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Archimede

 

Archimede

Archimede (287-212 a.C.; la figura mostra un busto le cui fattezze si attribuiscono ad Archimede ma che probabilmente ritrae un re spartano) fu il Newton o il Gauss della sua epoca; uomo dotato di un genio, un'immaginazione e un intuito tali che sia i suoi contemporanei sia le generazioni successive pronunciavano il suo nome con ammirazione e reverenza. Anche se è conosciuto soprattutto per le sue ingegnose invenzioni di ingegneria, Archimede è in primis un matematico, e in questa particolare disciplina era in anticipo di secoli sul proprio tempo. Purtroppo sappiamo ben poco delle sue origini e della sua infanzia. La sua prima biografìa, scritta da un certo Eracleide, non è sopravvissuta, e i pochi dettagli che conosciamo sulla sua vita e la sua morte violenta vengono per lo più dagli scritti dello storico romano Plutarco (46-120 d.C. circa). In realtà Plutarco era più interessato alle imprese militari del generale romano Marcello, che conquistò Siracusa, la città di Archimede, nel 212 a.C. Fortunatamente per la storia della matematica, Archimede aveva procurato un tale mal di testa a Marcello durante l'assedio di Siracusa che i tre storici più importanti del periodo, Plutarco, Polibio e Tito Livio, non poterono ignorarlo.

Archimede nacque a Siracusa, una colonia greca in Sicilia. Stando alla sua testimonianza, era figlio dell'astronomo Fìdia, di cui si sa poco a parte il fatto che aveva stimato il rapporto tra il diametro del Sole e della Luna. È anche probabile che Archimede fosse in qualche modo imparentato con il re Gerone II, a sua volta figlio illegittimo dì un nobile e la sua schiava. Indipendentemente da quali fossero i suoi legami con la famiglia reale, il re e suo figlio Gelone tennero sempre in alta considerazione Archimede. In gioventù egli trascorse un periodo ad Alessandria d'Egitto, dove studiò matematica prima di far ritorno a Siracusa per condurre una vita di ricerche.

Archimede fu veramente un cultore della matematica in se stessa. Secondo Plutarco, egli riteneva ignobile e servile l'interessamento «per la tecnologìa e ogni arte che tien conto delle necessità pratiche» e «riservava il suo impegno a quelle sole discipline delle quali la superiorità e la bellezza non si mescolano con la necessità quotidiana». A quanto pare l'assillo dì Archimede per la matematica astratta e il grado con cui ne era divorato andavano ben oltre l'entusiasmo mostrato dì solito da coloro che praticano tale disciplina.

A dispetto del suo disprezzo per la matematica applicata, e della poca importanza che lui stesso assegnava alle proprie idee di ingegneria, le sue geniali invenzioni gli valsero la fama che tuttora detiene.

La leggenda più nota su Archimede accresce ulteriormente la sua immagine stereotipata di matematico con la testa tra le nuvole. Questo aneddoto divertente, raccontato per la prima volta dall'architetto romano Vitruvio nel I secolo a.C., narra quanto segue: il re Gerone voleva dedicare una ghirlanda d'oro agli dei immortali. Quando la ghirlanda gli fu consegnata, risultò dello stesso peso dell'oro fornito per la sua realizzazione. Ma il re sospettava che una certa quantità del prezioso metallo fosse stata sostituita con una quantità equivalente d'argento. Incapace di avvalorare i propri sospetti, il re si risolse a chiedere consiglio al maestro della matematica, Archimede. Un giorno, prosegue la leggenda, mentre era assorto nel problema di come scoprire la potenziale frode della ghirlanda, Archimede entrò nella vasca da bagno. Mentre si immergeva nell'acqua, si rese conto che il suo corpo spostava un certo volume d'acqua, che traboccava dai bordi della vasca. Immediatamente la soluzione gli si presentò alla mente. Sopraffatto dalla felicità, Archimede saltò fuori dalla vasca e corse nudo per la strada gridando: «Eureka, eureka!».

Un'altra famosa esclamazione di Archimede, «Datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo», esprimeva il culmine degli studi dì Archimede sul problema di muovere un determinato peso applicandovi una determinata forza. Plutarco ci racconta che quando re Gerone gli chiese di dare una dimostrazione pratica della sua capacità di maneggiare un grande peso con una piccola forza, utilizzando un sistema di carrucole Archimede riuscì a mettere in mare una nave con tutto il suo carico. Plutarco aggiunge ammirato che «lievemente e senza sobbalzi la tirò a sé, come se volasse sul mare». Versioni leggermente modificate dello stesso aneddoto compaiono in altre fonti. Se è difficile credere che Archimede fosse realmente in grado di spostare una nave con i congegni meccanici di cui poteva disporre a quel tempo, la leggenda lascia poco spazio al dubbio riguardo al fatto che egli diede una dimostrazione impressionante di un'invenzione che gli consentiva di muovere grandi pesi.

Archimede inventò molti altri oggetti utili in ambito civile, come per esempio una vite idraulica per sollevare l'acqua e un planetario in grado di mostrare i moti dei corpi celesti, ma nell'antichità raggiunse la notorietà soprattutto per il ruolo che ebbe nella difesa di Siracusa contro i romani.

Le guerre non sono mai sfuggite ai resoconti storici. Di conseguenza, gli eventi dell'assedio dei romani a Siracusa negli anni 214-212 a.C. sono stati raccontati con dovizia di particolari da molti storici. Il generale romano Marco Claudio Marcello (268-208 a.C. circa), che all'epoca godeva di una notevole fama come uomo d'armi, prevedeva una vittoria rapida. A quanto sembra omise di tenere in considerazione la caparbietà di re Gerone, che era assistito da un genio della matematica e dell'ingegneria.

La paura dì fronte ai marchingegni di Archimede sì diffuse così rapidamente tra i soldati romani che «se solo vedevano una funicella penzolare dal muro o un piccolo pezzo dì legno sporgere da esso, se ne fuggivano gridando che Archimede stava movendo una macchina contro di loro».

Secondo un altro aneddoto molto diffuso che apparve per la prima volta negli scritti del medico greco Galene (129-200 d.C. circa), Archimede utilizzò una combinazione di specchi che fecalizzavano i raggi solari per incendiare le navi romane.

L'architetto bizantino del VI secolo Antemio di Traile e numerosi storici del XII secolo ripresero questa storia fantastica, anche se la reale fattibilità di una tale impresa rimane incerta. Ma, nell'insieme, tutti questi racconti quasi mitici ci forniscono una ricca testimonianza sulla venerazione che «il sapiente» ispirò nelle generazioni a lui successive.

Lo stesso Archimede - il «Briareo geometra» che godeva di tanta stima - non attribuiva alcuna importanza ai suoi giocattoli bellici; li considerava sostanzialmente piacevoli distrazioni dalla geometria. Purtroppo questo atteggiamento distaccato gli costò probabilmente la vita. Quando alla fine i romani conquistarono Siracusa, Archimede era così intento a disegnare le sue figure geometriche su un vassoio ricoperto dì polvere che non si accorse del tumulto dei combattimenti. Stando ad alcune cronache, quando un soldato romano gli ordinò di seguirlo da Marcello, il vecchio geometra ribattè indignato: «Tu, stai lontano dai miei disegni»." La risposta fece infuriare il soldato al punto che, disobbedendo ai precisi ordini impartitigli dal suo comandante, sguainò la spada e trafisse il più grande matematico del mondo antico.

La morte di Archimede segnò, in un certo senso, la fine di un'epoca straordinariamente vibrante nella storia della matematica.

Per fortuna, se i dettagli sulla vita dì Archimede sono scarsi, molti dei suoi magnifici scritti (seppure non tutti) sono giunti fino a noi. Archimede aveva l'abitudine di inviare note sulle sue scoperte matematiche ad amici matematici e a persone che teneva in grande stima.

L'opera di Archimede copre una gamma strabiliante di argomenti matematici e fisici. Quello che segue è un parziale elenco dei tanti risultati da lui ottenuti. Archimede introdusse dei metodi generali per trovare le aree di figure piane e i volumi di porzioni di spazio delimitate da ogni genere di superfici curve: l'area del cerchio, dei segmenti di parabola e di una spirale, e i volumi di segmenti di cilindri, coni e di altre figure generate dalla rotazione di parabole, ellissi e iperboli. Dimostrò che il valore del numero Pi grco, il rapporto tra la circonferenza di un cerchio e il suo diametro, deve essere maggiore di 310/71 e minore di 310/7. In un'epoca in cui non esistevano metodi per rappresentare numeri molto grandi, ne inventò uno che non solo gli permetteva di scrivere numeri dì ogni ordine di grandezza, ma anche di manipolarli. In fisica, Archimede scoprì le leggi che governano i corpi galleggianti, fondando così la scienza dell'idrostatica. Calcolò anche i centri di gravita dì molti solidi e formulò le leggi meccaniche delle leve. In astronomia fece osservazioni volte a stabilire la lunghezza dell'anno e le distanze dei pianeti.

Le opere della maggior parte dei matematici dell'antica Grecia erano caratterizzate da originalità e attenzione per i dettagli. Eppure i metodi di ragionamento di Archimede lo differenziano da tutti gli scienziati del suo tempo.

A quanto pare Archimede era affascinato dai grandi numeri. Ma i numeri molto grandi sono difficili da esprimere quando li si scrive nella notazione comune. Così Archimede elaborò un metodo che gli permetteva di rappresentare numeri con 80.000 miliardi di cifre. Usò poi questo sistema in un originalissimo trattato intitolato Arenario per dimostrare che il numero totale di granelli di sabbia del mondo non è infinito.

Archimede era disposto a contestare anche credenze molto popolari (come il fatto che esistano infiniti granelli dì sabbia) inoltre Archimede considerava con rispetto la teoria eliocentrica dì Aristarco. Nell'universo di Aristarco la Terra ruotava attorno a un sole stazionario che era situato al centro (tenete presente che questo modello fu proposto 1800 anni prima di Copernico!). Dopo queste note preliminari, Archimede inizia ad affrontare il problema dei granelli di sabbia, procedendo attraverso una serie di passi logici. Per prima cosa stima quanti granelli di sabbia, disposti uno accanto all'altro, sarebbero necessari per ricoprire il diametro di un seme di papavero. Poi, quanti semi di papavero starebbero sulla larghezza di un dito; quante dita in uno stadio (circa 185 metri); e così via fino a dieci milioni di stadi. Mentre procede, Archimede inventa un sistema di indici e un tipo di notazione che, combinati, gli consentono di classificare i suoi giganteschi numeri. Partendo dall'ipotesi che la sfera delle stelle fisse sia inferiore per grandezza a dieci milioni di volte la sfera contenente l'orbita del Sole (come la si osserva dalla Terra), Archimede calcolò che il numero di granelli in un universo riempito di sabbia fosse inferiore a 1063 (uno seguito da sessantatré zeri).

L'originalità dell'Arenario sta nella facilità con cui Archimede passa dagli oggetti della quotidianità (semi di papavero, sabbia, dita) alle entità astratte dei numeri e della notazione matematica, e poi di nuovo da questi al sistema solare e all'universo nel suo insieme. È evidente che Archimede possedeva una flessibilità mentale tale da permettergli di usare agevolmente la matematica per scoprire proprietà sconosciute dell'universo e di attingere alle caratteristiche del cosmo per presentare concetti matematici.

Può sembrare bizzarro, ma Archimede considerava uno dei suoi risultati più importanti la scoperta del fatto che il volume di una sfera inscritta in un cilindro è sempre pari a 2/3 del volume del cilindro. Era così soddisfatto di questo risultato che chiese che fosse inciso sulla sua lapide.

(Tratto da "Dio è un matematico - Mario Livio - 2009 Rizzoli)