Matematici

Pierre de Fermat

L'ultimo teorema di Fermat

 

Pierre de Fermat

Il Principe dei dilettanti

Pierre de Fermat nacque il 20 agosto 1601 nella città di Beaumont-de-Lomagne nel sudovest della Ftancia. Il padre di Fermat, Dominique, era un ricco mercante di pellami e così Pierre ebbe la fortuna di godere di un'educazione privilegiata al monastero francescano di Grandselve, cui seguì un periodo all'Università di Tolosa. Non ci sono documenti che attestino il genio matematico del giovane Fermat.

Le pressioni familiari lo spinsero verso la carriera giudiziaria e nel 1631 venne nominato consigliere al Parlamento di Tolosa. Fermat era un solerte funzionario pubblico che, in base a tutti i resoconti, espletava le sue mansioni in maniera scrupolosa, ma clemente. Tra i suoi incarichi vi erano anche quelli di giudice ed egli era abbastanza anziano da occuparsi dei processi più gravi.

Fermat fece una rapida carriera nella pubblica amministrazione e divenne membro dell'elite sociale, con il privilegio di usare il de come parte del cognome. La sua ascesa ai ranghi più alti non fu necessariamente il risultato della sua ambizione, quanto della sua salute. In Europa infuriava la peste e i sopravvissuti vennero subito elevati di rango per sostituire i morti nefle cariche lasciate vacanti. Anche Fermat si ammalò di peste nel 1652 e le sue condizioni divennero così gravi che l'amico Bernard Medon annunciò la sua morte a diversi colleghi. Poco dopo si corresse. Oltre ai rischi per la salute, che si correvano nella Francia del diciassettesimo secolo, Fermat doveva sopravvivere a pericoli di natura politica. La sua nomina al Parlamento di Tolosa avvenne appena tre anni dopo che il cardinale Richelieu era stato nominato primo ministro. Era un'epoca di trame e intrighi e chiunque fosse coinvolto nella gestione dello stato, persino al livello di governo locale, doveva stare molto attento a non farsi immischiare nelle macchinazioni del cardinale. Fermat adottò la strategia di svolgere le sue mansion! in maniera efficiente senza attirare l'attenzione su di sè. Non aveva ambizioni politiche e faceva del suo meglio per evitare le lotte parlamentari. Impegnò invece tutte le energie residue alla matematica e, quando non doveva condannare a morte qualche prete, si dedicava al suo passatempo preferito. Fermat non era un accademico, ma un autentico cultore della matematica, un uomo che E.T. Bell defini il «Principe dei dilettanti».

All'inizio del diciassettesimo secolo la matematica si stava ancora riprendendo dall'eta buia del Medioevo e non godeva di alta considerazione. Di conseguenza i matematici non erano trattati con grande rispetto e la maggior parte di loro doveva autofinanziare i propri studi. Per esempio, Galileo non poteva studiare matematica all'Università di Pisa e fù costretto a ricorrere a lezioni private. La sola istituzione in Europa a promuovere attivamente lo studio della matematica era l'Universita di Oxford, che aveva istituito la Cattedra Saviliana di Geometria nel 1619.

Dire che la maggior parte dei matematici del Seicento fosse composta di dilettanti corrisponde al vero, ma Fermat era un caso estremo. Abitando lontano da Parigi era isolato dalla piccola comunità di matematici allora esistente, che includeva figure come Pascal, Gassendi, Roberval, Beaugrand e, soprattutto, padre Marino Mersenne.

Padre Mersenne diede solo qualche contribute minore alla teoria dei numeri e tuttavia giocò nella matematica seicentesca un ruolo che può a ragione essere considerate più importante di quello dei suoi colleghi più stimati. Dopo essere entrato nell'ordine dei Minimi nel 1611, Mersenne studiò matematica e la insegnò agli altri frati e alle suore del convento dei Minimi di Nevers. Otto anni dopo si trasferì a Parigi nel monastero dell'Annunziata, vicino a Place Royale, dove gli intellettuali amavano trovarsi. Inevitabilmente Mersenne finì con l'incontrare gli altri matematici parigini, ma fu rattristato dalla loro riluttanza a comunicare tra di loro e con lui.

La tradizione di segretezza dei matematici parigini discendeva dai «cossisti» del sedicesimo secolo. I cossisti erano esperti in calcoli di ogni tipo ed erano impiegati dai mercanti e dagli uomini d'affari per risolvete complessi problemi di contabilità. Il loro nome deriva dalla parola italiana «cosa», perche essi usavano simboli per rappresentare quantità sconosciute, in modo analogo all'uso odierno della x da parte dei matematici. In quell'epoca tutti coloro che per mestiere risolvevano problemi matematici inventavano ingegnosi metodi personali per effettuare i calcoli e facevano di tutto per tenerli segreti allo scopo di conservare la reputazione di essere i soli in grado di risolvere un problema particolare.

Quando padre Mersenne arrivò a Parigi era deciso a combattere contro il costume della segretezza e cercò di incoraggiare i matematici a scambiarsi idee e a lavorare con spirito di collaborazione. Padre Mersenne organizzò incontri regolari e il suo grappo diventò in seguito il nucleo dell'Accademia di Francia. Se qualcuno si rifiutava di partecipare alle riunioni, Mersenne comunicava ai presenti tutto ciò che egli conosceva circa l'attivita scientifica della persona assente, rivelando il contenuto di lettere e di memorie, anche se gli erano state inviate in via confidenziale. Per un uomo di Chiesa non era un comportamento eticamente accettabile, ma Mersenne si giustificava in base al principio che lo scambio di informazioni sarebbe stato di beneficio per la matematica e per l'umanità. Queste indiscrezioni ovviamente provocarono aspri conflitti fra il ben intenzionato frate e le taciturne prime donne e portarono infine alla rottura dei rapporti con Descartes, risalenti agli studi comuni al Collegio dei Gesuiti di La Fleche. Mersenne aveva rivelato scritti filosofici di Descartes che avrebbero potuto offendere la Chiesa, ma va aggiunto a suo onore che egli difese Descartes dagli attacchi teologici, come aveva fatto precedentemente nel caso di Galileo. In un'epoca dominata dalla religione e dalla magia Mersenne si levò in difesa del pensiero razionale.

Mersenne viaggiò per tutta la Francia e oltre, allo scopo di diffondere informazioni sulle scoperte più recenti. Nei suoi viaggi incontrò Pierre de Fermat e sembra essere stato l'unico matematico con il quale quest'ultimo manteneva contatti regolari. L'influenza di Mersenne su questo Principe dei dilettanti deve essere stata seconda solo a quella dell'Arithmetica, un trattato che Fermat aveva sempre con sè. Anche quando non poteva viaggiare, Mersenne manteneva i suoi rapporti con Fermat e con gli altri dotti scrivendo loro in continuazione. Dopo la sua morte, la stanza di Mersenne fu trovata piena zeppa di lettere scritte da settantotto diversi corrispondenti.

Nonostante le esortazioni di padre Mersenne, Fermat rifiutò fermamente di rivelare le sue dimostrazioni. Non dava alcuna importanza alle pubblicazioni e al riconoscimento del proprio valore da parte degli altri dotti e si contentava del semplice piacere di saper creare nuovi teoremi indisturbato. Tuttavia, questo genio timido e ritirato aveva un tratto birichino, il quale, abbinato alla sua riservatezza, significava che talvolta egli comunicava con gli altri matematici solo per provocarli. Fermat scriveva lettere che enunciavano il suo più recente teorema senza fornite la relativa dimostrazione. Poi sfidava i contemporanei a trovarla. Il fatto che non rivelasse mai le sue prove causò grande frustrazione. Rene Descartes definì Fermat uno «sbruffone» e l'inglese John Wallis si riferiva a lui chiamandolo «quel maledetto francese». Purtroppo per gli inglesi, Fermat si divertiva parecchio a giocare con i suoi cugini d'Oltremanica.

L'abitudine di Fermat di presentare un problema nascondendo la soluzione, oltre a procurargli la soddisfazione di infastidire i colleghi, aveva motivi piu pratici. Anzitutto significava che non doveva sprecare tempo a sviluppare dettagliatamente i propri metodi e poteva procedere rapidamente verso nuove conquiste. Inoltre non doveva soffrire critiche meschine frutto della gelosia. Ogni prova, una volta pubblicata, sarebbe stata esaminata e discussa da chiunque sapesse qualcosa dell'argomento. Quando Blaise Pascal lo esortò a pubblicare qualche suo lavoro, il solitario Fermat replicò «Qualunque mia opera sia giudicata degna di pubblicazione, non voglio che vi compaia il mio nome». Fermat era il genio solitario che sacrificava la fama per non essere distratto dalle meschine interrogazioni dei critici.

Lo scambio di lettere con Pascal, la sola occasione in cui Fermat discusse le proprie idee con qualcuno che non fosse Mersenne, riguardo la creazione di una branca affatto nuova della matematica: la teoria della probabilità. L'eremita Fermat era stato introdotto a questa materia da Pascal e perciò, nonostante il desiderio di isolamento, si sentì obbligato a discutere le proprie idee e a mantenere il dialogo. Fermat e Pascal insieme scoprirono le prime dimostrazioni e modellarono le prime ferree certezze nella teoria della probabilità, una materia intrinsecamente incerta. L'interesse di Pascal per la materia era stato suscitato da un professionista parigino del gioco d'azzardo, Antoine Gombaud, cavaliere di Méré, che aveva sollevato un problema riguardante un gioco d'azzardo chiamato "punti". Il gioco consisteva nel vincere dei punti lanciando i dadi e il giocatore che guadagnava un certo numero di punti risultava vincitore e prendeva i soldi come premio.

Gombaud stava giocando a punti con un compagno quando un impegno urgente li costrinse ad abbandonare la partita a metà. Si presentò allora il problema su cosa fare del premio in denaro. La soluzione più semplice sarebbe stata di dare tutti i soldi al giocatore che aveva totalizzato più punti al momento dell'interruzione, ma Gombaud chie-se a Pascal se c'era un modo piu equo di dividere la somma. A Pascal fu chiesto di calcolare la probabilità di vittoria di ciascun giocatore se il gioco fosse proseguito e assumendo che entrambi i giocatori avessero avuto una probabilità identica di vincere i punti successivi. La somma avrebbe potuto quindi essere spartita secondo questo calcolo delle probabilità.

Prima del diciassettesimo secolo le leggi della probabilità erano definite dall'intuizione e dall'esperienza dei giocatori d'azzardo, ma Pascal iniziò uno scambio di lettere con Fermat con lo scopo di scoprire le regole matematiche che descrivono più precisamente le leggi del caso. Tre secoli più tardi Bertrand Russell avtebbe cosi commentate questo apparente ossimoro: «Come osiamo parlare di leggi del caso? Non è forse il caso l'antitesi di ogni legge?».

I due francesi analizzarono il problema posto da Gombaud e ben presto si resero conto che era relativamente banale, e che poteva essere risolto definendo rigorosamente tutti i potenziali risultati del gioco e assegnando a ciascuno di essi una probabilità individuale. Sia Pascal sia Fermat erano in grado di risolvere indipendentemente il problema di :Gombaud, ma la loro collaborazione accelero la scoperta di una soluzione e li condusse a un'esplorazione più profonda di altre più sottili e sofisticate questioni relative alla teoria della probabilità.

I problemi di probabilità sono talvolta controversi perchè la risposta matematica, la vera risposta, è spesso contraria a ciò che potrebbe suggerire l'intuizione. Questo fallimento dell'intuizione è sorprendente perche «la sopravvivenza del più adatto» dovrebbe fornire una forte pressione evolutiva in favore di un cervello naturalmente capace di analizzare questioni di probabilità.

Uno dei problemi di calcolo delle probabilità che più contrastano con la percezione intuitiva è la probabilità di avere in comune con altri la data di compleanno. Immaginate un campo di calcio dove ci sono 23 persone, i giocatori più l'arbitro. Qual'è la probabilità che due di queste 23 persone abbiano il compleanno in comune? Con 23 individui su 365 giorni da scegliere, sembra improbabile che qualcuno abbia lo stesso giorno di compleanno. Se si chiede di calcolare una percentuale, molti ipotizzano una probabilità al massimo del 10 per cento. In realtà la risposta esatta è appena sopra il 50 per cento, cioè e più probabile che ci siano due persone sul campo di gioco con la stessa data di compleanno piuttosto che il contrario.

La ragione di questa probabilità è che più del numero delle persone coinvolte conta il numero dei possibili abbinamenti tra le persone. Quando consideriamo l'idea di un compleanno in comune, dobbiamo calcolare non gli individui singoli, ma le coppie. Anche se sul terreno di gioco ci sono solo 23 persone, le coppie possibili sono ben 253. Per esempio, il primo giocatore può essere abbinato con ognuno degli altri 22 individui, dando così luogo a 22 accoppiamenti di partenza. Poi il secondo giocatore può essere abbinato con ognuno dei restanti 21 individui (abbiamo gia contato l'abbinamento tra il primo e il secondo giocatore e perciò il numero dei possibili abbinamenti si riduce di uno), dando luogo ad altri 21 abbinamenti. Poi il terzo giocatore può essere abbinato a ognuno dei restanti 20 individui, creando altre 20 coppie, e così via fino a raggiungere un totale di 253 coppie possibili.

Fermat e Pascal scoprirono le regole essenziali che presiedono a tutti i giochi d'azzardo e che possono essere usate dagli scommettitori per definire le migliori strategie di gioco. Inoltre le leggi della probabilità hanno trovato applicazione in una vasta gamma di situazioni che va dalle speculazioni in borsa alla stima della probabilità di un incidente nucleare.

Oltre a condividere la paternità della teoria della probabilità, Fermat lavorò a istituire un'altra area della matematica, quella del calcolo differenziale. Il calcolo differenziale è la capacità di calcolare il tasso di variazione, o derivata, di una quantita rispetto a un'altra. Per esempio, il tasso di variazione della distanza in rapporto al tempo è meglio noto semplicemente come velocità. Per i matematici le quantità tendono a essere astratte e intangibili, ma le conseguenze del lavoro di Fermat dovevano rivoluzionare la scienza. La matematica di Fermat ha permesso agli scienziati di capire meglio il concetto di velocità e la sua relazione ad altre quantita fondamentali come l'accelerazione, ossia il tasso di variazione della velocità rispetto al tempo.

La scoperta del calcolo differenziale e della teoria delle probabilità sarebbero più che sufficienti a guadagnare a Fermat un posto nel pantheon delle celebrita matematiche, ma il suo risultato più grande fu in un altro settore della matematica. Mentre il calcolo differenziale è stato usato da allora per spedire i razzi sulla luna e mentre la teoria delle probabilità è stata impiegata per le stime di rischio dalle compagnie assicuratrici, il più grande amore di Fermat fu per un tema di grande inutilità, la teoria dei numeri. Fermat era ossessionato dall'idea di capire le proprietà dei numeri e i loro rapporti. Questa è la forma più pura e antica della matematica e Fermat lavorò su un corpo di conoscenze che derivava da Pitagora.

Dopo la morte di Pitagora il concetto di dimostrazione matematica si diffuse rapidamente attraverso il mondo civilizzato e due secoli dopo che la sua scuola era stata bruciata e rasa al suolo, il centro degli studi matematici si era spostato da Crotone alla citta di Alessandria. Nel 332 a.C, dopo aver conquistato la Grecia, l'Asia Minore e l'Egitto, Alessandro Magno decise che avrebbe costruito una capitale che sarebbe stata la città più splendida del mondo. Alessandria fu davvero una metropoli spettacolosa, ma non diventò subito un centro di sapere. Fu solo con la morte di Alessandro e con l'ascesa al trono egiziano di Tolomeo I che Alessandria divenne la sede della prima università del mondo. Matematici e altri intellettuali convennero nella città di Tolomeo, attratti dalla fama dell'università, ma soprattutto dalla Biblioteca Alessandrina.

La Biblioteca era stata un'idea di Demetrio di Falero, un oratore costretto a fuggire da Atene e che alla fine aveva trovato rifugio ad Alessandria. Egli persuase Tolomeo a raccogliere tutti i grandi libri, assicurandogli che le grandi menti sarebbero venute di conseguenza. Dopo che furono radunati i tomi trovati in Egitto e in Grecia, agenti del re percorsero l'Europa e l'Asia Minore alla ricerca di altri volumi. Persino chi si recava ad Alessandria in viaggio di piacere non poteva sfuggire all'appetito vorace della Biblioteca. All'ingresso in città, i volumi in possesso dei visitatori venivano confiscati e portati agli scribi. I libri venivano copiati cosicchè l'originale potesse essere donato allia Biblioteca e il possessore potesse ricevere un duplicato. Questo meticoloso servizio di duplicazione per i viaggiatori che si recavano ad Alessandria fa sperare allo storico di oggi che una copia di un grande testo perduto salti fuori un giorno o l'altro in una soffitta in qualche parte del mondo.

Il sogno di Tolomeo di costruire una biblioteca dove fosse depositato tutto il sapere sopravvisse alla sua morte, e dopo l'ascesa al trono dei Tolomei suoi successori la Biblioteca giunse a contenere più di seicentomila libri. Studiando ad Alessandria i matematici potevano apprendere tutto quello che era allora conosciuto e avevano come insegnanti i dotti più famosi. Il fondatore della scuola matematica di Alessandria fu il grande Euclide.

Euclide nacque circa nel 330 a.C. Come Pitagora, Euclide credeva nella ricerca della verita matematica fine a se stessa e non rivolgeva il proprio lavoro ad applicazioni pratiche. Un aneddoto ci racconta di uno studente che interrogò Euclide sull'utilità della matematica che stava imparando. Dopo aver completato la lezione, Euclide si rivolse al suo schiavo e gli disse: «Dai una moneta a quel ragazzo che desidera ricavare un profitto da tutto ciò che impara». Dopo di che lo studente fu espulso.

Euclide dedicò gran parte della vita alla stesura degli Elementi, il manuale che ha avuto più successo nella storia. Fino al nostro secolo era anche stato il libro più diffuso nel mondo dopo la Bibbia. Gli Elementi sono composti di tredici libri, alcuni dei quali espongono l'opera di Euclide, mentre i restanti sono una compilazione di tutto il sapere matematico dell'epoca, compresi due volumi interamente dedicati alle opere del Sodalizio pitagorico. Nei secoli successivi alla morte di Pitagora i matematici avevano inventato una varietà di tecniche logiche che potevano essere applicate in diverse circostanze e Euclide le impiegò abilmente tutte negli Elementi. In particolare Euclide era molto incline a sfruttare un'arma logica conosciuta come reductio ad absurdum o dimostrazione per assurdo. Questa impostazione si impernia sull'idea perversa di cercare di dimostrare che un teorema è vero, assumendo inizialmente che sia falso. Il matematico indaga le conseguenze logiche dell'assunto che il teorema sia falso. A un certo punto nella catena dei passaggi logici sorge una contraddizione (ad esempio: 2 + 2 = 5). In matematica la contraddizione è inaccettabile e dunque il teorema iniziale non può essere falso, perciò dev'essere vero.

L'ultimo teorema di Fermat

Le radici del teorema di Fermat affondano nelle ricerche pitagoriche sui numeri interi, che culminarono nel secolo III a. C. negli Elementi di Euclide. Nel secolo III d. C. Diofanto di Alessandria iniziò uno studio delle soluzioni intere di equazioni a coefficienti interi, e ne trattò diffusamente nell'Aritmetica, un'opera in tredici libri, di cui solo sei sopravvissero. Nel secolo XVII Pierre de Fermat studiò l'opera di Diofanto, e annotò sui margini della sua copia 48 osservazioni, senza dimostrazioni.

Nel secolo XVII tutte le osservazioni di Fermat erano state dimostrate, con una sola eccezione, che divenne per questo motivo nota come l'ultimo teorema di Fermat: il fatto, cioè, che mentre esistono due quadrati di numeri interi la cui somma è un quadrato (per esempio 9 e 16, la cui somma è 25), non esistono due cubi la cui somma sia un cubo, né due potenze n-esime la cui somma sia una potenza n-esima, se n è maggiore di 2. I tentativi di dimostrazione dell'ultimo teorema di Fermat produssero, nel secolo XIX, grandi progressi nella teoria dei numeri, e la conferma del teorema per un numero sempre maggiore di esponenti, ma non una dimostrazione generale.

Dal teorema di Pitagora all'ultimo Teorema di Fermat

In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti.

Il teorema, formulato in questa semplice enunciazione da Pitagora, è stato impresso nel cervello di milioni se non di miliardi di esseri umani. È il teorema fondamentale che ogni ingenuo scolaretto è costretto a imparare. Ma nonostante che possa essere capito da un bambino di dieci anni, il teorema di Pitagora fornì l'ispirazione per un problema che ha frustrato le più grandi mentì matematiche della storia.

Il teorema di Pitagora e l'infinità delle terne pitagoriche furono discussi da E.T. Bell in The Last Probletn, il libro che attrasse l'attenzione del giovane Andrew Wiles. Anche se i pitagorici avevano compreso quasi completamente le terne, Wiles scoprì subito che questa equazione apparentemente innocua , aveva un lato oscuro: Bell descriveva nel suo libro l'esistenza di un mostro matematico.

Nell'equazione di Pitagora le tre variabili, x, y e z sono tutte al quadrato, il libro descriveva però un'equazione sorella in cui x, y, e z sono tutte al cubo. In questa equazione la cosiddetta potenza della x non è più 2, ma 3:

Trovare i numeri interi ossia le terne pitagoriche che davano la soluzione della prima equazione era relativamente facile, ma, una volta mutata la potenza da 2 a 3 (dal quadrato al cubo), trovare soluzioni con numeri interi alla nuova equazione sembra impossibile. Generazioni di matematici, scribacchiando nei loro taccuini, non sono riusciti a trovare numeri che soddisfìno l'equazione.

Nel caso dell'equazione originaria «al quadrato», la sfida era di ridisporre le mattonelle di due quadrati per formarne un terzo più grande. Con la versione «al cubo» la sfida è di ridisporre i mattoni che formano due cubi per formarne un terzo più grande. A quel che sembra, indipendentemente da quali cubi si scelgano, quando li si combina il risultato è o un cubo completo con alcuni mattoni di troppo che restano da parte o un cubo incompleto. Il risultato più vicino a una perfetta risistemazione che si sia mai ottenuto è quello in cui c'è solo un mattone in eccesso o in difetto. Per esempio, se cominciamo con i cubi 63 e 83 e ridisponiamo i mattoni, allora ne manca soltanto uno per ottenere un cubo completo di 9 x 9 x 9

È possibile aggiungere i mattoni da un cubo a un altro cubo per formarne un terzo più grande? In questo caso un cubo di 6 x 6 x 6 aggiunto a un cubo di 8 x 8 x 8 non ha mattoni sufficienti per formare un cubo di 9 x 9 X 9. Nel primo cubo ci sono 216 (63) mattoni e nel secondo ce ne sono 512 (83). Il totale è di 728 mattoni, ossia uno in meno di 93.

Trovare tre numeri che soddisfino l'equazione «al cubo» sembra impossibile. Vale a dire che non sembrano essereci soluzioni in numeri interi per l'equazione

E inoltre, se la potenza viene cambiata da 3 (potenza al cubo) a un qualunque numero n più alto (cioè 4,5, 6...), anche in questo caso sembra impossibile trovare una soluzione. Non sembrano esserci soluzioni con numeri interi per l'equazione più generale

per n maggiore di 2.

Semplicemente cambiando il 2 nell'equazione di Pitagora con qualunque altro numero superiore, trovare una soluzione in numeri interi non è più relativamente semplice, ma diventa difficilissimo. E infatti il grande matematico francese del Seicento Pierre de Fermat fece la stupefacente affermazione che la ragione per la quale nessuno poteva trovare una soluzione era che la soluzione non esisteva.

Fermat fu uno dei più geniali e interessanti matemalici della storia. Non poteva certo aver controllato l'infinità dei numeri, ma era assolutamente sicuro che non esistevano combinazioni che soddisfacessero l'equazione. La sua affermazione era basata su una dimostrazione. Come Pitagora, che non aveva bisogno di controllare ogni triangolo per dimostrare la validità del proprio teorema, così Fermat non doveva conlrollare ogni numero per mostrare la validità del suo teorema. L'Ultimo Teorema di Fermat, così come viene chiamalo, affermava che

non ha soluzioni in numeri interi per n maggiore di 2.

Leggendo i capitoli del libro di Bell, Wiles apprese come Fermat fosse rimasto affascinato dall'opera di Pitagora e fosse giunto infine a studiare la forma degenerata dell'equazione pitagorica. Lesse poi che Fermat aveva sostenuto che persino se tutti i matemalici del mondo impiegassero un'eternità a cercare una soluzione all'equazione non riuscirebbero a trovarla. Wiles deve aver scorso le pagine avidamente, preguslando l'idea di esaminare la dimostrazione dell'ultimo Teorema di Fermat. Ma la dimostrazione non c'era. Non si trovava né in quel libro né altrove. Bell affermava nella conclusione del suo libro che la dimostrazione era stata perduta molto tempo prima. Non c'erano indizi di come potesse essere, nessun accenno alla costruzione della dimoslrazione o alla sua derivazione. Wiles rimase perplesso, arrabbiato e catturalo. Era in buona compagnia.

Per più di trecento anni ogni grande matematico aveva cercato di riscoprire senza riuscirci la dimostrazione perduta di Fermat. Il fallimento di ogni generazione accresceva la frustrazione ma anche la determinazione della generazione successiva. Nel 1742, quasi un secolo dopo la morte di Fermat, il matematico svizzero Leonhard Euler chiese al suo amico Clérot di perquisire la casa di Fermat per accertare se fosse rimasta qualche carta preziosa. Non furono mai trovati accenni alla possibile dimostrazione.

L'ultimo teorema di Fermat, un problema che per secoli aveva affascinato i matematici, catturò l'immaginazione del giovane Andrew Wiles. Un ragazzo di dieci anni, seduto nella Biblioteca di Milton Road, contemplava assorto il più famigerato problema matematico. In genere metà della difficoltà in un problema matematico consiste nel capire la questione, che però in questo caso era semplice: si trattava di dimostrare che è priva di soluzioni in numeri interi per n maggiore di 2. Andrew non si fece scoraggiare dall'idea che le menti più intelligenti del pianeta non erano riuscite a trovare la dimostrazione.

Si mise immediatamente a lavorare usando tutte le tecniche manualistiche a lui note per cercare di ricreare la dimostrazione. Forse poteva trovare qualcosa che tutti gli altri, tranne Fermat, avevano trascurato. Il bambino sognò di poter stupire il mondo.

Trent'anni dopo Andrew Wiles era pronto.

Numeri amicabili

Una delle scoperte di Fermat riguardava i cosiddetti numeri amicabili, strettamente imparentati ai numeri perfetti che avevano affascinato Pitagora duemila anni prima. I numeri amicabili sono coppie di numeri tali che ogni numero è la somma dei divisori dell'altro numero. I pitagorici fecero la scoperta straordinaria che 220 e 284 erano numeri amicabili. I divisori di 220 sono 1,2,4,5,10,11,20,22,44,55,110 e la loro somma da 284. D'altro canto i divisori di 284 sono 1,2,4,71, 142 e la loro somma da 220.

La coppia 220 e 284 fu definita il simbolo dell'amicizia. Nel libro di Martin Gardner Show di magia matematica si parla di talismani venduti nel Medioevo che recavano incisi questi due numeri nella convinzione che indossarli avrebbe suscitato l'amore. Un numerologo arabo attesta la pratica di incidere 220 su un frutto e 284 su un altro frutto, poi di mangiare il primo e di offrire il secondo a un'amante come afrodisiaco matematico. I primi teologi cristiani notarono che nella Genesi si dice che Giacobbe diede ad Esaù 220 capre. Essi ritenevano che il numero delle capre, che è la metà di una coppia di numeri amicabili, fosse espressione dell'amore di Giacobbe per Esaù.

Non furono identificati altri numeri amicabili fino al 1636, quando Fermat scoprì la coppia 17.296 e 18.416. Anche se non fu una scoperta profonda, dimostra la familiarità di Fermat con i numeri e il suo amore per i giochi numerici. Fermat fu preso dalla mania di trovare numeri amicabili; Descartes scoprì una terza coppia (9.363.584 e 9.437.056) ed Euler arrivò a elencare sessanladue coppie di numeri amicabili. Curiosamenle tutti trascurarono una coppia di numeri amicabili assai più piccola. Nel 1866 un sedicenne, Nicolo Paganini, scopri la coppia 1184 e 1210.

Durante il ventesimo secolo i matematici hanno ampliato l'idea e si sono messi alla ricerca dei cosiddetti numeri «socievoli», tre o più numeri che formano una sorta di cerchio. Per esempio con i cinque numeri (12,496; 14,288; 15,472; 14,536; 14,264) se si sommano i divisori del primo numero si ottiene il secondo, se si sommano i divisori del secondo si ottiene il terzo, se si sommano i divisori del terzo si ottiene il quarto, se si sommano i divisori del quarto si ottiene il quinto e sommando i divisori del quinto si ottiene il primo. Il cerchio più ampio di numeri socievoli include ventotto numeri, il primo dei quali è 14.316.

Anche se scoprire una nuova coppia di numeri amicabili rese celebre Fermat, la sua fama venne ampiamente confermata da una serie di ardue sfide matematiche che egli lanciò ai suoi colleghi del tempo. Ad esempio, Fermat notò che 26 si interpone tra un numero quadrato e un numero cubico: Infatti 25 = 52 (5 x 5), mentre 27 = 33 (3 x 3 x 3). Fermat cercò altri numeri interposti fra un quadrato e un cubo, ma non potè trovarli e sospettò che 26 potesse essere un caso unico. Dopo giorni di dura fatica riuscì a costruire un sofisticato argomento che dimostrava al di là di ogni dubbio che 26 era davvero il solo numero posto tra un quadrato e un cubo. La sua dimostrazione stabilì che nessun altro numero poteva soddisfare quel criterio.

Mentre studiava il libro II dell'Aritmetica Fermat si imbattè in tutta una serie di osservazioni, problemi e soluzioni che riguardavano il teorema di Pitagora e le terne pitagoriche. Per esempio, Diofanto discusse l'esistenza di particolari terne che formavano i cosiddetti «triangoli zoppi», nei quali le due gambe più corte, x e y, differiscono solo di una unità (ad esempio: x = 20, y = 21, z = 29 e 202 + 212 = 292).

Fermat fu colpito dalla varietà e dall'enorme quantità di terne pitagoriche. Era consapevole che molti secoli prima Euclide aveva sviluppato una dimostrazione, che illustrava che, in realtà, esiste un numero infinito di terne pitagoriche. Fermat deve aver studiato la dettagliata esposizione di Diofanto sulle terne pitagoriche ed essersi chiesto che cosa ci fosse da aggiungere all'argomento. Mentre fissava la pagina, cominciò a giocare con l'equazione di Pitagora, cercando di scoprire qualcosa che fosse sfuggito ai greci. Improvvisamente, in un lampo di genialità che avrebbe reso immortale il Principe dei dilettanti, egli creò un'equazione che, sebbene molto simile a quella di Pitagora, non aveva soluzione alcuna. Era questa l'equazione che il decenne Andrew Wiles lesse nella Biblioteca di Milton Road.

Invece di considerare l'equazione , Fermat considerò una variante della creazione di Pitagora:

Fermat aveva semplicemente cambiato la potenza da 2 a 3, dal quadrato al cubo, ma questa nuova equazione apparentemente non aveva soluzioni possibili in numeri interi. Ripetuti tentativi mostrarono subito la difficoltà di trovare due numeri al cubo che, sommati, dessero un altro numero al cubo. Poteva davvero essere che questa piccola modifica trasformasse l'equazione di Pitagora da un'equazione con un numero infinito dì soluzioni a un'equazione senza soluzioni? Fermat modificò ulteriormente l'equazione elevandola a potenze superiori a 3 e scoprì che sarebbe stato altrettanto difficile trovare una soluzione a ognuna di queste equazioni. Secondo Fermat sembrava che non esistessero tre numeri che avrebbero soddisfatto l'equazione xn + yn = zn, dove n rappresenta 3,4, 5...

In margine alla sua copia L'Arithmetica, vicino al Problema 8, Fermat annotò questa osservazione:

È impossibile scrivere un cubo come somma di due cubi o una quarta potenza come somma di due quarte potenze o, in generale, nessun numero che sia una potenza maggiore di due può essere scritto come somma di due potenze dello stesso valore.

Fra tutti i numeri possibili non sembrava esserci motivo perché non si potesse trovare almeno una soluzione, ma Fermat affermò che mai nell'universo infinito dei numeri esisteva una «terna fermatiana». Era un'affermazione straordinaria, ma che Fermat riteneva di poter dimostrare. Dopo aver definito la teoria in questa prima nota al margine, il genio birichino lasciò cadere un commento che avrebbe ossessionato generazioni di matematici:

Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.

L'Ultimo Teorema di Fermat, come poi sarebbe stato definito, era destinato a diventare famoso in tutto il mondo nei secoli a venire.

Col passare dei secoli tutte le altre osservazioni di fermat furono dimostrate l'una dopo l'altra, ma l'Ultimo Teorema si è rifiutato ostinatamente di cedere. Infatti è stato chiamato l'«Ultimo» Teorema, perché è rimasta l'ultima delle sue osservazioni a non essere dimostrata. Tre secoli di sforzi non sono riusciti a trovare una dimostrazione e questo ha determinato la notorietà del teorema, assurto al rango dell'enigma più difficile della matematica. Tuttavia, questa difficoltà riconosciuta non significava necessariamente che l'Ultimo Teorema di Fermat fosse un teorema importante secondo i criteri prima esposti. L'Ultimo Teorema, almeno fino a pochissimo tempo fa, non pareva conforme a molti di quei criteri: non sembrava che una volta dimostrato avrebbe condotto a qualcosa di profondo, che avrebbe fornito una qualche comprensione profonda dei numeri e che sarebbe stato utile per dimostrare altre congetture.

La fama dell'Ultimo Teorema proviene soltanto dalla pura difficoltà di dimostrarlo. Un ulteriore stimolo è aggiunto dal fatto che il Principe dei dilettanti dichiarò di essere in grado di dimostrare un teorema che da allora ha eluso gli sforzi di generazioni di matematici professionisti. I commenti informali in margine alla sua copia dell'Arithmetica furono letti come una sfida al mondo. Egli aveva dimostrato l'Ultimo Teorema: sorgeva la domanda se mai qualche matematico potesse eguagliare la sua genialità.

L'Ultimo Teorema di Fermat ha irretito le menti più grandi del pianeta, dispensando enormi ricompense, disperazioni suicide e duelli all'alba.

(Tratto da "L'ultimo teorema di Fermat" di Simon Singh - 1999 BUR Saggi)