|
Il periodo immediatamente successivo all'8 d.C. fu pacifico per quanto attiene al calendario, sebbene stesse profilandosi un problema a lungo termine. Gli anni solari medi non erano esattamente di 365 giorni e un quarto, con la conseguenza che l'anno continuava a rifiutarsi di corrispondere pienamente al calendario. La differenza poteva essere considerata di poco conto, e i Romani ne erano stati forse sempre consapevoli, dal momento che gli effetti del divario non avrebbero mai inciso sulle loro esistenze. Si trattava di un errore pari a 11 minuti e 14 secondi per anno, sufficiente a sbilanciare il calendario di un giorno e mezzo ogni due secoli, ovvero di una settimana in mille anni. Purtroppo, con il tempo l'errore avrebbe continuato a ripetersi e alla fine la crescente discrepanza tra l'anno calendariale giuliano e l'anno solare doveva venire affrontata.
Nei secoli precedenti, il divario era stato oggetto di attente considerazioni da parte di molti sapienti, tra i quali l'astronomo greco di Alessandria Claudio Tolomeo, l'indiano Ariabatha e Beda il Venerabile, per citare solo alcuni dei molti, tra i quali teologi e oscuri monaci, che formularono soluzioni per ovviare all'errore.
Un monaco inglese, Ruggero Bacone (1214-1292), scrisse, su incarico di papa Clemente IV, un libro intitolato Opus maius, in parte dedicato al tentativo di risolvere il problema. Parlando dell'errore contenuto nel calendario giuliano, Bacone lo dichiara sprezzantemente «frutto di ignoranza e negligenza degni di obbrobrio agli occhi di Dio e dei sant'uomini». Agli occhi di molte persone più posate, Bacone era semplicemente matto. Il suo atteggiamento aggressivo nei confronti di chiunque fosse in disaccordo con le sue opinioni, spesso temibilmente d'avanguardia, lo fece finire nei guai in più di un'occasione. Sebbene negli ultimi anni di vita si fosse fatto monaco francescano, la fede non bastò a impedire che venisse incarcerato dalla sua stessa confraternita con l'accusa di introdurre "novità sospette" nei suoi insegnamenti.
La convinzione che Bacone fosse matto, trova conferma nella strana storia della testa d'ottone. Può darsi che il frate leggesse troppi romanzi; era noto come avido raccoglitore di libri "segreti", e spese grosse somme per farsi una propria biblioteca. E fu probabilmente in uno di quei volumi che lesse la leggenda orientale della testa magica di una gigantesca, leggendaria statua di rilucente ottone che rispondeva a ogni domanda rivoltale su qualunque argomento, passato, presente o futuro. Per uno scienziato dalla mente indagatrice e curiosa, la testa magica doveva essere il più allettante giocattolo immaginabile, ma per menti più realistiche (anche se va detto che non erano molte nel XIII secolo) restava pur sempre, per citare Shakespeare, di «quelle sostanze di cui sono fatti i sogni». Bacone, niente affatto intimidito dalle pretese forze della ragione, quali che fossero all'epoca, si accinse a costruire in casa sua, nell'Inghilterra occidentale, una testa magica, persuaso che, se avesse parlato, tutti i suoi progetti avrebbero avuto felice esito; se invece fosse rimasta muta, avrebbe fallito.
Nonostante le sue molte attività, Bacone tenne costantemente d'occhio la sua testa d'ottone, facendola vigilare nottetempo da un servo. Una sera che Bacone era già a letto, la testa parlò al suo servo, Miles, pronunciando tre frasi separate una dall'altra da un intervallo di mezz'ora: «Tempo è»... «Tempo fu»... «Tempo è passato». Un'affermazione di carattere criptico. «Sia chiaro», come ebbe a dire Samuel Butler, «la mia testa non è di ottone / Come invece la capoccia di fra' Bacone».
Pazzo o meno che fosse, Bacone fu senza dubbio una delle figure più affascinanti della storia medievale inglese. Studiò il volo e costruì una macchina munita di ali battenti; compì pionieristiche ricerche nel campo dell'ottica; costruì per se stesso un paio di occhiali ben funzionanti; progettò un carro mosso da meccanismi e un'imbarcazione del pari meccanica, e creò una camera oscura per osservare le eclissi. Compilò inoltre lunghe, confuse enciclopedie piene di idee, oscure ma affascinanti, di carattere scientifico, matematico e filosofia). Purtroppo nessuna di quelle concezioni trovò applicazione durante la sua vita e, se oggi Bacone è considerato una delle più alte menti visionarie dell'epoca, agli occhi dei contemporanei era poco più di un bisbetico, presuntuoso svitato. A quanto ne sappiamo, il metodo da lui proposto per risolvere il problema del calendario non fu mai preso in considerazione dal Vaticano, e certamente nulla fu fatto in merito se non tre secoli dopo la sua morte.
Il motivo per cui la Chiesa nutriva tanto interesse per la storia del calendario aveva radici nella Bibbia e nelle altre antiche scritture. Per celebrare gli anniversari della nascita o dell'ascensione di Cristo, era importante sapere quando quegli eventi si erano ipoteticamente verificati. Se si ritiene che il Natale cada d'inverno (se per esempio la Bibbia avesse affermato che Gesù era nato durante una tempesta di neve, tipica di quel periodo dell'anno), né il Papa né altre guide della cristianità potrebbero augurarsi di vedere successivi anniversari di quel santo evento scivolare (a causa di un errore umano inserito nel calendario) in piena estate o in autunno. Più avanti torneremo sul Natale, limitandoci per ora a dire che però è stata la Pasqua, anniversario della risurrezione del Cristo, a costituire sempre il problema più spinoso.
Vari sono stati i metodi con i quali la Chiesa ha tentato di datare la crocifissione. Sappiamo, per esempio, con certezza che Ponzio Pilato, personaggio storico, era governatore romano della Giudea al tempo della morte di Gesù, cosa che, stando all'evidenza di due antichi commentatori, Tacito e Giuseppe Flavio, ci da modo di collocare l'anno della crocifissione grosso modo tra il 27 e il 36 d.C. Ora, se l'Ultima Cena, come ritengono studiosi Ebrei, fu il banchetto della Pasqua, avrebbe dovuto aver luogo nel pomeriggio del quattordicesimo giorno di Nisan primo mese dell'anno religioso ebraico. Fin qui, tutto abbastanza chiaro; purtroppo, però, una controversia è insorta attorno al momento in cui Gesù fu crocifisso rispetto alla Pasqua/Ultima Cena. Nel Vangelo di Giovanni si trova una versione, in quelli di Matteo, Marco e Luca un'altra. A essere accettato all'unanimità da tutti i Vangeli, è che la crocifissione avvenne nel giorno ebraico della Preparazione, vale a dire quello precedente il sabato. In altre parole, la crocifissione deve aver avuto luogo di venerdì. Che Gèsu sia risorto da morte «il terzo giorno» è, per certuni, un fatto indiscutibile che ha per effetto di collocare il giorno di Pasqua nella domenica successiva alla crocifissione, lasciando studiosi e astronomi a disputare circa l'esatta data della crocifissione stessa: venerdì 7 aprile 30 d.C, o venerdì 3 aprile 33 d.C.? Siccome si ritiene che Gesù avesse un'età compresa fra trentatré e trentaquattro anni quando fu inchiodato sulla croce, i teologi hanno senz'altro stabilito il venerdì 3 aprile 33 d.C. come data esatta della crocifissione. Sbagliato!
Dionisio Esiguo a quanto si dice ha inventato il sistema di datazione a.C./d.C., introducendo così un potenziale errore circa la data della nascita di Gesù. Se si deve prestare fede alle scritture più antiche, Gesù nacque nel periodo in cui visse il re Erode il Grande, il quale morì nel 4 a.C., sicché Gesù avrebbe avuto trentatré o trentaquattro anni al momento della crocifissione se questa fosse avvenuta il 7 aprile del 30 d.C.
Il risultato di centinaia di aspre contese tra due fazioni rivali di teologi, che si autodefinivano rispettivamente Quartodecimani e Quintodecimani, fu che la data della Pasqua venne alla fine decretata cadente (ogni anno) nella «prima domenica dopo la luna piena verificantesi nell'equinozio d'inverno o subito dopo». Ciò significa che la Pasqua può, come effettivamente avviene, cadere in ogni momento tra il 22 marzo e il 25 aprile; e significa anche che il calcolo della Pasqua dipende dalla osservazione sia della Luna (dal momento che è richiesta quella piena) sia del Sole, dal momento che si esige l'osservazione dell'equinozio d'inverno. Ora, una norma così variabile può, in teoria, esiliare la Pasqua in ogni remoto angolo del calendario civile; e siccome il cristianesimo si fonda su eventi storici ipoteticamente veri, è della massima importanza, per l'autorità del papato e per altre autorità della Chiesa cristiana, che le date del calendario cristiano abbiano perlomeno una parvenza di veridicità. Si spiega così perché papa Clemente IV si tenesse in corrispondenza con Ruggero Bacone a proposito degli errori contenuti nel calendario; perché a venire coinvolto fosse Beda il Venerabile, e perché Bacone definisse gli errori contenuti nel calendario giuliano «frutto di ignoranza e negligenza degni di obbrobrio agli occhi di Dio e dei sant'uomini».Contribuisce inoltre a spiegare perché papa Gregorio XIII si accollasse il compito di riformare il calendario nel 1582, ritenendola questione di carattere urgente.
Il calendario giuliano, come si è spiegato, era troppo lungo: in realtà non molto, ma quanto bastava a fare insorgere un problema. Avrebbe dovuto essere di 365,242199 giorni ma, in seguito agli aggiustamenti apportati da Cesare con l'inserimento dell'anno bisestile che lo portava a 365,25 giorni, l'errore annuo di 11 minuti e 14 secondi nel 1545 aveva portato l'equinozio d'inverno (importantissimo metro di misura per la determinazione della Pasqua) a dieci giorni di distanza dalla data calendariale originaria.
Bisognava dunque intervenire. La festività di Pasqua stava trasformandosi in una beffa: ormai veniva celebrata a una data che con ogni evidenza non era il vero anniversario della crocifissione. Ma né il sensibile e ingegnoso papa Paolo III né alcuno dei suoi dotti aiutanti erano in grado, per quanto si sforzassero, di trovare una soluzione. Morto Paolo III, al soglio di San Pietro sali lo stolido e deprecabile Giulio III che non mosse un dito per risolvere la questione.
Il suo successore, Marcello II, morì quasi nel momento stesso in cui venne incoronato. Paolo IV, che ne prese il posto nel 1555, è noto soprattutto per aver rivolto insulti a Elisabetta I, regina d'Inghilterra, dicendo al suo ambasciatore presso la Santa Sede che Sua Maestà era una bastarda. Paolo IV delegò il problema del calendario al suo successore, Pio IV, appartenente alla potentissima dinastia dei Medici, che divenne Papa nel 1566, fondò la stampa vaticana e accantonò tutte le questioni riguardanti il calendario e se ne dimenticò, come vennero dimenticate anche dal suo pio ed energico successore, il santificato Michele Ghislieri, noto come Pio V. Quando il cardinale Ugo Boncompagni fu eletto al soglio di San Pietro come papa Gregorio XIII, le scuse non vennero più accettate, e monaci e studiosi di tutto il mondo cattolico spronarono il Vaticano a risolvere la questione.
Gregorio XIII se ne assunse l'onere e, avendo trovato, al momento della sua ascesa al soglio papale, numerose e contraddittorie proposte di riforma calendariale, emanò una bolla compilata in realtà dal matematico e astronomo tedesco Christopher Schlusse (nome che venne latinizzato in Cristoforo Clavio), il quale si servì dei consigli di un medico calabrese, Antonio Lilio.
Antonio era il fratello di Luigi, anch'egli medico, di cui a volte si ritrova il nome latinizzato in Aloysius Lilius. La sua biografia è piuttosto lacunosa; si ritiene comunque che fosse figlio di una famiglia borghese e che sia nato verso il 1510 a Ciro. Studiò astronomia e medicina a Napoli, quindi si trasferì a Verona (la storia non dice quale attività vi esercitasse) e trascorse gli anni fino alla pensione in attività pedagogiche all'università di Perugia. Al termine della carriera, si ritirò a Girò, dove sarebbe morto di un'affezione pancreatica nel 1576 ca. La ragione che ci ha indotto a spostarci da Antonio Lilio al suo apparentemente stolido e poco noto fratello Luigi, è perché fu questi, e non già Antonio, che per conto suo inventò la soluzione ai problemi del calendario giuliano, la cosiddetta riforma gregoriana, tutt'oggi vigente. Sospettiamo che Luigi abbia elaborato la proposta poco prima del decesso, con un opuscolo di Sole dieci pagine intitolato Compendium novae rationis restituendi kaledarium, pubblicato nel 1577 e dunque postumo. Fu suo fratello Antonio a portare in Vaticano la proposta di Luigi. Quando Gregorio XIII era stato eletto nel 1572, il problema era di estrema attualità. Antonio accettò un ruolo di consulente e lavorò fianco a fianco con Clavio per giungere alla soluzione.
Cristoforo Clavio (1537-1612) era un uomo intelligente, ben deciso a portare a buon fine il suo compito. Era un gesuita, appartenente cioè alla Compagnia di Gesù fondata nel 1534 da sant'Ignazio di Loyola, un nobile spagnolo di stirpe dedita alle armi, che cambiò il nome dì Inigo avuto al battesimo. Il suo vero cognome era Lopez de Recalde, ed era nato in un bel castillo nella provincia basca di Guipùzcoa. In un momento di acceso zelo religioso (dovuto alla lettura di un libro sulla vita di Gesù di Ludolf di Sassonia, che aveva letto mentre era in convalescenza per una ferita alla gamba riportata durante la difesa di Pamplona contro i Francesi), rinunciò alla vita militare, si ritirò in penitenza, elaborò i suoi Esercizi spirituali e con J. de Polanco stilò le Costituzioni della Compagnia di Gesù (1546-1549) che furono approvate da Giulio III. La nuova congregazione religiosa, di carattere esplicitamente militante, venne ufficializzata da Paolo III nel 1539-1540 con la bolla Regimici militanth ecclesiae; uno dei massimi rappresentanti della Compagnia di Gesù fu Francesco Saverio, detto l'Apostolo delle Indie (1506-1552), che tentò l'evangelizzazione della Cina e del Giappone.
L'amore non può dirsi una parola chiave della Compagnia di Gesù, vero e proprio reparto d'assalto della Chiesa cattolica, disciplinato, fortemente organizzato e che preferiva agire in segreto. Il compito dei Gesuiti consisteva nel plagiare le supreme vette della società, nella speranza che il loro messaggio calasse "lungo i rami" alla gente comune. I Gesuiti riuscirono a convincere proprietari terrieri, aristocratici, re, imperatori e altri potenti, convertendoli alle più rigide dottrine della Chiesa di Roma e persuadendoli ad assumere un atteggiamento di totale intolleranza nei confronti del crescente protestantesimo della Riforma. Con l'andare del tempo, la Compagnia di Gesù accrebbe il numero dei suoi adepti (erano 22.589 i suoi membri nel 1749) e alla fine di quel secolo, i missionari Gesuiti sedevano accanto a molti dei più potenti padroni del mondo, gli zar di Russia, gli imperatori del Giappone, i maharaja dell'India e i re di Francia e del Brasile.
Purtroppo per i Gesuiti, il loro eccessivo potere, alleato a tanta segretezza, non poteva che portare al disastro e l'Ordine finì per essere oggetto di disprezzo e odio in tutta Europa e nel resto del mondo.
Esso fu espulso dalla Francia nel 1594, dall'Inghilterra nel 1579, da Venezia nel 1607, dalla Spagna nel 1767 e da Napoli nel 1768. Nel 1773, i Gesuiti godevano ormai di così pessima reputazione che papa Clemente XIV ritenne che l'intera Chiesa cattolica fosse insozzata da tanta cattiva fama e si affrettò a bandirli. Dal momento che l'Ordine esiste tuttora, è inevitabile che il
termine gesuita o gesuitico abbia ancora oggi connotazioni peggiorative: si rimprovera infatti ai Gesuiti di essere subdoli e prevaricatori, di diminuire con la casistica il numero degli atti considerati come peccati, fino a tentarne giustificazioni morali, separando fittiziamente l'azione dall'intenzione.
Il fatto che Clavio fosse un gesuita non è senza importanza alla luce del compito che gli venne affidato. Gregorio XIII sapeva infatti che, sia pure con il grandissimo potere di cui disponeva come pontefice, sarebbe stata dura impresa persuadere il mondo ad accettare la sua riforma. Clavio si dedicò a quella che oggi si direbbe un'attività di lobby nei corridoi del Vaticano, sussurrando le proposte della riforma calendariale, e seppe agire con tanta perseveranza che la riforma venne promulgata nel 1582. Nel 1606 Clavio potè posare, con aria soddisfatta, il volto florido ornato dai favoriti, per un ritratto conservato in Vaticano. Si era meritato il soprannome di "Euclide dei nostri tempi", ed era oggetto di reverente rispetto, al punto che persino il grande scienziato Galileo Galilei ricorse a lui per averne sostegno e consiglio. Ma, da vero gesuita, se appoggiò Galilei nelle sue avanguardistiche ricerche con il telescopio appena inventato, si rifiutò di far propria la concezione eliocentrica copernicana. Accettarla sarebbe stato rinunciare agli insegnamenti del padre fondatore del suo ordine, sant'Ignazio.
Indubbiamente Cristoforo Clavio influì in misura cospicua sulla famigerata opera di censura dei libri voluta da Gregorio XIII, compreso il bando dato alla fondamentale opera astronomica di Copernico, De revolutionibus orbium coelestium, edita nel 1543. Può darsi che sia stato sempre Clavio a suggerire al pontefice appena eletto di celebrare il recente, sanguinoso massacro di ottocento protestanti ugonotti a Parigi, mediante un Te Deum di ringraziamento che fu clamorosamente intonato in San Pietro nel 1582. Il Papa diede l'ultimo tocco al trionfo facendo coniare in edizione limitata una medaglia raffigurante il massacro, che venne offerta ai collezionisti.
Se il nome di Clavio come scienziato sopravvive a stento in una nota a pie di pagina, lo si deve al fatto che cavalcò il destriere sbagliato, respingendo l'esatta concezione copernicana del sistema solare, ma l'azione da lui svolta nella promulgazione della riforma concepita da Antonio e Luigi Lilio ha per effetto che il suo nome continuerà a fare capolino nei libri, finché la storia del calendario susciterà interesse sufficiente a meritarne la stampa.
Se Clavio sia finito all'inferno o in paradiso, non spetta a noi stabilirlo. Certo è che mandò in bestia la gente del suo tempo, ma dal canto nostro possiamo perlomeno porgergli un ringraziamento postumo per l'utile ruolo che ebbe nella storia della riforma del calendario.
Clavio e i fratelli Lilio, infatti, riuscirono a risolvere i due scottanti problemi che i riformatori non erano stati in grado di sciogliere per secoli. Il primo problema era quello della regolazione del calendario giuliano in modo che in futuro non comportasse più errori; c'era poi l'immediato problema del che fare a proposito del divario di undici giorni che si erano reiterati dal 45 a.C. e che continuavano a contaminare il calendario. La soluzione da loro proposta al primo problema fu ovvia quanto drastica: togliere i dieci giorni estranei, estirparli come un cancro. Venne così emanato un decreto papale che tolse dal calendario i giorni dal 5 al 14 ottobre 1582. Facile immaginare il caos e i guai che devono essere stati la conseguenza di un proclama del genere.
Non ogni paese scattò sull'attenti con la rapidità sperata da papa Gregorio e dalla sua longa manus Clavio. Alcuni cì misero parecchio a valutare le conseguenze. Altri, ribollenti di odio anticattolico in quell'era di riforme, non erano affatto disposti a mostrarsi ossequienti verso il Vaticano. Perché mai avrebbero dovuto mettersi in riga in obbedienza a una bolla papale, che era soprattutto un documento potenzialmente distruttivo del normale andamento delle attività civili? A Francoforte si ebbero rivolte antipapali di piazza, Gregorio XIII fu accusato di rubare giorni al popolo. Partìcolarmente indignati erano Ì protestanti in paesi come la Germania, incapaci dì tollerare che il Papa controllasse le loro esistenze dal Vaticano. Ai loro occhi, il pontefice era 'la Bestia", "l'Anticristo" i cui atteggiamenti magniloquenti costituivano un'offesa per il loro ben radicato senso di giustizia e di correttezza.
Coloro che desideravano rivolgere preghiere a santi nel giorno loro dedicato perché assicurassero loro buona salute, aumentassero i loro raccolti e incrementassero i loro profitti, erano inorriditi dalla sparizione proprio di quei giorni, sgomenti all'idea che il santo oggetto delle loro preghiere si vendicasse per l'omissione toccatagli. Il 6 ottobre è consacrato a una patrona di soldati, pellegrini e prigionieri, santa Fede che finì arrostita su un letto infuocato e decapitata; il suo simbolo è una graticola. Ma non erano soltanto soldati, pellegrini e prigionieri a essere vittime del caos calendariale. Imposte, interessi su prestiti, scadenze anticipate, compleanni, matrimoni, cerimonie sia religiose sia laiche, su tutto la riforma aveva incidenza, tutto veniva a esserne scombussolato.
Scrisse l'inglese William Coxe:
Quest'innovazione incontrò forti opposizioni anche tra le classi sociali più elevate. Molti proprietari terrieri, affìttuari e mercanti, erano preoccupati per le difficoltà relative a fitti, contratti di locazione, cambiali e debiti, dipendenti da periodi fissati dal 'Vecchio stile". Ancora più difficile fu, però, sedare i clamori del popolo contro la supposta profanazione consistente nel cambiare i giorni dei santi nel calendario e nell'alterare le date delle feste fisse.
Lo scritto di Coxe non era un'immediata replica alle riforme di Gregorio XIII, perché questa aveva avuto luogo quasi duecento anni prima; si riferiva invece all'introduzione della riforma di Gregorio XIII in Inghilterra dove, grazie all'unanime approvazione di una legge da parte del parlamento, fu decretato che mercoledì 2 settembre 1752 non sarebbe stato seguito da giovedì 3, bensì da giovedì 14 settembre, una sottrazione di quindici giorni destinata ad allineare i calendari britannici con gran parte degli altri europei.
Ogni paese scelse un proprio momento in cui sottoscrivere la riforma. L'Inghilterra aveva accettato di apportare i cambiamenti già nel 1583. La regina Elisabetta, consigliata dal suo amico, l'astrologo John Dee, persuase gli uomini potenti del suo seguito, in particolare Francis Walsingham e William Cecil, ad accettare i cambiamenti. L'arcivescovo di Canterbury, Edmund Grindal, mosso da profonda diffidenza nei confronti del papato, prudentemente sì dichiarò a favore di una politica dì passività verso il provvedimento e, a furia di tentennamenti, riuscì a procrastinare i cambiamenti in Inghilterra per altri centosettanta anni: e per tutto quel tempo, l'ostinazione britannica sulla faccenda divenne oggetto di riso nel resto d'Europa. «Gli inglesi preferiscono che il calendario sia in disaccordo con il Sole, piuttosto che essere d'accordo con il papa», ironizzò Voltaìre.
Anche altri paesi intervennero a complicare le cose. L'Inghilterra fu comunque attenta a non ripetere gli errori di altri, come quello dei Fiamminghi che stupidamente annunciarono il cambiamento per il 21 dicembre 1582, con la conseguenza che i Belgi quell'anno restarono senza Natale.
Un'altra forma di protesta consistette nel continuare la solita vita come se le riforme non fossero mai state introdotte, il che significava rinunciare al giorno di Natale e mangiare l'oca con il ripieno e relativi contorni il successivo 5 gennaio, che sarebbe stato il "Natale vecchio stile". Un vecchio affermò che il Glastonbury Thorn, il rametto di Crataegus, cioè il biancospino che, per tradizione, fioriva la vigilia di Natale, «sprezzantemente ignorò il nuovo stile e si coprì di fiori il 5 gennaio, indicando così che si doveva osservare soltanto il vecchio giorno di Natale, nonostante l'antireligioso decreto legislativo». Per i vecchi credenti, il rametto di Crataegus era nientemeno che il santo bastone di Giuseppe di Arimatea, piantato proprio lì il giorno in cui era diretto alla volta di Glastonbury.
Altri paesi si mostrarono ancora più lenti ad accettare Ì cambiamenti; ma siccome la maggior parte delle nazioni diede il suo assenso alla riforma, tanto più urgente divenne per i renitenti la necessità di rinunciare alla loro ostinazione e accogliere il nuovo sistema. La Germania protestante accettò la riforma gregoriana nel 1775 ; la Francia, dopo la sua breve e fantasiosa digressione rivoluzionaria, lo fece nel 1806. Il Giappone accettò il calendario gregoriano nel 1873; la Russia nel 1917, e la Cina nel 1949.
Eliminare i giorni extra fu solo una delle preoccupazioni di papa Gregorio, il quale dovette anche regolare il calendario in modo che il problema non si ripresentasse, almeno per un lunghissimo periodo. Clavio e i fratelli Lilio proposero una soluzione di splendida semplicità. Il grande problema del calendario di Cesare era la sua eccessiva lunghezza. In poche parole, conteneva troppi anni bisestili. In seguito all'inserimento di uno di questi ogni quattro anni, quello di Cesare era di 365,25 giorni, sicché, per ridurlo alle dimensioni dell'effettivo anno tropicale (il tempo che occorre alla Terra per percorrere l'orbita attorno al Sole, cominciandola e finendola in coincidenza con l'equinozio di marzo), bisognava detrarre 0,0078 giorni da ogni anno (0,78 giorni da un secolo o 3,12 giorni ogni quattrocento anni). La storia non dice quante discussioni ebbero luogo tra Clavio e Antonio Lilio durante il periodo di quelle grandi riforme, ma la soluzione elaborata da Luigi aveva un'eleganza tale da renderla facilmente comprensibile e pertanto (cosa della massima importanza per Clavio) Sua Santità non avrebbe avuto troppe difficoltà a spiegarla al suo gregge.
Gli anni bisestili, fu decretato, non dovevano essere inseriti in centenari (per esempio, 1700, 1800, 1900 ecc.), a meno che il centenario in questione non fosse esattamente divisibile per quattro (per esempio 1600, 2000, 2400 ecc.). Veniva così corretto il calendario in modo da presentare un divario di 25,9 secondi per anno: non era la perfezione, ma comunque un grande miglioramento. Ogni 2.800 anni, posto che si continui a usare il sistema, cosa del resto improbabile, avremo guadagnato un giorno. Ma nel 4382 qualche impiccione senza dubbio riuscirà a fare approvare un decreto internazionale ordinante la rimozione di un unico giorno dai nostri calendari. E se questo accadrà, il caos dei computer (assai peggiore del Millennium Bug) farà crollare l'intera civiltà, o, per dirla con Shakespeare:
C'è un flusso negli affari degli uomini Che, preso dalla corrente, trascina fortunosamente.
Antonio Lilio fu premiato, per l'opera sua e del suo defunto fratello, con l'esclusiva licenza concessagli dal Papa di stampare e distribuire il nuovo calendario, comprese le istruzioni sulla sua applicazione. Potenzialmente, almeno, un'attività molto lucrosa. Antonio Lilio avrebbe potuto costruirsi un palazzo con dipinti di Michelangelo e busti del Bernini a ornamento del piano nobile; avrebbe potuto comprarsi terre e un titolo. I suoi rampolli avrebbero potuto sposarsi con donne Medici o Farnese, e l'illustre nome di Lilio sarebbe brillato come un faro per generazioni e generazioni. Ma le cose non andarono così. Antonio Lilio non riuscì a stampare in tempo il primo lotto di calendari, e quando finalmente furono pronti non erano in numero sufficiente per essere fatti circolare. Il Papa, furibondo per i molti fastidi causategli dall'incompetenza di Lilio, spronato dall'untuoso Clavio, revocò la licenza di stampa di Lilio, del quale non si seppe più niente.
Il calendario gregoriano non conclude il nostro resoconto, sebbene sia stato fonte del sistema correntemente in uso. Può darsi che il sistema dell'anno bisestile assicuri un metodo efficace per tenere in sincronia l'anno calen-dariale e l'anno solare, ma è la soluzione migliore al problema? Persone che se ne intendono, affermano che non è così. Febbraio è un pasticcio, con quei suoi 28 o 29 giorni in un anno bisestile, e va aggiunto che la numerazione dei giorni dei mesi sembra quasi casuale ed è difficile da ricordare senza fare ricorso alla filastrocca infantile: «Trenta giorni ha novembre, con aprii, giugno e settembre; di ventotto ce n'è uno; tutti gli altri ne han trentuno». Gè ne sono, com'è ovvio, molte diverse versioni, come quella inglese che aggiunge a «di ventotto ce n'è uno» and 29 in each leap year (cioè «e ventinove in ogni anno bisestile»), che forse è leggermente migliore. Ma si tratta comunque di una filastrocca piuttosto zoppicante.
Un altro problema con il calendario gregoriano che attualmente usiamo, è che i giorni della settimana (lunedì, martedì, mercoledì...) cadono in coincidenza con diversi giorni del mese secondo un ciclo perpetuamente sballato, che si ripete solo ogni ventotto anni. Non sarebbe più conveniente se il primo di gennaio cadesse sempre lo stesso giorno della settimana e gli altri giorni dell'anno si susseguissero in ordine esatto? Naturalmente sarebbe meglio, ma resta il problema: anche se ci fosse un sistema migliore, come farebbe un mondo perennemente frammentario e litigioso ad accordarsi per introdurre il nuovo sistema? Tutte le grandi riforme calendariali del passato sono state imposte da imperatori, papi o altri potenti. A costoro bastava far schioccare le dita, liquidare qua e là alcune schermaglie e proteste ed era cosa fatta. Oggi i dittatori sono all'opera solo in piccoli paesi, cosa che per quanto attiene alla riforma calendariale non è certo l'ideale. Sono state formulate migliaia di idee per migliorare il calendario, ma oggi chi è tanto potente da decidere in merito e imporre la riforma? In teoria, il presidente degli Stati Uniti d'America è l'uomo più potente del mondo, ma non può far approvare dal suo parlamento una riforma calendariale come potevano fare Giulio Cesare o papa Gregorio.
La proposta più elegante ed efficace di riforma calendariale dopo il XVI secolo è stata elaborata, nel 1834, da un prete cattolico, Marco Mastrofini. Nato nel 1763 nel quartiere romano di Montecompatri e morto nell'Urbe nel 1845, Mastrofini insegnò matematica e filosofia al collegio di Frascati e fu autore di numerosi libri riguardanti questioni prevalentemente ecclesiastiche. E noto soprattutto per un suo trattato sull'usura. Nel 1312, al Concilio di Vienna nel Delfinato, papa Clemente V aveva annunciato che «chiunque pertinacemente vorrà affermare che pretendere interessi su denaro non è peccato, decretiamo che è un eretico suscettibile di castigo». Fu allo stesso Concilio che Clemente V soppresse l'Ordine dei Templari. Nel xix secolo, don Mastrofini tentò di giustificare il prestito a interesse da parte dei Cristiani, tuttavia stando bene attento a non farlo troppo "pertinacemente". La sua idea del calendario, oggi chiamato Calendario Mondiale, ha suscitato vastissimi consensi da quando fu avanzata nel 1834. Molti libri sono stati scritti in merito e leader religiosi, presidenti e l'ONU ne hanno discusso. Alla luce della quasi universale approvazione del Calendario Mondiale, come si spiega che questi semplici cambiamenti per niente scombussolanti non sono stati introdotti? Più e più volte sono stati bloccati da zelanti religiosi che sono riusciti a imporre le loro convinzioni alle autorità statali. Spiega Elizabeth Achelis, una delle più valide promotrici della riforma ed ex presidente della World Calendar Association [Associazione Mondiale del Calendario]:
L'opposizione alla riforma calendariale basata su una proposta insieme astronomica e matematica, deriva dall'interferenza di certi gruppi religiosi. Questi non riescono a capire il carattere universale e scientifico del calendario, né che esso appartiene a tutte le nazioni, popoli e razze. Non ha a che fare con credenze religiose, dogmi, teologie, tradizioni, miti od ortodossie. Sicché, una tradizione elaborata all'epoca della cattività babilonese non dovrebbe essere motivo di un irrazionale attaccamento, da parte del giudaismo ortodosso, alla teoria dell'ininterrotta continuità della settimana di sette giorni.
Il sistema del Calendario Mondiale è di straordinaria semplicità e di facile applicazione. L'anno viene a essere diviso in quattro quarti uguali, ciascuno di tre mesi. Ogni quarto contiene 91 giorni; i quarti sono composti da un mese di 31 giorni e da due mesi di 30 giorni. I mesi conservano i loro nomi originali. Il primo mese dì ogni quarto comincia di domenica, il secondo mese comincia di mercoledì e il terzo mese di ogni quarto comincia di venerdì. In tal modo, lo stesso giorno della settimana coincide ogni anno con la stessa data (sfortunato colui il cui compleanno cada un venerdì 13!).
Si hanno così 364 giorni. Per completare lo schema, una "Giornata Mondiale" festiva viene intercalata ogni anno tra l'ultimo giorno del vecchio e il primo giorno del nuovo anno, vale a dire tra il 30 dicembre e il 1° gennaio. Si arriva così a 365, e poi il giorno dell'anno bisestile, un'altra "Giornata Mondiale", viene aggiunto ogni quattro anni dopo il 30 giugno.
Molte sono le ragioni che rendono migliore questo sistema di quello attualmente in corso. L'ultimo deciso tentativo a favore del Calendario Mondiale si è concluso con un fallimento. Nel marzo del 1955, il governo statunitense inviò alle Nazioni Unite una lettera assai pomposa e minacciosa, in cui spiegava come sarebbe stato per sempre impossibile, in questa democrazia che ha paura dell'invecchiamento, migliorare il sistema ormai datato di cui ci serviamo.
Il Calendario Mondiale, il calendario giuliano, il calendario gregoriano, Clavio, Cesare e tutti gli altri artefici di calendarì, basavano i loro calcoli sulla misurazione dell'anno tropicale. C'è però un'altra misurazione dell'anno diversa da quella del tropicale, calcolata non già sul passaggio del Sole all'equatore, bensì sul ritorno dell'astro esattamente alla stessa posizione rispetto alle stelle fisse. E quello che viene detto "anno siderale" o "anno stellare". Il termine "stelle fisse" in questo caso è un po' fuorviante. Il concetto risale a tempi antichi, quando si credeva che le stelle non si muovessero nell'universo, a differenza dei pianeti che erano noti quali "astri erranti". Già all'inizio del xvm secolo, tuttavia, si misuravano i movimenti delle stelle.
Possiamo servirci di misurazioni siderali per il mese, il giorno, ma anche per l'anno. In ciascun caso scopriremo che il tempo siderale differisce leggermente dalla lunghezza dei giorni, dei mesi e degli anni quali vengono normalmente misurati in relazione alla Terra, e non è difficile capire il perché. Lo stesso lettore può constatarlo da solo seguendo queste semplici istruzioni:
1. Procuratevi due megaliti, uno più alto e uno più basso. Li potete trovare in molte località. Per esempio in Sardegna, in Puglia, in Bretagna e nel Galles. Sceglieteli con cura e, facendoli scorrere su tronchi di legno, portateli nel giardino di casa vostra.
2. Il giorno dopo procuratevi un cronometro.
3. Collocate il megalite più alto in mezzo al prato e mettetevi dietro di esso rispetto al Sole sorgente. Quindi collocate il megalite più basso tra voi e quello più alto (dovete farlo rapidamente, soprattutto se vivete all'equatore). A questo punto, fate in modo di spostarvi verso una linea visuale tale per cui la cima del megalite minore sia esattamente allineata con la cima del megalite più alto (per farlo, dovrete accovacciarvi leggermente).
4. Restate in quella posizione finché l'ultima frazione della circonferenza del Sole si levi al di sopra dell'allineamento delle punte delle vostre due pietre. In quel preciso istante, premete il pulsante di avviamento del cronometro (badate a indossare occhiali molto scuri, altrimenti rischiate di accecarvi).
5. Lasciate i megaliti nel punto esatto in cui li avete collocati, e continuate a fare andare il cronometro.
6. Il mattino dopo, senza spostare le pietre, allineatevi allo stesso modo del giorno prima, con il Sole sorgente. Quando l'ultima frazione della circonferenza del Sole si leva al di sopra dell'allineamento delle cime dei vostri due megaliti, premete il pulsante di avviamento del cronometro. A questo punto avrete misurato il vostro primo giorno solare, procurandovi una lettura di qualcosa di molto vicino a ventiquattro ore, a seconda del punto del globo in cui vi trovate e della stagione dell'anno. Ora, se ripetete il procedimento ogni giorno per 365 giorni, eseguendo ogni giorno una rilevazione, e quindi dividendo per 365, dovreste giungere a un risultato che è quello del giorno solare medio. Se avrete seguito esattamente le istruzioni, avrete ottenuto 24 ore, 3 minuti e 56,555 secondi. Se non è così, rifate l'esperimento.
Per misurare il giorno siderale, dovrete uscire di casa in due consecutive notti serene e scegliere una linea visuale tra voi stessi, la cima dei vostri megaliti e una stella fissa facilmente individuabile.
Misurando il tempo che occorre a una stella fissa per tornare esattamente alla stessa posizione (relativamente alle cime allineate dei vostri megaliti) in due notti consecutive, potrete ottenere una lettura di un giorno sideralè che, come probabilmente noterete, è più breve di circa 4 minuti rispetto al giorno solare, e ciò si deve al fatto che la Terra, mentre ruota attorno al proprio asse, percorre anche un'orbita attorno al Sole. Sicché, se misuriamo la rotazione della Terra tenendo d'occhio il Sole, quando il nostro pianeta avrà percorso un giro attorno all'astro, questo si sarà apparentemente mosso verso est, per cui il momento del mezzogiorno (vale a dire il punto in cui il vostro allineamento megalitico è tornato nella stessa posizione del giorno precedente) si avrà in realtà quattro minuti dopo che la Terra ha completato la sua rotazione di 360 gradi.
I mesi siderali possono essere misurati tenendo d'occhio una stella remota in rapporto alla Luna. Per esempio, quando una stella sta per emergere dietro l'orlo della Luna, la stessa posizione non si ripeterà esattamente per un mese sideralè, e il momento in cui si ripresenterà differirà dal mese lunare sempre a causa della rotazione e dell'orbita che incide sul giorno solare.
L'anno solare e l'anno siderale sono più difficili da misurare, sebbene il principio rimanga lo stesso, a causa della necessità di effettuare accurate rilevazioni per un intero anno. Il grande Tolomeo e l'astronomo al-Battani al tempo loro non ne furono in grado.
Copernico, che se ne stava come un eremita in cima a una torre delle mura trecentesche di Frauenberg, rilevò discrepanze tra le proprie rilevazioni e quelle compiute da Tolomeo e al-Battani centinaia di anni prima. Senza rendersi conto che i due predecessori erano in errore, Copernico ipotizzò che i movimenti della Terra fossero irregolari: piccolo errore che tuttavia non gli impedì di misurare l'anno molto più accuratamente di quanto fosse stato fatto in precedenza. L'anno tropicale di Copernico risultò essere di 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 29 secondi, con un divario di soli 43 secondi.
Copernico era nato a Thorn, nella Polonia orientale, nel 1473. Suo zio, il vescovo di Ermeland, avrebbe voluto che prendesse gli ordini. Dopo aver studiato all'università di Cracovia, poi a Bologna, a Ferrara e quindi a Padova, Copernico si fece una reputazione di efficiente e attendibile astronomo, al punto che nel 1514 papa Leone X lo invitò a Roma perché gli fornisse suggerimenti in merito alla riforma del calendario. Ma la questione non rientrava negli interessi di Copernico.
Dal 1512 visse a Frauenberg, nei pressi di Danzica, dove morì nel 1543. Qui fece la sua massima scoperta, comprovando che la Terra orbitava attorno al Sole e ruotava sul proprio asse. La concezione eliocentrica non era del tutto originale: la teoria viene attribuita per primo ad Aristarco di Samo, vissuto tra il 310 e il 231 a.C. Meriterebbe lui il posto d'onore nella storia della scienza che attualmente è occupato da Copernico, se il libro in cui sembra prospettare un sistema solare copernicano (quello cioè in cui i pianeti, Terra compresa, girano attorno al Sole, e la Terra ruota sul proprio asse ogni ventiquattro ore) non fosse perduto. L'unica opera di Aristarco giunta fino a noi tratta delle dimensioni e distanze del Sole e della Luna: a suo demerito, valuta in Sole 180 miglia il diametro della Terra (inferiore di 65 volte a quello effettivo) e fa propria l'opinione, convenzionale quanto imprecisa, che sia la Terra, non già il Sole, al centro del sistema. Si ritiene che Aristarco sia pervenuto forse a una teoria di tipo copernicano solo dopo aver scritto quel libro. E noto, comunque, che fu il primo ad arrivarci. Archimede, contemporaneo di Aristarco, in una lettera a Gelone, il potentissimo tiranno di Siracusa, dice che «Aristarco aveva scritto un libro contenente certe ipotesi, e cioè che le stelle fisse e il Sole non si muovono e che la Terra gira attorno al Sole lungo la circonferenza di un cerchio, con il Sole al centro dell'orbita». La grande opera in cui Copernico pubblicò la sua teoria eliocentrica, De revolutionibus orbium coelestium libri sex (1543), fu rivelata al mondo solo dopo la sua morte, e anzi, non fu messa in mano all'autore se non al momento del decesso, quando ormai la mente dell'astronomo era offuscata.
Si volle che l'ultima cosa su cui Copernico posò gli occhi prima di dare l'ultimo respiro, fossero le bozze del suo nuovo libro. Ma da un certo punto di vista, la sua morte avveniva al momento opportuno, perché la sua concezione eliocentrica era eretica e il castigo per le eresie consisteva di solito in parecchi giorni di tortura seguiti da ignominiose esecuzioni pubbliche. Stando agli insegnamenti giudaici e cristiani, infatti, il mondo era al centro del sistema planetario, come veniva affermato dalle scritture.
A conferma della loro autorità, i rappresentanti dell'una e dell'altra religione si riferivano a un singolare episodio della Bibbia in cui Giosuè, successore di Mosè, ordina al Sole di fermarsi mentre gli Israeliti si scontrano con gli Amorrei:
Allora, quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani degli Israeliti, Giosuè disse al Signore sotto gli occhi di Israele: «Sole, fermati in Gabaon e tu, Luna sulla valle di Aialon." Si fermò il Sole e la Luna rimase immobile finché il popolo non si vendicò dei nemici. Non è forse scritto nel libro del Giusto; «Stette fermo il Sole in mezzo al Gelo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero. Non ci fu giorno come quello, né prima né dopo, perché il Signore aveva ascoltato la voce dì un uomo, perché il Signore combatteva per Israele»? (Giosuè 10, 12-14)
Copernico stava invece dicendo al mondo che in realtà un giorno simile a quello cera effettivamente stato prima e dopo. Anzi, che ogni giorno è stato, è e sarà sempre così. Significava forse che Giosuè era pazzo e che le Scritture dicevano il falso? Impossibile! La Chiesa sapeva che le scritture avevano sempre ragione, e se la Bibbia afferma che Giosuè ordinò al Sole di restare immobile, e che l'astro ardente, per la prima e ultima volta, obbedì al suo ordine, ne conseguiva che la Bibbia aveva ragione e Copernico, nonostante i suoi straordinari strumenti scientifici, non poteva che essere un eretico, nemico di Cristo.
La Chiesa di Roma si premurò, negli anni successivi al decesso dell'astronomo polacco, di toglierne dalla circolazione l'opera.
Si ignora se Copernico conoscesse o meno le teorie eliocentriche di Aristarco, sebbene possa averne avuto sentore tramite Seleuco, il primo e l'ultimo dei seguaci di Aristarco a far proprio il suo punto di vista. E noto, comunque, che Copernico lo confermò mediante le proprie osservazioni e calcoli, ed è comprovato in maniera incontrovertibile dalle molte annotazioni da lui lasciate. Varrà la pena di ricordare che il De revolutionibus orbium coelestium non fu quel fulmine a ciel sereno che sarebbe stato logico aspettarsi quando venne pubblicato nel 1543. In primo luogo, la gente perlopiù non era in grado di capirlo e le edizioni che ne vennero fatte recavano una prefazione in cui si diceva che le opinioni di Copernico contenute nel libro erano soltanto delle congetture. Fu solo quando Galileo Galilei (1564-1642) riconfermò le teorie eliocentriche di Copernico che le autorità ecclesiastiche si avvidero di quello che stava accadendo. Galilei, che aveva fatto del telescopio uno strumento chiave dell'astronomia, venne accusato di eresia.
Molti scienziati illuminati ebbero modo di aggiungere le proprie scoperte al modello eliocentrico di Copernico. Il più importante di essi fu il puzzolente e pulcioso astronomo Johannes Kepler, italianizzato in Giovanni Keplero (1571-1630), rampollo di un balordo soldato mercenario e della sua bisbetica moglie (figlia di un oste e che, in seguito, fu processata come strega). Per qualche tempo Keplero godette dell'appoggio dell'irascibile astronomo danese Tyge o Tycho Brahe (1546-1601), ricco csteta che fin dall'età di quattordici anni si era dedicato all'accanita osservazione delle stelle e al contempo si circondava di begli oggetti. Grazie a sovvenzioni reali, si costruì un proprio osservatorio su un'isola, chiamato Uraniborg (Castello del Ciclo), dal quale catalogò la posizione di settecentosettantasette stelle. Si sposò con una donna di condizione inferiore alla sua, cosa che all'epoca causò scandalo, e fu in grado di sopportare il tanfo emanato da Keplero semplicemente perché non era in grado di sentirlo, aveva perduto il naso in una rissa con un suo coetaneo adolescente e se ne era costruito uno d'argento che ovviamente non funzionava.
Keplero e Brahe si dedicarono assieme a osservazioni astronomiche. La più importante scoperta del primo fu il movimento ellittico dei pianeti. In precedenza si era pensato che si muovessero lungo cerchi perfetti. In seguito, fu dimostrato che le loro traiettorie ellittiche erano un effetto della gravita, ma per il momento le prove fornite da Keplero valsero solo a spiegare certe piccole irregolarità rilevate nell'osservazione degli equinozi.
Un equinozio, si ricordi, è il momento o data in cui il Sole attraversa l'equatore celeste; gli equinozi sono dunque i due eventi dell'anno in cui giorno e notte hanno la stessa lunghezza. In altre parole, si tratta degli opposti solari di un solstizio. Questi sono detti così perché rappresentano il momento in cui il Sole raggiunge i punti estremi settentrionale e meridionale della propria eclittica e sembra restare immobile; il termine deriva dal latino sol e sistit (resta), e designa il giorno più lungo e il giorno più breve dell'anno. Eclittica è il termine tecnico con cui si designa il piano dell'orbita solare. I due equinozi si verificano ogni anno in settembre e in marzo. I sue solstizi in dicembre e in giugno.
Ne consegue che l'anno può essere misurato tra i due equinozi o tra i due solstizi. Il problema con cui ci troviamo alle prese o, per essere più precisi, quello che scienziati assai pedanti tentano di risolvere, consiste nel trovare una definizione duratura dell'anno, che non sia soggetta a variazioni. Ci si riuscì quasi alla Conferenza Mondiale del 1967, ma le informazioni che essa fornì possono essere di interesse soltanto per gli scienziati con i loro computer da laboratorio. Ci riferiamo a frazioni talmente infinitesimali o terribilmente enormi che la mente umana non è in grado di afferrarne il significato se non mediante comparazione (vale a dire: sono più grandi o sono più piccoli?) con altri numeri.
La misurazione ufficiale del tempo dell'anno è così assurdamente complessa che esitiamo a fornirla al lettore di questo libro. Parlando dei secondi, abbiamo già accennato al tempo atomico: «uno fastidio m'ingombra la mente», avrebbe detto Giacomo Leopardi. Varrà comunque la pena di ricordare che l'esperto David Ewing Duncan è riuscito a spiegare il nocciolo della questione con ammirevole concisione nel suo libro The Calendar:
Nel 1967 il ritmo delle pulsazioni del cesio fu calibrato a 9.192.631.770 oscillazioni al secondo, ed è oggi questa la misurazione ufficiale del tempo mondiale in sostituzione del vecchio parametro basato sulla rotazione e l'orbita della Terra, che aveva a proprio fondamento numerico un secondo uguale a 1/31.556.925,9747 di un anno. Ciò significa che, sotto il nuovo regime del cesio, Tanno ufficialmente non misura più 365,242199 giorni, bensì 290.091.200.500.000.000 oscillazioni di Cs, con un'approssimazione di un paio di oscillazioni.
(Tratto da "La conquista del tempo" di Alexender Vaugh)
|