Al tempo in cui viveva Brahmagupta, l'Impero dei sabei dell'Arabia felice era caduto e la penisola attraversava una crisi profonda. Essa era popolata in gran parte da nomadi del deserto, noti con il nome di beduini, i quali non sapevano né leggere né scrivere. Fra di essi v'era il profeta Maometto, nato alla Mecca verso il 570. Nel corso dei suoi viaggi Maometto venne in contatto con cristiani ed ebrei, e il miscuglio di sentimenti religiosi suscitati nel suo animo lo portarono a considerare se stesso come l'apostolo di Dio mandato sulla terra per guidare il suo popolo. Per una decina d'anni predicò alla Mecca, ma nel 622, di fronte alla minaccia di una congiura che attentava alla sua vita, accettò l'invito a recarsi a Medina. Questa "fuga", nota come la Egira, segnò l'inizio dell'era maomettana, che doveva esercitare un profondo influsso sullo sviluppo della matematica. Maometto era ora diventato un capo militare, oltre che religioso. Dieci anni più tardi fondò uno stato maomettano, con centro alla Mecca, nel quale sia agli ebrei sia ai cristiani, essendo anche essi di religione monoteistica, era offerta protezione e libertà di culto.
Nel 632, mentre si preparava a far guerra all'Impero bizantino, Maometto morì a Medina. La sua morte improvvisa non arrestò per nulla l'espansione dello stato islamico, giacché i suoi seguaci invasero i ter-ritori vicini con stupefacente rapidità. Nel giro di pochi giorni Damasco, Gerusalemme e gran parte della vallata mesopotamica caddero nelle mani dei conquistatori; entro il 641 veniva espugnata anche Alessandria, che per parecchi secoli era stato il centro matematico del mondo. Una leggenda racconta che al capo delle truppe vittoriose, che aveva chiesto che cosa dovesse fare dei libri conservati nella biblioteca di Alessandria, fu risposto di bruciarli, giacché se contenevano cose che si accordavano con il Corano erano superflui, ma se contenevano cose che contrastavano con esso erano oltre che superflui anche dannosi. Comunque siano andate le cose, è indubbiamente esagerata la leggenda secondo cui per lungo tempo i bagni vennero riscaldati con il fuoco dei libri bruciati. In seguito a saccheggi di precedenti orde fanatiche militari e religiose, e dopo secoli di assoluto oblio, erano probabilmente pochi i libri rimasti in quella che era stata un tempo la più grande biblioteca del mondo.
Per più di un secolo i conquistatori arabi lottarono tra di loro e con i loro nemici, finché verso il 750 il loro spirito bellicoso si calmò. Nel frattempo si era verìficato uno scisma tra gli arabi occidentali del Marocco e gli arabi orientali che, sotto il califfo al-Mansur, avevano fondato una nuova capitale a Bagdad, città che doveva ben presto diventare il nuovo centro degli stùdi matematici. Tuttavia il califfo di Bagdad non era in grado di tenere sotto il proprio controllo neppure tutti i musulmani della metà orientale del suo impero, sebbene il suo nome comparisse sulle monete in circolazione nel regno e fosse incluso nelle preghiere dei suoi "sudditi". In altre parole, l'unità del mondo arabo era più economica e religiosa che politica. L'arabo non costituiva necessariamente la lingua comune, anche se rappresentava una sorta di lingua "franca" per gli intellettuali. Pertanto è forse più esatto parlare di cultura islamica invece che araba, anche se nella nostra esposizione useremo i due termini come più o meno equivalenti.
Nei secolo delle conquiste arabe si era avuta una certa confusione politica e intellettuale: ciò può forse spiegare la difficoltà di localizzare le origini del moderno sistema di numerazione. In un primo tempo gli arabi non manifestarono alcun interesse intellettuale, e non avevano molta cultura da imporre ai popoli conquistati, a parte la lingua. Da questo punto di vista assistiamo a un rineursi della situazione verificatasi allorché Roma conquistò la Grecia, a proposito della quale è stato detto che, in senso culturale, la Grecia conquistata conquistò a sua volta i conquistatori romani. Intorno al 750 la medesima storia si ripetè anche per gli arabi; i conquistatori assorbirono rapidamente il sapere delle civiltà su cui avevano esteso il proprio predominio. Sappiamo che nel 756 era stata portata a Bagdad dall'India un'opera di contenuto astronomico-matematico, nota agli arabi con il nome di Sindhind. Si ritiene generalmente che tale opera fosse il Brahmasphuta Siddhanta, anche se può forse essersi trattato del Surya Siddhanta. Pochi anni più tardi, forse nel 775, questo Siddhanta fu tradotto in arabo, e non trascorse molto tempo che (verso il 780) l'opera astrologica di Tolomeo, il Tetrabiblos, venne tradotta in arabo dal greco. L'alchimia e l'astronomia furono gli argomenti che suscitarono i primi barlumi di interesse intellettuale nei conquistatori arabi. Il "miracolo arabo" non sta tanto nella rapidità con cui sorse il loro impero politico quanto nella alacrità con cui, una volta stimolata la loro sete intellettuale, gli arabi assorbirono il sapere dei popoli vicini.
Il secolo dell'impero musulmano fu privo di qualsiasi conquista scientifica. Questo periodo, che va all'incirca dal 650 al 750, rappresentò, di fatto, forse il livello più basso raggiunto dallo sviluppo della matematica: gli arabi non avevano ancora raggiunto iniziative intellettuali, e nelle altre parti del mondo l'interesse per il sapere si era molto affievolito. Se non fosse stato per l'improvviso risveglio culturale dell'Isiam nella seconda metà delPvm secolo, sarebbe certamente andata perduta una parte molto più considerevole della scienza e della matematica antiche. A quell'epoca vennero fatti venire a Bagdad molti scienziati e filosofi dalla Siria, dall'Iran e dalla Mesopotamia, fra i quali v'erano parecchi ebrei e cristiani nestoriani. Grazie al mecenatismo di tre grandi protettori della cultura, al-Mansur, Harun ar-Rashid e al-Mamun, la città diventò una nuova Alessandria. Durante il califfato di ar-Rashid, divenuto famoso attraverso le Notti arabe, venne tradotta una parte degli Elementi di Euclide. Fu però durante il califfato di al-Mamun (809-833) che gli arabi diedero libero sfogo alla loro passione per le traduzioni. Si racconta che il califfo avesse fatto un sogno in cui gli era apparso Aristotele, e che in seguito a ciò avesse deciso di fare tradurre in arabo tutte le opere greche che fosse riuscito a trovare, compreso l'Almagesto di Tolomeo e una versione completa degli Elementi euclidei. In base a speciali trattati si ottenere manoscritti greci dall'Impero bizantino, con il quale gli arabi mantenevano una pace poco tranquilla.
Al-Mamun fondò a Bagdad una "Casa del Sapere" (Bait al-hikma) paragonabile all'antico Museo di Alessandria.
Fra i suoi membri v'era un matematico e astronomo, Mohammed ìbn-Musa al-Khuwanzmi, il cui nome, come quello di Euclide, sarebbe diventato molto noto nell'Europa occidentale. Questo scienziato, morto in una data imprecisata prima dell'850, scrisse più di una mezza dozzina di opere di astronomia e di matematica, le più antiche delle quali erano probabilmente basate sul Sindhind di origine indiana. Oltre a tavole astronomiche e ad alcuni trattati sull'astrolabio, al-Khuwarizmi scrisse due opere di aritmetica e di algebra che svolsero un ruolo molto importante nella storia della matematica. Una di queste ci è pervenuta soltanto in una sola copia di una traduzione latina recante il titolo De numero indorum ("Sul calcolo numerico indiano"), essendo andata perduta la versione originale araba.
In quest'opera, basata presumibilmente su una traduzione araba dì Brahmagupta, al-Khuwarizmi presentava una esposizione così completa del sistema di numerazione indiano che fu forse per causa sua se si diffuse la errata convinzione che il nostro sistema di numerazione sia di origine araba. Al-Khuwarizmi non avanzava nessuna pretesa di originalità in relazione a tale sistema numerico, di cui egli assumeva come ovvia l'origine indiana ; quando, però, cominciarono ad apparire in Europa traduzioni latine di quest'opera, lettori poco accurati attribuirono all'autore non solo l'opera, ma anche il sistema di numerazione ivi descritto. La nuova notazione diventò familiare con il nome di al-Khuwarizmi o, con meno precisione, algorismi ; infine lo schema di numerazione facente uso di cifre indiane venne chiamato semplicemente algorismo o algoritmo, termine che, originariamente derivante dal nome al-Khuwarizmi, significa oggi, più generalmente, qualsiasi particolare regola dì procedimento o di operazione, quale per esempio il metodo euclideo per trovare il massimo comune divisore.
Attraverso il suo trattato di aritmetica, il nome di al-Khuwarizmi è diventato un termine comune nelle lingue moderne. Il titolo della sua opera più importante, Al-jabr, ha fornito alle lingue moderne un termine di uso ancor più popolare. Da tale titolo deriva infatti la parola algebra: fu da quest'opera che l'Europa imparò più tardi quella branca della matematica che ha questo nome. Diofanto viene talvolta chiamato "il padre dell'algebra", ma questo titolo spetta più propriamente ad al-Khuwarizmi. È vero che da due punti di vista l'opera di al-Khuwarizmi segna un regresso rispetto a quella di Diofanto : innanzitutto è di livello molto più elementare di quello che si riscontra nei problemi diofantei e, in secondo luogo, l'algebra di al-Khuwarizmi è del tutto retorica, senza alcuna di quelle forme di abbreviazioni proprie dell'algebra sincopata che si riscontrano nell'Arithmetìca di Diofanto o nell'opera di Brahmagupta. Persino i numeri venivano scritti in lettere piuttosto che in sìmboli! È assai improbabile che al-Khuwarizmi conoscesse l'opera di Diofanto, ma dovevano essergli familiari almeno le parti dell'opera di Brahmagupta dedicate all'astronomia e al calcolo. E tuttavia né al-Khuwarizmi né alcun altro scienziato arabo fecero mai uso di forme di abbreviazioni del tipo di quelle dell'algebra sincopata o di numeri negativi. Nondimeno, Al-jabr si avvicina all'algebra elementare moderna più delle opere di Diofanto e dì Brahmagupta: esso infatti non tratta difficili problemi di analisi indeterminata, ma presenta una esposizione piana ed elementare della soluzione di equazioni, specialmente di secondo grado. Gli arabi in generale amavano argomentazioni ben fondate, chiaramente presentate dalle loro premesse alla conclusione, oltre a curare l'organizzazione sistematica della trattazione: sotto tali aspetti né Diofanto né i matematici indiani erano stati particolarmente brillanti. Gli indiani erano soprattutto portati per l'associazione di idee e per l'analogia ed erano ricchi di intuizione e di immaginazione estetica, mentre gli arabi dimostravano una mentalità più pratica e concreta nel loro modo di affrontare la matematica.
(Tratto da "Storia della matematica" di Carl B. Boyer)