QUALE
PASTORALE PER I DIVORZIATI RISPOSATI?(*) La Chiesa stia vicina a questi
fratelli di GIORDANO MURARO
(*) In febbraio è uscito un sussidio "Sulla pastorale dei divorziati
risposati" della Congregazione per la dottrina della fede. Che cosa dice? Quali
conferme e quali novità? Se la persona è convinta in coscienza che il suo matrimonio è
nullo, ma non può dimostrarlo con dati oggettivi può ricorrere ai canoni 1536, § 2 e
1679, in cui si stabilisce che la dichiarazione della parte può costituire prova
sufficiente di nullità, quando è credibile. Il card. Ratzinger lamenta il fatto che
questa prassi non sia stata ancora sufficientemente accolta nei Tribunali ecclesiastici.
In conclusione: «I fedeli divorziati risposati non possono mai perdere la speranza di
raggiungere la salvezza». Il fatto di essersi allontanati dal comandamento del Signore
non significa che ad essi la conversione e la salvezza siano precluse. La Chiesa deve star
loro vicina.
Nel febbraio di quest'anno, col titolo: Sulla pastorale dei
divorziati risposati, è uscito, ad opera della Congregazione per la dottrina della fede,
un documento presentato come «sussidio per i pastori... chiesto espressamente dal Sommo
Pontefice Giovanni Paolo II per offrire ai vescovi e ai sacerdoti un aiuto nella difficile
questione dellaccompagnamento pastorale dei fedeli divorziati risposati» (p. 5),
edito dalla Libreria Editrice Vaticana con la data 1998. È stilato nella forma di un
volume-sussidio di 134 pagine: una antologia di documenti e studi che sono già tutti
apparsi negli Acta Apostolicae Sedis, e nellOsservatore Romano, eccetto larticolo
del p. Gilles Polland sj e le ventidue pagine di introduzione a firma del card. Ratzinger.
Dopo una prima lettura, si è tentati di reagire con la battuta:
«Nulla di nuovo». È vero solo in parte, perché nella ripresentazione dellinsegnamento
di sempre troviamo spunti di novità. Anzitutto nella forma. Non è scritto nella
modalità del documento dottrinale, ma come un sussidio pastorale che comprende una
sintesi del Magistero sul problema (introduzione), tre documenti del Magistero che fondano
questa sintesi (seconda parte), e cinque studi teologici che spiegano, approfondiscono,
dimostrano la validità della posizione del Magistero e confutano le posizioni contrarie
(terza parte). Ma alcune novità le ritroviamo anche nei contenuti. Non si tratta di
princìpi o indicazioni nuove in assoluto (lunica grande novità è la possibilità
di applicazione in alcuni casi dellepikeia in foro interno), ma nella forma con cui
vengono presentati e sviluppati. Elenchiamo i principali.
Lindissolubilità assoluta non è proprietà di tutti
i matrimoni, ma solo del matrimonio sacramentale.
Cè da dubitare che ogni matrimonio dei battezzati sia
ipso facto un sacramento.
La Chiesa non ha il potere di sciogliere dei matrimoni
sacramentali validi (e consumati), ma ha il potere di stabilire quando un matrimonio è
sacramentale.
Il tribunale ecclesiastico considera probante la deposizione
del fedele quando è credibile ed è impossibilitato a portare prove oggettive.
Il giudizio sulla validità del matrimonio compete
esclusivamente al tribunale ecclesiastico, anche se non si esclude che in alcuni casi si
possa applicare lepikeia in foro interno.
La Chiesa Cattolica ha sempre considerato un abuso la prassi
delle Chiese Orientali separate, anche se non ha formulato una condanna formale.
Sono cose già dette nel recente passato; ma alcune di esse
possono diventare il suggerimento che viene non da un privato teologo, ma da una
Congregazione per una nuova ricerca. Per esempio, si dice pur con tutte le
cautele del caso che in caso di conflitto tra tribunale ecclesiastico e coscienza
dei fedeli, «non sembra qui in linea di principio esclusa lapplicazione della
epikeia in foro interno» (p. 26); oppure, si chiede che vengano sempre meglio precisate
le condizioni necessarie perché un matrimonio tra due battezzati sia veramente un
sacramento e quindi indisssolubile. Non troviamo alcuna novità circa la partecipazione
dei divorziati risposati alla vita sacramentale, come pure non viene in alcun modo presa
in considerazione la possibilità di dichiarare finito un matrimonio che sia stato
contratto validamente; tuttavia viene suggerito che vengano poste chiare condizioni per laccesso
dei battezzati al matrimonio: non basta, infatti, il diritto naturale per sposarsi, ma è
necessaria una fede viva che permetta di capire e di vivere nella loro vita il mistero
dellamore salvifico del Cristo.
Esaminiamo brevemente la materia contenuta nelle 134 pagine,
per fermarci poi a esaminare la parte più interessante, cioè lintroduzione del
card. Ratzinger, dalla quale trarremo spunti di riflessione e interrogativi. Il sussidio
comprende tre parti: lintroduzione, i documenti, gli studi.
a) Lintroduzione riassume in 8 tesi i contenuti essenziali
della dottrina della Chiesa, e in 5 punti riprende le principali obiezioni, senza
pretendere di dare una risposta esauriente, ma avendo di mira un obiettivo più modesto:
indicare «la direzione di una risposta» (p. 8).
b) A questo scopo utilizza i tre documenti del Magistero che
formano la seconda parte, e precisamente la Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica
circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (1994)(1), il
capitolo della Familiaris consortio in cui sviluppa il discorso sui divorziati risposati
(1981); il Discorso del Pontefice alla XIII Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio
per la Famiglia (1997).
c) Ma si avvale anche dellapporto di 5 studi dottrinali,
giuridici e storici che formano la terza parte. I primi due sono un commento dottrinale e
giuridico alla Lettera del 1994 (il primo del card. D. Tettamanzi, il secondo di mons. M.
F. Pompedda); il terzo e il quarto (del prof. Luno e di don Marcuzzi sdb) si propongono di
dimostrare limpossibilità di applicare al matrimonio indissolubile il principio
della epikeia e della aequitas canonica, e quindi limpossibilità di adottare
soluzioni diverse da quelle indicate dal Magistero anche per quanto concerne la
partecipazione alla vita sacramentale; mentre il quinto (del p. G. Pelland sj) descrive la
pratica della Chiesa antica riguardo ai fedeli divorziati risposati, mettendo in evidenza
la continuità della dottrina e prassi del Magistero.
Il principale documento di riferimento è la Lettera della
Congregazione per la dottrina della fede, del 1994. Si riprende il discorso in essa
contenuto, esaminando le reazioni provocate dalla pubblicazione, e alcuni studi che hanno
riproposto e sostenuto soluzioni alternative a quella del Magistero. (2)
Nellampia introduzione, il card. Ratzinger, dopo aver
presentato il contesto in cui sono nati i pronunciamenti magisteriali riportati,
sintetizza il pensiero del Magistero in 8 tesi. Lesposizione è chiara, completa e
logicamente concatenata.
Parte dalla affermazione che «i fedeli divorziati risposati si
trovano in una situazione che contraddice oggettivamente lindissolubilità del
matrimonio» (p. 11): per cui la loro nuova unione non è valida, e i sacerdoti non devono
prestarsi nei loro confronti a celebrazioni che potrebbero indurli in errore.
Tuttavia «i fedeli divorziati risposati rimangono membri del
popolo di Dio e devono sperimentare lamore di Cristo e la vicinanza materna della
Chiesa» (p. 12). Non sono scomunicati, hanno conservato la fede e la comunione con la
comunità ecclesiale. I fratelli nella fede devono condividere la loro sofferenza e
aiutarli nel loro cammino umano e cristiano.
Dal canto loro «come battezzati i fedeli divorziati risposati
sono chiamati a partecipare attivamente alla vita della Chiesa, nella misura in cui è
compatibile con la loro situazione oggettiva» (p. 13). Possono vivere la Parola di Dio,
il Sacrificio Eucaristico, la vita di preghiera, la comunione fraterna. Ma per valorizzare
i doni che la comunità offre devono uscire dalla abitudinarietà e capire tutto il
potenziale di vita in essi racchiuso.
Tuttavia «a motivo della loro situazione obiettiva, i fedeli
divorziati risposati non possono essere ammessi alla sacra comunione e neppure accedere di
propria iniziativa alla mensa del Signore» (p. 14). Con la decisione di risposarsi
rendono stabile una oggettiva disobbedienza allinsegnamento del Maestro, e creano
disagio e disorientamento nella comunità. Per questa loro oggettiva situazione diventano
incapaci di ricevere lEucaristia che per sua natura significa e produce la comunione
con il Corpo Mistico (Capo e membra). Per questo la Chiesa non può ufficialmente
ammetterli alla mensa eucaristica, né ad essi è possibile decidere in coscienza di
accedervi. Non si tratta di una norma disciplinare, ma di una conclusione che nasce dalla
loro situazione oggettiva. È una situazione che si verifica anche in altri casi, e la
Chiesa dovrebbe sottolinearlo. «Allora anche i fedeli divorziati risposati potrebbero
comprendere più facilmente la loro situazione» (p. 16).
Sempre «a motivo della loro situazione obiettiva i fedeli
divorziati risposati non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali (CCC 1650)»
(p. 16). Si tratta di quei compiti ecclesiali che presuppongono una testimonianza di vita
cristiana, quali lufficio di padrino, lettore, ministro straordinario dellEucaristia,
insegnante di religione, catechista, membro del Consiglio pastorale diocesano o
parrocchiale. È anche sconsigliabile che siano chiamati a fare da testimoni nelle nozze.
Anche in questo caso lesclusione «non può essere ristretta unilateralmente ai
fedeli divorziati risposati, ma deve essere affrontata in modo più profondo e ampio» (p.
17).
Però «se i fedeli divorziati risposati si separano ovvero vivono
come fratello e sorella, possono essere ammessi ai sacramenti». Linvito a
rapportarsi tamquam frater et soror non è una punizione, come spesso viene intesa; ma lesortazione
a pentirsi e a trasformare il loro rapporto da coniugale in fraterno, recedendo da quella
condizione di marito e moglie che li mette in permanente contrasto con linsegnamento
del Cristo.
Un caso particolare: «I fedeli divorziati risposati che sono
convinti soggettivamene della invalidità del loro matrimonio precedente, devono regolare
la loro situazione in foro esterno» (p. 18), cioè di fronte al Tribunale ecclesastico
che è lunico competente per lesame della validità del matrimonio dei
cattolici. Infatti il matrimonio non è il frutto di una semplice decisione privata e
neppure di una decisione che le due persone prendono direttamente con Dio; ma ha una
rilevanza pubblica ed ecclesiale. Per questo la persona non può decidere in coscienza lesistenza
o meno del matrimonio precedente e il valore della nuova relazione. E se la persona è
convinta in coscienza che il suo matrimonio è nullo, ma non può dimostrarlo con dati
oggettivi, può ricorrere ai cann. 1536, § 2 e 1679, in cui si stabilisce che la
dichiarazione della parte può costituire prova sufficiente di nullità, quando è
credibile. A questo proposito il card. Ratzinger lamenta il fatto che questa prassi non
sia stata ancora sufficientemente accolta nei Tribunali ecclesiatici (p. 19).
In conclusione. «I fedeli divorziati risposati non possono mai
perdere la speranza di raggiungere la salvezza» (p. 19). Il fatto di essersi allontanati
dal comandamento del Signore non significa che ad essi la conversione e la salvezza sia
preclusa «se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza, nella carità» (p.
19). La Chiesa deve stare vicina a questi fratelli e accompagnarli nel loro cammino umano
e cristiano.
Il card. Ratzinger raccoglie in 5 punti le principali
obiezioni che vengono mosse al Magistero (ritenuto troppo rigido e poco pastorale), e che
contengono la proposta di soluzioni alternative. Queste obiezioni si fondano
a) sulla parola di Dio;
b) sulla dottrina e prassi dei Santi Padri;
c) sullutilizzazione della epikeia e dellaequitas canonica;
d) sulla svolta personalistica del concilio Vaticano II;
e) sulla natura pastorale della Chiesa.
1) La parola di Dio. Molti ritengono che la parola di Dio sia più
flessibile dellinterpretazione che ne ha dato la Chiesa.
Risponde. Qualunque sia il risultato della ricerca esegetica resta
chiaro che Gesù ha contrapposto al matrimonio uscito dal cuore indurito delluomo il
matrimonio delle origini. Non solo. Ha fatto di più: ha trasferito il matrimonio nel
nuovo ordine della fede e della grazia e ne ha fatto un sacramento. Solo questo matrimonio
gode dellassoluta indissolubilità, mentre «il cosidetto matrimonio naturale che ha
la sua dignità a partire dallordine della creazione ed è pertanto orientato allindissolubilità,
può essere sciolto in determinate circostanze, a motivo di un bene più alto nel
caso la fede» (p. 21) con il privilegio paolino e petrino.
2) La tradizione patristica. Alcuni Santi Padri hanno lasciato
spazio a una prassi pastorale più differenziata che la Chiesa cattolica non ha seguito,
mentre è stata accolta dalle Chiese orientali separate da Roma.
Risponde. I Santi Padri sul piano dottrinale si sono sempre
attenuti al principio dellindissolubilità, anche se alcuni di essi hanno tollerato
sul piano pastorale una certa flessibilità in situazioni singole. Su questo fondamento,
le Chiese orientali separate da Roma hanno sviluppato in seguito la prassi della
condiscendenza benevola in singole situazioni difficili (princìpio della oikonomìa),
fino a elaborare una «teologia del divorzio» (p. 23). La Chiesa cattolica ha sempre
ritenuto abusiva questa prassi, anche se non lha mai condannata formalmente.
3) Il principio della "epikeia" e della "aequitas
canonica". Questi princìpi permetterebbero di risolvere casi che restano altrimenti
insoluti in foro esterno.
Risponde. Lepikeia e laequitas canonica non possono
essere applicate nellambito di norme sulle quali la Chiesa non ha nessun potere
discrezionale. Lindissolubilità del matrimonio è una di queste norme. La Chiesa
non può approvare pratiche pastorali che contraddicono il comandamento del Signore, però
può stabilire le condizioni in base alle quali un matrimonio è indissolubile. Ha
sviluppato le figure giuridiche del "privilegio paolino e petrino"; ha stabilito
riallacciandosi alla clausola della porneia gli impedimenti matrimoniali, e
ha individuato sempre più chiaramente i motivi di nullità matrimoniale. Ha stabilito che
la valutazione della validità del matrimonio avvenga in foro esterno (cioè nel
tribunale), perché il matrimonio ha essenzialmente un carattere pubblico; ma nello stesso
tempo chiede al tribunale di utilizzare in casi particolari la stessa testimonianza del
teste come prova per stabilire la nullità di un matrimonio. Anzi, in casi particolari non
esclude in linea di principio «lapplicazione della epikeia in foro interno» (p.
26), cioè che sia il fedele a formulare in coscienza il giudizio sul suo matrimonio.
4) La concezione personalistica del matrimonio. Lattenzione
maggiore che il concilio Vaticano II ha dato alla persona permetterebbe di superare quella
mentalità che ancora oggi continua a mettere al primo posto non la difesa della persona,
ma listituzione. Si è tornati alla dottrina e prassi naturalistica e legalistica
del matrimonio.
Risponde. Il concilio Vaticano II ha espresso la natura del
matrimonio in modo meno legale e più personalistico. Così, il contratto e lo jus in
corpus è stato sostituito dal patto di amore e di vita. Certamente il matrimonio è più
di un contratto e va «molto al di là dellaspetto puramente giuridico, affondando
nella profondità dellumano e nel mistero del divino» (p. 27); ma ciò non toglie
che abbia anche una dimensione giuridica. «Il diritto non è tutto, ma è una parte
irrinunciabile, una dimensione del tutto» (ibid.). Per questo non è sostenibile, anzi è
erronea la teoria che parla della "morte del matrimonio" quando muore la vita
affettiva, perché riduce il matrimonio ad un fatto puramente privato. Non si può
dimenticare la dimensione pubblica, anche se è necessario scavare maggiormente nella
dimensione personale, fino al punto di verificare «se veramente ogni matrimonio tra due
battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale» (p. 27) e quindi assolutamente
indissolubile.
5) La dimensione non solo normativa, ma pastorale della Chiesa. La
Chiesa sembra più preoccupata di condannare e di escludere persone già ferite, piuttosto
che assumere latteggiamento di Gesù che ha dimostrato disponibilità nei confronti
di tutti gli uomini, specialmente quelli più sofferenti ed emarginati.
Risponde. Le forme espressive del Magistero sono talora
incomprensibili; ma è difficile rendere comprensibili alluomo secolarizzato le
esigenze del vangelo. In questo devono svolgere un compito importante i predicatori e i
catechisti, senza però annacquare la verità rivelata per supposti motivi pastorali.
Sono i contenuti presentati nellintroduzione. Resta da
approfondire e mettere in evidenza alcune novità che permettono al pastore danime
di avere una conoscenza più chiara della situazione di questi fratelli nella fede e di
intervenire in modo più efficace nella loro vita.
Osservazioni e interrogativi. Lo scritto si presenta come un
sussidio pastorale, ma il taglio è spesso giuridico. Al di là delle singole osservazioni
dobbiamo costatare che il pastore si aspetta sempre unimpostazione che parta più
dai fattori umani e cristiani coinvolti in questi problemi, che dalle leggi che li
regolano. Infatti una cosa è dire dei "no", aiutando la persona a capire che il
"no" è laffermazione di valori che arricchiscono la vita delle stesse
persone alle quali viene rivolto quel "no", altra cosa è fondare il
"no" sulla impossibilità di derogare dalle leggi. È vero che le leggi
veicolano i valori; ma è anche vero che larte e labilità del pastore
consiste proprio nel far vedere il valore attraverso il velo della legge: unoperazione
simile a quella di Gesù nella trasfigurazione, quando ha fatto risplendere la luminosità
della divinità attraverso la materialità limitativa della carne. Questa osservazione non
toglie nulla ai pregi del sussidio, dove il pastore può trovare unesposizione
completa e chiara della dottrina della Chiesa, suffragata questa è una novità
da studi che aiutano a coglierne in una certa misura la fondatezza; e dove è anche
possibile scoprire spunti interessanti che potrebbero aprire un capitolo nuovo non tanto
per quel che riguarda la partecipazione dei fedeli divorziati risposati allEucaristia
(il "no" a questo proposito è totale), ma la valutazione del matrimonio dei
battezzati.
Infatti gli interrogativi dottrinali che la situazione dei fedeli
divorziati risposati pone alla coscienza della comunità cristiana sono almeno quattro: la
validità del primo matrimonio, la natura del secondo, la relazione con la
Chiesa-sacramento di salvezza e con i suoi doni, la relazione con il Dio della salvezza.
Il sussidio prende maggiormente in considerazione il primo e il terzo problema. E offre
spunti per una migliore risposta a questi due interrogativi.