LO SCONTRO TRA GESÙ E SATANA
Il Maligno nell’Antico e Nuovo Testamento
di ANGELO COLACRAI ssp
   

Nel Nuovo, come nell'Antico Testamento, i demoni sono identificati con gli idoli e con gli spiriti malvagi, responsabili di diverse malattie e infermità, in particolare delle malattie psichiche. Il malato è un indemoniato, cioè posseduto da uno spirito maligno da cui è impossibile liberarsi da soli. Cacciare i demoni significa, perciò, esercitare efficacemente un servizio attraverso l'esorcismo.

Il diavolo è un quasi compagno di Gesù, non suo discepolo ma piuttosto come un maestro, fin dagli inizi della vita pubblica. Condotto dallo Spirito nel deserto, Gesù è tentato dal diavolo (Mt 4,1). Successivamente, non lo Spirito, ma il diavolo conduce Gesù con sé nella città santa e, postolo sul pinnacolo del tempio (Mt 4,5), lo tenta di buttarsi di sotto, perché, gli suggerisce, altri spiriti lo avrebbero sostenuto, insegnandogli a planare in salvo tra gente meravigliata.

Di nuovo, il diavolo guida Gesù a un monte altissimo. Gesù ci va; e lì gli mostra i regni con la loro ricchezza (Mt 4,8). In realtà, Gesù non si era mosso che virtualmente dal deserto dove lo Spirito lo aveva condotto per una scelta fondamentale: quella appunto di camminare con lo Spirito, e non secondo gli uomini. È lo Spirito che suggerisce a Gesù, tentato dal diavolo, la risposta giusta: «Vattene, Satana! Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo presterai culto» (Mt 4,10).

Si noti, in questi passi, il doppio nome: "diavolo", diventato "Satana" per Gesù, è chi non mette Dio al primo posto, e perciò crea disordine e disorientamento. Il nome diabolos, da diaballo, che letteralmente significa "gettare nel mezzo, mettere di traverso, attraversare la strada", da cui, più metaforicamente "separare, disunire, dividere, fare inciampare e cadere", si usa in particolare di qualcuno che accusa a torto, come in Luca 16,1: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi (dieblethe: da diaballo) a lui di aver dissipato i suoi beni». Nella LXX, questo vocabolo greco traduce normalmente satan, Satana, cioè "avversario, nemico", da un verbo che significa "opporsi, accusare". Si legga Zaccaria 3,1: «Poi mi mostrò il sommo sacerdote Giosuè, che stava in piedi davanti all’angelo del Signore, e satana stava alla sua destra per accusarlo».

Diavolo dunque è opposto a protettore affidabile, amico verace. Diavolo è chi non è amico ma avversario o nemico, o accusatore, anche umano, di qualcuno, o di un popolo intero, spesso in tribunale (cf 1 Sam 29,4; 1 Re 5,18). Nel Sal 109,6 si legge: «Sia stabilito contro di lui il delitto; alla sua destra stia l’accusatore». L’accusa, cioè la parola che è come una spada orientata a colpire, la calunnia che è sempre falsa, è anche "diabolica" o "satanica", come lo è ogni ostilità che miri a "separare", "dividere", condannare o far cadere l’innocente in trappola. L’accusatore personificato, Satana, che simboleggia quindi le forze del male (cf Gb 1,6 ss.; 2,1 ss.) è nemico sia di Dio che dell’uomo; però anche «un empio che maledice l’avversario maledice in pratica sé stesso» (Sir 21,27). La calunnia, come ogni altro male, ricade su chi lo compie, inserendolo nella categoria del diabolico.

Anticamente, Satana era presentato come appartenente alla corte di Dio (Gb 1,6; 2,1), a fianco dei figli di Dio, o dell’angelo del Signore (Zc 3,1 s.), una importante creatura, ma che cerca di accusare i credenti, gettando dinanzi a Dio il sospetto sulla loro fede o fedeltà. Esaminare Satana è scoprire la radice e la natura della malizia, anche se questa non ci appare immediatamente come tale, né sempre così chiaramente personificata. Secondo 1 Cr 21,1, è Satana, non il Signore (cf 2 Sam 24,1), il "male" e non il "bene", che spinge Davide a fare il censimento in Israele. Il male qui è la "ragione di Stato", o quel sottile o machiavellico scetticismo di un uomo di governo nei riguardi di Dio. Per Davide conta il numero, e quindi il calcolo, più che la fede o il retto pensare che è un contare su Dio.

Come nell’Antico Testamento, Satana, o diavolo come più spesso viene chiamato nel Nuovo Testamento, è il nemico che cerca di stornare da Dio anche Gesù. Lo fa con tentazioni "messianiche". Nel tentare Gesù, Satana è la personificazione di un messianismo politico, al quale molti, ivi compresi i discepoli, avrebbero voluto che Gesù cedesse, con lo scopo di liberare il popolo dall’occupazione straniera e per ristabilire (ed espandere?) la monarchia davidica.

Secondo Luca, Satana, dopo essere stato sconfitto da Gesù nel deserto (Lc 4,13), si sarebbe allontanato da lui per la durata del suo ministero, presentato come vittoria decisiva di Dio su ogni male. Gesù avrebbe intravisto anche la disfatta finale del suo nemico, come si dice in Luca 10,18: «Io vedevo Satana precipitare dal cielo come un fulmine». Il diavolo però ritornerà alla carica, per l’assalto finale, al momento della passione. «Satana allora entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era nel numero dei Dodici» (Lc 22,3). Giuda è diventato un "diavolo" secondo Gesù: «Non vi ho scelto io, voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo» (Gv 6,70).

Il diavolo era entrato a far parte della prima comunità, inserendosi tra gli "amici" (cf Gv 15,15), con il permesso dell’Altissimo, per distruggere Gesù. «Simone, Simone, ascolta! Satana ha ottenuto il permesso di passarvi al vaglio come il grano» (Lc 22,31). Satana è un testatore. Ma come si fa a discernere un diavolo da un fratello nella prima Chiesa, se perfino il pescatore Simone, che sarà il primo papa, Gesù lo chiama "Satana"? «Ma egli, rivoltosi a Pietro, disse: "Va’ via da me, satana! Tu mi sei di inciampo, poiché i tuoi sentimenti non sono quelli di Dio, ma quelli degli uomini"» (Mt 16,23; Mc 8,33)? Questo sarebbe avvenuto a breve distanza dalla beatitudine con cui, secondo l’interpretazione comune nella Chiesa Cattolica, è stato stabilito il «primato di Pietro» (Lc 16,17-19).

Pietro viene chiamato diavolo perché, nonostante la sua fede, considerando Gesù come un messia trionfante, non voleva accettare che dovesse finire in croce, malvisto e addirittura condannato dalle autorità religiose e politiche del suo popolo. Le intenzioni quando sono troppo "umane" evidentemente non sono più buone perché oscurano la vera identità di Gesù, che resiste a questo umanesimo diabolico.

Matteo insiste sul "diavolo", ma per osservarlo mentre se ne va, sconfitto dall’uomo nel deserto e dallo Spirito: «Il diavolo allora lo lasciò. Ed ecco che gli angeli si avvicinarono a lui per servirlo» (Mt 4,11). Gesù, senza sostegni umani, senza nulla d’altro che lo Spirito, è vittorioso. Presto la sua fama, più forte degli spiriti maligni, si sparse per la Siria, un mondo pagano, e così gli condussero malati di ogni genere: sofferenti di infermità e dolori vari, «ma anche indemoniati» e paralitici, ed egli guarì tutti (Mt 4,24). Non sappiamo chi fossero questi "indemoniati". Di certo c’è la missione efficace di Gesù, di esorcista, ma anche di guaritore di malattie d’ogni tipo, psichiche e fisiche. I suoi interventi manifestano la vittoria del bene sul male, di Dio su ogni spirito maligno o sulla radice stessa di tutti i mali.

Davvero iniziava il messianismo di Gesù. «Verso sera gli presentarono molti ossessi ed egli scacciò gli spiriti con la sola parola e guarì tutti gli infermi» (Mt 8,16). La medicina di liberazione era "parola" e il coraggio di quest’uomo, mite e umile, liberante, perché non imponeva gioghi, se non leggeri e soavi (cf Mt 11,29). Giunto, un giorno al di là della riva, nella regione dei Gadareni (ancora in area pagana), "due ossessi", uscendo dalle tombe, gli andarono incontro; erano uomini pericolosi, tanto che nessuno osava passare di lì per paura di incontrarli (Mt 8,28). Era imprudenza affrontarli, per la forza spaventosa e distruttiva che emanava da essi, almeno nell’immaginario collettivo. Secondo Matteo (8,28-34), Gesù imbocca proprio la strada che mena a loro. Va incontro al pericolo condotto dalla forza liberante dello Spirito. Quel che successe è narrato con un senso di spettacolarità e umorismo. I due ossessi, stranamente in coppia e a una sola voce, si misero a gridare una specie di professione di fede: «Che c’è fra noi e te, Figlio di Dio? Sei venuto a tormentarci prima del tempo?».

Non lontano c’era una numerosa mandria di porci. I "demoni" lo supplicavano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria di porci». La risposta fu semplice: «Andate». Notiamo che qui il diavolo, o satana, è diventato "demonio", anzi una mandria di demoni. La LXX traduce con il greco daimon l’ebraico shed, dal verbo shud, «far violenza, dominare, possedere», da cui deriva anche Shaddai, l’"Onnipotente", «colui che tutto possiede e tutto può». Esiste quindi anche una parentela linguistica, in qualche caso come questo, tra demonio e Dio. I demoni ostili a Dio, soprattutto nell’Antico Testamento, sono "idoli", ai quali si offrivano sacrifici, anche umani: «Sacrificano ai demoni, che non son dio, a dèi che non conoscono, nuovi, venuti da poco, che non hanno temuto i vostri padri» (Deuteronomio 32,17; cf Sal 106,37 s.).

Per l’antico Israele gli spiriti malvagi erano emanati da Dio stesso (cf Gdc 9,23; 1 Sam 16,14), e sono quindi "divinità" rappresentate talvolta con le sembianze di un caprone, abitante di luoghi deserti. Gli Egiziani rendevano loro un culto che ebbe influsso anche sui Giudei che abitarono per lungo tempo in Egitto (cf Lv 17,7; Is 13,21). Il successivo giudaismo confonderà i demoni con gli spiriti malvagi (in Tob 3,8 il demonio Asmodeo; 6,7 ss.) dai quali non potevano liberarsi se non con particolari quanto per noi strani riti di esorcismo (Tob 3,17, dove il pessimo demonio Asmodeo è scacciato da Raffaele; 6,17; 8,3).

In greco daimon, o più spesso daimonion, ha un’origine etimologica incerta: colui che distribuisce a ciascuno la sua sorte, colui che sa? Nel Nuovo Testamento, i demoni sono identificati, come nell’Antico, con gli idoli e con gli spiriti malvagi, responsabili di diverse malattie e infermità, in particolare, soprattutto delle malattie psichiche (cf Mc 9,17 s.). Il malato è un indemoniato, cioè posseduto da uno spirito maligno misterioso da cui è impossibile liberarsi da soli. Cacciare i demoni equivale all’esercizio efficace di un medico che guarisce attraverso l’esorcismo.

Fatto è che i demoni di cui stiamo parlando, seguendo la narrazione di Matteo, escono in massa dai due ossessi ed entrano nei porci, animali considerati immondi nel giudaismo, ma non presso gli abitanti della città, i quali, davanti all’accaduto, supplicano Gesù di allontanarsi dai loro territori come persona, almeno economicamente, dannosa. Era successo che tutta la mandria indemoniata dall’alto di un dirupo era precipata nell’acqua e dei porci non se ne era salvato nessuno. I guardiani della mandria erano fuggiti e, giunti nella città, avevano riferito ogni cosa (Mt 8,33).

È questo uno dei tanti episodi, il più scenografico, di una guerra senza quartiere tra Gesù e il male psichico e spirituale che a volte possiede massivamente le persone. Il contesto è la guarigione o cura, di cui Gesù è capace in modo straordinario. Aveva appena guarito due ciechi che gli avevano fatto una pubblicità indesiderata in tutta la regione, quando, «mentre essi [Gesù e i discepoli] se ne andavano, gli fu presentato un muto posseduto dal demonio» (Mt 9,32). Scacciato il demonio, il muto riacquistò la parola, con lo stupore della folla. Alcuni però, nelle cose di Dio più colti degli altri, spiegavano: «Per mezzo del principe dei demoni, egli scaccia i demoni» (Mt 9,32-34).

Considerare gli altri come "indemoniati" era uno sport diffuso e, al momento opportuno, praticato, come abbiamo visto, anche da Gesù. «È venuto Giovanni che non mangiava né beveva, e si diceva: è indemoniato» (Mt 11,18). Così è la gente per bene che parla. Però Gesù neppure è protetto da una accusa, equivalente o ancora peggiore per la sua falsità: è un mangione e ubriacone, amico di pubblicani e peccatori (e peccatrici) (cf Mt 11,19).

In un dibattito nel mezzo di una festa nel tempio di Gerusalemme, dove era salita molta gente, Gesù ha parole che provocano l’uditorio: Mosè non vi ha dato forse la legge? Ma nessuno di voi la mette in pratica. Perché cercate di uccidermi? A questa sfida è la folla che gli risponde per le rime: «Tu hai un demonio; chi cerca di ucciderti?» (Gv 7,20). Gesù aveva percepito la violenza contro la sua persona e contro quanto egli andava insegnando.

In altra circostanza, a un altro attacco condotto da Gesù sull’ascolto mancato della parola di Dio, «perché non siete da Dio», i Giudei reagiscono con convinzione: «Non diciamo noi giustamente che sei un Samaritano e che hai un demonio?». Samaritano, cioè "eretico", non è titolo dispregiativo per Gesù, che non attacca i peccatori quanto chi, considerandosi ortodosso, disprezza gli altri. Risponde quindi semplicemente: «Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate» (cf Gv 8,47-49). La difesa di Gesù è quella verità che libera chi l’ascolta e la pratica (cf Gv 8,32). Il dissenso è però proprio sulla parola di Gesù: «In verità, in verità vi dico: Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Al che i Giudei, pronti, rimasti increduli, ribattono: «Adesso siamo sicuri che hai un demonio» (Gv 8,51-52).

Sono dialoghi difficili a tre: demonio, Gesù e i giudei. Gesù stesso sarebbe un demonio per il fatto che si considererebbe, secondo i suoi avversari, più grande dello stesso padre Abramo che è morto. Come è possibile invece che le parole di un semplice giudeo, condurrebbero alla vita eterna? «Anche i profeti sono morti, tu chi pretendi di essere?» (Gv 8,53).

Ironicamente, Gesù che sostiene di essere ministro della vita, è considerato pazzo, che porterebbe piuttosto alla morte chi lo segue. A proposito, infatti, di un’autodescrizione come "pastore" e come "porta" delle pecore, che muore cioè dando la vita per loro, e per riprendersela di nuovo nella risurrezione, ritorna l’accusa di demoniaco. Nella circostanza però ci fu una divisione nel fronte dei Giudei a causa delle parole di Gesù. La maggioranza di essi ("molti") dicevano: «Ha un demonio e delira. Perché lo ascoltate?». Altri però, meno teologi astratti e più osservatori concreti della realtà, si interrogavano: «Queste parole non sono di un indemoniato. Un demonio può forse aprire gli occhi ai ciechi?» (cf Gv 10,17-21), riferendosi evidentemente al racconto della guarigione del cieco nato da parte di Gesù luce del mondo (cf Gv 9,1-41).

Gesù stesso dunque, è considerato possessore di un demonio (o posseduto?), per la verità che cerca di comunicare e per la vita di Dio che spande tra la gente. Sarebbe un indemoniato per il ministero che svolge. Ci sembra di capire un suggerimento di Giovanni: che sono invece proprio queste delle accuse demoniache, anche se vengono proferite da persone religiose e che si considerano nella verità.

Ritornando a Matteo, come sulla traccia principale che stiamo seguendo per descrivere questo scontro tra Gesù e Satana, troviamo un "indemoniato" in Mt 12,22: «Allora gli fu presentato un indemoniato che era cieco e muto ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva». L’esorcismo è una guarigione che riattiva la vista e la lingua.

Nella mentalità di chi lo presenta a Gesù, forse c’è la convinzione di una connessione tra demonio e malattie gravi come mutismo e cecità. L’infermità fisica avrebbe un’origine nell’ostilità di spiriti cattivi. Gesù non discute queste convinzioni, ma lotta per distruggere il regno di Satana, riuscendoci. Non gli riesce tuttavia di convincere alcuni che non credono in lui come Figlio di Dio sulla bontà della sua opera e quindi sulla potenza di Dio suo Padre: «E se Satana scaccia Satana, vuol dire che è diviso in sé stesso; come dunque potrà stare in piedi il suo regno?» (Mt 12,26).

Il nemico che continua a seminare zizzania fino alla fine «è il diavolo; la mietitura è la fine del mondo; i mietitori infine sono gli angeli» (Mt 13,39). Bisogna imparare ad attendere le ultime cose prima che la giustizia si compia definitivamente. Intanto però il ministero di liberazione continua, in territori di confine, come Tiro e Sidone. «Ed ecco: una donna cananea, originaria di quei paesi, gridava: "Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide; mia figlia è duramente vessata dal demonio!"» (Mt 15,22). Gesù l’ascolta e ne guarisce la figlia dopo aver lasciato esprimere alla madre la sua grande fede con l’immagine delle briciole di cui anche i cagnolini hanno diritto a nutrirsi. Allo stesso modo Gesù ascolta il padre di un figlio che soffre forse di epilessia e cade nel fuoco e nell’acqua rischiando ogni volta di morire: «"Portatemi qui il fanciullo". Allora, con parole minacciose, Gesù comandò al demonio di uscire da lui; da quell’istante il fanciullo fu guarito» (Mt 17,18).

Anche da queste minacce impariamo qualcosa sull’autorità di Gesù, da cui il male è forzato a uscire dall’uomo e dalle sue malattie psichiche in cui sembra annidarsi. In questo caso, è obbligato a uscire dai più piccoli. Gesù è il compagno di viaggio che si prende cura di chiunque incontra, soprattutto se soffre disperatamente come quel padre di famiglia. I discepoli non erano riusciti a guarire il fanciullo perché la loro fede non raggiungeva ancora, come Gesù stesso suggerisce, neppure la grandezza di un seme di senapa, e forse anche per la loro scarsa preghiera e digiuno (cf Mt 17,19-21).

I discepoli sono però incaricati a continuare l’opera di Gesù. Tra i segni dei credenti nella loro parola, Gesù elenca la sua promessa: «Nel mio nome scacceranno i demoni... imporranno le mani agli infermi e questi saranno risanati» (Mc 16,17-18). Chi però non crederà in Gesù, nel giudizio finale si sentirà condannato, se non avrà fatto nulla di buono per i bisognosi incontrati lungo la vita: «Quindi dirà a quelli che stanno alla sinistra: Andate via da me, o maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi seguaci» (Mt 25,41). Per alcuni senza amore per gli altri, non ci sarebbe più liberazione dal male come prospettiva di salvezza, ma una sottomissione eterna al maligno. Il pastore di anime però, che si è preso cura di tutti, non dovrebbe risultare nella lista di quelli di sinistra.

Da "Vita Pastorale n° 1 - Gennaio 1998"
 
                                                            
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