Officina della THEORÎA

Sugli “argomenti non animalisti”
(Una questione di metodo)
- a cura del Collettivo -



Navigando tra le pagine web si può giungere su un sito animalista liberazionista, “Agire Ora”, che sottopone spesso i suoi visitatori al gioco del sondaggio. In forma lapidaria si pone la domanda e si offrono alcune risposte alternative tra le quali il visitatore di turno è in grado di scegliere la sua opzione. Uno di questi sondaggi è particolarmente importante e sollecita l’attenzione del visitatore critico. Ad un certo punto vengono esibiti questi risultati



è giusto usare anche argomentazioni non animaliste nelle nostre campagne?
es. (vivisez= nonscienza, vegan=salute, caccia=pericolo)


sì, sempre, ogni strada va sfruttata

61.90 %

697

è utile in certi campi, per avvicinare le persone

31.26 %

352

è dannoso perché allontana dal problema vero

4.71 %

53

non si deve fare mai, per coerenza

2.13 %

24



Come si può notare, il giudizio delle persone che scelgono di collaborare alla mini inchiesta risulta inequivocabile. Secondo 2 persone su tre non vi è alcun dubbio che gli argomenti non animalisti – quelli che abbiamo chiamato in un articolo specifico: Assunti Indiretti” – debbano essere sfruttati per fare avanzare, sia pure in modo obliquo, un miglioramento della condizione animale. Ma a ben vedere il consenso è ben più ampio. Infatti, la seconda domanda – insieme alla quale la prima riceve la quasi totalità dei consensi – non è poi tanto differente, poiché i “campi” non sono un numero infinito, ma proprio limitati e inerenti all’alimentazione, all’alimentazione, alla caccia e pochissimi altri. Insomma i “duri e i puri” sono relegati e accomunati nelle ultime due domande e raccolgono insieme 1 preferenza contro 13.

Prima di esprimere un giudizio di metodo e di merito nel caso specifico, è bene spendere due parole sul sistema di raccolta delle opinioni nella società moderna. Tale mezzo viene impiegato con una frequenza sempre più impressionante. Se si tratta di ricerche di mercato, lo scopo è quello di individuare il target della popolazione interessante per la collocazione di un certo tipo di merci. Va da sè che l’intenzione del committente che ordina la raccolta dei dati non esprime un'azione puramente passiva, bensì la prima parte di un’azione globale tendente a riorientare il mercato a proprio favore. Laddove non c’è monopolio, più soggetti si confrontano e danno luogo a una costellazione di influenze che riflette in genere i rapporti di forza tra le parti in causa. Allora, quella che sembra un inchino alla volontà del potenziale acquirente inteso come figura collettiva, altro non è che una misurazione delle proprie chances di burattinaio occulto che confligge con altri burattinai nell’arena della battaglia per la conquista della domanda globale.

Analoga funzione hanno i sondaggi condotti periodicamente dai partiti i quali intendono testare i punti di forza e di debolezza del loro intervento sulla società. Lo scopo è sostanzialmente lo stesso: sondare un terreno per meglio governarlo in presenza di uno o più concorrenti che cercano di accaparrarsi il consenso a danno del concorrente politico. Occorre sottolineare che anche in questo caso l’interpellato riceve l’illusione di possedere una soggettività giudicante riconosciutagli dall’intervistatore quando, in realtà, il suo giudizio risulta un “istante comportamentale” di un gioco caotico nel quale i veri soggetti agenti esercitano una funzione dinamica non completamente governabile da alcuno di essi. L’intervistato è, insomma, un nodo di informazioni e diventa un ricettacolo di convinzioni costruite dall’esterno.

Una terza funzione, amplificata dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, è quella di pura registrazione di dati che non si pone, almeno direttamente, nessuno scopo trasformativo. Se un giornale elettronico chiede a volontari disponibili se, poniamo, condividono la pena di morte o la rifiutano, lo scopo è in genere quello di imbastire un articolo sull’argomento o controllare l’efficacia di precedenti comunicazioni. Scrivere un articolo sulla negatività della pena di morte, ma stabilire una eccezione per i grandi dittatori e, quindi giustificare un’impiccagione, e poi controllare il plauso generale convergente sull’impiccagione di Saddam può significare aver lavorato bene con la più micidiale arma di distruzione (del cervello) di massa posta a disposizione degli scribi del potere. L’emittete svolge un ruolo di costruzione di stereotipi da distribuire a pioggia e lo fa sicuramente con grande professionalità. Va da sé che l’intervistato potrà ricevere la sensazione di autonomia di giudizio, di rafforzamento della propria soggettività. Oltre al danno, la beffa. Oltre alla costruzione di un ordine simbolico, che attraverso la ripetizione ossessiva di concetti alienati e alienanti rinforza il sistema sociale, si costruisce la sensazione di soggettività negli individui che si espongono al giudizio e li si induce a sentirsi un soggetto importante con opinioni di cui occorre tenere conto.

Quanto affermato, ce ne rendiamo conto, rinforza una visione antropologica che esprime pesanti dubbi sul riconoscimento di quel fantasma che viene chiamato “Libertà dell’uomo” o anche “Libero arbitrio”, concetto che la nostra cultura accorda quasi senza incertezze alla natura umana. Ma ammettiamo pure che, qualora esistano libertà umana e responsabilità delle scelte, si possa contare sul libero arbitrio. Non si può negare che esso debba scaturire da un faticoso esercizio in cui un soggetto riflettente decide di impegnarsi. E il proponente della riflessione dovrebbe svolgere un ruolo di accompagnamento, non tanto verso la “Verità” – concetto sovraccaricato di risvolti metafisici – ma in direzione di quella chiarezza dei fatti che permette al soggetto riflettente un giudizio circostanziato e ben definito. Soprattutto se, a differenza dei casi descritti sopra, il proponente è animato – come sicuramente è vero per gli attivisti di Agire Ora – delle più nobili e etiche intenzioni.

Come è noto, gli attivisti di questo gruppo hanno un approccio molto empirico alla questione animale. La loro azione si basa essenzialmente sul principio cardine “Meglio un animale salvato in più che in meno”. Pertanto è comprensibile che assegnino agli “argomenti non animalisti” una certa rilevanza considerato che anch’essi possono svolgere in modo indiretto una certa influenza sulla riduzione del danno sugli animali. Ma allora non è operazione troppo corretta sfruttare una specie di “buon senso” diffuso ma piuttosto incompiuto, grezzo e capace di generare solo risposte scontate per dimostrare di essere in linea con un orientamento generale e, grazie alla sua schiacciante maggioranza, “sicuramente giusto”. Converrebbe forse fare azione di orientamento presso i visitatori del sito e spiegare le ragioni per le quali “e’ giusto impiegare argomenti non animalisti” anziché implicitamente suggerire che “è giusto impiegare argomenti non animalisti perché la maggioranza dice che è giusto impiegarli” entrando in un ragionamento circolare che non avvicina di un millimetro alla possibile correttezza del concetto.

Insomma si fa strada l’idea che si vogliano strumentalizzare dei luoghi comuni quando l’impostazione a riguardo di Agire Ora, che possiede pure delle sue fondate ragioni, potrebbe basarsi molto più vantaggiosamente sulla capacità di convinzione di quelle scelte orientando il visitatore a fare, se ne trova, controdeduzioni. Il senso critico non può alimentarsi di quella cosa orrenda che è il “buon senso” liberamente circolante, ma, al contrario, deve crearlo svincolandolo dal condizionamento di ovvietà che regolarmente lo deformano. Almeno se non si vuole diventare vittime del proprio metodo. Se infatti un giornale ponesse il problema se è giusto sacrificare animali per salvare uomini, mettendo 3 o 4 risposte chiuse da crocettare, come valuterebbero gli amici di Agire Ora l’inevitabile risultato del sondaggio?



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10/02/07