Pastorale e "nuovi media" Web-Chiesa e
net-society | |||||
Quello di Internet è un fenomeno in travolgente espansione, che non
può non toccare la comunità cristiana. Un numero sempre maggiore di
parrocchie italiane oggi ha la sua pagina web. E i siti cattolici, di
varia qualità, si moltiplicano. Ma è solo una moda o si tratta di un
settore realmente "strategico" per una nuova presenza cristiana? E come
cambia la pastorale con la telematica? Ad Assisi la Conferenza episcopale
italiana ha da poco concluso un seminario – il primo nel suo genere – per
affrontare il tema della Chiesa in rete. Ne è emerso un quadro
sorprendente.
Nell’home page campeggia la facciata della chiesa, quindi le foto dei gruppi parrocchiali, gli articoli del bollettino della comunità, gli orari delle funzioni e la descrizione delle attività catechistiche. Alla fine la e-mail per comunicare col parroco. Così la parrocchia naviga in Internet. Basta cliccare su uno dei 470 siti parrocchiali censiti, ad oggi, da Francesco Diani, curatore di http://www.siticattolici.it/, e quasi sempre ti troverai di fronte a una pagina Web con queste caratteristiche. È solo una piccola parte dell’eterogenea presenza cattolica italiana nel cyberspazio, calcolata a marzo, in oltre 2.600 siti "ecclesiali" istituzionali e non. E se poi apriamo l’orizzonte all’intero mondo Web scopriamo che la presenza religiosa è davvero enorme: digitando la parola "Dio" in una ricerca con Netscape si trovano 600 mila risposte. Certamente quelle "virtuali" rappresentano appena il 2 per cento delle 25 mila parrocchie italiane reali ma, se sono precisi i dati di Diani, e cioè che ogni sei mesi la presenza cattolica nazionale nel Web raddoppia, si può certo parlare anche nel nostro Paese di un fenomeno in travolgente espansione che non può, quindi, non interrogare gli operatori della pastorale. Ma perché una comunità cristiana sente l’esigenza di stare in rete? E cos’ha a che fare Internet con la pastorale? È vero, in altri termini, quello che sostiene l’allievo più illustre di Marshall McLuhan, Derrick De Kerkhove, che «la rete ci dà la possibilità di una rigenerazione della comunicazione pastorale»? «Aprire un sito parrocchiale ha, anzitutto, una ragione interna: spinge a ripensare l’immagine della comunità e crea un impegno attorno all’obiettivo comune di presentare nel modo più vero la parrocchia», afferma Diani. «Una volta si usava il cartellone o le diapositive. Perché non usare Internet, oggi? Le sue opportunità sono davvero disparate. Un esempio: pensiamo alla possibilità di rinforzare on line i legami tra una parrocchia e chi vive lontano da essa. Molti siti parrocchiali dell’Italia del Sud servono a far sentire più vicini i parrocchiani sparsi nel mondo. Credo meno, invece, all’utilità esterna di un sito parrocchiale: perché mai dovrei andare a visitare i siti di altre comunità se non presentano esperienze particolari? Se una comunità non è vitale al suo interno, la sua pagina Web sarà una semplice cartolina e nulla di più». Molti di questi siti, in effetti, sono pure illustrazioni in rete, destinate a una navigazione di piccolo cabotaggio. Infatti se andiamo a verificare i contatti, cioè il numero dei visitatori, scopriamo che mediamente sono poche decine, e che l’aggiornamento è saltuario. Al recente convegno "www.Chiesa in rete", organizzato ad Assisi dall’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali (ne parla anche Giorgio Banaudi in "La fede in Internet"), il primo seminario in assoluto promosso dalla Cei su Internet e pastorale, suor Angela Ann Zukowski – docente al Center Religious Telecommunications dell’Università di Dayton (Usa), religiosa marianista e grande apostola del Web cattolico negli Stati Uniti – ha sentenziato: «Un sito che non s’aggiorna ogni giorno è un sito morto». "Fossile", come preferisce definirlo Diani. «La realtà dei fatti ci mostra», continua suor Angela, «che la Chiesa non è ancora pronta ad affrontare i suoi compiti nel cyberspazio. Molti siti cattolici mancano, appunto, di vita. Non offrono interattività, né si rinnovano spesso. Si limitano a fare "via Internet" quello che per anni hanno fatto attraverso la stampa, senza riflettere sul potenziale del mezzo». Ma tra le realtà parrocchiali c’è anche chi ha colto tali potenzialità e ha creato siti attraenti, capaci di "evangelizzare", o comunque di aprire rapporti con i lontani. È il caso, ad esempio, di cinque comunità parrocchiali di Riccione, Miramare e Misano, che insieme hanno creato http://www.puntogiovane.org/, un singolare sito che ad oggi ha raggiunto 4 mila contatti. Un’esperienza pastorale nata dall’idea di creare "un oratorio fuori dall’ombra del campanile", gestito da giovani laici e da un sacerdote, don Franco Mastrolonardo. Il sito s’innesta in un avviato lavoro d’animazione giovanile che comprende un "telefono amico", un giornale, gruppi artistici, un doposcuola e un’esperienza di convivenza spirituale. «Che hanno fatto gli animatori di "Puntogiovane"? Hanno guardato cosa fanno i giovani in genere con Internet. E hanno scoperto che amano chattare, cioè cercare piazze virtuali dove parlare tra loro, liberamente. Da qui l’idea di aprire una "chat amica" parrocchiale e di partecipare alle altre per incontrarsi con i loro coetanei. E i giovani rispondono», spiega don Franco. È la riprova che Internet se non serve a far risuscitare comunità reali fantasma, può potenziare, però, comunità vive. Come la parrocchia di San Luca di Vallongo (Torino) che ha costruito un sito (www.parrocchie.org/vallongo) in cui si può perfino prenotare un tavolo nella pizzeria parrocchiale, o informarsi se c’è posto nelle strutture di prima accoglienza del "Pronto soccorso sociale" sempre gestito dalla comunità. Cliccando sul sito della parrocchia di Sant’Antonino di Treviso, invece, gran parte delle pagine non riguardano affatto la comunità: ma vi si trovano serie di link "laici" per "riavvicinarsi alla politica", di hobby e sport, siti per bambini, per trovare lavoro, per acquistare libri in rete, per conoscere il mondo del volontariato italiano. «Evangelizziamo? Non lo so. È comunque un modo per far uscire "virtualmente" di sera i miei coetanei e per far sentire la voce della parrocchia su argomenti sociali rilevanti. Una testimonianza che Internet non serve solo per l’e-commerce ma anche per parlare di solidarietà», dice Francesco Vian, venticinquenne curatore del sito. Sono pochissimi, comunque, i siti parrocchiali che offrono, oltre alle informazioni sulla comunità, anche materiali a uso pastorale o possibilità di vera interazione come chat o newsgroup. «E invece l’importanza pastorale di Internet sta proprio in una delle sue prerogative: l’interattività», osserva Andrea Buoso, curatore di http://www.genteveneta.it/, il sito Web del settimanale diocesano di Venezia. «Ciò, ed è il suo difetto, accade in un luogo virtuale, perché non ci si vede e non ci si tocca. Di positivo la rete ha la capacità di attivare canali di comunicazione che spesso nella nostra vita frenetica si sono persi. Per questo abbiamo lanciato dibattiti attraverso forum tematici: accanto a settimanale e radio – che comunicano unidirezionalmente – crediamo necessario attivare una comunicazione biunivoca, paritaria, che la rete sa suscitare per la sua natura non gerarchica». D’altra parte, secondo Mirella Camera, giornalista e curatrice del sito "Reteblu", pensato appositamente per le comunità cristiane, «visitando un po’ tutti i siti cattolici, si respira troppo spesso un clima chiuso, clericale, tutto rivolto ad intra. C’è molto velleitarismo e poca fantasia. Manca soprattutto la capacità di avvicinare ciò che sta al di fuori della Chiesa e di informarne il laico». In effetti, in rete è più facile trovare la comunità che inserisce nelle sue pagine Web un sunto della fede cristiana, con tanto di elenco di doni dello Spirito, virtù teologali e opere di misericordia spirituali e corporali, magari anche con la versione in inglese, che notizie sui vari settori dell’impegno civile, o forum su temi d’attualità. Comunque, al di là di esperienze frutto di piccoli gruppi parrocchiali, nati dalla passione per i nuovi media e che, necessariamente, hanno i limiti dell’artigianato, esistono in rete anche strumenti più sofisticati, utilissimi per la pastorale, la catechesi o la spiritualità. "Siticattolici" ne enumera almeno 136, a cui si devono aggiungere 36 tra mailing list, chat line e newsgroup cattolici. «Sembra ormai superata la stagione delle iniziative sporadiche ed eroiche fatte a titolo personale», ha detto ad Assisi il direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, don Claudio Giuliodori. «È giunto il momento che la Chiesa in quanto tale, come comunità di credenti che ha qualcosa di importante da dire e da testimoniare, entri in rete per costruire una trama di relazioni in grado d’intercettare l’uomo odierno. Non so se Gesù pensava a Internet quando disse ai discepoli sfiduciati di gettare le reti», ha aggiunto Giuliodori, parafrasando l’invito di De Kerkhove di "e-vangelizzare" la rete, «ma è certo che oggi come allora si tratta di non tradire la sua Parola, che ci invita a cercare l’uomo là dove esso si trova e non c’è dubbio che molti si trovano nella rete telematica». Considerazione chiarissima. Ma a quando la creazione di percorsi comuni di formazione per i nuovi evangelizzatori del cyberspazio? Alberto
Laggia
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