AA. VV. "Le grandi montagne
del ciclismo" Libreria dello sport - L'Équipe
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Recensione
di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Molti pensarono che fossero diventati
pazzi, gli organizzatori del Tour de France, quando nel 1905 decisero che
i ciclisti sarebbero saliti sulle montagne. Dopo le edizioni del 1903 e
del 1904, che avevano ottenuto un grande successo, la corsa sembrava aver
perso il suo fascino, anche per colpa di scorrettezze e incidenti. Lo salvarono
proprio le montagne e oggi, in tutti i grandi giri ciclistici, sono le
tappe di montagna a entusiasmare, a essere le più seguite, a richiamare
migliaia di appassionati e di tifosi sulle vette e lungo i tornanti per
veder passare e poter incitare i "giganti della strada".
Tappe che più di una volta
si sono corse tra due muraglie di neve ammucchiata ai margini della strada
e, qualche volta, anche sotto la neve. Ad alta quota può nevicare
anche a giugno o a luglio e non è facile che il percorso possa subire
variazioni, anche in condizioni molto difficili.
Per l'edizione francese (che forma
parte del libro tradotti in Italia da Libreria dello sport con il titolo
"Le grandi montagne del ciclismo") "l'Équipe" ha scelto le otto
montagne simbolo del Tour de France: l'Alpe-d'Huez, il Galibier, l'Izoard,
il Puy de Dôme, l'Aubisque, il Tourmalet, il Mont Ventoux e il Ballon
d'Alsace ma non ha dimenticato le altre cime, quelle che, anche se più
modeste, meno frequentate o entrate nel percorso del Tour soltanto negli
ultimi anni, hanno dato spettacolo con gli atleti migliori in lotta sulle
loro salite. Entusiasmi e drammi, vittorie e sconfitte, classifiche stravolte,
momenti indimenticabili: sono le montagne l'anima del ciclismo, senza quelle
tappe le corse perderebbero il loro fascino, la loro importanza, il successo
che perdura e aumenta anno dopo anno.
Nell'edizione italiana sono state
inserite le quattro montagne che sono considerate le pietre preziose del
Giro d'Italia: il Mortirolo, il Gavia, lo Stelvio e le Tre cime di Lavaredo,
salite e discese, pendenze che sembrano impossibili in bicicletta, duelli
che hanno fatto la storia del ciclismo e grandi, grandissime emozioni.
Anche qui non mancano le altre montagne,
quelle che sembrano meno importanti ma che hanno un ruolo fondamentale
nello svolgimento delle corse. Come il Poggio che, inserito nel 1960 nella
Milano-San Remo, la classicissima di primavera, è riuscito a rivitalizzare
una corsa che era diventata sempre meno interessante.
L'amplissimo corredo fotografico,
più di 300 scatti, ci permette di rivivere grandi imprese, dall'inizio
del secolo scorso, con biciclette, strade e pubblico che oggi sembrano
incredibili, fino alle ultime edizioni del Tour de France e del Giro d'Italia.
Con i campioni dei nostri giorni, passando attraverso quelli delle generazioni
passate, i gregari, gli organizzatori, le strade. Più di un secolo
di fatica, di sudore, di una passione che, su quelle montagne, continua
a crescere.
gabriella bona
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