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MORTO UN PAPA.... SE NE FA UN ALTRO!

Papa Benedetto XVI

Da progressista a reazionario, il percorso teologico del nuovo papa
Un pastore che non conosce le sue pecore
Il Cardinale Raztinger manipola il Concilio Vaicano II

E Harry Potter?

 
DA PROGRESSISTA A REAZIONARIO, IL PERCORSO TEOLOGICO DEL NUOVO PAPA
APRILEOnline n243 del 20.4.2005 - P.G.
L'analisi. Quello di Ratzinger è un pontificato di transizione. Ma per tornare indietro

Di certo è una scelta forte, radicale. Sorprende che, a meno di due giorni pieni dall'inizio del Conclave, almeno 77 cardinali su 115 (tanti ne occorrevano) abbiano scritto sulla scheda il nome più citato, più amato, più temuto, più deprecato: quello di Joseph Ratzinger. Evidentemente i porporati sono rimasti impressionati dalla severità e dalla sicurezza con cui l'ex prefetto del Sant'Uffizio aveva tratteggiato, nelle scorse omelie e in particolar modo in quella "pro eligendo pontifice", l'immagine della Chiesa attuale. Un'immagine venata di preoccupazione, quasi apocalittica: "quanti venti di dottrina - diceva con voce roca - abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero…". La piccola barca della Chiesa, denunciava il futuro papa, "è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all'individualismo radicale, dall'ateismo al vago misticismo religioso". La sua condanna, che peserà come un macigno sul pontificato, aveva toni da altri tempi, ricordava quel "Sillabo" scritto da Pio IX, assediato anche fisicamente nella città leonina, per denunciare gli errori della modernità. Che erano gli stessi elencati 140 anni dopo da Ratzinger.
Uno in particolare, il più insidioso: il relativismo. "Cioè - spiegava - il lasciarsi portare qua e la da qualsiasi vento di dottrina". La ricetta del nuovo papa è severa, a suo modo coraggiosa, certo non fatta per piacere all'opinione pubblica. La fede deve diventare adulta, non più aperta infantilmente al dubbio e all'indefinito in cui l'ha precipitata il razionalismo figlio dei Lumi.
Basta discussioni su ogni cosa, perché ci sono verità non trattabili, assiomi immodificabili, e c'è per i cristiani un metro per distinguere sempre "vero e falso, inganno e verità": Cristo. Una concezione da chiesa della Controriforma, alle prese all'epoca con la frattura luterana, che porta agli stessi esiti logici: chiusura del dialogo, ostracismo verso le discordanze, difesa della dottrina a spese della carità. E delimitazione, esaltazione dell'Identità a scapito della comprensione dell'Alterità. Più Pio XII, insomma, che papa Giovanni. Più severo ancora di Wojtyla, che pure tenne con se l'arcigno tedesco per 23 anni, ma seppe fare di testa sua quando si trattava dei grandi gesti, degli abbracci, delle richieste di perdono, delle aperture profetiche poi rimaste, in buona parte, lettera morta.
Ed ecco che il "cahiers de doleance" giunto in questi giorni in Vaticano dal clero e dall'episcopato di tutto il mondo (con temi spinosi e urgenti quali il celibato dei preti, il sacerdozio femminile, la contraccezione e la collegialità episcopale) va a sbattere contro il monolitico programma restaurativo di papa Benedetto. Per non parlare dell'ecumenismo, già in sofferenza, ma almeno stimolato dalle performances, troppo spesso estemporanee, del papa polacco. Esemplare il documento che Ratzinger redasse nel 2000, la "Dominus Jesus", in cui si afferma che la Chiesa Romana, identificata come Corpo Mistico di Cristo, ha il possesso esclusivo della verità e della salvezza. Un ritorno all'assioma "extra Ecclesia nulla Salus", come se il Concilio non ci fosse stato. Un colpo durissimo alle aperture che, tra mille difficoltà, proprio la generazione postconciliare stava tentando di sviluppare. Un documento che il capo dei vescovi tedeschi, cardinal Lehmann, giunse a definire "qualcosa di assolutamente cruciale, qualcosa di tragico, un infortunio sul lavoro".
Ma erano tante le questioni critiche che venivano messe a tacere dal pugno di ferro del prefetto Raztinger, comprese le questioni della sessualità e il ruolo dei laici, ricollocati nel ruolo di gregge orante e passivo da cui li aveva tirati fuori il Concilio. E ancora l'eucarestia ai divorziati, il sincretismo coi culti religiosi locali (specie in Africa), una liturgia più moderna, il ritorno, anche grazie a una valorizzazione dei Sinodi locali, ad una Chiesa di Carità. Insomma, la navicella che Ratzinger ha indirizzato per 23 anni, e che ora governa, è stata posta di traverso, controvento, rispetto alla ventata d'aria fresca che Roncalli generò col Concilio. Da cui, 40 anni fa, uscì profondamente modificata l'immagine e la natura della Chiesa, che passava da "Magistra" a "Mater", un passaggio non da poco. In quegli anni eccezionali per il cattolicesimo, il quarant'enne Ratzinger era un perito teologo, portato a Roma dal vescovo Joseph Frings tra i mugugni della Curia, che lo considerava uno scavezzacollo progressista, quasi un ribelle. Un convinto agostiniano nella concezione teologica - la tesi di dottorato è su "Popolo e casa di Dio nella Chiesa di Sant'Agostino" -, e chi sa di teologia sa quale portata innovatrice questo abbia (anche Lutero, per dirne uno, era agostiniano). Anche grazie al suo coraggio fu sepolto il primo schema preparato dai curiali sul ruolo della Tradizione, accostata e quasi anteposta alla Scrittura, per tornare a una vocazione più evangelica della fede. E grazie alla sua profondità di teologo e di pensatore si posero le basi per la rivoluzione della Lumen Gentium, che dava tra l'altro ai vescovi "piena ed esclusiva" potestà "insieme e sotto al Sommo Pontefice", un bel passo in avanti verso quella collegialità in vigore nei primi secoli del cristianesimo.
Poi, nella tempesta del 1968, la svolta. Il giovane ribelle diventa ultrareazionario, un ripensamento apparentemente radicale dovuto alla preoccupazione per la modernità incalzante, il trionfo dei valori edonistici e dissacranti, la crisi della Chiesa incarnata dagli ultimi, dolorosi anni di Paolo VI, il "papa del dubbio". Nel 1981, Wojtyla gli affida la Congregazione per la Dottrina della Fede, posto che abbandona solo oggi per sedersi sul trono di Pietro. Un'affinità di vedute la loro, in campo dogmatico e etico. Un'enorme differenza sul piano umano, comunicativo, forse persino spirituale. Di certo ora la Chiesa continua il suo arroccamento rispetto alla modernità. Senza più il velo variopinto dell'eroico pontificato wojtyliano, di cui non a caso nelle omelie è stato del tutto sepolto il lato più rivoluzionario, dalla condanna della guerra "giusta" ai mea culpa, ma con l'inflessibilità dogmatica che è la cifra autentica, dichiarata, rivendicata, del settantottenne Joseph Ratzinger. Un pontificato di transizione per spingere il cattolicesimo fuori dal pantano dell'ateismo materialista e dell'indifferenza. La stessa vocazione del papa forse più importante del XX secolo, Giovanni XXIII. Solo che lui pensava questa spinta come un movimento in avanti.

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UN PASTORE CHE NON CONOSCE LE SUE PECORE. LA DELUSIONE DEL CONTINENTE PIÙ CATTOLICO
da ADISTA n. 31 aprile 2005

Tra i tanti che ritengono la nomina di Joseph Ratzinger una sventura per la Chiesa, c'è qualcuno che si rifugia nell'umorismo. Le battute, via e-mail e via sms, si sprecano, come quella che riprende le famosa frase pronunciata, subito dopo la sua elezione, da Giovanni Paolo II, ma capovolgendone i termini: 'Se sbagliate, vi corriggerò!'". E se il "manifesto", confermandosi imbattibile nei titoli, riporta in prima pagina la foto di Ratzinger neopapa con la scritta "Il pastore tedesco", su molti giornali l'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede viene definito "grande inquisitore", "rottweiler di Dio", "panzerkardinal", "papa in nero", "mister no". Altri giornali sono ancora più espliciti, titolando - "Oh, mein Gott" (Tageszeitung, su un fondo nero che occupa tutta la prima pagina), "Un lupo in mezzo agli agnelli" (Berlinerzeitung), "Habent papam" (Libération), "Che Dio li perdoni" (Pagina 12).
Se può destare una certa sorpresa, se non altro per ovvi motivi di "orgoglio" nazionale, la quantità di reazioni critiche in Germania, più prevedibile era la freddezza che nei riguardi del nuovo papa si coglie in America Latina, sia perché erano in molti a sperare in un papa latinoamericano, o perlomeno del Sud del mondo, un papa che potesse comprendere la realtà di miseria e di ingiustizia dei Paesi poveri, sia perché le vittime della Congregazione per la Dottrina della Fede in Sudamerica sono particolarmente numerose. Ne sa qualcosa Leonardo Boff, che da Ratzinger, nel 1984, fu condannato al "silenzio ossequioso" (ma da cui fu anche generosamente aiutato, come ci tiene a ricordare il teologo, quando era suo studente): "Giovanni Paolo II ha prodotto molte ferite: molti cristiani hanno lasciato la Chiesa perché non la sentivano più come il proprio focolare spirituale. Temo che questo inverno ecclesiale continui. Che la Chiesa conoscerà un inverno ancora più rigido". Secondo Boff, infatti, Ratzinger "è un uomo che guarda all'interno della Chiesa e che la protegge come un bastione: una strategia destinata al fallimento". E neppure sarà facile amarlo, afferma, "a causa delle misure estremamente restrittive da lui difese di fronte alla Chiesa e di fronte al mondo".
Una delusione, quella di Boff, resa più forte dal fatto che il teologo brasiliano non si aspettava proprio la nomina del cardinale tedesco: "Raramente - aveva affermato poco prima in un'intervista rilasciata all'agenzia brasiliana Adital - sorge un papa dai circoli della Curia, poiché lì si trovano i cardinali, oggi 24, che non possiedono esperienza pastorale né si confrontano direttamente con le sfide della povertà e della miseria dell'umanità. Ed esiste anche un certo risentimento nei loro confronti a causa del modo in cui si relazionano con le Chiese nazionali e locali. Ve ne sono d'avanzo luoghi in cui si trovano cardinali pastori, come in Africa, Asia e America Latina, con l'America Latina in forte vantaggio". E addirittura, al quotidiano "O Estado de São Paulo", a proposito di Ratzinger, aveva detto: "Non sarà mai papa, perché sarebbe realmente un'esagerazione, cosa che l'intelligenza dei cardinali non permetterà".
Sorpreso si è detto anche un altro illustre teologo della liberazione, José Comblin: è vero che "la maggior parte dei cardinali ha una mentalità molto timorosa nei riguardi del mondo attuale, molto preoccupata per l'identità della Chiesa, che vedono assediata da pericoli e minacce", ma "anche così pensavo che la scelta sarebbe stata più equilibrata. Era normale che Ratzinger avesse 40, 50 voti, ma che avesse due terzi non era previsto". Secondo Comblin, la nomina di Ratzinger non porterà alcun cambiamento in America Latina, né in meglio né in peggio, perché altri sono i problemi che preoccupano il nuovo papa, come la teologia del pluralismo religioso in Asia: l'America Latina, dice, non presenta più "alcun pericolo", perché "la tesi ufficiale a Roma" è che la Teologia della Liberazione, già condannata da Ratzinger nel 1984, "è morta". D'altro canto, "la Chiesa in Brasile è in maggioranza conservatrice" e "i movimenti più forti sono i più conservatori, come quello carismatico: saranno molto felici di questa scelta". Nessun timore, dunque, e nessuna speranza: "non è adesso che si può prevedere un cambiamento"; "bisogna adattarsi a questa situazione. Sarà necessario reagire e riorganizzarsi. C'erano molti gruppi che attendevano cambiamenti ma è chiaro che tutto ciò è ora rimandato".
Neppure dom Pedro Casaldáliga, vescovo emerito di São Félix do Araguaia, che da Ratzinger subì svariati rimproveri, ritiene realistico aspettarsi ora cambiamenti significativi: "vi sarà continuità, ma senza il carisma mediatico di Giovanni Paolo II". Rispetto al pessimismo che nutre sul mondo il nuovo papa, emerso significativamente dalla sua omelia nella messa di apertura del Conclave, Casaldáliga commenta che "se c'è molta disgrazia nel mondo, molta miseria, molta violenza, quello di cui c'è bisogno è una grande parola di speranza, di compassione e di tenerezza che ci faccia sentire la stessa tenerezza di Dio".
Non è colpa dello Spirito
Anche al di fuori del Brasile, si coglie ben poco entusiasmo nei riguardi di Benedetto XVI: "con la designazione di Joseph Ratzinger come nuovo papa, la Chiesa ha portato a compimento la sua separazione dal mondo", ha dichiarato lo storico Gerardo Caetano, direttore dell'Istituto di Scienze Politiche dell'Università della Repubblica dell'Uruguay.
Molto duro anche il teologo cileno Àlvaro Ramis, secondo cui "i metodi applicati da Ratzinger per difendere la Chiesa 'dalle nuove dottrine' possono benissimo figurare tra le forme di violazione dei diritti umani applicate dagli Stati totalitari ai propri cittadini": la scelta del collegio cardinalizio è caduta, sottolinea, sul "cardinale dalla traiettoria più conservatrice, più antiecumenica, più contraria all'apertura della Chiesa al mondo".
Sul pericolo di un'ulteriore chiusura della Chiesa pone l'accento anche il cubano Enrique Lopez Oliva, segretario della Commissione per la Storia della Chiesa in Latinoamerica (Cehila-Cuba): il timore, scrive, è che Ratzinger papa possa allontanare ancor di più la Chiesa dallo spirito del Concilio Vaticano II, e possa aggravare la crisi che vive, in maniera che, invece di 'aprirsi al mondo' e di far sì che 'il mondo si apra alla Chiesa', questa millenaria istituzione venga trasformata in una setta fondamentalista, incapace di affrontare con creatività e audacia polemici e controversi problemi" come il celibato dei preti, la mancanza di vocazioni sacerdotali, la polarizzazione sociale, lo scandalo della pedofilia, la diserzione di massa dei fedeli. "Nonostante il fatto - prosegue - che la maggior parte della popolazione cattolica appartenga al cosiddetto Terzo Mondo, soprattutto all'America Latina, tanto che gli esperti ritengono che il futuro della Chiesa cattolica si deciderà in questo Continente, i 'terzomondisti' si domandano quando avverrà che a qualcuno dei propri rappresentanti ecclesiastici sarà permesso di arrivare al trono di San Pietro".
E c'è, infine, chi, per trovare una giustificazione alla designazione di Ratzinger, cita alcune parole da lui stesso pronunciate in passato a proposito del ruolo dello Spirito Santo nell'elezione del papa: "il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non come se fosse lui a dettare il candidato per cui votare".

 

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IL CARDINAL RATZINGER MANIPOLA IL CONCILIO VATICANO II
(di Leonardo Boff da Adista n. 86 del 4 dicembre 2000)

In quale senso deve essere intesa l'affermazione della "lumen Gentium" che "la Chiesa di Cristo, costituita e organizzata in questo mondo come una società, sussiste (subsistit in) nella Chiesa cattolica governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori dal suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità" (n. 8)?

1. La controversia riguardo il "subsistit in"
Nel mio libro "Chiesa: carisma e potere" (1981) dicevo: ALa Chiesa cattolica, apostolica, romana da una parte è la Chiesa di Cristo e dall'altra non lo è. È Chiesa di Cristo perché in questa mediazione concreta che essa appare nel mondo. Ma non lo è, perché non si può pretendere di identificarla esclusivamente con la Chiesa di Cristo, perché questa può sussistere anche in altre Chiese cristiane. Il Concilio Vaticano II, superando l'ambiguità teologica di ecclesiologie anteriori che tendevano ad identificare puramente e semplicemente la Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica romana, insegna giustamente: >Questa Chiesa (di Cristo) sussiste nella Chiesa cattolica' (subsistit in: ha la sua forma concreta nella Chiesa cattolica). Evita di dire, come è scritto in documenti anteriori: è la Chiesa di Cristo" (p. 134).
Nella Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede (1985) che censurava il libro (e imponeva un anno di silenzio all'autore), il prefetto, il card. J. Ratzinger, si mostra particolarmente duro riguardo a questa interpretazione. Afferma che Boff Aestrae una tesi esattamente contraria al significato autentico del testo conciliare. Il Concilio aveva scelto la parola subsistit esattamente per chiarire che c'è un'unica >sussistenza' della vera Chiesa, per quanto fuori della sua struttura visibile esistano solamente elementa Ecclesiae, che per essere elementi della stessa Chiesa tendono e conducono in direzione della Chiesa cattolica "(Lumen Gentium", 8)". E il testo della Notificazione conclude: Ail sovvertire il significato del testo conciliare sulla sussistenza della Chiesa è alla base del relativismo ecclesiologico di L. Boff in cui si sviluppa e si esplicita un profondo fraintendimento di quello che la fede cattolica professa rispetto alla Chiesa di Dio nel mondo" (cfr. AAS 77, 1985, 756-762).
Al Congresso internazionale sull'attuazione del Vaticano II (Roma, 25-27 febbraio 2000), lo stesso card. J. Ratzinger rivelava nel suo discorso dottrinario sulla Anatura della Chiesa", dove riprende la questione del subsistit in, che questa presa di posizione contro il libro di L. Boff Aè l'unico pronunciamento ufficiale del magistero dopo il Concilio su questa parola e non può essere trascurato" (cfr. il testo su AIl Regno" 7/2000 p. 237a).
In questa stessa conferenza il card. J. Ratzinger enfatizza: ANella differenza tra subsistit ed est si nasconde tutto il problema ecumenico. La parola subsistit deriva dall'antica filosofia che si è poi sviluppata nella scolastica. Ad essa corrisponde la parola greca hypostasis, che nella cristologia svolge una funzione centrale, per descrivere l'unione delle nature divina ed umana nella persona di Cristo. Subsistere è un caso speciale di esse. È l'essere nella forma di un soggetto a se stante (che si sostiene in se stesso). Qui si tratta esattamente di questo. Il Concilio vuole dirci che la Chiesa di Gesù Cristo come soggetto concreto in questo mondo può essere trovata nella Chiesa cattolica. E questo può avvenire solo un'unica volta e la concezione secondo cui il subsistit significherebbe molteplicità non coglie in maniera conveniente quello che si intendeva dire. Con la parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarità e non la molteplicità della Chiesa cattolica; la Chiesa esiste come soggetto nella realtà storica" (cfr. AIl Regno" 237b).
Questa interpretazione personale del card. J. Ratzinger è ripetuta nella Dichiarazione ADominus Iesus" (6 agosto 2000) della Congregazione per la Dottrina della Fede, della quale è prefetto: ACon l'espressione subsistit in, il Concilio Vaticano II ha voluto armonizzare due affermazioni dottrinali: per un lato, quella che la Chiesa di Cristo, nonostante le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente solo nella Chiesa cattolica e, per l'altro, quella che >esistono numerosi elementi di santificazione e di verità fuori dal suo organismo', cioè, nelle Chiese e Comunità ecclesiali che ancora non vivono in piena comunione con la Chiesa cattolica" (n. 16). In nota a piè di pagina (n. 56), la Dichiarazione, onorandomi, cita esplicitamente la Notificazione contro L. Boff e ribadisce che l'intenzione del Concilio è stata di riaffermare con l'espressione Asubsistit in" l'unica sussistenza della Chiesa cattolica.

2. Qual è la mens Patrum Concilii riguardo il subsistit in?
Ecco i termini della controversia. È il caso ora di domandare: questa interpretazione del card. J. Ratzinger, di fatto, corrisponde alla verità storica del Concilio o è la receptio che egli fa, per suo conto, all'interno di un certo tipo di comprensione della natura della Chiesa che personalmente possiede? Urge qui rispolverare la verità storica, espressa da un Concilio ecumenico, la cui autorità è al di sopra della Congregazione per la Dottrina della Fede e del suo eventuale prefetto. Questi, nella persona del card. J. Ratzinger, deve attenersi alla mens Patrum Concilii come qualunque altro fedele e teologo. Qual è di fatto questa mens Patrum?
Per rispondere a tale questione abbiamo bisogno di tenere sempre a mente non solo il termine subsistit in ma tre elementi fondamentali: primo, i testi preparatori, precedenti alla ALumen Gentium", considerando come essi hanno elaborato la relazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica (in essi appare l'espressione est). Secondo, qual è il senso del n. 8 della ALumen Gentium", dove appare la parola subsistit in (che sostituisce l'est). Terzo, è importante prendere in seria considerazione quello che il papa Paolo VI ha enfatizzato nel momento stesso in cui sanciva la "Lumen Gentium" (sulla Chiesa) insieme alla "Unitatis Redintegratio" (sull'ecumenismo), cioè, che la dottrina conciliare sulla Chiesa deve essere interpretata alla luce delle spiegazioni del Decreto sull'ecumenismo (AAS 56, 1964, 1012-1013). E, aggiungeremmo noi, anche alla luce dei pronunciamenti del Magistero pontificio, sinodale ed episcopale del post Concilio quando si riferiscono ad altre Chiese non cattoliche.

a) Subsistit in non è sinonimo di est
I commentatori della "Lumen Gentium" hanno segnalato l'evoluzione avvenuta nei vari schemata de Ecclesia proposti ai Padri conciliari e nelle discussioni in aula che hanno preceduto l'approvazione finale della "Lumen Gentium" (21 novembre 1964 insieme al Decreto sull'ecumenismo "Unitatis Redintegratio"). Nello schema del 1962 si diceva, conformemente al pensiero teologico e all'insegnamento del Magistero di quel tempo: "La Chiesa cattolica romana è (est) il Corpo mistico di Cristo... e soltanto quella che è cattolica romana ha il diritto di essere chiamata Chiesa" ("Acta Synodalia Concilii Vaticani" II, I/4, 15). Vari Padri conciliari (come gli importanti cardinali Bea e Lienard), hanno espresso critiche a questa identificazione pura e semplice a motivo della sua risonanza antiecumenica.
Lo schema di Chiesa del 1963 continuava ad affermare l'identificazione ma introduceva un'apertura, riconoscendo che "molti (plura) elementi di santificazione possono trovarsi fuori della sua intera struttura (della Chiesa)"; sono "elementi che appartengono propriamente (in proprio) alla Chiesa di Cristo" ("Acta Synodalia", op. cit. II/1,219-220). Si constata qui, ineludibilmente, un progresso, poiché si riconoscono elementi ecclesiali al di là dei limiti della Chiesa cattolica.
Lo schema definitivo del 1964 ha assunto le aggiunte e ha cercato una formula che garantisse l'esistenza concreta della Chiesa di Cristo e riconoscesse anche elementi ecclesiali fuori di essa. La formula trovata è stata sostituire l'est con il subsistit in. Il testo finale, pertanto, non afferma più che la Chiesa di Cristo "è" la Chiesa cattolica, ma dice: la Chiesa di Cristo "sussiste nella Chiesa cattolica". Qual è il senso esatto di questo cambiamento?
La commissione teologica del Concilio dà ragione del cambiamento: "perché l'espressione si accordi meglio all'af-fermazione che elementi ecclesiali (de elementis ecclesialibus) si trovano altrove" (alibi nel senso di: oltre la Chiesa cattolica, "Acta Synodalia" III/1,177). Ma la commissione non ha mai spiegato ufficialmente cosa intende per subsistit in. Ha indicato però una direzione sicura. Riassumendo il n. 8 della *Lumen gentium+ dove si trova la parola subsistit in, fa due affermazioni che aiutano a capire il subsistit in: "L'intenzione del n. 8 è di mostrare che la Chiesa, di cui si descrive la natura intima e segreta, natura per la quale si unisce perpetuamente con Cristo e con la sua opera, si trova concretamente (concrete inveniri) in questa terra nella Chiesa cattolica. Questa Chiesa empirica (haec autem Ecclesia empirica) rivela un mistero, ma non senza ombre; per questo deve essere condotta a piena luce così come anche Cristo, il Signore, attraverso l'u-miliazione è giunto alla gloria. In questo modo si previene l'impressione che la descrizione proposta dal Concilio sia meramente idealistica e irreale" ("Acta Synodalia" III/1,76). L'espressione "si trova concretamente" ci aiuta a capire il subsistit in anche in termini concreti e non astratti.
Ciò è più chiaro nella seconda affermazione, che dice: "La Chiesa è unica e in questa terra è presente (adest in) nella Chiesa cattolica, sebbene al di fuori essa si trovino elementi ecclesiali" ("Acta Synodalia" III/1,176). Adest in (è presente) corrisponde chiaramente al subsistit in (sussiste).
Queste indicazioni sono fondamentali, poiché chiudono la porta a una interpretazione puramente sostanzialista e identificatoria della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, che in questo modo invalida un passo avanti rispetto all'ec-clesiologia pre-conciliare.
Ma quel che importa è approfondire l'espressione subsistit in. Quando non c'è una interpretazione specifica e ufficiale di una parola, nel caso nostro subsistit in, dobbiamo allora seguire la regola generale dell'ermeneutica: le parole hanno il senso che è conferito loro dal loro uso comune.
Qual è il senso comune di sussistere? Ci serva di riferimento il dizionario latino del Forcellini. I molti significati presentati vanno, senza eccezione, nella linea del concreto e dello storico (come accennato dalla spiegazione della commissione teologica del Concilio circa il n. 8 della "Lumen gentium"). I sinonimi di sussistere sono: manere, permanere, sustentare, resistere, consistere, formare, adesse ("Totius Latinitatis Lexicon", vol. V, 707-708). Nessuno va nella linea pretesa dal card. Ratzinger della hypostasis e della "sussistenza" come termine tecnico della cristologia. Osservando gli esempi dati dal Forcellini, si vede chiaramente che il subsistit in consente la traduzione del "farsi presente, trovarsi concretamente, prendere forma e concretizzarsi".
Riassumendo, l'est rimanda ad una visione essenzialista, sostanzialista e di identificazione e richiede una definizione essenziale di Chiesa. Il subsistit in punta verso una visione concreta ed empirica, nel senso concreto del n. 8 della "Lumen gentium". Il senso è che la Chiesa di Cristo "sussiste nella" Chiesa cattolica, cioè, assume forma concreta e si concretizza nella Chiesa cattolica.
Ciò illumina sul fatto che i Padri conciliari abbiano sostituito l'est ("è", espressione di sostanza e di identificazione") con il subsistit in (prende forma concreta, si concretizza). La Chiesa di Cristo si concretizza nella Chiesa cattolica, apostolica, romana. Ma non si esaurisce in questa concretizzazione, perché essa, a causa degli elementi ecclesiali presenti nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali in ragione delle limitazioni storiche, culturali occidentali e altre, specialmente in funzione delle ombre e dei peccatori presenti al suo interno ("Lumen gentium", n. 8c), non può identificarsi in toto, pure et simpliciter, senz'altro con la Chiesa di Cristo. La Chiesa è semper reformanda e nella tradizione dei Padri compare come casta meretrix, e per questo come una realtà del tempus medium con i segni limitanti della peregrinazione verso la pienezza, possibile solo nell'escatologia.
Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica non si sovrappongono totalmente. La Chiesa di Cristo è più grande della Chiesa cattolica. A causa di questo fatto, la Chiesa di Cristo può sussistere, cioè assumere altre espressioni storico-culturali, durante la storia della stessa Chiesa cattolica, ieri e oggi, in altre Chiese cristiane e Comunità ecclesiali. Insieme e in comunione fra di loro formano la Chiesa di Cristo nella storia, la Chiesa di Dio attraverso i tempi.
Di tutta questa argomentazione rimane chiaro che: subsistit non è sinonimo di est. Se fosse sinonimo, perché allora il mutamento introdotto dai Padri conciliari? Con questo cambiamento i padri conciliari hanno aperto uno spazio perché Ai molti elementi di santificazione e di verità" siano riconosciuti come "ecclesiali".

b. Il regresso del card. J. Ratzinger al periodo pre-Vaticano II
L'interpretazione del card. Ratzinger fa del subsistit in un equivalente dell'est. Lo ha letteralmente detto nella sua conferenza sulla natura della Chiesa: "il subsistit è un caso speciale di esse" (essere: cfr. "Il Regno", op. cit. 237b). In ragione di questo, poteva dire, come ha fatto nella "Notificatio" (1985) contro il mio libro "Chiesa: carisma e potere": "esiste una sola 'sussistenza' della vera Chiesa, in quanto fuori della sua struttura visibile esistono solamente >elementa Ecclesiae' che - essendo elementi della stessa Chiesa - tendono a condurre alla Chiesa cattolica" (AAS 71, 1985, 758-759). La stessa cosa ha ripetuto nella "Dominus Iesus" (n. 16, citandomi esplicitamente nella nota 56).
Qui c'è un evidente regresso alla posizione anteriore al Vaticano II, superata dalla "Lumen gentium". L'identifica-zione fatta dal card. J. Ratzinger tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica è tanto esclusivista da affermare che al di fuori di essa non c'è Chiesa, solamente "elementi di Chiesa".
Notiamo un cambiamento motu proprio di fondamentale importanza, introdotto dal cardinale. Afferma che nelle altre Chiese esistono "solamente elementi di Chiesa". Il Concilio non afferma questo. Dice, senza restrizioni, che esistono in esse "molti (plura) elementi ecclesiali", aprendo così alla possibilità di intenderle come Chiese. Introducendo quel solamente, il cardinale toglie alle altre Chiese il carattere di Chiesa. In questo "solamente" risiede il tallone di Achille della posizione anti-ecumenica del cardinale. Essa si oppone altresì a quello che si dice nella "Lumen gentium" al n. 15, che si riferisce ai molti modi in cui la Chiesa cattolica è unita ai cristiani non cattolici. Vi si insegna che questi cristiani ricevono il battesimo e "anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese o comunità ecclesiali (in propriis Ecclesiis vel Communitatibus ecclesiasticis) anche altri sacramenti". La relatio della commissione teologica chiarisce che questi sacramenti sono recepiti nelle relative Chiese o comunità ecclesiali cristiane in quanto tali ("Acta Synodalia" III/7, 36: "in quanto tali ipsae Eccleasiae vel Communitates"). Pertanto, non si tratta appena di "elementi di Chiesa" che riguardano solo individui, ma anche le loro comunità. La relatio della commissione teologica sottolinea con chiarezza: "precisamente nel riconoscimento di questo fatto si situa il fondamento del movimento ecumenico" ("Acta Synodalia" III/1, 204). A motivo di ciò, il Decreto sull'ecumenismo poteva dire che queste Chiese separate e Comunità ecclesiali "non sono affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza" (n. 3d). Pertanto, non solo i sacramenti posseggono valore salvifico, ma anche le Chiese e le Comunità ecclesiali in quanto tali, come d'altronde riafferma la commissione teologica ("Acta Synodalia" III/7, 36: "lo Spirito Santo si serve di quelle Comunità come strumenti di salvezza").
Il card. J. Ratzinger potrebbe argomentare che il Concilio evita di nominare le Comunità cristiane sorte dalla Riforma della Chiesa, riservando questa parola a quelle che mantengono l'eucarestia e la successione apostolica. Tuttavia la commissione teologica chiarisce che per tale espressione il Concilio "non cerca di investigare e determinare quali fra le Comunità devono essere chiamate teologicamente Chiese" ("Acta Synodalia" III/7, 35), affermando che il Concilio si attiene all'uso tradizionale del linguaggio. Enfatizza, però, che tali Comunità non sono una somma di individui ma che "sono costituite da elementi sociali ed ecclesiastici che conferiscono ad esse un carattere autenticamente ecclesiale; in tali Comunità, per quanto in modo imperfetto, è presente l'unica Chiesa di Cristo, similmente a come è presente nelle Chiese particolari, e per mezzo dei suoi elementi ecclesiali la Chiesa di Cristo è, in qualche modo, operante in esse" ("Acta Synodalia" III/2, 335). Nelle Chiese non cattoliche sussiste, pertanto, la Chiesa di Cristo.
Effettivamente, il magistero pontificio, sinodale ed episcopale postconciliare ha parlato di Chiese riferendosi alle Comunità evangeliche. Non si tratta, sicuramente, di mera concessione ad una gentilezza di linguaggio, ma di una applicazione concreta del senso conciliare di "sussiste" che permette di dire: le varie Chiese non cattoliche partecipano della Chiesa voluta da Cristo.
Qui si dice a chiare lettere che la Chiesa di Cristo è presente (nel senso di adest in e di subsistit in) nelle Comunità ecclesiali, per quanto in modo imperfetto. Così come è presente nelle Chiese particolari come quella ortodossa e quella dei Vecchio Cattolici, è presente in modo simile nelle Comunità ecclesiali. Pertanto, non si può negare a queste Comunità il carattere di Chiesa. Come esempio, produciamo il testo comune del vescovo cattolico tedesco D. Tenhumberg e dell'evangelico Thime, nel libro "Die Kirche auf Gemeinsamen Wege": "L'essere Chiesa non coincide semplicemente con la Chiesa cattolica. Anche fuori della Chiesa cattolica ci sono innumerevoli elementi ecclesiali. Per questo, i testi conciliari, applicano i concetti >Chiesa e Comunità ecclesiali' anche ad altre comunità cristiane. Esse partecipano della Chiesa fondata da Cristo. Ciò sono vari gradi di densità nella concretizzazione della Chiesa come istituzione fondata da Cristo" (p. 26).
Come esprimere teologicamente questi vari gradi densità nella concretizzazione della Chiesa? Lo stesso Concilio ci dà la formula, che non è esplorata nei testi del cardinale: intendere la Chiesa come sacramentum. È quello che abbiamo difeso nella nostra tesi dottorale "Die Kirche als Sakrament im Horizont der Welterfahrung" (Paderborn 1972) e nel nostro libro censurato "Chiesa: carisma e potere" (1981). Tentiamo di mostrare la fecondità della categoria sacramentum (segnale e strumento) per significare i distinti gradi di densità e di concretizzazione della realtà complessa dell'unica Chiesa di Cristo. L'espressione sacramentum unisce in una sola parola il visibile e l'invisibile, l'umano e il divino. E al tempo stesso, qui è il punto, permette una gradazione nella concretizzazione e nella manifestazione di una stessa realtà (sacramentum/res et sacramentum/res), nel caso della Chiesa di Cristo. Come sappiamo, sacramentum è un termine che viene dalla più antica tradizione comune della Chiesa, usato già nel secondo secolo per definire la natura della Chiesa, esattamente come segno e strumento, come sacramentum Christi.

3) Le contraddizioni del card. J. Ratzinger
L'interpretazione che il cardinale fa del "sussiste" come "sussistenza" e "ipostasia" lo obbliga a sostenere quello che ha detto in una sua conferenza sulla natura della Chiesa: che questa sussistenza "può accadere solamente una volta" ("Il Regno", op. cit. 237b), cioè solamente nella Chiesa cattolica e in nessun altro luogo. Qui è realmente chiaro che identifica il subsistit con l'est ("subsistit è un caso speciale di esse": in "Il Regno", op. cit. 237b). Ora, questa interpretazione annulla la volontà dei Padri conciliari che volevano sostituire "è" con "sussiste". Hanno voluto evitare l'identificazione pura e semplice della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica. Ratzinger continua a insistere sul fatto che le altre Chiese non sono propriamente Chiese, solamente possiedono "elementi di Chiesa". È come se qualcuno dicesse: "solo la mia è casa; la tua non è casa; tu possiedi appena elementi di casa (elmenta Ecclesiae), come mattoni, finestre, tegole, tavoli e armadi, elementi di casa che sono stati presi dalla mia casa e che, per questo, reclamano il loro padrone, e devono pertanto tornare ad essa". Questa affermazione non è solo arrogante, ma erronea di fronte alle mens Patrum Concilii. È esclusivista e riduzionista.
Lo stesso cardinale si rende conto del riduzionismo della sua posizione riconoscendo che "questa differenza fra il >sussiste' e l'>è' non si può risolvere pienamente dal punto di vista logico" (in "Il Regno", op. cit. 237b). Più ancora che a causa della disastrosa mancanza di unità, "la sussistenza dell'unica Chiesa nella figura concreta della Chiesa cattolica può essere percepita come tale solo nella fede" ("Il Regno", 238a). Ora tale riconoscimento è in contrasto con le parole della "Lumen gentium" che insistono sulla concrezione sensibile sottolineando che "questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste nella Chiesa cattolica" (n. 8b). Una società non si crede, ma si vede. L'unità perde visibilità e realtà distruggendo tutta l'argomen-tazione del Concilio. Questa è la conseguenza dell'interpre-tazione del card. J. Ratzinger, fatalmente contraria alla mens Patrum e al Concilio.
Il problema logico è falso ed è solo del cardinale, non del Concilio. Avrebbe evitato confusioni se avesse fatto ricorso, come abbiamo dimostrato prima, all'espressione "sacramento", applicata dal Concilio alla Chiesa. Come il sacramento, la Chiesa di Cristo può conoscere distinti livelli di realizzazione, più o meno densi e perfetti, ma tutti reali. La Chiesa cattolica può pretendere di essere la più piena realizzazione della Chiesa di Cristo. Ma essa non può essere di un ordine tale da impedire alle altre Chiese di essere anch'esse espressioni della Chiesa di Cristo. In molti aspetti, esse possono essere anche migliori, come nella venerazione delle Scritture da parte delle Chiese evangeliche o nella celebrazione della liturgia solenne da parte della Chiesa ortodossa.

d) Pericoli dell'interpretazione del card. J. Ratzinger
La concentrazione della Chiesa cattolica non può essere tale da esaurire e consumare in sé le virtualità della Chiesa. Sarebbe ridicolo e pericoloso come se qualcuno dicesse: la natura umana è talmente presente (subsiste) nella razza negra per il suo essere profondamente spirituale, estetica e solidale, che solo essa è umana. La razza bianca occidentale, europea ed ariana, per l'imperialismo, il colonialismo e le guerre di sterminio che ha prodotto, non sarebbe umana, conterrebbe solo "elementi di umanità" (logicamente anch'essa è umana, per quanto troppo umana).
Ma questa affermazione esclusivista, simile a quella del card. J. Ratzinger, è estremamente pericolosa. Essa è stata brandita concretamente dai cristiani europei nei confronti degli indigeni "scoperti" nell'America e nei Caraibi. Nella famosa "Controversia di Valladolid" (1550-1551) tra Bartolomé de las Casas, difensore degli indigeni, e Juan Ginés de Sepúlveda, umanista e precettore della famiglia reale spagnola, quest'ultimo arrivò ad affermare: gli indigeni non sono figli di Adamo come noi, sono animali talmente astuti che, per ingannarci, parlano e costruiscono persino case e città simili alle nostre. Non essendo della nostra famiglia umana, possono, questa era la conclusione, essere trattati come animali ed essere tranquillamente schiavizzati. Sappiamo che papa Paolo III, che già prima era intervenuto in maniera liberatrice con la bolla Sublimis Deus (1537), riaffermò che gli indigeni sono figli di Adamo, nostri fratelli e sorelle, redenti dal sangue di Cristo, hanno diritto alle loro terre e non devono essere maltrattati. Il cardinale legato riassunse l'affermazione di Paolo III e dette ragione a Bartolomé de las Casas contro Sepúlveda.
Una logica simile a quella di Juan Ginés de Sepúlveda è a fondamento dell'argomentazione del card. J. Ratzinger. Quello che il noto intellettuale e scienziato francese Michel Serres dice della Dichiarazione universale dei diritti umani può esser detto dell'ecclesiologia riduzionista del card. J. Ratzinger. Dice M. Serres: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha avuto il merito di affermare che "tutti gli uomini hanno diritti", ma ha avuto il difetto di intendere: "solo gli uomini hanno diritti". È stato necessario lottare molto per estendere questi diritti alle donne, ai neri, agli indigeni e attualmente, alla terra come Magna Mater, agli ecosistemi e ad ogni essere della creazione. Il card. J. Ratzinger ha avuto il merito di dire: "la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica". Ma ha avuto il difetto di intendere: "solo nella Chiesa cattolica". Ora comprendiamo che non è solo un difetto ma un errore, contrario al pensiero dei Padri del Vaticano II.
Come tutti cresciamo nella comprensione dei diritti estesi a tutta la creazione, così il card. J. Ratznger e i suoi seguaci dovranno apprendere, seguendo gli orientamenti del Vaticano II, ad estendere l'ecclesialità della Chiesa di Cristo a tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali. Allora sì l'ecume-nismo sarà fecondo e l'emulazione generosa, nel senso di vedere quale delle Chiese vive meglio e annuncia più adeguatamente il vangelo di Gesù, un sogno possibile all'intera umanità, e chi lo esprime in forma più visibile, più concreta e più convincente all'interno del nostro mondo globalizzato.
Concludendo questa parte torniamo a sottolineare: il Concilio Vaticano II ha voluto con il "sussiste" aprire la porta all'ecumenismo. Il card. J. Ratzinger con la sua interpretazione del "sussiste" ha voluto chiudere, con le sue distorsioni, questa porta. Ora è il caso di ribattere: chi opera la sovversione del significato del testo conciliare? La documentazione ufficiale citata rivela il cardinale come colui che sovverte il Vaticano II e, di conseguenza, come lo sterminatore dell'ecumenismo cattolico.

3. Cammini per l'ecumenismo cattolico
Lasciando di lato la polemica, è importante ora accennare ad alcuni punti, derivati dallo stesso Vaticano II, che possano fare da fondamento ad un ecumenismo cattolico meno arrogante e più dialogante. Prima, tuttavia, è il caso di richiamare alcune considerazioni di ordine teologico-pastorale.
Si dice, e la "Dominus Iesus" lo sottolinea fortemente, che la Chiesa è inviata ad annunciare il vangelo al mondo, secondo il mandato del Signore. Tuttavia, guardando alla produzione della Congregazione per la Dottrina della Fede, in questa ultima Dichiarazione e in tante altre, si nota un'as-senza clamorosa della conoscenza del mondo attuale, con le sue possibilità e i suoi rischi. E quando offre qualche prospettiva è quasi sempre pessimista, tipica di istituzioni in crisi di fede e di speranza. Tutto fondamentalmente è rivolto all'interno, costruendo la Chiesa come un bastione che si preserva e che basta a se stessa. Con questo atteggiamento solipsista non si evangelizza e non si va ad gentes. O le Chiese, soprattutto la cattolica, si aprono ad una nuova fase dell'umanità, planetaria, o si condannano ad essere un sottoprodotto della cultura occidentale. Qui dobbiamo assumere come virtù quello che il card. J. Ratzinger considera vizio da combattere duramente: il relativismo ecclesiologico.
Dobbiamo essere doppiamente relativisti. Per prima cosa dobbiamo relativizzare l'espressione occidentale della Chiesa di Cristo, più specificamente romana. Nella sua teoria del potere e nel modo in cui lo organizza e distribuisce, si nota la mentalità romana, centralizzatrice e autoritaria, molto diversa da quella evangelica. Se il cristianesimo si fosse incarnato, per esempio, nella grande cultura tupi-guarani, cultura comune a milioni di indigeni, altro sarebbe stato il significato del potere. Per questo popolo, il capo si caratterizza per la generosità, per il servizio incondizionato agli altri e per la donazione di tutto quello che possiede. In alcune tribù si può riconoscere il capo nella persona di chi possiede meno degli altri e porta ornamenti più poveri, persino miserabili, poiché tutto il resto è stato donato. Nel caso in cui il cristianesimo, invece di incarnarsi nella cultura romana con il suo legalismo e con la sua centralizzazione, si fosse incarnato nella cultura politica tupi-guarani, avremmo avuto allora preti poveri, vescovi miserabili e il papa un vero mendicante. Allora sì potremmo essere testimoni di Colui che disse: "sto tra voi come chi serve e chi vuole essere il primo sia l'ultimo". E la missione non sarebbe stata dominazione religiosa alleata alla dominazione politica; i cristiani non sarebbero stati complici e partecipi del genocidio dei popoli originari dell'America Latina e di altri luoghi. Avremmo, sicuramente, una Chiesa migliore, più sensibile, più partecipativa, più servizievole, più integrata, più ecologica e più spirituale che la romano-cattolica.
La cattolicità del cristianesimo e di tutte le Chiese passa per la capacità di relativizzare la sua incarnazione occidentale e l'apertura a nuove virtualità di incarnazione, evangelicamente possibili. Passa anche per la capacità di mantenere la comunione con tutte le incarnazioni, poiché tutte loro traducono, bene o male, il vangelo al mondo, oggi globalizzato.
Liberata dalla sua matrice occidentale, la Chiesa catto-lico-romana si renderebbe conto di quanto sono ridicole e arroganti le tesi sostenute dalla "Dominus Iesus". La sua faccia occidentale fa sì che abbia una visione capitalistica e accentratrice dell'eredità di Gesù e, al tempo stesso, una prospettiva imperialista della missione, come conquista di popoli e culture nel quadro dell'ecclesialità romano-occidentale.
In secondo luogo, è importante relativizzare positivamente l'ecclesiologia, cioè mantenere tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali relazionate le une con le altre poiché sono espressioni della stessa Chiesa di Cristo. Invece di squalificarsi tra loro o discutere chi merita o no l'attributo di Chiesa, acquisterebbe vigore la pericoresi tra di loro, in maniera simile a quella che esiste tra le divine Persone della Santissima Trinità (mutua compresenza di ciascuna persona nell'altra).
In una prospettiva di globalizzazione, è importante vedere il cristianesimo più come il Movimento di Gesù nel mondo che come una istituzione con pesanti caratteristiche in funzione di vecchie tradizioni, sovraccarica di riflessione e con segni di conflitti religioso-politici che caratterizzano la storia cristiana nell'Occidente. Fatte queste osservazioni, elenchiamo sommariamente alcuni punti dottrinari, ispirati dal Vaticano II, capaci di fondare un altro tipo di ecumenismo cattolico.
In primo luogo, bisogna ancorare l'unità della Chiesa al mistero trinitario e non ad una metafisica classica e neoscolastica come fa il card. J. Ratzinger. Nel Decreto sull'ecume-nismo si dice chiaramente: "Il supremo modello e principio di questo mistero (dell'unità della Chiesa) è l'unità nella Trinità delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo" (n. 2). Nella Trinità c'è diversità di Persone, una non è l'altra; non c'è nessuna gerarchia tra di loro, poiché nessuna Persona sta al di sopra o al di sotto dell'altra (contrariamente alla Chiesa cattolica); e, tuttavia, acquista vigore una profonda unità che nasce dalla pericoresi, cioè dall'interrela-zione di tutte le divine Persone tra loro, tutte accogliendosi nella loro diversità e tutte autodonandosi totalmente. L'es-senza della pericoresi è l'amore. Diceva bene San Bernardo: "Nella Santissima Trinità, cos'è che conserva quella suprema e ineffabile unità se non l'amore? L'amore costituisce la Trinità nell'unità e, in un certo modo, unifica le Persone nel vincolo della pace. L'amore genera amore. Questa è la legge eterna e universale, legge che tutto crea e tutto governa" ("Liber de diligendo Deo", c.12, n.35: PL 192, 996 B). Questa unità è "modello supremo" per l'unità della Chiesa e tra le Chiese. Esse sono diverse ma tutte unificate nella stessa relazione di accettazione mutua e di mutuo amore.
In secondo luogo bisogna intendere la Chiesa come comunione, tema importante nel Vaticano II e in tutta l'ecclesiologia post-conciliare (specialmente nel Sinodo del 1985), a ragione chiamata ecclesiologia di comunione. La prima epistola di San Giovanni ci offre il senso radicalmente teologico della comunione: "quello che abbiamo visto e udito noi ve lo annunciamo perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo" (1Gv 1,3). Nuovamente la comunione si realizza nella diversità delle Persone che si uniscono attraverso lacci di vita e di amore. Giovanni Paolo II, di fronte a tutti i vescovi latinoamericani fece una dichiarazione tra le più belle del suo pontificato: "Il nostro Dio nel suo mistero più intimo non è solitudine, ma una famiglia, poiché porta in se stesso la paternità, la filiazione e l'essenza della famiglia che è l'amore, lo Spirito Santo" (Documenti di Puebla, 28/1/1979, Ed. Vozes, Petrópolis, 1979, 46). La famiglia esprime qui la communio. È la comunione tra tutte le Chiese che fa di esse l'unica Chiesa di Cristo. La Chiesa universale non è altra cosa se non la comunione delle Chiese particolari, "nelle quali e a partire dalle quali esiste (exsistit) la Chiesa cattolica una e unica", come dice in maniera pertinente la "Lumen Gentium" (n. 23a). Questa comprensione comunionale evita la critica fatta dalla Dichiarazione "Mysterium Ecclesiae", secondo la quale la Chiesa universale sarebbe l'insieme o la somma (summa) delle Chiese. Per la comunione non si sommano le Chiese ma si riconosce la comunione reale tra di esse che può essere di maggiore o minore densità, ma tutte loro con carattere ecclesiale.
In terzo luogo, è il caso di sottolineare l'importanza del concetto di Chiesa-Popolo-di-Dio, considerato dal card. J. Ratzinger nella sua conferenza sulla natura della Chiesa come "tema improprio", "perché si presta meno a descrivere la struttura gerarchica della comunità ecclesiale (cfr "Il Regno", op.cit., 233b-234a). Ora qui risiede il valore di questo concetto di Chiesa. Per questo, nella "Lumen Gentium", è stato anteposto al capitolo sulla Struttura Gerarchica della Chiesa (nelle fasi anteriori l'ordine era inverso). Questo concetto rivela meglio la Chiesa universale come peregrinazione e movimento di tutti coloro che seguono Gesù, pertanto di tutte le Chiese, prima delle distinzioni al loro interno di ministeri, servizi e carismi. Questi non sono fazioni ma funzioni di servizio e di animazione di tutta la comunità. L'insieme organico di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, insieme strutturato da relazioni di comunione e di servizio al mondo, costituisce fondamentalmente il Popolo di Dio in marcia. Questo è bene espresso dal termine biblico e profondamente teologico "popolo di Dio", logicamente scomodo alle costruzioni riduzioniste del card. J. Ratzinger.
In quarto luogo, la missione è decisiva per intendere la natura della Chiesa di Cristo. Questa non esiste per sé. Non è essa che Dio ama in primo luogo, ma il mondo, poiché a questo ha inviato suo Figlio (Gv 3,16). Di fronte al mondo essa possiede una struttura sacramentale: è segno e strumento, pertanto, di Cristo per il mondo. Deve indicare Cristo e non sostituirlo. Deve, per un lato, affermarsi perché attraverso di essa l'eredità di Gesù è mantenuta viva nella storia. Ma, per altro lato, deve simultaneamente negarsi perché Cristo appaia e conquisti centralità. La Chiesa possiede centralità solamente nella misura in cui sta in Cristo e nello Spirito e non fondata in se stessa. È a partire dalla missione che essa intende essere dell'ordine dei mezzi, come sacramento e segnale che già anticipa e rende presente la salvezza ma che è chiamata a sparire per dar luogo ai Popoli di Dio nel Regno definitivo (cfr Apocalisse 21,3).
Infine, in funzione della sua missione nel mondo, oggi globalizzato, la Chiesa si dà strutture e servizi che le sembrano adeguati a compiere la sua missione. È importante imitare il comportamento delle comunità ecclesiali delle origini che hanno saputo tradurre il messaggio di Gesù per il tempo futuro, quando già non si aspettava più la parusia, e hanno assunto forme di organizzazione tolte dall'ambiente circostante ma che erano loro funzionali. Secondo le principali ricerche cattoliche insieme a quelle ecumeniche è consentito dire con sicurezza che la Chiesa, in quello che riguarda il suo lato istituzionale, non può essere derivata, direttamente, dal Nuovo Testamento. Questo non conosce la struttura, presentata come un feticcio intoccabile dai documenti ufficiali, vescovo-presbitero-diacono. Tale strutturazione è testimoniata solamente a partire da Sant'Ignazio di Antiochia, nella terza generazione apostolica. E nelle decisioni, le comunità ecclesiali originarie si ispiravano più allo Spirito presente (cf. At 15,28) e al Signore risorto che ai riferimenti al passato. Oggi, la Chiesa si confronta con la sfida di guardare in avanti, poiché di fronte ad una situazione assolutamente inedita, l'emergere di un'unica società mondiale, deve, nello Spirito, prendere decisioni, cariche di conseguenze per il futuro del Vangelo nel mondo. Come diceva il vecchio maestro Karl Rahner, la Chiesa deve osare, nella forza del Risorto e del suo Spirito, fino al punto in cui andare oltre sarebbe eresia o tradimento. Ed essa può permettersi tale audacia perché si sente divinamente accompagnata. Solamente in questa forma si colloca all'altezza delle sfide mondiali. La sfida vale non solo per questa o quella Chiesa ma per la totalità del cristianesimo come movimento di Gesù che deve comporsi insieme ad altri movimenti spirituali che offrono anch'essi il loro messaggio all'umanità. Tutti insieme sono corresponsabili perché il Supremo che abita l'essere umano non sia affogato né sradicato dalla faccia della Terra: la presenza di Dio nel cuore dell'universo, nel centro della storia e nella profondità dell'essere umano.
L'ecumenismo non mira solamente alla pace tra le Chiese e le religioni attraverso il mutuo riconoscimento nell'a-more e nella cordialità, ma principalmente alla pace tra le tribù della terra e alla pace perenne con la stessa Terra, Magna Mater e Gaia. Senza questa pace potremo subire il destino dei dinosauri. La questione centrale non è più chi è Chiesa di Cristo e chi non lo è. Neppure qual è il futuro del cristianesimo o della civiltà occidentale che ha servito da nicchia di incarnazione per le principali Chiese. La nuova centralità si trova in ciò: che futuro hanno la terra e i figli e le figlie della terra, l'umanità? Questo futuro non è più garantito. Questa volta non c'è un'arca di Noè che salvi alcuni e lasci morire gli altri. O ci salviamo tutti o ci perdiamo tutti, con o senza elementi ecclesiali. In che misura l'eredità di Gesù, la Chiesa cattolica con tutta la sua pretesa di esclusività e le altre Chiese e Comunità cristiane aiutano a garantire un futuro di vita e di speranza per la Terra e l'umanità? A questo deve servire l'ecumenismo.
Di fronte alla crisi della Terra e dell'umanità è deviazionismo irresponsabile parlare di subsistit in o est, di "sussistenza" o di "assumere forma concreta". Il Titanic sta affondando per tutti e alcuni gaiamente alienati si ostinano ad occuparsi di tali questioni. Bene ci ha avvertito il Signore: "Quando vedete una nube salire da ponente, subito dite: viene la pioggia. E così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: ci sarà caldo. E così accade. Ipocriti, sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?" (Lc 12,54-57).


Il card. J. Ratzinger per tre volte ha ribadito la condanna della mia lettura del subsistit in del Vaticano II, nella forma più pubblica, solenne e contundente possibile. Mi ha onorato con una nota (n. 56) nella sua Dichiarazione della *Dominus Iesus+. A richiesta di eminenti teologi di varie parti del mondo, comprese alte autorità ecclesiastiche, sono stato sollecitato a dare una risposta. Lo faccio malvolentieri, poiché considero queste questioni, in una prospettiva globale, intrasistemiche e irrilevanti per la maggioranza dell'umanità e degli stessi cristiani che si orientano attraverso il vangelo. Ho pubblicato una versione profetica e di denuncia sotto il titolo *Ratzinger: sterminatore di futuro?+ pubblicata sul *Jornal do Brasil+ nei giorni 4, 5, 6 ottobre del 2000 e questa di tenore strettamente storico-teologico. Vivo nella periferia del mondo e della Chiesa con scarse risorse bibliografiche. Anche così ho assunto il compito con la serietà necessaria e possibile ai miei limiti.

 

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