Apostolicam actuositatem - Rileggiamo il Vaticano II in attesa del Giubileo Una grande forza per il futuro della Chiesa L’apostolato dei laici di
FRANCO PERADOTTO | |
Non è facile stabilire, ad un trentennio dal Vaticano II, quanto della sua dottrina sui laici sia stato recepito e quanto ampliato a vantaggio del riconoscimento del loro ruolo di protagonisti nella vita ecclesiale. Bisogna riconoscere che, troppo spesso, quando si parla di responsabilità laicale si analizza quanto sia cresciuta la loro presenza nell’azione pastorale diretta accanto al clero, nelle parrocchie e nelle comunità come catechisti, animatori e operatori pastorali, lettori liturgici e cantori di assemblee, ministri straordinari della comunione. Ma il vero campo laicale è il mondo con tutte le sue articolazioni, sono le situazioni di vita da illuminare con la luce del vangelo. E le donne? Quando venne pubblicato il decreto Apostolicam actuositatem sull’apostolato dei laici, il Vaticano II si avviava al termine. Il documento porta infatti la data 18 novembre 1965. Meno di un mese dopo il Concilio, ultimo del secondo Millennio della storia del cristianesimo, sarebbe stato concluso con incisivi discorsi di Paolo VI in una solennissima celebrazione in piazza San Pietro. C’erano state quattro sessioni: la prima guidata da Giovanni XXIII tra l’11 ottobre e l’8 dicembre 1962 senza l’approvazione di alcun documento; la seconda voluta e guidata, come le successive, da Paolo VI dal 29 settembre al 4 dicembre 1963 con l’approvazione della costituzione sulla Liturgia e del decreto sulle comunicazioni sociali; la terza dal 14 settembre al 21 novembre 1964 con l’approvazione della costituzione Lumen gentium e dei decreti Orientalium ecclesiarum e Unitatis redintegratio; la quarta e ultima dal 14 settembre all’8 dicembre 1965 con undici documenti: i decreti Christus dominus, Perfectae charitatis, Optatam totius e la dichiarazione Gravissimum educationis approvati con data 28 ottobre; la costituzione Dei verbum e il decreto Apostolicam actuositatem con data 18 novembre; la dichiarazione Dignitatis humanae, i decreti Ad gentes divinitus e Presbyterorum ordinis e la costituzione Gaudium et spes con data 7 dicembre 1965. Questa cadenza, prima al rallentatore poi massiccia nell’ultimo mese del Vaticano II, va tenuta presente per comprendere come non sia stato facile per gli stessi padri conciliari districarsi circa la maggiore o minore importanza dei documenti stessi, pur essendo diverse le qualifiche: costituzioni, decreti, dichiarazioni. Ma questo spiega anche quanto fosse grande l’attesa in allora (se ne parlò parecchio sui giornali e nei gruppi dei "vaticanisti" e dei numerosi "esperti" che i padri conciliari avevano portato con sé a Roma da tutte le parti del mondo con sensibilità teologica assai diversa). Leggere un solo documento conciliare senza i rimandi ad altri testi dello stesso Vaticano II, non consente di avere la percezione della varietà di sottolineature circa un argomento. Questo va detto anche per quanto proposto per i laici. A chi volesse compiere questo lavoro di confronto suggerisco due metodi.
Il primo è contenuto nella nota 2 del Decreto Apostolicam actuositatem dove si rimanda ad almeno metà dei documenti conciliari approvati prima di tale decreto con questa indicazione: «Il sacro Concilio, volendo rendere più intensa l’attività apostolica del popolo di Dio, con sollecitudine si rivolge ai fedeli laici, dei quali già altrove ha ricordato la parte propria e assolutamente necessaria nella missione della Chiesa. L’apostolato dei laici, infatti, derivando dalla loro stessa vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa» (Proemio 1). Il rimando, praticamente, a quasi tutti i documenti conciliari è la prova esplicita e ampia di quanto sia essenziale la partecipazione attiva e responsabile del mondo laicale in tutta la sua composizione per età, sesso, categorie sociali e professionali alla vita della Chiesa. Scrivevano con molta lealtà i vescovi nella costituzione Lumen gentium al capitolo quarto sui laici: «I sacri pastori, infatti, sanno benissimo quanto contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all’opera comune. Infatti bisogna che tutti, "operando conforme alla verità andiamo in ogni modo crescendo nella carità verso colui che è il Capo, Cristo; da lui tutto il corpo, ben connesso e solidamente collegato, attraverso tutte le giunture che l’azionano secondo l’attività proporzionata a ciascun membro, opera il suo accrescimento e si va edificando nella carità"» (n. 30). Fu questo il testo più conclamato nel laicato, talora anche strumentalizzato polemicamente per ricordare a certi vescovi, più capi che pastori, i limiti della loro capacità interpretativa della realtà contemporanea senza pregiudicare la sacramentalità dell’episcopato con tutte le conseguenze. Basterebbe rileggere certe riviste "critiche" dell’epoca per rendersene conto. Più fortunate quelle diocesi – in maggioranza – dove i vescovi "tornati a casa da Roma", come si diceva, avviarono riflessioni comuni e pazienti con tutto il popolo di Dio alla ricerca della corresponsabilità di ognuno nel pieno rispetto dei ministri sacramentali. Fu l’epoca in cui alcuni vescovi costruirono le lettere pastorali, e i documenti orientativi per le loro chiese locali, con variegate consulenze del Popolo di Dio in riferimento alle problematiche che andavano emergendo.
Non dimentichiamo per l’Italia il famoso ’68 che tanti problemi pose nel mondo del lavoro (industriale e sindacale) e nel mondo universitario o scolastico in genere. Fu pure l’epoca in cui gli stessi settimanali diocesani e riviste cattoliche cercarono quel margine di autonomia, responsabilmente maturata nelle redazioni e con i vescovi locali, per evitare l’impressione di essere organi ufficiali della gerarchia: un problema che per certi aspetti rimane tuttora. Si introdussero proprio nei mass media sempre più numerosi laici e laiche fino a livello di redattori principali e di direttori; ma ancora oggi appare come quasi eccezionale il fatto che un settimanale diocesano abbia per direttore responsabile un laico (a quando una laica?). Le comunicazioni sociali (stampa, radio, televisione) sono il campo più delicato per accettare nella pratica la succitata espressione della Lumen gentium. Un secondo modo per cogliere tutto il pensiero del Vaticano II sul laicato sono gli "indici analitici", ormai pubblicati nelle principali edizioni dei testi conciliari. Quelli del primo volume dell’Enchiridion vaticanum, EDB, raccolgono in tredici capitoletti tutta la tematica laicale. Eccoli:
Chi volesse conoscere nei dettagli tutti questi capitoletti sappia che, per ogni rimando, c’è una breve sintesi. Sarebbe interessante che nelle diocesi per completare quanto affermano i sinodi circa il laicato, si percorressero i dettagli dell’insegnamento conciliare. Si uscirebbe dalle dichiarazioni di buona volontà e dagli appelli generici sulla responsabilità laicale. C’è ancora troppa retorica al riguardo. Il Vaticano II era stato ben più preciso e dettagliato. Un altro indice analitico utile è quello della edizione tascabile dei testi conciliari delle Edizioni Paoline: sono quasi un centinaio i rimandi specifici.
Non è facile stabilire, ad un trentennio dal Vaticano II, quanto della sua dottrina sui laici sia stato recepito e quanto ampliato a vantaggio del riconoscimento del loro ruolo di protagonisti. Scriveva il decreto Apostolicam actuositatem: «Ma i laici, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, nella missione di tutto il popolo di Dio assolvono compiti propri nella Chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l’apostolato con la loro azione per l’evangelizzazione e la santificazione degli uomini e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine delle realtà temporali, in modo che la loro attività in questo ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini. Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari secolari, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, a modo di fermento esercitino nel mondo il loro apostolato» (n. 2). Bisogna riconoscere che, troppo spesso, quando si parla di responsabilità laicale si analizza quanto sia cresciuta la loro presenza nell’azione pastorale diretta accanto al clero, nelle parrocchie e nelle comunità come catechisti, operatori e animatori pastorali, lettori liturgici e cantori di assemblee, ministri straordinari della Comunione ecc. Tutti servizi all’ombra del campanile. Purtroppo molti preti quando dicono "i miei laici" pensano solo o primariamente a quelli citati. Certo hanno una loro importanza: ma il vero campo laicale è il mondo con tutte le sue articolazioni. L’aiuto che debbono ricevere nelle comunità riguarda l’essere nel mondo ventiquattro ore su ventiquattro, non per poche ore alla settimana nelle aule catechistiche o negli oratori e campi sportivi. La partecipazione alla vita liturgica non si esaurisce nel canto o nell’alternarsi per le letture e le preghiere dei fedeli. Scrive Apostolicam actuositatem in riferimento alla partecipazione alla assemblea liturgica in maniera attiva: «I laici devono usare tali aiuti in modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie della vita, non separino dalla propria vita l’unione con Cristo, ma, svolgendo la propria attività secondo il volere divino, crescano in essa». E soggiunge: «Facciano pure gran conto della competenza professionale del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d’animo senza le quali non ci può essere neanche una vera vita cristiana» (n. 4).
Anche sul concetto di apostolato il testo ha aperto l’orizzonte dei "buoni cristiani" e delle "anime devote". Ancora dal testo conciliare: «L’apostolato non consiste soltanto nella testimonianza della vita; il vero apostolo cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola sia ai non credenti per condurli alla fede, sia ai fedeli per istruirli, confermarli ed indurli ad una vita più fervente... Siccome in questo nostro tempo nascono nuove questioni e si diffondono gravissimi errori che cercano di distruggere dalle fondamenta la religione, l’ordine morale, e la stessa società umana, questo sacro Concilio esorta vivamente tutti i laici, perché, secondo le doti di ingegno e la dottrina di ciascuno e seguendo il pensiero della Chiesa, adempiano con più diligenza la parte loro spettante dell’enucleare, difendere e rettamente applicare i princìpi cristiani ai problemi attuali» (n. 6). Quanto avviene questo? Quanti laici e laiche sono convocati ai vari livelli della Chiesa per esprimersi, sulla base della loro competenza, secondo un dialogo schietto e aperto? Proprio nel decreto sull’apostolato dei laici si trovano ampiamente esposti i princìpi riguardanti la loro presenza nel mondo onde costruire quello che venne chiamato fin da allora "l’ordine temporale" e che ebbe nei documenti del magistero sociale del Papa e dei vescovi molti contributi. «Spetta ai pastori enunciare con chiarezza i princìpi circa il fine della creazione e l’uso del mondo, dare gli aiuti morali e spirituali affinché l’ordine temporale venga instaurato in Cristo. Bisogna che i laici assumano l’instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio e in esso, guidati dalla luce del vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operino direttamente e in modo concreto; che come cittadini cooperino con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; che cerchino dappertutto e in ogni cosa la giustizia del regno di Dio... Tra le opere di simile apostolato si distingue eminentemente l’azione sociale dei cristiani che il Concilio desidera oggi si estenda a tutto l’ambito temporale, anche alla cultura» (n. 7). Si poneva, fin da allora, il problema dell’autonomia laicale nella concretezza della vita. Nasceva in Italia – fino a causare tensioni e fratture – il discorso sul laicato cattolico e la presenza nei partiti (uno solo o varietà di moduli?) che la Gerarchia in molteplici occasioni cercò di orientare più o meno direttamente. Si pensi alle indicazioni elettorali e alle "settimane sociali": due tra le tante occasioni scelte in questi anni per compaginare Magistero e autonomia operativa laicale. Discorso sempre aperto che, anche nelle Assemblee ecclesiali di Roma, Loreto e Palermo, ebbe largo spazio nei numerosi interventi "ufficiali", nelle relazioni dei laici, soprattutto nei gruppi di studio. Maturò dal Vaticano II la definizione "carità politica" che consentì di qualificare la dimensione solidaristica, tirandola fuori da un concetto di pura beneficenza spontanea, e di chiedere a tutti i laici e laiche una presenza nel mondo non solo spontanea e occasionale.
Testo fondamentale (che ormai guida tutto il "volontariato", altro positivo fenomeno post-conciliare sviluppatosi ampiamente negli ultimi trent’anni): «Si abbia riguardo, con estrema delicatezza, alla libertà e dignità della persona che riceve l’aiuto; la purezza d’intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della propria utilità o da desiderio di dominio; siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non solo gli effetti, ma pure le cause dei mali; l’aiuto sia regolato in modo tale che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e divengano autosufficienti» (n.8). Si invitavano pure i cristiani a non chiudersi nelle "opere proprie", ma a trovare spazio e collaborazione nelle "opere civili e sociali". Si avviava il "rapporto tra pubblico e privato", variamente accettato nelle chiese locali e nelle comunità parrocchiali a tutto beneficio dell’intera comunità, indipendentemente dall’appartenenza religiosa. Fu un argomento di estrema attualità a partire dalla scuola, dalle realtà sanitarie e assistenziali disseminate ovunque. Un particolare però: spesso si leggono i documenti conciliari secondo l’ottica puramente italiana. C’è da pensare che in altri Stati e Continenti la realtà laicale cristiana abbia avuto ed abbia ben diversificate attuazioni sulla base di usi, costumi, ideologie politiche, organizzazioni civili. Ecco perché tali modelli alternativi ai nostri, italiani, vanno attentamente osservati e valutati, senza trasferirli pari pari tra noi. Nei campi di apostolato laicale (capitolo terzo della Apostolicam actuositatem) si chiede la particolare presenza del mondo femminile che Giovanni Paolo II farà passare dalle poche righe del Concilio a una vastità di trattazioni dottrinali e pratiche che porteranno la parità femminile sulla linea di quella maschile (tolto il discorso sulla impossibilità della ordinazione sacerdotale femminile). Scriveva la Apostolicam actuositatem: «Siccome poi ai nostri giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita sociale, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa» (n. 9). Passeranno parecchi anni prima che con Giovanni Paolo II si arrivi alla Mulieris dignitatem, alla "Lettera alle donne", al coinvolgimento del mondo femminile nei molteplici settori della pastorale. In tale ottica anche la visione della famiglia cristiana assumerà nuove dimensioni: basta pensare alla Familiaris consortio di Giovanni Paolo II e a tutti i documenti successivi del suo Magistero. Davvero, per quanto riguarda il laicato, si può dire che il "granello di senapa" sta diventando un albero robusto. Una speciale attenzione il Vaticano II dedicò ai movimenti laicali, alle associazioni e ai gruppi. Ne ha promosso lo sviluppo in risposta ai vari carismi; ha favorito il sorgere di organismi di collegamento internazionale e nazionale; ha sollecitato incontri e convegni. Le problematiche sono ancora molte: basta pensare a queste presenze nelle parrocchie e nelle diocesi. La dottrina del "Corpo Mistico" e della "Chiesa comunità e comunione" diventa faticosa (quando addirittura non polemica) nel passaggio dalla teoria alla prassi. La concorrenzialità è molto evidente. Si ricordi il famoso n. 20 della Apostolicam actuositatem sulla "azione cattolica" (in Italia si discusse parecchio se si trattasse solo dell’Azione cattolica italiana o anche di altre associazioni "con altro nome"). La tipicità di essa era racchiusa nelle quattro caratteristiche: a) fine stesso della Chiesa (evangelizzazione, santificazione, formazione delle coscienze); b) collaborazione con la gerarchia secondo il modo proprio, con piena responsabilità nel dirigere le associazioni; c) azione a guisa di corpo organico; d) possibilità di vedere sancito con un particolare "mandato" tale attività. C’era poi un aspetto singolare circa il laicato che tante curiosità suscitò; la possibilità dei laici di avere compiti direttivi in associazioni e opere di apostolato ed anche negli organismi della Santa Sede. Se ne videro via via gli effetti nella prassi internazionale e nazionale (cf n. 22). Passarono, dai testi conciliari sul laicato alle applicazioni successive intra ed extra ecclesiali, molti anni fino a quando Giovanni Paolo II nella successione dei Sinodi della Chiesa universale promosse quello dedicato alla "vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo" e svoltosi nell’autunno del 1987. Un anno dopo pubblicava l’esortazione apostolica Christifideles laici che, raccogliendo gli apporti dei vescovi e degli "esperti e testimoni laici", proponeva un cammino totalmente rinnovato alla Chiesa cattolica. Simbolo di tutto "la vite" secondo la parabola di Gesù. Ecco i titoli dei capitoli: "Io sono la vite voi i tralci"; "Tutti tralci dell’unica vite"; "Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto"; "Gli operai della vigna del Signore"; "Perché portiate più frutto". Quel Sinodo e la esortazione apostolica di Giovanni Paolo II furono e sono tuttora il modo più evidente per indicare come l’azione dello Spirito Santo sospinga la comunità cristiana, tutta e articolata, nel mondo di oggi e verso il Duemila. Franco Peradotto | |
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