Officina della THEORÎA

A modo di introduzione:
gli “Argomenti Indiretti”
- a cura del Collettivo -







Gli argomenti indiretti (AI) sono quei comportamenti linguistici con finalità trasformative, per mezzo dei quali il movimento animalista si propone di aggredire la violenza contro gli animali per via obliqua facendo leva sugli interessi umani. Esistono quattro casi evidenti.

  • Il vegetarismo può essere diffuso segnalando gli effetti negativi che l’alimentazione a base di carne induce sugli umani.

  • La caccia può essere combattuta scegliendo di diffondere i dati sull’inquinamento dei campi, sulle vittime umane o sui generali problemi di sicurezza.

  • L’attenzione e la cura verso gli animali di affezione può essere stimolata facendo leva sulla pet therapy

  • Il vivisezionismo può essere contrastato dimostrando gli effetti negativi della sperimentazione animale sulla salute umana.

L’animalismo radicale, usiamo un termine critico perché non si possiede di meglio, rifiuta questi argomenti. Nel migliore dei casi individua in essi un indebolimento delle prospettive di lotta del movimento.

Il giudizio sugli AI non è semplice né banale. Di norma, alle obiezioni che le classificano come scelte sbagliate è facile contrapporre controbiezioni. Il confronto tra due interpreti che accettano conclusioni opposte si arena sempre di fronte a forti difficoltà ad accettare la posizione altrui. Il modello generale della discussione procede lungo le direttrici seguenti:

-       A1 - Affermo che adottando l’assunto indiretto si scardina la resistenza specista a rifiutare soluzioni di sorta al benessere animale poiché l’interesse che viene presentato è un reale interesse umano

-       B1 - Ma cosÌ facendo non si supportano le tesi dell’antropocentrismo? Non si rinforza l’idea che tutto quanto debba essere fatto lo debba essere in funzione dell’uomo? In realtà la scelta dell’AI è una scelta sciagurata perché attiva comportamenti opposti rispetto a quelli che un animalista dovrebbe scegliere.

-       A2 - Perchè? Se si riesce a far passare una determinata misura dentro il campo della società specista, ci troveremmo in una situazione più avanzata per ulteriori futuri miglioramenti. Senza contare che la sensibilità umana verso i diritti gli animali, si alimenta in modo dialettico con il faticoso processo dei piccoli passi.

-       B2 - Ammesso che una società violenta con gli animali si esibisca con i piccoli miglioramenti indiretti richiesti, essa si bloccherà in termini definitivi quando gli interessi umani pregnanti saranno veramente messi in discussione. Inoltre, per qualche effetto paradossale è dimostrato che l’aumento della sensibilità delle persone verso gli animali procede di pari passo con l’incremento dello sterminio.

-       A3 - Allora, in questo caso, è meglio ottenere quanto è possibile giacché, considerando l’ipotizzata soglia di insuperabilità degli interessi umani al sacrificio animale, sarebbe assurdo non incassare nei casi in cui è possibile farlo.

-       B3 - Può anche darsi che il futuro sia bloccato e non permetta il benessere e il rispetto degli animali, ma non può essere compito dell’attivista antispecista quello di stabilizzare il futuro con scelte subalterne. Deve semmai tentare di rimuoverlo con tutte le sue forze.

-       A4 - Sarà. Ma in questo modo rinunci al poco sicuro per un tanto talmente incerto che forse non lo si otterrà mai.

-       B4 - Non sempre il poco è meglio di niente! Perché spesso il poco esercita retroazioni terribili che, di fatto, rendono più difficile avanzare in un momenti successivi. E’ il difetto dei riformismi di ogni epoca.

Come si può notare, i poli si articolano intorno a opzioni non facilmente componibili. Il discorso si riproduce in una serie pressoché infinita di variazioni che non avvicinano di un millimetro i due contendenti i quali, che lo esplicitino o no, effettuano una diversa scommessa sul futuro adottando opzioni temporali non verificabili. Qui entrano in gioco sensibilità e credenze che non aiutano certo l’analisi razionale del problema.

Il modello presentato viene cosÌ a configurare una situazione di stallo  e la prova ne è che i partigiani di una opzione si riconvertono all’altra solo con molta difficoltà. Se qualche volta accade, il motivo va ascritto più all’emergere di una sintonia emotiva piuttosto che a un ragionamento che rilevi le pecche del precedente argomentare. Insomma, finché i motivi della scelta rimangono dentro lo schema presentato, risultano semplici opzioni psicologiche inutilizzabili per definire la via da seguire. Tuttavia è possibile qualche osservazione preliminare sull’articolazione dei ragionamenti del partigiano degli AI. Si può rilevare che la sua posizione non è cristallina essendo costretto a oscillare, dietro l’incalzare di B, tra la fede in un’idea di progresso (A2) e il timore che il destino animale sia così nero e disperato da optare per una qualche variante (vegan) del detto sull’uovo e la gallina (A3 – A4)[1]

Viceversa, il radicale lambisce spesso due temi che meriterebbero ben altri approfondimenti di importanza strategica. Affermando (B4) egli accede al nucleo di due questioni che non riece mai a portare al dovuto approfondimento per l'indisponibilità di un pensiero politico adeguato, difetto che del resto condivide, in questo perido di pensiero debole e destrutturato, con tutti gli altri movimenti odierni.

In primo luogo egli potrebbe fare osservare che l’AI impone di ricercare una relazione (di regola, insana) con il politico il quale offre la disponibilità a prendere in considerazione il problema solo se possiede una qualche influenza sulle giuste esigenze umane. Si tratta di una relazione che spegne le propensioni rivoluzionarie e trasformative dell’animalismo producendo una specie di subalternità ideologica di cui è pressoché impossibile disfarsi una volta ghermiti nella vischiosa tela delle relazioni pericolose. L’assunto indiretto, per sua intrinseca natura, comporta il letale affiancamento del promotore al politico che deve assecondare con il suo assenso la giustezza di una causa che riguarda gli interessi umani. E quando il promotore dell’iniziativa animalista, anziché inseguire il politico, insegue la sua ombra sfuggente – considerando che anche gli interessi umani confliggono tra loro e, guarda caso quelli che l’animalista richiama sono sempre minoritari e subalterni –, oltre al danno di un atteggiamento subordinato è costretto a subire anche la beffa dell’abbandono.

In secondo luogo può fare osservare che l’AI rinuncia a quella terapia del linguaggio a cui è assegnata la possibilità della nascita di una vera visione alternativa dell’antispecismo. Lo status quo si consolida depositandosi nella mente degli umani attraverso stratificazioni di natura linguistica. La condivisione dei concetti attraverso l'uso di lessico, simboli, approcci comuni alla società specista, rende difficile, se non impossibile, uscire da determinati contesti culturali anche a chi sente l’improrogabile necessità di farlo. E’ vero dunque che chi coltiva sogni di rivolgimenti rivoluzionari, e l’antispecismo è quanto di più rivoluzionario possa immaginarsi giacché con l’accettazione dei suoi presupposti la nostra civiltà risulterebbe irriconoscibile, non può fare a meno di partire da quello stravolgimento del linguaggio nel quale si annidano le descrizioni di comportamenti convenzionali e conformisti. La terapia linguistica, necessaria in ogni rivoluzione di prospettiva, lo è vieppiù in questo caso e pertanto deve ribadire, a costo di enormi difficoltà iniziali, il carattere specifico della pretesa antispecista: il riconoscimento senza condizioni degli interessi della vittima e non certo del carnefice. In conclusione, gli AI svolgerebbero una inevitabile funzione di nascondimento dei fini e di ostacolo al loro raggiungimento, rinunciando a esibire il potenziale esplosivo della parola come arma strategica per il cambiamento.

I due aspetti costituiscono punti fermi che dovranno essere sviluppati se l’antispecismo animalista vorrà emanciparsi e diventare autonomo. Sono le forche caudine sotto le quali occorre passare con fatica (evitando apparenti pericolose scorciatoie) per sperare di dare un futuro a un’idea promettente come nessun’altra. Vale la pena di considerare che rileggere la pratica animalista sotto questa prospettiva implica un giudizio impietoso su molte delle condotte adottate finora.

I primi tre documenti presentati in questa sezione, sviluppatisi in modo indipendente dalle autrici e qui riuniti con una buona dose di fortunata casualità, sono inerenti al più classico degli argomenti indiretti, l’antivivisezionismo scientifico, e iniziano a percorrere la nuova via. Essi tentano di andare oltre facili formulazioni per perseguire una sistematizzazione ragionata dei concetti. E’ interessante notare come la sostanza dei documenti bypassi molti elementi del dibattito sulla positività o sulla negatività delle previste modifiche della legge 116/92 che regola l’attività della sperimentazione sugli animali. Anche se non sono espresse critiche dirette all’evento che in questo periodo tiene banco tra gli animalisti, sembra di poter rilevare un certo disinteresse alle contrattazioni e alle alchimie per sottolineare il diritto degli animali alla vita libera e indipendente e suggerire la ricerca delle strade adeguate per uscire da uno stato di deprimente subalternità politica e culturale.

Considerando l'importanza della questione confidiamo che i primi tre articoli riescano a stimolarne altri. Naturalmente le pagine rimangono aperte anche per chi vorrà sostenere posizioni diverse.





[1] Ciò detto, non è possibile ancora arrivare alla conclusione che l’assunto indiretto, e l’azione che ne consegue, sia da abbandonare e non possa dare frutti anche di un certo rilievo. Ma probabilmente la conclusione dovrà richiedere ampi supplementi di indagine in rapporto ai vari campi di applicazione.




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12/02/05