Officina della THEORÎA

Su un articolo di Gary L. Francione
- a cura del Collettivo -




Un articolo del noto militante per i diritti degli animali
G.L. Francione
è apparso sull'inserto del Manifesto
“Le Monde Diplomatique”.
Un numero del periodico attento alle forme del dominio in tutte le sue manifestazioni integra finalmente tra i suoi temi anche quello da sempre dimenticato.
Segno di una scoperta o, semplicemente, scelta “eccentrica”?
Chissà. Certo che il disegno che compare nella stessa pagina sembra prendere polemicamente la distanza dall'articolo con il famoso e sempreverde argomento della “povera insalata”.

Sul numero di febbraio di “Le Monde Diplomatique” è apparso un articolo di Gary L. Francione: “Umanità, Animalità, quali frontiere?”. L’articolo era atteso anche se sussisteva qualche incertezza sulla sua pubblicazione. Occorre dire che il brano è apprezzabile perché consegna riflessioni nuove a un pubblico ancora lontano dall’idea della liberazione animale.

Se si fa astrazione da questo aspetto, però, bisogna convenire che il lavoro di Francione non appare particolarmente brillante evidenziando alcune strane imprecisioni concettuali. Infatti la lettura del testo fornisce l’impressione che il filo dell’argomentare si muova su due piani intersecati che dovrebbero invece godere di sostanziale indipendenza l’uno dall’altro. E’ quello che cercheremo di dimostrare.


1) - L’Etologia e il Progetto Grande Scimmia sono due cose diverse

L’articolo prende spunto dal Progetto Grande Scimmia (d’ora in poi “PGS”), idea verso la quale l’autore ha mostrato un’iniziale adesione e una successiva presa di distanza. Occorre dire che sia l’adesione che la sconfessione contengono un margine di problematicità non facile da risolvere. Tuttavia, pur considerando le inevitabili difficoltà inerenti al giudizio sul “Progetto”, Francione si lancia in considerazioni piuttosto interessanti ma anche avulse dal tema che vuole delucidare.

Le considerazioni interessanti riguardano la descrizione di una moda che coinvolge un intero ramo della scienza, l’etologia, la quale consiste nel frugare nel cervello di primati, delfini, pappagalli e altri animali con l’intento di trovare corrispondenze con le strutture cognitive del sistema umano. L’identificazione di strutture simboliche in questi animali consentirebbe agli etologi di confermare ciò che già sono costretti a contemplare come ipotesi considerando che si muovono (logicamente) in una prospettiva darwiniana. Dato l’assioma evoluzionistico, molte strutture individuabili come “umane” devono ritrovarsi necessariamente anche negli altri animali. In primis Francione rileva che questa attività “scientifica” di osservazione che egli chiama con l’espressione “Teoria della Similitudine del Pensiero” comporta ricerche che sfruttano “in prevalenza... la sperimentazione animale”, insomma, la vivisezione. Basterebbe già questo per screditare buona parte dell’etologia agli occhi degli attivisti per la liberazione animale. Ma l’affondo prosegue. Riprendendo un concetto che risale ben oltre Voltaire (che ne ha fornito una celebre versione), l’autore sembra suggerire che se gli etologi si accontentassero di sapere se un pensiero esiste negli animali, il loro lavoro di ricerca sarebbe inutile. Infatti chiunque possegga un cane o un gatto è in grado di comprendere che, per svolgere la sua attività naturale, l’essere vivente ha bisogno di una propria attività cognitiva senza la quale il suo comportamento sarebbe inadeguato o addirittura inesistente. Qual è dunque la ragione per la quale l’etologia – scienza oltreché inutile[1], anche equivoca, data la sua natura imperialistica di fondo – si diletta con la misura dei quozienti di intelligenza? Qui l’autore sembra proporre un’interessante interpretazione: siccome non serve a niente, ci deve essere uno scopo recondito. Lo scopo, egli dice, è apparentemente quello di esaltare l’intelligenza dell’animale, ma, nella sostanza, è quello di suggerire l’inarrivabile perfezione umana. Secondo questa interpretazione l’etologia si pone come un falso alleato dell’animale. Infatti, ricercando e trovando similitudini cognitive, prospetta una crescita del rispetto umano per l’animale “intelligente” ma – oltre a proiettare un’ombra di disprezzo per quello “non intelligente” – tale rispetto non si concretizza in atteggiamenti di sostanziale rifiuto al possesso e allo sfruttamento perché, per quanti sforzi si facciano, il metro di riferimento è sempre costituito dalle facoltà cognitive umane. Perciò, rispetto a queste, le facoltà cognitive degli animali “intelligenti” saranno sempre piuttosto parziali e incomplete. Poiché non si darà mai che un pappagallo, dal suo trespolo, incominci a enunciare una dottrina politica sull’oppressione degli umani sugli uccelli, l’umano si riterrà in obbligo di poter ingabbiare, mangiare e sparare agli uccelli.

Fin qui la critica di Francione, per quanto non nuova – ma, ripetiamolo, utile in un giornale disattento ai temi antispecisti – risulta centrata. Purtroppo l’autore commette una forzatura: confonde la critica sacrosanta alla ricerca etologica con il PGS. Egli assume che il progetto nasca in tale contesto, ma il supposto collegamento non pare fondato. L’autore dovrebbe rendersene conto quando cita l’“insigne” primatologa Jane Goodall che si è rifiutata di sottoscrivere un “appello per la definitiva messa al bando dello sfruttamento da parte dell’uomo di questi non umani”. In effetti i firmatari del PGS (tra i quali piuttosto significativamente figura l'autore dell'articolo) non sono animati dall’intenzione di salvaguardare le grandi scimmie perché posseggono strutture cognitive simili a quelle umane, ma perché ritengono che, qualora venisse a cadere la barriera specista che l’umano ha costruito intorno a sé, la successiva battaglia per l’inclusione di altre specie di sensibili sarebbe più facile da vincere.

Naturalmente la tesi dei sostenitori del PGS non è scontata e qui non si vuole prendere partito né a favore né contro. Non per scelta “super partes”, ma perché effettivamente risulta difficile esprimere un giudizio. In sostanza potrebbe accadere che quella ipotetica vittoria potrebbe congelarsi in un semplice adeguamento legislativo per sostanziarsi in una esclusione pura e semplice dei primati dalla sperimentazione. L’aspetto simbolico di tale fatto, tanto atteso dai fautori del PGS, potrebbe di fatto essere annullato con un semplice “Ok, non sperimentiamo più sulle scimmie così qualcuno è contento e noi ci mostriamo comprensivi dirottando le ricerche su altri animali”. Ne consegue che il PGS può essere sostenuto o contrastato a prescindere dall’argomento presentato da Francione e può accadere che portatori di valori opposti si trovino d’accordo sullo stesso giudizio finale. Francione, che è un autentico sostenitore dei diritti animali si trova d’accordo con Danilo Mainardi che in una conferenza[2] ha definito “razzista” (in modo improprio, ma rendendo bene il suo pensiero) il PGS con analogo ragionamento. Ma mentre il primo prende le distanze perché teme che il PGS blocchi il processo di liberazione degli animali; il secondo perché, con l’escamotage del rifiuto, sembra voler rinforzare la cintura protettiva che l’Homo Doppio Sapiens erige intorno a sé.

Di converso, Paola Cavalieri e Peter Singer, bandiere del PGS e autentici difensori dei diritti degli animali, potrebbero trovare ascolto in qualche legislazione nazionale senza che questa perda la sua caratterizzazione specista, proprio perché l’assunzione del progetto non implica forzatamente l’assunzione del suo significato simbolico[3]. Infatti, la solennità della dichiarazione del PGS, pur possedendo espressioni inequivocabili e forti potrebbe benissimo venire depotenziata nella traduzione legislativa del paese che dichiarasse di accettarla. Oppure, fatto ancora più grave, potrebbe essere assunta nella sua veste originaria, ma senza interiorizzarne e assumerne le implicazioni più profonde. Come si vede si possono sviluppare strani giochi incrociati e proprio per questo risulta difficile giudicare il portato del PGS. Probabilmente il giudizio dovrebbe contemplare anche le mosse successive al progetto che l’attivismo animalista sarebbe in grado di mettere in campo per conferirgli il significato per il quale è stato pensato. In ogni caso non pare sussistere il motivo di confondere un’idea nata con le intenzioni di infrangere la barriera specista con le ambizioni voyeuristiche dell’etologia e i suoi scopi più o meno reconditi.

 

2) - Le debolezze del Liberazionismo vanno cercate altrove

La questione evocata da Francione che chiama in causa l’etologia e il Progetto Grande Scimmia approda a due domande cruciali. Francione si chiede:

    1)       La teoria della similitudine del pensiero induce almeno seri cambiamenti nei confronti dei non umani che posseggono caratteristiche cognitive molto vicine alle nostre?
    2)       Perché caratteristiche altre dalla sensibilità sarebbero richieste per appartenere alla comunità morale?

Con la prima domanda (retorica) l’autore rileva l’inutilità pratica della Teoria della similitudine del pensiero (TSP). Egli nota che, proprio per quanto asserito in precedenza – l’impossibilità di arrivare a una perfetta corrispondenza tra strutture cognitive “umane” e animali –, qualunque risultato non comporterà modificazioni nel comportamento degli umani verso i membri dei “popoli muti” e questi ultimi continueranno a essere venduti, carcerati, violentati e uccisi. Con ciò, egli afferma, si dimostra che la TSP, ovvero la ricerca della quota dell’intelligenza posseduta da un animale non serve a quest’ultimo per guadagnare un posto nella comunità morale.

Con la seconda domanda egli riprende nuovamente il vecchio vocativo di Bentham (anche se rinuncia di certo all’orientamento utilitarista di quell’autore) per enunciare una tesi che ormai ha sapore stucchevole per il numero di volte in cui è stata enunciata: basta cercare l’intelligenza e le sue quotazioni! ciò che occorre verificare in un essere è soltanto la sua sensibilità, ovvero la capacità di provare piacere e dolore. Ciò è sufficiente per appartenere alla comunità morale, mentre tutto il resto è assolutamente superfluo.

Evidente l’intento polemico che porta a un deciso rifiuto della TSP. E difatti dopo le due domande afferma:

E’ molto probabile che la teoria della similitudine del pensiero non avrà altro effetto che ritardare il momento in cui dovremo far fronte ai nostri obblighi legali e morali verso i non umani

Ma considerando la necessità di separare le pratiche etologiche dal PGS, a chi è indirizzato lo strale? ai fautori di quest’ultimo oppure a chi per statuto o ideologia o cultura (etologi, opinione pubblica ostile, legislatori ecc) non vuole concedere rilevanza morale agli animali?

Apparentemente sembrerebbe che Francione attribuisca alla società specista la responsabilità del ritardo con cui si ostina a non integrare gli altri esseri sensibili nella “comunità morale”. Se si arriva alla fine dell’articolo, con il j’accuse sulla cena confezionata a base di sofferenza animale, si può provare ben forte il sospetto che Francione abbia proprio come obiettivo la “comunità morale tradizionale” specista che si diletta a rovistare nel cervello degli animali, o con responsabilità diretta (i ricercatori) o con curiosità sospetta (il pubblico). Ma ha senso rivolgersi a tale comunità per un’accusa di questo genere? Sembrerebbe di no. E’ ovvio che essa non possa essere incolpata di cattiva strategia nel riconoscimento dei nuovi diritti. Infatti, non concedendo loro alcuna credibilità, gli specisti – sia che rivestino essi un ruolo istituzionale oppure di semplice supporto culturale con pratiche necrofagiche o d’altro genere – rappresentano l’avversario da contrastare. Insomma, chi popola il campo a noi avverso non può essere accusato di non lavorare bene per quelli che riteniamo i nostri obiettivi, semplicemente perché è impegnato a contrastarli.

Perciò occorre scartare questa idea e immaginare che Francione voglia attribuire le responsabilità di una strategia errata proprio ai sostenitori del PGS. Del resto Florence Burgat – la filosofa che introduce l’articolo in questione – sostiene:

Dopo averci riflettuto, il professore Gary L. Francione, che pure aveva partecipato al progetto, considera, da parte sua, che questa tesi [il PGS, ndr] potrebbe finire con l’aggravare la sorte di tutti gli altri animali.

Ma anche in questo caso nascono obiezioni abbastanza naturali. Il PGS risale al ’93. Sono passati quattordici anni e se il movimento liberazionista ha ottenuto pochi o nulli risultati ciò dipende dalla difficoltà di operare in un contesto storico decisamente ostile che prospetta grandi difficoltà per la liberazione dei sensibili subalterni. Attribuire le difficoltà al PGS sembra una esagerata forzatura. In realtà, il PGS è, almeno fino ad oggi, una delle tante iniziative che non sono riuscite a determinare una vera e propria inversione di tendenza nella considerazione degli interessi degli animali. E’ un tentativo che – a parte qualche esempio (New Zeland, Gran Bretagna e, prossimamente Spagna) su cui occorrerebbe un supplemento di indagine per un giudizio non affrettato – non trova spazio nella civiltà specista e pertanto non è meritevole né di essere stigmatizzato, né esaltato. E’ semplicemente uno degli esperimenti deboli di un movimento che stenta ancora a trovare la via giusta affinchè la comunità degli animali umani sia condotta a riconoscere agli altri animali quanto deve essere assicurato loro.


***

[1] In realtà proprio inutile, vista dal lato dell’umano, non è. Infatti spesso permette di ottimizzare la funzione d’uso dell’animale. Ma qui viene considerata quella parte dell’etologia più spettacolare e visibile: quella, appunto che si ingegna per comprendere quanto gli animali siano “intelligenti”, argomento che presso il pubblico tira alquanto.


[2] Vedere l’articolo “Una serata con Danilo Mainardi” che contiene una serie di abbozzi critici stranamente simili a quelli discussi in questa pagina.


[3] Il Progetto Grande Scimmia
Dichiarazione sui grandi antropoidi:
Noi richiediamo che la comunità degli eguali venga estesa fino ad includere tutti i grandi antropoidi: esseri umani, scimpanzé, gorilla e oranghi.
La "comunità degli eguali" è la comunità morale all'interno della quale noi accettiamo che certi principi o diritti morali fondamentali governino le nostre relazioni reciproche e siano fatti valere giuridicamente. Tra questi principi o diritti, vi sono i seguenti:
1)       Il diritto alla vita
2)       La protezione della libertà individuale
3)       La proibizione della tortura



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13/03/07