Luigi Guelpa "Un manicomio
fra i pali" Edizioni Limina
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Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Erano le 16,19 del 16 luglio 1950
quando il gol di Ghiggia gelò lo stadio brasiliano del Maracanà,
inaugurato proprio per festeggiare un Mondiale che sembrava vinto ancora
prima di iniziare. La Coppa, invece, andò all'Uruguay: al gol iniziale
di Friaça risposero Schiaffino e Ghiggia, fermando il risultato
sul 2-1. Il portiere verdeoro era Moacyr Barbosa che, nonostante la sua
ottima carriera tra i pali, fu considerato un traditore della patria fino
alla sua morte, cinquant'anni dopo. Quando, nel 1994, si presentò
all'allenamento della nazionale brasiliana, durante i Mondiali statunitensi,
fu cacciato. Dichiarò: "Nel mio paese la pena massima per un crimine
sono 30 anni. Io sono 43 anni che sconto un delitto che non ho commesso".
Perché, come diranno tutti i commentatori dell'epoca, i gol degli
uruguaiani erano assolutamente imparabili. Ma, come ha scritto Mario Benedetti,
quando si segna un gol, rimangono soltanto le immagini del portiere battuto
e dell'attaccante che ha segnato.
Un ruolo strano, diverso, romantico,
interpretato da personaggi un po' pazzi, se non altro per aver scelto di
sopportare il peso delle sconfitte e dei gol subiti. A volte clowneschi
e sbeffeggianti, come il sudafricano Bruce Grobbelaar che ci accoglie sulla
copertina di "Un manicomio tra i pali", una carrellata di strani e originali
portieri, raccolta dal giornalista Luigi Guelpa. C'è il tedesco
Tony Schumacher, uno dei pochi atleti che abbiamo osato parlare di doping
quando erano ancora in attività e Raad Hammoudi, per anni il miglior
portiere del mondo arabo ma costretto all'esilio per essersi ribellato
alla dittatura di Hussein (Uday, il figlio di Saddam). Ci sono l'inglese
Willie Henry Foulbe, nato nel 1874, 188 centimetri per 150 chilogrammi
e il cileno Roberto Rojas, "el condor", fermato da un incidente che gli
costò la squalifica a vita; il rumeno Helmuth Duckadam a cui Nicu
Ceausescu fece spezzare tutte le dita delle mani per paura che l'eccezionale
portiere potesse far ombra alla sua fama; il messicano Jorge Campos, portiere,
attaccante, surfista e inventore di coloratissime maglie; il coreano Ri
Chan Myong che il 19 luglio 1966 seppe opporsi agli italiani difendendo
l'1-0 segnato da Pak Do Ik; Hugo Orlando Gatti, "el loco", che rifiutò
la convocazione ai Mondiali argentini del 1978, i Mondiali della dittatura;
Ramón Quiroga, argentino naturalizzato peruviano, un cuore diviso
dalle Ande; l'argentino Germán Burgos, "el mono", portiere e musicista;
Valdir Perez, il brasiliano impallinato, nel 1982, da Pablito Rossi; il
belga Jean Marie Pfaff, clown e ciclista, Oscar 1987 come miglior portiere
al mondo; il colombiano René Higuita, nato in un quartiere degradato
di Medellin, diventato famoso per la sua chioma e per quel "colpo dello
scorpione" nello stadio di Wembley, contro l'Inghilterra; il tedesco Bert
Trautmann, ex paracadutista della Luftwaffe di Hitler, diventato ufficiale
dell'Ordine dell'Impero britannico; il francese Fabien Barthez, un rugbista
mancato, campione del mondo in perizoma rosso; l'olandese Jan Jongbloed,
l'antidivo in una squadra di stelle; il goleador paraguaiano José
Luis Chilavert, l'unico portiere al mondo che sia riuscito a segnare una
tripletta; il sudafricano Bruce Grobbelaar che ipnotizzava gli avversari
con mosse da clown; l'italiano Tino Lettieri, panettiere e portiere del
Canada, paese dove la famiglia si era trasferita in cerca di fortuna; lo
spagnolo Jesus Mariano Angoy che dovette abbandonare il calcio perché
il peso di essere il genero di Cruijff era troppo pesante e il portiere
del Togo Kossi Agassa che grazie alle sue parate riuscì a portare
la sua nazionale ai mondiali tedeschi.
Tante storie, scritte con attenzione
e passione, per ricordare quello che viene definito "estremo difensore"
non soltanto nelle foto che lo immortalano con il pallone alle spalle.
gabriella bona
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