero della quantizzazione dell'energia viene nel 1905 da un altro tedesco, uno sconosciuto impiegato dell'ufficio brevetti di Berna: Albert Einstein. Il fisico tedesco spiega teoricamente l'effetto fotoelettrico, ma la sua idea va ben oltre e coinvolge, o meglio, travolge tutta la fisica. Einstein applica l'ipotesi dei quanti direttamente al campo elettromagnetico, le cui oscillazioni, nella visione classica di Maxwell, sono l'essenza delle onde elettromagnetiche.
Einstein, a differenza di Planck, è consapevole dell'enormità che sta postulando: a una radiazione di lunghezza d'onda ? e frequenza ? sono associati anche un impulso p = -h/? e un'energia E = h?. Oltre alle usuali proprietà ondulatorie, la luce possiede quindi anche caratteristiche corpuscolari! Solo più tardi i quanti di luce di Einstein verranno chiamati fotoni. Ma la vecchia e obsoleta concezione corpuscolare della luce cara a Newton è molto lontana: le "particelle" di luce di Einstein viaggiano, appunto, alla velocità della luce. Per questo devono essere addirittura prive di massa.
La relatività ristretta
Quest'ultima bizzarra conclusione deriva dall'altro capolavoro di Einstein del suo anno di grazia 1905: la teoria della relatività ristretta (o speciale). Le equazioni di Maxwell, mirabile sintesi formale dell'elettromagnetismo, hanno il difetto piuttosto grave di cambiare forma se le si scrive in diversi sistemi di riferimento inerziali (ovvero in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro). Ciò significa che le leggi dell'elettromagnetismo cambiano se le si "guarda" da un sistema inerziale diverso. Non vale quindi il principio di relatività di Galileo (le leggi fisiche sono le stesse in sistemi inerziali), che si applica infatti solo alla meccanica.

È il danese Hendrik Antoon Lorentz a trovare "a mano", come artificio matematico, le leggi corrette di trasformazione da un sistema inerziale all'altro per sostituire le inefficaci trasformazioni galileiane. Ma, come mostrato anche da Fitzgerald, le trasformazioni di Lorentz prevedono dei fenomeni assurdi nella vita quotidiana: la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi e non spiegano il problema dell'etere.
Einstein invece, spinto solo da esigenze di semplicità, logica ferrea e onestà intellettuale, deriva le trasformazioni di Lorentz da principii primi. Non vuole rinunciare a un'idea bella e semplice come il principio di relatività, allora lo estende a tutte le leggi fisiche (ma il principio è ancora ristretto ai sistemi inerziali) e assume in più la costanza della velocità della luce e di tutte le onde elettromagnetiche, a prescindere dal moto della sorgente o dell'osservatore. La fiducia di Einstein in questi principii è totale e coerente. Egli ne accetta le conseguenze, per gli altri inconcepibili, senza troppi problemi: se le barre appaiono contratte di un fattore dipendente dalla velocità e gli intervalli temporali appaiono invece dilatati dello stesso fattore, ciò non è un paradosso, ma una semplice conseguenza degli assiomi della teoria, in cui la simultaneità di eventi perde ogni significato, se non nello stesso riferimento.
La fisica classica ritorna solo come caso particolare: quando le velocità sono piccole rispetto alla velocità della luce c. Infatti, sebbene gli effetti relativistici ci siano sempre, a qualsiasi velocità V, essi sono in genere irrilevanti visto che dipendono dal rapporto V/c, sempre estremamente piccolo nei "lentissimi" fenomeni classici e nella vita quotidiana.
Tra le altre conseguenze spettacolari della teoria, ci sarà la fin troppo celebrata formula dell'equivalenza tra massa ed energia: E = mc2, la quale stabilisce che anche a una particella ferma e non soggetta a forze è associata un'energia "di riposo".
Il moto browniano e le teorie atomiche
Non contento di aver sradicato in pochi mesi idee scontate da secoli come l'esistenza di uno spazio e un tempo assoluti e la natura ondulatoria della luce, Einstein (ancora nel 1905!) trova il tempo e il modo di concentrarsi su un altro problema: la natura del moto caotico di particelle in sospensione (moto browniano). Interpreta il fenomeno in termini di urti con le molecole del liquido, dando una svolta decisiva ai futuri sviluppi della teoria del rumore e delle fluttuazioni, ma sopratutto alle nascenti teorie atomiche.
Infatti, i modelli atomici di quel periodo sono piuttosto carenti. Uno dei più celebri (oggi di sola importanza storica) è quello di Thomson, secondo cui gli elettroni sarebbero disseminati in una distribuzione uniforme di carica positiva (modello a panettone).
 
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