Se qualcosa
non va di Giuseppe Barigazzi | |
«L’adolescenza»,
dice il sacerdote-educatore don Aldo Geranzani, «è l’età degli entusiasmi
e dei sogni. Purtroppo gli adulti cercano di smontare questi sogni per
dare ai loro figli il senso della realtà. Ma il risultato è spesso
deludente...».
Don Aldo Geranzani, 54 anni, milanese (è nato a Bollate), laureato in filosofia, la sa lunga sui nostri ragazzi. Fin da quando è diventato sacerdote, nel 1970, ha sempre vissuto in mezzo a loro: prima come prete di oratorio a Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, in una delle zone più popolari di Milano, poi come insegnante di religione – liceo scientifico "Allende" e liceo classico "Parini" – e, infine, da dieci anni, come rettore del collegio San Carlo, la scuola che ebbe tra i suoi allievi il futuro papa Achille Ratti e che ora ha ben milleduecento alunni, divisi tra materne, elementari, medie, licei e istituto tecnico. Don Aldo li chiama tutti per nome, uno per uno, conosce il loro rendimento, le loro famiglie, sa che cosa possono mangiare, come chiudere un occhio se proprio qualcuno vuole accendere la sigaretta, sa come leggere la loro disponibilità a una scalata o a sentire una Messa alle cinque del mattino quando se ne tira dietro una squadra in montagna o in Terra Santa. Fors’anche per il suo aspetto giovanile, è una specie di prete-padre per le decine di migliaia di ragazzi che ha visto crescere. Come vede, lui che vive in prima linea, i problemi, le fragilità, gli entusiasmi dell’adolescenza? «Per me», dice, «l’adolescenza, quel periodo di mezzo che si vive tra la fanciullezza e l’età adulta, quindi tra i dodici/tredici e i quindici/sedici anni, è l’età degli entusiasmi e dei sogni. Purtroppo gli adulti cercano di smontare questi sogni per dare ai loro figli il senso della realtà. Nel tentativo di intrupparli provocano degli scontri perché non capiscono che i ragazzi desiderano soltanto marcare il territorio della loro libertà. Il risultato è che i figli finiscono per non poterne più di questo atteggiamento dei genitori i quali, a loro volta, convinti di riconquistare il terreno perduto, rimpinzano i ragazzi come oche all’ingrasso. Alla fine, i ragazzi rifiutano e si trovano soli».
L’esempio del pendolo Don Aldo Geranzani traduce questa sua diagnosi in un’immagine: «Il rapporto genitori-figli è come l’oscillare di un pendolo: i genitori cercano di fermarlo alzando un muro. Invece dovrebbero oscillare, assieme al pendolo». Sarà perché ci vive dentro, ma don Aldo si sente vicino a quei giovani che molti vorrebbero mettere sotto accusa. «Tanti ragazzi», continua, «possono sembrare scontrosi, reattivi, addirittura degli snob con la puzza sotto il naso: se così è, cosa che non di rado avviene, è dovuto al fatto che soffrono di solitudine affettiva perché nelle loro famiglie è avvenuto qualche scollamento. Fin che sono bambini sono infatti iper-coccolati, poi sono abbandonati a sé stessi. Noi chiamiamo "paste frolle" quelli che si lasciano andare più facilmente perché non hanno il senso della reazione, della conquista». L’adolescenza, punto di equilibrio di ogni crescita, può essere dunque carente quando sono carenti i genitori. Come si può uscire da questa situazione? «Dobbiamo, ahimè, fare i conti con una società bacata. Qualcuno ha detto che se il cuore della società è il profitto, la società è senza cuore. Cerchiamo quindi di reagire dando ai nostri figli valori alti, facendo loro provare l’emozione dei grandi ideali. E non diamo ascolto alle sirene consumistiche di cui i ragazzi fanno le spese. Perché, ad esempio, certi spot pubblicitari continuano a presentare ragazzi che spendono? Chi li ha educati? E non sarebbe ora di correggere questi messaggi?». C’è chi arriva a scuola scendendo dalla Mercedes del padre. Poi vai a guardare e senti ripetere un vecchio discorso: «Non sono certo i soldi che fanno la felicità di un ragazzo. Sarei più sereno, avrei meno problemi, se avessi un padre che sta di più con me». Si ritorna così al discorso del padre che non c’è, di ragazzi che crescono come fossero orfani dei genitori. «È un problema di equilibrio», dice il rettore del "San Carlo", «e penso a quanto possa essere facilmente rovesciata la parabola del figliol prodigo. Cioè: se quel figlio se ne fosse andato perché la vita in casa era diventata impossibile? Non vogliamo ipotizzare questo rovescio della medaglia? Il fatto è che tante mamme e tanti papà si occupano dei loro figli, in maniera spesso oppressiva, fino a che hanno di fronte dei bambini, dei giocattoli, diciamolo pure, di cui andare fieri. Poi, per una sorta di abdicazione, questi genitori si dileguano, magari confidando nella scuola o negli amici dei loro figli, in altre parole nella società. Il discorso si fa allora delicato. Dal mio osservatorio vedo che si è come smarrita per strada la cultura del grazie, del "mi impegno per gli altri", del sentire la vita come un dono. Si è come smarrito il senso di una gratitudine goccia a goccia che vada ad irrigare la quotidianità. Teniamo presente ciò che diceva Gibran: "I vostri figli abiteranno case che voi nemmeno in sogno potete visitare"».
La cultura del grazie Don Aldo, si può vivere felicemente questa "età degli entusiasmi e dei sogni"? «Certo. Si vive bene quell’età se prima i genitori hanno saputo essere presenti, hanno saputo dare il senso della realtà, della cultura del grazie, del rispetto altrui. In altre parole se si hanno dei genitori che sanno essere equanimi, veri, credibili. I figli cercano verità e dolcezza. I genitori a loro volta devono essere rigorosi, ma non devono mettere mille paletti per creare poi chissà quali automi. I paletti sono necessari, ma ne bastano soltanto due o tre. Perché siamo di fronte a una realtà chiaroscurale. Da gestire, si diceva, con equilibrio. Un immenso equilibrio». Lei ha conosciuto i ragazzi di periferia, alla Chiesa Rossa, poi quelli di estrazione borghese, al "Parini" e al "San Carlo". Sono diverse le situazioni? «No. Il discorso non è molto diverso. Perché i problemi dell’educazione passano attraverso tutta la società». Giuseppe Barigazzi | |