Matematici

David Hilbert

 

David Hilbert

Dal secondo importante discorso pubblico della sua carriera, tenuto a Konigsberg l'8 Settembre 1930, in occasione dei festeggiamenti del suo sessantottesimo compleanno che coincidevano anche con la sua andata in pensione dalla posizione di professore dell'Università di Gottinga, la citazione che fù poi riportata anche sulla sua lapide:

Wir müssen wissen. Wir werden wissen.

Dobbiamo sapere, sapremo.

David Hilbert era figlio di un giudice di Kònigsberg, capitale della Prussia orientale, si era fatto un nome come matematico dodici anni prima, risolvendo il problema di Gordan, nella teoria degli invarianti algebrici.

Nel 1895 Hilbert ottenne una cattedra a Gottinga, dove rimase fino al congedo nel 1930. Hilbert e Gottinga dominarono la matematica per i primi trentanni del xx secolo, non soltanto la matematica tedesca, ma tutta la matematica. Il fisico svizzero Paul Scherrer, che giunse a Gottinga come studente nel 1913, riferì di aver trovato là «una vita intellettuale di intensità insuperata». Una percentuale sorprendente di importanti matematici e fisici della prima metà del secolo aveva studiato a Gottinga, oppure sotto la guida di qualcuno che aveva studiato là.

Della personalità di Hilbert sono giunte a noi notizie discordanti. Per nulla asociale, era un abile ballerino e un apprezzato oratore. Era un po' donnaiolo, entro i limiti consentiti nella provinciale Germania guglielmina (è difficile che sia accaduto qualcosa di molto sconveniente). Aveva una vena irriverente e pare fosse insofferente di fronte al conservatorismo della vita universitaria, delle abitudini, delle regole e dei divieti sociali. La moglie di un vecchio professore inorridì a sentire che Hilbert era stato visto in città nel retro di un ristorante, mentre giocava a biliardo con i suoi studenti. Quando, durante la Prima Guerra Mondiale, l'università rifiutò a Emmy Noether un regolare impiego da docente in quanto donna, Hilbert semplicemente annunciò che avrebbe tenuto un corso di lezioni, e poi ne affidò a Noether la responsabilità. Sembra che durante le interrogazioni fosse indulgente, sempre pronto a offrire al candidato il beneficio del dubbio.

È difficile però evitare l'impressione che Hilbert sopportasse malvolentieri le persone sciocche, e che considerasse sciocca gran parte dell'umanità. Questa sua attitudine si rivelò particolarmente infelice: caso volle che Franz, l'unico figlio di Hilbert, fosse affetto da gravi problemi mentali. Incapace di apprendere qualunque cosa in maniera seria, o di conservare qualunque genere di lavoro, Franz soffriva inoltre di occasionali episodi di paranoia, a causa della quale venne ricoverato per qualche periodo in un ospedale psichiatrico. Si racconta che Hilbert abbia detto, in occasione del primo di questi ricoveri: «D'ora in avanti devo pensare di non avere un figlio».

Hilbert era, in ogni caso, venerato dai suoi studenti e dai colleghi matematici. Su di lui si contano molti aneddoti, la maggior parte di tipo affettuoso.

Hilbert aveva uno studente che un giorno gli consegnò uno scritto in cui asseriva di dimostrare l'ipotesi di Riemann. Hilbert studiò attentamente il lavoro e rimase davvero impressionato dalla profondità dell'argomentazione; purtroppo però vi trovò un errore che neppure lui fu in grado di eliminare. Un anno dopo quello studente morì. Hilbert chiese ai genitori afflitti il permesso di tenere un'orazione funebre. Mentre sotto la pioggia i parenti e gli amici dello studente piangevano sulla tomba, Hilbert sì fece avanti. Cominciò con il dire quale tragedia fosse che un giovane così dotato fosse morto prima dì aver avuto l'opportunità di mostrare Ì successi che avrebbe potuto conseguire. Ma, continuò, anche se la dimostrazione dell'ipotesi dì Riemann elaborata da questo giovane conteneva un errore, era ancora possibile che un giorno si trovasse una dimostrazione del famoso problema seguendo le linee che il defunto aveva indicato. «In effetti - proseguì con entusiasmo, in piedi sotto la pioggia vicino alla tomba del morto - si consideri una funzione di variabile complessa...»

Il secondo aneddoto è preso dal libro del Martin Davis, "Il calcolatore universale". Hilbert era stato visto in giro per diversi giorni con un paio dì pantaloni strappati, cosa che per molti sarebbe stata fonte di imbarazzo. Il compito di informare con tatto Hilbert della circostanza venne affidato al suo assistente, Richard Courant. Sapendo quanto Hilbert amasse passeggiare in campagna discutendo di matematica, Courant Io invitò per una camminata. Courant fece in modo di passare attraverso alcuni cespugli spinosi, e a quel punto fece notare a Hilbert di essersi strappato in maniera vistosa i pantaloni su uno dei cespugli. «Oh no - replicò Hilbert - sono così da settimane, ma nessuno se ne è accorto».

Il terzo episodio è apocrifo, anche se molto probabilmente vero. Uno degli studenti di Hilbert smise di presentarsi alle lezioni. Chiedendo ii motivo, Hilbert si sentì dire che lo studente aveva lasciato l'università per diventare poeta. Hilbert: «Non posso dire di essere sorpreso. Non ho mai pensato che avesse abbastanza immaginazione per essere un matematico».

Hilbert non era, per inciso, ebreo, anche se il suo nome di battesimo, poco comune tra i tedeschi gentili, durante gli anni di Hitler attirò su di lui il sospetto. I suoi antenati paterni facevano parte del movimento protestante fondamentalista dei pietisti, che prediligeva l'Antico Testamento e i nomi esortativi. Il nonno di Hilbert si fregiava dei nomi David Fùrchtegott Leberecht (ovvero, «Temi Dio Vivi Rettamente») Hilbert.

Constance Reid descrive così Hilbert al Congresso del 1900:

L'uomo che salì in cattedra quella mattina non aveva ancora quarant'anni, era di corporatura e altezza medie, snello, agile, con una fronte molto spaziosa, calvo tranne che per qualche cìuffo di capelli ancora rossastri. Gli occhiali erano saldamente appoggiati su un naso importante. Portava una barbetta, baffi piuttosto disordinati, sotto i quali si scorgeva una bocca sorprendentemente ampia e larga per il mento delicato. I luminosi occhi blu osservavano in maniera tranquilla ma decisa dietro le lenti luccicanti. Hilbert tenne il suo discorso, in tedesco, in un'aula torrida della Sorbona. Al congresso parteciparono complessivamente 250 delegati, ma è improbabile che fossero tutti presenti ad ascoltare Hilbert la mattina dell'8 agosto.

Il titolo della conferenza era Mathematiche Probleme (Problemi matematici). Le parole di apertura sono familiari ai matematici del xx secolo. «Chi di noi non sarebbe felice di sollevare il velo dietro al quale si cela il futuro; di gettare uno sguardo ai progressi futuri della nostra scienza e ai segreti del suo sviluppo nel corso dei secoli futuri?». Hilbert proseguì parlando dell'importanza dei problemi difficili per concentrare l'attenzione dei matematici, stimolare nuovi sviluppi e nuovi simboli, e spingere la matematica a livelli di generalizzazione sempre più elevati. Concluse con una lista di ventitré problemi particolari «dalla discussione dei quali ci si può aspettare un avanzamento della scienza».

I decenni che seguirono videro le risposte a molti di quei problemi, e coloro che ne scoprirono le soluzioni formano un illustre gruppo di matematici noto con il nome di «The Honours Class». Il gruppo comprende personaggi del calibro di Kurt Godel e di Henri Poincaré, insieme a molti altri pionieri le cui idee hanno mutato radicalmente il paesaggio della matematica. Ma c'era un problema, l'ottavo nell'elenco dì Hilbert, che sembrava destinato a sopravvivere al secolo senza che si trovasse un campione in grado dì sconfiggerlo: l'ipotesi di Rìemann.

Circolava una leggenda secondo la quale l'imperatore germanico del xm secolo Federico Barbarossa, morto durante una crociata, fosse in realtà ancora vivo, e giacesse addormentato in una caverna nel monte Kyffhauser, pronto a risvegliarsi quando la Germania avesse avuto bisogno di lui. Qualcuno chiese a Hilbert che cosa avrebbe fatto se, come il Barbarossa, avesse potuto rinascere dopo un sonno dì parecchi secoli. Hilbert rispose: «Domanderei se qualcuno ha dimostrato l'ipotesi di Riemann».

(Tratto da "L'ossessione dei numeri primi - John Derbyshire - 2006 Bollati Boringhieri)