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    Luciano Bianciardi "Il fuorigioco mi sta antipatico" Stampa alternativa 
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    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
        
    Di Luciano Bianciardi, figura fondamentale della cultura italiana degli anni Cinquanta, pochi conoscono la collaborazione con il "Guerin sportivo", dal luglio 1970 fino alla morte, nel novembre del 1971. Una vita breve, quella di Bianciardi, nato nel 1922 e vissuto tra Livorno, dove era stato bibliotecario, insegnante, giornalista e quella Milano, raggiunta nel 1954, dove le speranze si erano scontrate con una realtà molto diversa da quella immaginata. Il successo di "La vita agra", anziché lusingarlo lo deluse ulteriormente: "Credeva di aver suscitato una rivolta, con il suo libro - scrive nella prefazione il figlio Ettore -, credeva di essere preso a calci nel sedere e invece la gente gli sorride, forse non ha capito [...] la rabbia, invece di diminuire, aumenta [...] rifiuta collaborazioni prestigiose, al 'Corriere della sera' di Indro Montanelli, e si rifugia in testate minori", dove può esprimersi più liberamente, provando a scalzare una mentalità piccolo borghese e bigotta, chiusa e avida. 
    E, nel 1970, in quell'estate in cui il Mondiale messicano, la vittoria sulla Germania, un insperato secondo posto, Riva, Rivera e Mazzola avevano coinvolto nel mondo del pallone anche persone che non si erano mai interessate di calcio, Bianciardi trova ospitalità nel "Guerin" allora diretto da Gianni Brera. Dopo quattro racconti - che aprono il volume - inizia, il 28 settembre, la rubrica delle lettere dei lettori. Sono anni particolari, quelli a cavallo tra '60 e '70: il boom economico e il terrorismo, la contestazione studentesca e operaia, l'avvento della televisione, il dibattito sull'obiezione di coscienza al sevizio militare e sul divorzio e sull'aborto, le imprese spaziali, il femminismo, fenomeni sociali e culturali destinati a cambiare profondamente la nostra società e che, tra un gol di Riva e un dibattito su Coppi e Bartali, tra boxe e ping pong, tra arbitri e allenatori, Bianciardi riesce ad approfondire con attenzione, cura, intelligenza e quella lungimiranza che fu alla base del suo isolamento dalla società. Arte, cultura, società, non soltanto sport, troviamo nel libro. E spesso lo sport è soltanto una scusa per parlare di altro. 
    "La tribuna bassa e defilata del 'Guerino' - scrive ancora Ettore Bianciardi - gli consente una libertà incredibile: può dire tutto quello che pensa, può lanciare messaggi rivoluzionari che da altre tribune non sarebbero mai potuti partire". Ma troppo spesso caddero nel vuoto, non furono ascoltati o capiti. Oggi, raccolti nel volume "Il fuorigioco mi sta antipatico", ci permettono di conoscere più a fondo e in una veste poco conosciuta un intellettuale scomodo ma fondamentale per la nostra cultura e il cui messaggio è ancora incredibilmente attuale. 
           
    gabriella bona 
      
 
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