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La Libreria Cossavella, quasi un’istituzione culturale della Città d’Ivrea, ha organizzato una interessante conferenza con il Prof. Danilo Mainardi. L’oggetto della serata: la presentazione del suo libro “Nella mente degli animali”. La sala comunale delle conferenze, la vecchia e bella chiesa sconsacrata S. Marta, ha accolto un numero considerevole di cittadini. L’ambiente era gremito e molte persone si sono sistemate in posizioni di fortuna perché tutte le sedie disponibili erano occupate. Non è un caso: quando si parla di animali si fa sempre il pienone (purché se ne parli in un certo modo). Aiutato da un discreto numero di filmati, Mainardi ha illustrato strategie e comportamenti di animali invero sorprendenti. Gatti che aggirano barriere, cani che conoscono un discreto lessico, scimpanzè che guardandosi allo specchio scoprono il sé. Devo dire che all’inizio i frammenti di zoofilo che ci sono in me e che non riesco a distruggere completamente hanno gradito sia i filmati sia il commento piano del professore che li accompagnava, ma per forza di cose le posizioni acquisite negli ultimi anni mi hanno via via imposto di prendere le distanze da quanto vedevo e sentivo. Non ho impiegato molto a comprendere che quel metodo di valutazione del regno animale non mi appartiene. Le immagini dei filmati, per esempio, erano tipiche della migliore etologia, quella che sorveglia da lontano e si procura di evitare interferenze che possano invalidare l’osservazione. Tuttavia certi passaggi nel commento, pur essendo ancora accettabili, mi hanno messo in allarme e hanno creato in me il sospetto che qualche esperimento ben diverso dalla pura osservazione, magari, per vedere meglio qualche fatto specifico forse... chissà. Non solo. Mentre la serata andava avanti mi sono posto la domanda che ritengo fondamentale: ma tutto questo, a cosa serve? Si dice che la ricerca scientifica deve essere fatta anche se gli obiettivi non sono definiti perché da cosa nasce cosa e ciò che oggi sembra un pallino di qualche ricercatore domani può diventare la soluzione in qualche applicazione risolutiva. Ma l’etologia a cosa serve? Non potranno mai trovarsi dei risultati capaci di comportare soluzioni per gli umani. Scoprire che le scimmie antropomorfe hanno il Sé cosa può voler dire? Vuol dire solo quello, perciò in cosa può tradursi una simile conoscenza? Senza contare che il Prof. Mainardi accenna ad ipotesi discutibili quando attribuisce alla scienza sperimentale, e in particolare a studi iniziati negli ultimi due decenni, la solidità scientifica di una qualche consapevolezza animale. “Fino a 10-15 anni fa” – dice – “nessuno si azzardava a parlare della mente negli animali”. Sarà, ma mi è venuto in mente quel famoso passo volterriano che prende in giro il “cartesiano” incapace di leggere i sentimenti del cane nel suo mutevole comportamento. Non vorrei macchiarmi di lesa maestà nei confronti della Scienza con l’esse maiuscola, ma mi pare che il metodo fenomenologico, quello che permette di vedere la realtà in modo diretto e senza i filtri di uno sperimentalismo esasperato non potrà arrivare a sapere cosa fanno le scimmie nella foresta ma potrà riconoscere le manifestazioni comportamentali nell’animale che abbiamo vicino. Ciò non richiede certo alcun laboratorio, come appunto Voltaire dimostra (con piu' di 200 anni di anticipo sui nostri scienziati). Forse è perché io ti parlo, che tu giudichi ch’io abbia il sentimento, la memoria, delle idee? Ebbene! Non ti parlerò: tu mi vedrai rincasare con aria afflitta, cercare una carta con inquietudine, aprire l’armadio dove mi ricordo di averla rinchiusa, trovarla, leggerla con gioia. E tu ne deduci che io ho provato il sentimento della afflizione e quello del piacere, che ho memoria e conoscenza. Giudica dunque allo stesso modo questo cane, che non trova il suo padrone, che lo ha cercato per tutte le vie con grida dolorose, che rincasa inquieto ed agitato, sale, scende, va di stanza in stanza, trova infine nel suo studio il padrone che egli ama, e gli testimonia la propria gioia con la dolcezza del suo mugolio, coi salti e le carezze. I barbari uomini prendono questo cane che suol vincerli così facilmente nell’amicizia: lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesenteriche. Tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, o meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento affinchè egli non senta? Il cane ha dei nervi per essere impassibile? Non fare più di queste balorde supposizioni. (Francoise-Marie Voltaire, Dizionario filosofico) Potremmo pero' chiederci come possiamo conoscere la scimmia nella foresta, come facciamo a sapere chi sia, se nessuno la studia. Ma poi dovremmo domandarci anche cosa è possibile ricavare dalla scimmia della foresta. Finiti i filmati e ascoltate le conclusioni, ecco giungere l'invito di rito: se ci sono domande... prego. Una zoofila mi anticipa chiedendo info sul suo gatto. Esaurita la prima risposta, chiedo la parola al conduttore della serata e pongo tre domande, le due illustrate sopra più una terza. 1) Ricordando le descrizioni terribili di esperimenti di “psicologia” riportati in “Animal Liberation” chiedo se in qualche occasione abbia avuto “necessità” di fare vivisezione (o “sperimentazione animale”, come spesso puntualizzano i ricercatori per sentirsi a posto con la propria coscienza), di impiegare elettrodi o qualcosa di simile. 2) Poi pongo la domanda che ritengo decisiva: qual e' il senso di una conoscenza che appare niente di più che una forma di pesante curiosità del tutto avulsa da qualsiasi concreto interesse umano. 3) Infine domando, visto che la scienza gode di grande reputazione pubblica, considerato che in una logica evolutiva la “scoperta” di un enorme potenziale di sensibilità nei “senza parola” rende problematica la sofferenza che impartiamo loro, se non sia venuto il momento che zoologi ed etologi si mettano in prima linea nel porre il problema dei diritti animali anziché stare rinchiusi nel calduccio delle loro università per uscire soltanto per fare conferenze. Il professor Mainardi dà una risposta unica per i punti 1) e 2) mentre ignora completamente la 3). Sentiamo ciò che ha detto (cito a memoria). Egli ha genericamente posto il problema della necessità di osservare un comportamento etico nell’esperimento bilanciandolo con l’importanza della ricerca. Ciò che ho capito io è che occorre rispettare l’animale e la sua integrità finché sia possibile. Ha portato due esempi della diversità di approccio al problema: in Inghilterra c’è un controllo abbastanza stretto di qualche comitato etico, invece negli Stati Uniti pare ci sia molta più “libertà” di operare senza vincoli. Strana risposta che ha evitato la richiesta relativa al suo eventuale impegno nel campo della sperimentazione. Poi non comprendo perché abbia parlato di paesi esteri anziché dell’Italia. D’altra parte ha riportato la questione alla necessità di una conoscenza utile per gli stessi animali i quali, meglio conosciuti nel loro intimo (una “mente” presuppone un “intimo”), possono essere maggiormente rispettati dall’essere umano. Insomma mi è sembrato di capire che la conoscenza avvicina due mondi. Risposta che non è una risposta se si parte dal presupposto che certi mondi non dovrebbero essere per niente vicini. Perché devo essere vicino ad uno scimpanzé? Se siamo vicini, delle due l’una: o io agisco nella giungla (e credo che sia una invasione bella e buona) o è la scimmia che si trova in qualche istituto umano (e credo che sia una distorsione della esistenza dell’animale). In entrambi i casi, lo studio etologico sembrerebbe un frammento di quella visione del mondo occidentale che sta mandando tutto in pezzi. Quindi, anche l’approccio “buono” e “umano” sembrerebbe contenere i semi del male. Per quanto riguarda la terza domanda, essa è caduta nell’oblio. Disagio? Semplice dimenticanza? Non so. Forse è stata ritenuta assurda, ma mi prenda la peste se in tutti questi anni ho sentito protestare uno zoologo o un etologo per l’equivoco commercio di animali che vengono condotti nelle case degli umani senza che siano rispettate quelle condizioni di buona vita o di rispetto etologico della loro natura a cui gli insigni studiosi fanno continuo riferimento. E’ per questa vicinanza tra l’uomo e l’animale che questi specialisti lavorano? Forse potrebbe essere stabilito un parallelo. Come missionari e religiosi armati di tante belle intenzioni hanno aperto la strada al colonialismo prima e alle multinazionali dopo, così gli studiosi del comportamento animale servono per aprire la strada alla diffusione (che del resto è sotto gli occhi di tutti) di nuove specie tra quattro mura domestiche. E, francamente, non mi pare che si possa affermare che il benessere animale sia in crescita. Con queste note ho provveduto a precisare il mio pensiero che certo appartiene al filone liberazionista, non certo protezionista e, men che meno, zoofilo. Ma il professor Mainardi deve aver colto nelle mie domande (presentate, credo, con semplicità e pacatezza) la natura di un pensiero poco incline al confronto con i più diversi (e talvolta insospettabili) portavoce dello “specismo” poiché ha più volte accompagnato la sua risposta con l’eterna esternazione secondo la quale “non bisogna essere estremisti”. Penso inoltre che abbia conservato una specie di disagio interiore perché, dopo ulteriori risposte ad un altro signore sempre a proposito di gatti, non ricordo più per quale via, è riuscito a reindirizzarmi il monito a distanziarmi dal vituperato “estremismo” citando il “Progetto Grande Scimmia” e appellandolo come “razzista”. In sostanza ha sostenuto che riconoscere diritti alle scimmie antropomorfe significa commettere il peccato di escludere le altre specie solo perché più “distanti” dall’uomo. E' un'accusa fondata? Dipende. Potrebbe esserlo se attribuita a qualcuno che dice di voler abbattere le mura speciste che l’uomo ha eretto intorno a sé e poi decide di ripiegare definitivamente su un obiettivo parziale (anche se, proprio per evitare di essere estremista e mostrando di essere realista, potrebbe riconoscere la necessita' di spostare la barriera per gradi). Non lo è, se a farla è un umano che la impiega come alibi per continuare a mantenere le mura intorno alla propria specie per differenziarla dai Popoli Muti. Ma il professor Mainardi a quale gruppo appartiene? Dalla conferenza la risposta non è emersa con chiarezza.
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Data: 08/12/06 |
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