L'analisi. Quello di Ratzinger
è un pontificato di transizione. Ma per tornare indietro
Di
certo è una scelta forte, radicale. Sorprende che, a meno di due
giorni pieni dall'inizio del Conclave, almeno 77 cardinali su 115 (tanti
ne occorrevano) abbiano scritto sulla scheda il nome più citato,
più amato, più temuto, più deprecato: quello di Joseph
Ratzinger. Evidentemente i porporati sono rimasti impressionati dalla
severità e dalla sicurezza con cui l'ex prefetto del Sant'Uffizio
aveva tratteggiato, nelle scorse omelie e in particolar modo in quella
"pro eligendo pontifice", l'immagine della Chiesa attuale. Un'immagine
venata di preoccupazione, quasi apocalittica: "quanti venti di dottrina
- diceva con voce roca - abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, quante
correnti ideologiche, quante mode del pensiero
". La piccola
barca della Chiesa, denunciava il futuro papa, "è stata non
di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all'altro: dal marxismo
al liberalismo, fino al libertinismo, dal collettivismo all'individualismo
radicale, dall'ateismo al vago misticismo religioso". La sua condanna,
che peserà come un macigno sul pontificato, aveva toni da altri
tempi, ricordava quel "Sillabo" scritto da Pio IX, assediato
anche fisicamente nella città leonina, per denunciare gli errori
della modernità. Che erano gli stessi elencati 140 anni dopo da
Ratzinger.
Uno in particolare, il più insidioso: il relativismo. "Cioè
- spiegava - il lasciarsi portare qua e la da qualsiasi vento di dottrina".
La ricetta del nuovo papa è severa, a suo modo coraggiosa, certo
non fatta per piacere all'opinione pubblica. La fede deve diventare adulta,
non più aperta infantilmente al dubbio e all'indefinito in cui
l'ha precipitata il razionalismo figlio dei Lumi.
Basta discussioni su ogni cosa, perché ci sono verità non
trattabili, assiomi immodificabili, e c'è per i cristiani un metro
per distinguere sempre "vero e falso, inganno e verità":
Cristo. Una concezione da chiesa della Controriforma, alle prese all'epoca
con la frattura luterana, che porta agli stessi esiti logici: chiusura
del dialogo, ostracismo verso le discordanze, difesa della dottrina a
spese della carità. E delimitazione, esaltazione dell'Identità
a scapito della comprensione dell'Alterità. Più Pio XII,
insomma, che papa Giovanni. Più severo ancora di Wojtyla, che pure
tenne con se l'arcigno tedesco per 23 anni, ma seppe fare di testa sua
quando si trattava dei grandi gesti, degli abbracci, delle richieste di
perdono, delle aperture profetiche poi rimaste, in buona parte, lettera
morta.
Ed ecco che il "cahiers de doleance" giunto in questi giorni
in Vaticano dal clero e dall'episcopato di tutto il mondo (con temi spinosi
e urgenti quali il celibato dei preti, il sacerdozio femminile, la contraccezione
e la collegialità episcopale) va a sbattere contro il monolitico
programma restaurativo di papa Benedetto. Per non parlare dell'ecumenismo,
già in sofferenza, ma almeno stimolato dalle performances, troppo
spesso estemporanee, del papa polacco. Esemplare il documento che Ratzinger
redasse nel 2000, la "Dominus Jesus", in cui si afferma che
la Chiesa Romana, identificata come Corpo Mistico di Cristo, ha il possesso
esclusivo della verità e della salvezza. Un ritorno all'assioma
"extra Ecclesia nulla Salus", come se il Concilio non ci fosse
stato. Un colpo durissimo alle aperture che, tra mille difficoltà,
proprio la generazione postconciliare stava tentando di sviluppare. Un
documento che il capo dei vescovi tedeschi, cardinal Lehmann, giunse a
definire "qualcosa di assolutamente cruciale, qualcosa di tragico,
un infortunio sul lavoro".
Ma erano tante le questioni critiche che venivano messe a tacere dal pugno
di ferro del prefetto Raztinger, comprese le questioni della sessualità
e il ruolo dei laici, ricollocati nel ruolo di gregge orante e passivo
da cui li aveva tirati fuori il Concilio. E ancora l'eucarestia ai divorziati,
il sincretismo coi culti religiosi locali (specie in Africa), una liturgia
più moderna, il ritorno, anche grazie a una valorizzazione dei
Sinodi locali, ad una Chiesa di Carità. Insomma, la navicella che
Ratzinger ha indirizzato per 23 anni, e che ora governa, è stata
posta di traverso, controvento, rispetto alla ventata d'aria fresca che
Roncalli generò col Concilio. Da cui, 40 anni fa, uscì profondamente
modificata l'immagine e la natura della Chiesa, che passava da "Magistra"
a "Mater", un passaggio non da poco. In quegli anni eccezionali
per il cattolicesimo, il quarant'enne Ratzinger era un perito teologo,
portato a Roma dal vescovo Joseph Frings tra i mugugni della Curia, che
lo considerava uno scavezzacollo progressista, quasi un ribelle. Un convinto
agostiniano nella concezione teologica - la tesi di dottorato è
su "Popolo e casa di Dio nella Chiesa di Sant'Agostino" -, e
chi sa di teologia sa quale portata innovatrice questo abbia (anche Lutero,
per dirne uno, era agostiniano). Anche grazie al suo coraggio fu sepolto
il primo schema preparato dai curiali sul ruolo della Tradizione, accostata
e quasi anteposta alla Scrittura, per tornare a una vocazione più
evangelica della fede. E grazie alla sua profondità di teologo
e di pensatore si posero le basi per la rivoluzione della Lumen Gentium,
che dava tra l'altro ai vescovi "piena ed esclusiva" potestà
"insieme e sotto al Sommo Pontefice", un bel passo in avanti
verso quella collegialità in vigore nei primi secoli del cristianesimo.
Poi, nella tempesta del 1968, la svolta. Il giovane ribelle diventa ultrareazionario,
un ripensamento apparentemente radicale dovuto alla preoccupazione per
la modernità incalzante, il trionfo dei valori edonistici e dissacranti,
la crisi della Chiesa incarnata dagli ultimi, dolorosi anni di Paolo VI,
il "papa del dubbio". Nel 1981, Wojtyla gli affida la Congregazione
per la Dottrina della Fede, posto che abbandona solo oggi per sedersi
sul trono di Pietro. Un'affinità di vedute la loro, in campo dogmatico
e etico. Un'enorme differenza sul piano umano, comunicativo, forse persino
spirituale. Di certo ora la Chiesa continua il suo arroccamento rispetto
alla modernità. Senza più il velo variopinto dell'eroico
pontificato wojtyliano, di cui non a caso nelle omelie è stato
del tutto sepolto il lato più rivoluzionario, dalla condanna della
guerra "giusta" ai mea culpa, ma con l'inflessibilità
dogmatica che è la cifra autentica, dichiarata, rivendicata, del
settantottenne Joseph Ratzinger. Un pontificato di transizione per spingere
il cattolicesimo fuori dal pantano dell'ateismo materialista e dell'indifferenza.
La stessa vocazione del papa forse più importante del XX secolo,
Giovanni XXIII. Solo che lui pensava questa spinta come un movimento in
avanti.
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Tra
i tanti che ritengono la nomina di Joseph Ratzinger una sventura per la
Chiesa, c'è qualcuno che si rifugia nell'umorismo. Le battute,
via e-mail e via sms, si sprecano, come quella che riprende le famosa
frase pronunciata, subito dopo la sua elezione, da Giovanni Paolo II,
ma capovolgendone i termini: 'Se sbagliate, vi corriggerò!'".
E se il "manifesto", confermandosi imbattibile nei titoli, riporta
in prima pagina la foto di Ratzinger neopapa con la scritta "Il pastore
tedesco", su molti giornali l'ex prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede viene definito "grande inquisitore",
"rottweiler di Dio", "panzerkardinal", "papa
in nero", "mister no". Altri giornali sono ancora più
espliciti, titolando - "Oh, mein Gott" (Tageszeitung, su un
fondo nero che occupa tutta la prima pagina), "Un lupo in mezzo agli
agnelli" (Berlinerzeitung), "Habent papam" (Libération),
"Che Dio li perdoni" (Pagina 12).
Se può destare una certa sorpresa, se non altro per ovvi motivi
di "orgoglio" nazionale, la quantità di reazioni critiche
in Germania, più prevedibile era la freddezza che nei riguardi
del nuovo papa si coglie in America Latina, sia perché erano in
molti a sperare in un papa latinoamericano, o perlomeno del Sud del mondo,
un papa che potesse comprendere la realtà di miseria e di ingiustizia
dei Paesi poveri, sia perché le vittime della Congregazione per
la Dottrina della Fede in Sudamerica sono particolarmente numerose. Ne
sa qualcosa Leonardo Boff, che da Ratzinger, nel 1984, fu condannato
al "silenzio ossequioso" (ma da cui fu anche generosamente aiutato,
come ci tiene a ricordare il teologo, quando era suo studente): "Giovanni
Paolo II ha prodotto molte ferite: molti cristiani hanno lasciato la Chiesa
perché non la sentivano più come il proprio focolare spirituale.
Temo che questo inverno ecclesiale continui. Che la Chiesa conoscerà
un inverno ancora più rigido". Secondo Boff, infatti, Ratzinger
"è un uomo che guarda all'interno della Chiesa e che la protegge
come un bastione: una strategia destinata al fallimento". E neppure
sarà facile amarlo, afferma, "a causa delle misure estremamente
restrittive da lui difese di fronte alla Chiesa e di fronte al mondo".
Una delusione, quella di Boff, resa più forte dal fatto che il
teologo brasiliano non si aspettava proprio la nomina del cardinale tedesco:
"Raramente - aveva affermato poco prima in un'intervista rilasciata
all'agenzia brasiliana Adital - sorge un papa dai circoli della Curia,
poiché lì si trovano i cardinali, oggi 24, che non possiedono
esperienza pastorale né si confrontano direttamente con le sfide
della povertà e della miseria dell'umanità. Ed esiste anche
un certo risentimento nei loro confronti a causa del modo in cui si relazionano
con le Chiese nazionali e locali. Ve ne sono d'avanzo luoghi in cui si
trovano cardinali pastori, come in Africa, Asia e America Latina, con
l'America Latina in forte vantaggio". E addirittura, al quotidiano
"O Estado de São Paulo", a proposito di Ratzinger, aveva
detto: "Non sarà mai papa, perché sarebbe realmente
un'esagerazione, cosa che l'intelligenza dei cardinali non permetterà".
Sorpreso si è detto anche un altro illustre teologo della liberazione,
José Comblin: è vero che "la maggior parte dei
cardinali ha una mentalità molto timorosa nei riguardi del mondo
attuale, molto preoccupata per l'identità della Chiesa, che vedono
assediata da pericoli e minacce", ma "anche così pensavo
che la scelta sarebbe stata più equilibrata. Era normale che Ratzinger
avesse 40, 50 voti, ma che avesse due terzi non era previsto". Secondo
Comblin, la nomina di Ratzinger non porterà alcun cambiamento in
America Latina, né in meglio né in peggio, perché
altri sono i problemi che preoccupano il nuovo papa, come la teologia
del pluralismo religioso in Asia: l'America Latina, dice, non presenta
più "alcun pericolo", perché "la tesi ufficiale
a Roma" è che la Teologia della Liberazione, già condannata
da Ratzinger nel 1984, "è morta". D'altro canto, "la
Chiesa in Brasile è in maggioranza conservatrice" e "i
movimenti più forti sono i più conservatori, come quello
carismatico: saranno molto felici di questa scelta". Nessun timore,
dunque, e nessuna speranza: "non è adesso che si può
prevedere un cambiamento"; "bisogna adattarsi a questa situazione.
Sarà necessario reagire e riorganizzarsi. C'erano molti gruppi
che attendevano cambiamenti ma è chiaro che tutto ciò è
ora rimandato".
Neppure dom Pedro Casaldáliga, vescovo emerito di São
Félix do Araguaia, che da Ratzinger subì svariati rimproveri,
ritiene realistico aspettarsi ora cambiamenti significativi: "vi
sarà continuità, ma senza il carisma mediatico di Giovanni
Paolo II". Rispetto al pessimismo che nutre sul mondo il nuovo papa,
emerso significativamente dalla sua omelia nella messa di apertura del
Conclave, Casaldáliga commenta che "se c'è molta disgrazia
nel mondo, molta miseria, molta violenza, quello di cui c'è bisogno
è una grande parola di speranza, di compassione e di tenerezza
che ci faccia sentire la stessa tenerezza di Dio".
Non è colpa dello Spirito
Anche al di fuori del Brasile, si coglie ben poco entusiasmo nei riguardi
di Benedetto XVI: "con la designazione di Joseph Ratzinger come nuovo
papa, la Chiesa ha portato a compimento la sua separazione dal mondo",
ha dichiarato lo storico Gerardo Caetano, direttore dell'Istituto
di Scienze Politiche dell'Università della Repubblica dell'Uruguay.
Molto duro anche il teologo cileno Àlvaro Ramis, secondo cui "i
metodi applicati da Ratzinger per difendere la Chiesa 'dalle nuove dottrine'
possono benissimo figurare tra le forme di violazione dei diritti umani
applicate dagli Stati totalitari ai propri cittadini": la scelta
del collegio cardinalizio è caduta, sottolinea, sul "cardinale
dalla traiettoria più conservatrice, più antiecumenica,
più contraria all'apertura della Chiesa al mondo".
Sul pericolo di un'ulteriore chiusura della Chiesa pone l'accento anche
il cubano Enrique Lopez Oliva, segretario della Commissione per
la Storia della Chiesa in Latinoamerica (Cehila-Cuba): il timore, scrive,
è che Ratzinger papa possa allontanare ancor di più la Chiesa
dallo spirito del Concilio Vaticano II, e possa aggravare la crisi che
vive, in maniera che, invece di 'aprirsi al mondo' e di far sì
che 'il mondo si apra alla Chiesa', questa millenaria istituzione venga
trasformata in una setta fondamentalista, incapace di affrontare con creatività
e audacia polemici e controversi problemi" come il celibato dei preti,
la mancanza di vocazioni sacerdotali, la polarizzazione sociale, lo scandalo
della pedofilia, la diserzione di massa dei fedeli. "Nonostante il
fatto - prosegue - che la maggior parte della popolazione cattolica appartenga
al cosiddetto Terzo Mondo, soprattutto all'America Latina, tanto che gli
esperti ritengono che il futuro della Chiesa cattolica si deciderà
in questo Continente, i 'terzomondisti' si domandano quando avverrà
che a qualcuno dei propri rappresentanti ecclesiastici sarà permesso
di arrivare al trono di San Pietro".
E c'è, infine, chi, per trovare una giustificazione alla designazione
di Ratzinger, cita alcune parole da lui stesso pronunciate in passato
a proposito del ruolo dello Spirito Santo nell'elezione del papa: "il
ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più
elastico, non come se fosse lui a dettare il candidato per cui votare".
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In quale senso deve essere intesa l'affermazione della "lumen
Gentium" che "la Chiesa di Cristo, costituita e organizzata
in questo mondo come una società, sussiste (subsistit in) nella
Chiesa cattolica governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione
con lui, ancorché al di fuori dal suo organismo si trovino parecchi
elementi di santificazione e di verità" (n. 8)?
1. La controversia riguardo il "subsistit in"
Nel mio libro "Chiesa: carisma e potere" (1981) dicevo: ALa
Chiesa cattolica, apostolica, romana da una parte è la Chiesa di
Cristo e dall'altra non lo è. È Chiesa di Cristo perché
in questa mediazione concreta che essa appare nel mondo. Ma non lo è,
perché non si può pretendere di identificarla esclusivamente
con la Chiesa di Cristo, perché questa può sussistere anche
in altre Chiese cristiane. Il Concilio Vaticano II, superando l'ambiguità
teologica di ecclesiologie anteriori che tendevano ad identificare puramente
e semplicemente la Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica romana, insegna
giustamente: >Questa Chiesa (di Cristo) sussiste nella Chiesa cattolica'
(subsistit in: ha la sua forma concreta nella Chiesa cattolica). Evita
di dire, come è scritto in documenti anteriori: è la Chiesa
di Cristo" (p. 134).
Nella Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede (1985)
che censurava il libro (e imponeva un anno di silenzio all'autore), il
prefetto, il card. J. Ratzinger, si mostra particolarmente duro riguardo
a questa interpretazione. Afferma che Boff Aestrae una tesi esattamente
contraria al significato autentico del testo conciliare. Il Concilio aveva
scelto la parola subsistit esattamente per chiarire che c'è un'unica
>sussistenza' della vera Chiesa, per quanto fuori della sua struttura
visibile esistano solamente elementa Ecclesiae, che per essere elementi
della stessa Chiesa tendono e conducono in direzione della Chiesa cattolica
"(Lumen Gentium", 8)". E il testo della Notificazione conclude:
Ail sovvertire il significato del testo conciliare sulla sussistenza della
Chiesa è alla base del relativismo ecclesiologico di L. Boff in
cui si sviluppa e si esplicita un profondo fraintendimento di quello che
la fede cattolica professa rispetto alla Chiesa di Dio nel mondo"
(cfr. AAS 77, 1985, 756-762).
Al Congresso internazionale sull'attuazione del Vaticano II (Roma, 25-27
febbraio 2000), lo stesso card. J. Ratzinger rivelava nel suo discorso
dottrinario sulla Anatura della Chiesa", dove riprende la questione
del subsistit in, che questa presa di posizione contro il libro di L.
Boff Aè l'unico pronunciamento ufficiale del magistero dopo il
Concilio su questa parola e non può essere trascurato" (cfr.
il testo su AIl Regno" 7/2000 p. 237a).
In questa stessa conferenza il card. J. Ratzinger enfatizza: ANella differenza
tra subsistit ed est si nasconde tutto il problema ecumenico. La parola
subsistit deriva dall'antica filosofia che si è poi sviluppata
nella scolastica. Ad essa corrisponde la parola greca hypostasis, che
nella cristologia svolge una funzione centrale, per descrivere l'unione
delle nature divina ed umana nella persona di Cristo. Subsistere è
un caso speciale di esse. È l'essere nella forma di un soggetto
a se stante (che si sostiene in se stesso). Qui si tratta esattamente
di questo. Il Concilio vuole dirci che la Chiesa di Gesù Cristo
come soggetto concreto in questo mondo può essere trovata nella
Chiesa cattolica. E questo può avvenire solo un'unica volta e la
concezione secondo cui il subsistit significherebbe molteplicità
non coglie in maniera conveniente quello che si intendeva dire. Con la
parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarità e
non la molteplicità della Chiesa cattolica; la Chiesa esiste come
soggetto nella realtà storica" (cfr. AIl Regno" 237b).
Questa interpretazione personale del card. J. Ratzinger è ripetuta
nella Dichiarazione ADominus Iesus" (6 agosto 2000) della Congregazione
per la Dottrina della Fede, della quale è prefetto: ACon l'espressione
subsistit in, il Concilio Vaticano II ha voluto armonizzare due affermazioni
dottrinali: per un lato, quella che la Chiesa di Cristo, nonostante le
divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente solo nella Chiesa
cattolica e, per l'altro, quella che >esistono numerosi elementi di
santificazione e di verità fuori dal suo organismo', cioè,
nelle Chiese e Comunità ecclesiali che ancora non vivono in piena
comunione con la Chiesa cattolica" (n. 16). In nota a piè
di pagina (n. 56), la Dichiarazione, onorandomi, cita esplicitamente la
Notificazione contro L. Boff e ribadisce che l'intenzione del Concilio
è stata di riaffermare con l'espressione Asubsistit in" l'unica
sussistenza della Chiesa cattolica.
2. Qual è la mens Patrum Concilii riguardo il subsistit in?
Ecco i termini della controversia. È il caso ora di domandare:
questa interpretazione del card. J. Ratzinger, di fatto, corrisponde alla
verità storica del Concilio o è la receptio che egli fa,
per suo conto, all'interno di un certo tipo di comprensione della natura
della Chiesa che personalmente possiede? Urge qui rispolverare la verità
storica, espressa da un Concilio ecumenico, la cui autorità è
al di sopra della Congregazione per la Dottrina della Fede e del suo eventuale
prefetto. Questi, nella persona del card. J. Ratzinger, deve attenersi
alla mens Patrum Concilii come qualunque altro fedele e teologo. Qual
è di fatto questa mens Patrum?
Per rispondere a tale questione abbiamo bisogno di tenere sempre a mente
non solo il termine subsistit in ma tre elementi fondamentali: primo,
i testi preparatori, precedenti alla ALumen Gentium", considerando
come essi hanno elaborato la relazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa
cattolica (in essi appare l'espressione est). Secondo, qual è il
senso del n. 8 della ALumen Gentium", dove appare la parola subsistit
in (che sostituisce l'est). Terzo, è importante prendere in seria
considerazione quello che il papa Paolo VI ha enfatizzato nel momento
stesso in cui sanciva la "Lumen Gentium" (sulla Chiesa) insieme
alla "Unitatis Redintegratio" (sull'ecumenismo), cioè,
che la dottrina conciliare sulla Chiesa deve essere interpretata alla
luce delle spiegazioni del Decreto sull'ecumenismo (AAS 56, 1964, 1012-1013).
E, aggiungeremmo noi, anche alla luce dei pronunciamenti del Magistero
pontificio, sinodale ed episcopale del post Concilio quando si riferiscono
ad altre Chiese non cattoliche.
a) Subsistit in non è sinonimo di est
I commentatori della "Lumen Gentium" hanno segnalato l'evoluzione
avvenuta nei vari schemata de Ecclesia proposti ai Padri conciliari e
nelle discussioni in aula che hanno preceduto l'approvazione finale della
"Lumen Gentium" (21 novembre 1964 insieme al Decreto sull'ecumenismo
"Unitatis Redintegratio"). Nello schema del 1962 si diceva,
conformemente al pensiero teologico e all'insegnamento del Magistero di
quel tempo: "La Chiesa cattolica romana è (est) il Corpo mistico
di Cristo... e soltanto quella che è cattolica romana ha il diritto
di essere chiamata Chiesa" ("Acta Synodalia Concilii Vaticani"
II, I/4, 15). Vari Padri conciliari (come gli importanti cardinali Bea
e Lienard), hanno espresso critiche a questa identificazione pura e semplice
a motivo della sua risonanza antiecumenica.
Lo schema di Chiesa del 1963 continuava ad affermare l'identificazione
ma introduceva un'apertura, riconoscendo che "molti (plura) elementi
di santificazione possono trovarsi fuori della sua intera struttura (della
Chiesa)"; sono "elementi che appartengono propriamente (in proprio)
alla Chiesa di Cristo" ("Acta Synodalia", op. cit. II/1,219-220).
Si constata qui, ineludibilmente, un progresso, poiché si riconoscono
elementi ecclesiali al di là dei limiti della Chiesa cattolica.
Lo schema definitivo del 1964 ha assunto le aggiunte e ha cercato una
formula che garantisse l'esistenza concreta della Chiesa di Cristo e riconoscesse
anche elementi ecclesiali fuori di essa. La formula trovata è stata
sostituire l'est con il subsistit in. Il testo finale, pertanto, non afferma
più che la Chiesa di Cristo "è" la Chiesa cattolica,
ma dice: la Chiesa di Cristo "sussiste nella Chiesa cattolica".
Qual è il senso esatto di questo cambiamento?
La commissione teologica del Concilio dà ragione del cambiamento:
"perché l'espressione si accordi meglio all'af-fermazione
che elementi ecclesiali (de elementis ecclesialibus) si trovano altrove"
(alibi nel senso di: oltre la Chiesa cattolica, "Acta Synodalia"
III/1,177). Ma la commissione non ha mai spiegato ufficialmente cosa intende
per subsistit in. Ha indicato però una direzione sicura. Riassumendo
il n. 8 della *Lumen gentium+ dove si trova la parola subsistit in, fa
due affermazioni che aiutano a capire il subsistit in: "L'intenzione
del n. 8 è di mostrare che la Chiesa, di cui si descrive la natura
intima e segreta, natura per la quale si unisce perpetuamente con Cristo
e con la sua opera, si trova concretamente (concrete inveniri) in questa
terra nella Chiesa cattolica. Questa Chiesa empirica (haec autem Ecclesia
empirica) rivela un mistero, ma non senza ombre; per questo deve essere
condotta a piena luce così come anche Cristo, il Signore, attraverso
l'u-miliazione è giunto alla gloria. In questo modo si previene
l'impressione che la descrizione proposta dal Concilio sia meramente idealistica
e irreale" ("Acta Synodalia" III/1,76). L'espressione "si
trova concretamente" ci aiuta a capire il subsistit in anche in termini
concreti e non astratti.
Ciò è più chiaro nella seconda affermazione, che
dice: "La Chiesa è unica e in questa terra è presente
(adest in) nella Chiesa cattolica, sebbene al di fuori essa si trovino
elementi ecclesiali" ("Acta Synodalia" III/1,176). Adest
in (è presente) corrisponde chiaramente al subsistit in (sussiste).
Queste indicazioni sono fondamentali, poiché chiudono la porta
a una interpretazione puramente sostanzialista e identificatoria della
Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, che in questo modo invalida
un passo avanti rispetto all'ec-clesiologia pre-conciliare.
Ma quel che importa è approfondire l'espressione subsistit in.
Quando non c'è una interpretazione specifica e ufficiale di una
parola, nel caso nostro subsistit in, dobbiamo allora seguire la regola
generale dell'ermeneutica: le parole hanno il senso che è conferito
loro dal loro uso comune.
Qual è il senso comune di sussistere? Ci serva di riferimento il
dizionario latino del Forcellini. I molti significati presentati vanno,
senza eccezione, nella linea del concreto e dello storico (come accennato
dalla spiegazione della commissione teologica del Concilio circa il n.
8 della "Lumen gentium"). I sinonimi di sussistere sono: manere,
permanere, sustentare, resistere, consistere, formare, adesse ("Totius
Latinitatis Lexicon", vol. V, 707-708). Nessuno va nella linea pretesa
dal card. Ratzinger della hypostasis e della "sussistenza" come
termine tecnico della cristologia. Osservando gli esempi dati dal Forcellini,
si vede chiaramente che il subsistit in consente la traduzione del "farsi
presente, trovarsi concretamente, prendere forma e concretizzarsi".
Riassumendo, l'est rimanda ad una visione essenzialista, sostanzialista
e di identificazione e richiede una definizione essenziale di Chiesa.
Il subsistit in punta verso una visione concreta ed empirica, nel senso
concreto del n. 8 della "Lumen gentium". Il senso è che
la Chiesa di Cristo "sussiste nella" Chiesa cattolica, cioè,
assume forma concreta e si concretizza nella Chiesa cattolica.
Ciò illumina sul fatto che i Padri conciliari abbiano sostituito
l'est ("è", espressione di sostanza e di identificazione")
con il subsistit in (prende forma concreta, si concretizza). La Chiesa
di Cristo si concretizza nella Chiesa cattolica, apostolica, romana. Ma
non si esaurisce in questa concretizzazione, perché essa, a causa
degli elementi ecclesiali presenti nelle altre Chiese e Comunità
ecclesiali in ragione delle limitazioni storiche, culturali occidentali
e altre, specialmente in funzione delle ombre e dei peccatori presenti
al suo interno ("Lumen gentium", n. 8c), non può identificarsi
in toto, pure et simpliciter, senz'altro con la Chiesa di Cristo. La Chiesa
è semper reformanda e nella tradizione dei Padri compare come casta
meretrix, e per questo come una realtà del tempus medium con i
segni limitanti della peregrinazione verso la pienezza, possibile solo
nell'escatologia.
Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica non si sovrappongono totalmente. La
Chiesa di Cristo è più grande della Chiesa cattolica. A
causa di questo fatto, la Chiesa di Cristo può sussistere, cioè
assumere altre espressioni storico-culturali, durante la storia della
stessa Chiesa cattolica, ieri e oggi, in altre Chiese cristiane e Comunità
ecclesiali. Insieme e in comunione fra di loro formano la Chiesa di Cristo
nella storia, la Chiesa di Dio attraverso i tempi.
Di tutta questa argomentazione rimane chiaro che: subsistit non è
sinonimo di est. Se fosse sinonimo, perché allora il mutamento
introdotto dai Padri conciliari? Con questo cambiamento i padri conciliari
hanno aperto uno spazio perché Ai molti elementi di santificazione
e di verità" siano riconosciuti come "ecclesiali".
b. Il regresso del card. J. Ratzinger al periodo pre-Vaticano II
L'interpretazione del card. Ratzinger fa del subsistit in un equivalente
dell'est. Lo ha letteralmente detto nella sua conferenza sulla natura
della Chiesa: "il subsistit è un caso speciale di esse"
(essere: cfr. "Il Regno", op. cit. 237b). In ragione di questo,
poteva dire, come ha fatto nella "Notificatio" (1985) contro
il mio libro "Chiesa: carisma e potere": "esiste una sola
'sussistenza' della vera Chiesa, in quanto fuori della sua struttura visibile
esistono solamente >elementa Ecclesiae' che - essendo elementi della
stessa Chiesa - tendono a condurre alla Chiesa cattolica" (AAS 71,
1985, 758-759). La stessa cosa ha ripetuto nella "Dominus Iesus"
(n. 16, citandomi esplicitamente nella nota 56).
Qui c'è un evidente regresso alla posizione anteriore al Vaticano
II, superata dalla "Lumen gentium". L'identifica-zione fatta
dal card. J. Ratzinger tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica è
tanto esclusivista da affermare che al di fuori di essa non c'è
Chiesa, solamente "elementi di Chiesa".
Notiamo un cambiamento motu proprio di fondamentale importanza, introdotto
dal cardinale. Afferma che nelle altre Chiese esistono "solamente
elementi di Chiesa". Il Concilio non afferma questo. Dice, senza
restrizioni, che esistono in esse "molti (plura) elementi ecclesiali",
aprendo così alla possibilità di intenderle come Chiese.
Introducendo quel solamente, il cardinale toglie alle altre Chiese il
carattere di Chiesa. In questo "solamente" risiede il tallone
di Achille della posizione anti-ecumenica del cardinale. Essa si oppone
altresì a quello che si dice nella "Lumen gentium" al
n. 15, che si riferisce ai molti modi in cui la Chiesa cattolica è
unita ai cristiani non cattolici. Vi si insegna che questi cristiani ricevono
il battesimo e "anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese
o comunità ecclesiali (in propriis Ecclesiis vel Communitatibus
ecclesiasticis) anche altri sacramenti". La relatio della commissione
teologica chiarisce che questi sacramenti sono recepiti nelle relative
Chiese o comunità ecclesiali cristiane in quanto tali ("Acta
Synodalia" III/7, 36: "in quanto tali ipsae Eccleasiae vel Communitates").
Pertanto, non si tratta appena di "elementi di Chiesa" che riguardano
solo individui, ma anche le loro comunità. La relatio della commissione
teologica sottolinea con chiarezza: "precisamente nel riconoscimento
di questo fatto si situa il fondamento del movimento ecumenico" ("Acta
Synodalia" III/1, 204). A motivo di ciò, il Decreto sull'ecumenismo
poteva dire che queste Chiese separate e Comunità ecclesiali "non
sono affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo
non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza" (n. 3d).
Pertanto, non solo i sacramenti posseggono valore salvifico, ma anche
le Chiese e le Comunità ecclesiali in quanto tali, come d'altronde
riafferma la commissione teologica ("Acta Synodalia" III/7,
36: "lo Spirito Santo si serve di quelle Comunità come strumenti
di salvezza").
Il card. J. Ratzinger potrebbe argomentare che il Concilio evita di nominare
le Comunità cristiane sorte dalla Riforma della Chiesa, riservando
questa parola a quelle che mantengono l'eucarestia e la successione apostolica.
Tuttavia la commissione teologica chiarisce che per tale espressione il
Concilio "non cerca di investigare e determinare quali fra le Comunità
devono essere chiamate teologicamente Chiese" ("Acta Synodalia"
III/7, 35), affermando che il Concilio si attiene all'uso tradizionale
del linguaggio. Enfatizza, però, che tali Comunità non sono
una somma di individui ma che "sono costituite da elementi sociali
ed ecclesiastici che conferiscono ad esse un carattere autenticamente
ecclesiale; in tali Comunità, per quanto in modo imperfetto, è
presente l'unica Chiesa di Cristo, similmente a come è presente
nelle Chiese particolari, e per mezzo dei suoi elementi ecclesiali la
Chiesa di Cristo è, in qualche modo, operante in esse" ("Acta
Synodalia" III/2, 335). Nelle Chiese non cattoliche sussiste, pertanto,
la Chiesa di Cristo.
Effettivamente, il magistero pontificio, sinodale ed episcopale postconciliare
ha parlato di Chiese riferendosi alle Comunità evangeliche. Non
si tratta, sicuramente, di mera concessione ad una gentilezza di linguaggio,
ma di una applicazione concreta del senso conciliare di "sussiste"
che permette di dire: le varie Chiese non cattoliche partecipano della
Chiesa voluta da Cristo.
Qui si dice a chiare lettere che la Chiesa di Cristo è presente
(nel senso di adest in e di subsistit in) nelle Comunità ecclesiali,
per quanto in modo imperfetto. Così come è presente nelle
Chiese particolari come quella ortodossa e quella dei Vecchio Cattolici,
è presente in modo simile nelle Comunità ecclesiali. Pertanto,
non si può negare a queste Comunità il carattere di Chiesa.
Come esempio, produciamo il testo comune del vescovo cattolico tedesco
D. Tenhumberg e dell'evangelico Thime, nel libro "Die Kirche auf
Gemeinsamen Wege": "L'essere Chiesa non coincide semplicemente
con la Chiesa cattolica. Anche fuori della Chiesa cattolica ci sono innumerevoli
elementi ecclesiali. Per questo, i testi conciliari, applicano i concetti
>Chiesa e Comunità ecclesiali' anche ad altre comunità
cristiane. Esse partecipano della Chiesa fondata da Cristo. Ciò
sono vari gradi di densità nella concretizzazione della Chiesa
come istituzione fondata da Cristo" (p. 26).
Come esprimere teologicamente questi vari gradi densità nella concretizzazione
della Chiesa? Lo stesso Concilio ci dà la formula, che non è
esplorata nei testi del cardinale: intendere la Chiesa come sacramentum.
È quello che abbiamo difeso nella nostra tesi dottorale "Die
Kirche als Sakrament im Horizont der Welterfahrung" (Paderborn 1972)
e nel nostro libro censurato "Chiesa: carisma e potere" (1981).
Tentiamo di mostrare la fecondità della categoria sacramentum (segnale
e strumento) per significare i distinti gradi di densità e di concretizzazione
della realtà complessa dell'unica Chiesa di Cristo. L'espressione
sacramentum unisce in una sola parola il visibile e l'invisibile, l'umano
e il divino. E al tempo stesso, qui è il punto, permette una gradazione
nella concretizzazione e nella manifestazione di una stessa realtà
(sacramentum/res et sacramentum/res), nel caso della Chiesa di Cristo.
Come sappiamo, sacramentum è un termine che viene dalla più
antica tradizione comune della Chiesa, usato già nel secondo secolo
per definire la natura della Chiesa, esattamente come segno e strumento,
come sacramentum Christi.
3) Le contraddizioni del card. J. Ratzinger
L'interpretazione che il cardinale fa del "sussiste" come "sussistenza"
e "ipostasia" lo obbliga a sostenere quello che ha detto in
una sua conferenza sulla natura della Chiesa: che questa sussistenza "può
accadere solamente una volta" ("Il Regno", op. cit. 237b),
cioè solamente nella Chiesa cattolica e in nessun altro luogo.
Qui è realmente chiaro che identifica il subsistit con l'est ("subsistit
è un caso speciale di esse": in "Il Regno", op.
cit. 237b). Ora, questa interpretazione annulla la volontà dei
Padri conciliari che volevano sostituire "è" con "sussiste".
Hanno voluto evitare l'identificazione pura e semplice della Chiesa di
Cristo con la Chiesa cattolica. Ratzinger continua a insistere sul fatto
che le altre Chiese non sono propriamente Chiese, solamente possiedono
"elementi di Chiesa". È come se qualcuno dicesse: "solo
la mia è casa; la tua non è casa; tu possiedi appena elementi
di casa (elmenta Ecclesiae), come mattoni, finestre, tegole, tavoli e
armadi, elementi di casa che sono stati presi dalla mia casa e che, per
questo, reclamano il loro padrone, e devono pertanto tornare ad essa".
Questa affermazione non è solo arrogante, ma erronea di fronte
alle mens Patrum Concilii. È esclusivista e riduzionista.
Lo stesso cardinale si rende conto del riduzionismo della sua posizione
riconoscendo che "questa differenza fra il >sussiste' e l'>è'
non si può risolvere pienamente dal punto di vista logico"
(in "Il Regno", op. cit. 237b). Più ancora che a causa
della disastrosa mancanza di unità, "la sussistenza dell'unica
Chiesa nella figura concreta della Chiesa cattolica può essere
percepita come tale solo nella fede" ("Il Regno", 238a).
Ora tale riconoscimento è in contrasto con le parole della "Lumen
gentium" che insistono sulla concrezione sensibile sottolineando
che "questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come
società, sussiste nella Chiesa cattolica" (n. 8b). Una società
non si crede, ma si vede. L'unità perde visibilità e realtà
distruggendo tutta l'argomen-tazione del Concilio. Questa è la
conseguenza dell'interpre-tazione del card. J. Ratzinger, fatalmente contraria
alla mens Patrum e al Concilio.
Il problema logico è falso ed è solo del cardinale, non
del Concilio. Avrebbe evitato confusioni se avesse fatto ricorso, come
abbiamo dimostrato prima, all'espressione "sacramento", applicata
dal Concilio alla Chiesa. Come il sacramento, la Chiesa di Cristo può
conoscere distinti livelli di realizzazione, più o meno densi e
perfetti, ma tutti reali. La Chiesa cattolica può pretendere di
essere la più piena realizzazione della Chiesa di Cristo. Ma essa
non può essere di un ordine tale da impedire alle altre Chiese
di essere anch'esse espressioni della Chiesa di Cristo. In molti aspetti,
esse possono essere anche migliori, come nella venerazione delle Scritture
da parte delle Chiese evangeliche o nella celebrazione della liturgia
solenne da parte della Chiesa ortodossa.
d) Pericoli dell'interpretazione del card. J. Ratzinger
La concentrazione della Chiesa cattolica non può essere tale da
esaurire e consumare in sé le virtualità della Chiesa. Sarebbe
ridicolo e pericoloso come se qualcuno dicesse: la natura umana è
talmente presente (subsiste) nella razza negra per il suo essere profondamente
spirituale, estetica e solidale, che solo essa è umana. La razza
bianca occidentale, europea ed ariana, per l'imperialismo, il colonialismo
e le guerre di sterminio che ha prodotto, non sarebbe umana, conterrebbe
solo "elementi di umanità" (logicamente anch'essa è
umana, per quanto troppo umana).
Ma questa affermazione esclusivista, simile a quella del card. J. Ratzinger,
è estremamente pericolosa. Essa è stata brandita concretamente
dai cristiani europei nei confronti degli indigeni "scoperti"
nell'America e nei Caraibi. Nella famosa "Controversia di Valladolid"
(1550-1551) tra Bartolomé de las Casas, difensore degli indigeni,
e Juan Ginés de Sepúlveda, umanista e precettore della famiglia
reale spagnola, quest'ultimo arrivò ad affermare: gli indigeni
non sono figli di Adamo come noi, sono animali talmente astuti che, per
ingannarci, parlano e costruiscono persino case e città simili
alle nostre. Non essendo della nostra famiglia umana, possono, questa
era la conclusione, essere trattati come animali ed essere tranquillamente
schiavizzati. Sappiamo che papa Paolo III, che già prima era intervenuto
in maniera liberatrice con la bolla Sublimis Deus (1537), riaffermò
che gli indigeni sono figli di Adamo, nostri fratelli e sorelle, redenti
dal sangue di Cristo, hanno diritto alle loro terre e non devono essere
maltrattati. Il cardinale legato riassunse l'affermazione di Paolo III
e dette ragione a Bartolomé de las Casas contro Sepúlveda.
Una logica simile a quella di Juan Ginés de Sepúlveda è
a fondamento dell'argomentazione del card. J. Ratzinger. Quello che il
noto intellettuale e scienziato francese Michel Serres dice della Dichiarazione
universale dei diritti umani può esser detto dell'ecclesiologia
riduzionista del card. J. Ratzinger. Dice M. Serres: la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani ha avuto il merito di affermare che "tutti
gli uomini hanno diritti", ma ha avuto il difetto di intendere: "solo
gli uomini hanno diritti". È stato necessario lottare molto
per estendere questi diritti alle donne, ai neri, agli indigeni e attualmente,
alla terra come Magna Mater, agli ecosistemi e ad ogni essere della creazione.
Il card. J. Ratzinger ha avuto il merito di dire: "la Chiesa di Cristo
sussiste nella Chiesa cattolica". Ma ha avuto il difetto di intendere:
"solo nella Chiesa cattolica". Ora comprendiamo che non è
solo un difetto ma un errore, contrario al pensiero dei Padri del Vaticano
II.
Come tutti cresciamo nella comprensione dei diritti estesi a tutta la
creazione, così il card. J. Ratznger e i suoi seguaci dovranno
apprendere, seguendo gli orientamenti del Vaticano II, ad estendere l'ecclesialità
della Chiesa di Cristo a tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali.
Allora sì l'ecume-nismo sarà fecondo e l'emulazione generosa,
nel senso di vedere quale delle Chiese vive meglio e annuncia più
adeguatamente il vangelo di Gesù, un sogno possibile all'intera
umanità, e chi lo esprime in forma più visibile, più
concreta e più convincente all'interno del nostro mondo globalizzato.
Concludendo questa parte torniamo a sottolineare: il Concilio Vaticano
II ha voluto con il "sussiste" aprire la porta all'ecumenismo.
Il card. J. Ratzinger con la sua interpretazione del "sussiste"
ha voluto chiudere, con le sue distorsioni, questa porta. Ora è
il caso di ribattere: chi opera la sovversione del significato del testo
conciliare? La documentazione ufficiale citata rivela il cardinale come
colui che sovverte il Vaticano II e, di conseguenza, come lo sterminatore
dell'ecumenismo cattolico.
3. Cammini per l'ecumenismo cattolico
Lasciando di lato la polemica, è importante ora accennare ad alcuni
punti, derivati dallo stesso Vaticano II, che possano fare da fondamento
ad un ecumenismo cattolico meno arrogante e più dialogante. Prima,
tuttavia, è il caso di richiamare alcune considerazioni di ordine
teologico-pastorale.
Si dice, e la "Dominus Iesus" lo sottolinea fortemente, che
la Chiesa è inviata ad annunciare il vangelo al mondo, secondo
il mandato del Signore. Tuttavia, guardando alla produzione della Congregazione
per la Dottrina della Fede, in questa ultima Dichiarazione e in tante
altre, si nota un'as-senza clamorosa della conoscenza del mondo attuale,
con le sue possibilità e i suoi rischi. E quando offre qualche
prospettiva è quasi sempre pessimista, tipica di istituzioni in
crisi di fede e di speranza. Tutto fondamentalmente è rivolto all'interno,
costruendo la Chiesa come un bastione che si preserva e che basta a se
stessa. Con questo atteggiamento solipsista non si evangelizza e non si
va ad gentes. O le Chiese, soprattutto la cattolica, si aprono ad una
nuova fase dell'umanità, planetaria, o si condannano ad essere
un sottoprodotto della cultura occidentale. Qui dobbiamo assumere come
virtù quello che il card. J. Ratzinger considera vizio da combattere
duramente: il relativismo ecclesiologico.
Dobbiamo essere doppiamente relativisti. Per prima cosa dobbiamo relativizzare
l'espressione occidentale della Chiesa di Cristo, più specificamente
romana. Nella sua teoria del potere e nel modo in cui lo organizza e distribuisce,
si nota la mentalità romana, centralizzatrice e autoritaria, molto
diversa da quella evangelica. Se il cristianesimo si fosse incarnato,
per esempio, nella grande cultura tupi-guarani, cultura comune a milioni
di indigeni, altro sarebbe stato il significato del potere. Per questo
popolo, il capo si caratterizza per la generosità, per il servizio
incondizionato agli altri e per la donazione di tutto quello che possiede.
In alcune tribù si può riconoscere il capo nella persona
di chi possiede meno degli altri e porta ornamenti più poveri,
persino miserabili, poiché tutto il resto è stato donato.
Nel caso in cui il cristianesimo, invece di incarnarsi nella cultura romana
con il suo legalismo e con la sua centralizzazione, si fosse incarnato
nella cultura politica tupi-guarani, avremmo avuto allora preti poveri,
vescovi miserabili e il papa un vero mendicante. Allora sì potremmo
essere testimoni di Colui che disse: "sto tra voi come chi serve
e chi vuole essere il primo sia l'ultimo". E la missione non sarebbe
stata dominazione religiosa alleata alla dominazione politica; i cristiani
non sarebbero stati complici e partecipi del genocidio dei popoli originari
dell'America Latina e di altri luoghi. Avremmo, sicuramente, una Chiesa
migliore, più sensibile, più partecipativa, più servizievole,
più integrata, più ecologica e più spirituale che
la romano-cattolica.
La cattolicità del cristianesimo e di tutte le Chiese passa per
la capacità di relativizzare la sua incarnazione occidentale e
l'apertura a nuove virtualità di incarnazione, evangelicamente
possibili. Passa anche per la capacità di mantenere la comunione
con tutte le incarnazioni, poiché tutte loro traducono, bene o
male, il vangelo al mondo, oggi globalizzato.
Liberata dalla sua matrice occidentale, la Chiesa catto-lico-romana si
renderebbe conto di quanto sono ridicole e arroganti le tesi sostenute
dalla "Dominus Iesus". La sua faccia occidentale fa sì
che abbia una visione capitalistica e accentratrice dell'eredità
di Gesù e, al tempo stesso, una prospettiva imperialista della
missione, come conquista di popoli e culture nel quadro dell'ecclesialità
romano-occidentale.
In secondo luogo, è importante relativizzare positivamente l'ecclesiologia,
cioè mantenere tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali
relazionate le une con le altre poiché sono espressioni della stessa
Chiesa di Cristo. Invece di squalificarsi tra loro o discutere chi merita
o no l'attributo di Chiesa, acquisterebbe vigore la pericoresi tra di
loro, in maniera simile a quella che esiste tra le divine Persone della
Santissima Trinità (mutua compresenza di ciascuna persona nell'altra).
In una prospettiva di globalizzazione, è importante vedere il cristianesimo
più come il Movimento di Gesù nel mondo che come una istituzione
con pesanti caratteristiche in funzione di vecchie tradizioni, sovraccarica
di riflessione e con segni di conflitti religioso-politici che caratterizzano
la storia cristiana nell'Occidente. Fatte queste osservazioni, elenchiamo
sommariamente alcuni punti dottrinari, ispirati dal Vaticano II, capaci
di fondare un altro tipo di ecumenismo cattolico.
In primo luogo, bisogna ancorare l'unità della Chiesa al mistero
trinitario e non ad una metafisica classica e neoscolastica come fa il
card. J. Ratzinger. Nel Decreto sull'ecume-nismo si dice chiaramente:
"Il supremo modello e principio di questo mistero (dell'unità
della Chiesa) è l'unità nella Trinità delle persone
di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo" (n. 2). Nella
Trinità c'è diversità di Persone, una non è
l'altra; non c'è nessuna gerarchia tra di loro, poiché nessuna
Persona sta al di sopra o al di sotto dell'altra (contrariamente alla
Chiesa cattolica); e, tuttavia, acquista vigore una profonda unità
che nasce dalla pericoresi, cioè dall'interrela-zione di tutte
le divine Persone tra loro, tutte accogliendosi nella loro diversità
e tutte autodonandosi totalmente. L'es-senza della pericoresi è
l'amore. Diceva bene San Bernardo: "Nella Santissima Trinità,
cos'è che conserva quella suprema e ineffabile unità se
non l'amore? L'amore costituisce la Trinità nell'unità e,
in un certo modo, unifica le Persone nel vincolo della pace. L'amore genera
amore. Questa è la legge eterna e universale, legge che tutto crea
e tutto governa" ("Liber de diligendo Deo", c.12, n.35:
PL 192, 996 B). Questa unità è "modello supremo"
per l'unità della Chiesa e tra le Chiese. Esse sono diverse ma
tutte unificate nella stessa relazione di accettazione mutua e di mutuo
amore.
In secondo luogo bisogna intendere la Chiesa come comunione, tema importante
nel Vaticano II e in tutta l'ecclesiologia post-conciliare (specialmente
nel Sinodo del 1985), a ragione chiamata ecclesiologia di comunione. La
prima epistola di San Giovanni ci offre il senso radicalmente teologico
della comunione: "quello che abbiamo visto e udito noi ve lo annunciamo
perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione
è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo" (1Gv
1,3). Nuovamente la comunione si realizza nella diversità delle
Persone che si uniscono attraverso lacci di vita e di amore. Giovanni
Paolo II, di fronte a tutti i vescovi latinoamericani fece una dichiarazione
tra le più belle del suo pontificato: "Il nostro Dio nel suo
mistero più intimo non è solitudine, ma una famiglia, poiché
porta in se stesso la paternità, la filiazione e l'essenza della
famiglia che è l'amore, lo Spirito Santo" (Documenti di Puebla,
28/1/1979, Ed. Vozes, Petrópolis, 1979, 46). La famiglia esprime
qui la communio. È la comunione tra tutte le Chiese che fa di esse
l'unica Chiesa di Cristo. La Chiesa universale non è altra cosa
se non la comunione delle Chiese particolari, "nelle quali e a partire
dalle quali esiste (exsistit) la Chiesa cattolica una e unica", come
dice in maniera pertinente la "Lumen Gentium" (n. 23a). Questa
comprensione comunionale evita la critica fatta dalla Dichiarazione "Mysterium
Ecclesiae", secondo la quale la Chiesa universale sarebbe l'insieme
o la somma (summa) delle Chiese. Per la comunione non si sommano le Chiese
ma si riconosce la comunione reale tra di esse che può essere di
maggiore o minore densità, ma tutte loro con carattere ecclesiale.
In terzo luogo, è il caso di sottolineare l'importanza del concetto
di Chiesa-Popolo-di-Dio, considerato dal card. J. Ratzinger nella sua
conferenza sulla natura della Chiesa come "tema improprio",
"perché si presta meno a descrivere la struttura gerarchica
della comunità ecclesiale (cfr "Il Regno", op.cit., 233b-234a).
Ora qui risiede il valore di questo concetto di Chiesa. Per questo, nella
"Lumen Gentium", è stato anteposto al capitolo sulla
Struttura Gerarchica della Chiesa (nelle fasi anteriori l'ordine era inverso).
Questo concetto rivela meglio la Chiesa universale come peregrinazione
e movimento di tutti coloro che seguono Gesù, pertanto di tutte
le Chiese, prima delle distinzioni al loro interno di ministeri, servizi
e carismi. Questi non sono fazioni ma funzioni di servizio e di animazione
di tutta la comunità. L'insieme organico di tutte le Chiese e Comunità
ecclesiali, insieme strutturato da relazioni di comunione e di servizio
al mondo, costituisce fondamentalmente il Popolo di Dio in marcia. Questo
è bene espresso dal termine biblico e profondamente teologico "popolo
di Dio", logicamente scomodo alle costruzioni riduzioniste del card.
J. Ratzinger.
In quarto luogo, la missione è decisiva per intendere la natura
della Chiesa di Cristo. Questa non esiste per sé. Non è
essa che Dio ama in primo luogo, ma il mondo, poiché a questo ha
inviato suo Figlio (Gv 3,16). Di fronte al mondo essa possiede una struttura
sacramentale: è segno e strumento, pertanto, di Cristo per il mondo.
Deve indicare Cristo e non sostituirlo. Deve, per un lato, affermarsi
perché attraverso di essa l'eredità di Gesù è
mantenuta viva nella storia. Ma, per altro lato, deve simultaneamente
negarsi perché Cristo appaia e conquisti centralità. La
Chiesa possiede centralità solamente nella misura in cui sta in
Cristo e nello Spirito e non fondata in se stessa. È a partire
dalla missione che essa intende essere dell'ordine dei mezzi, come sacramento
e segnale che già anticipa e rende presente la salvezza ma che
è chiamata a sparire per dar luogo ai Popoli di Dio nel Regno definitivo
(cfr Apocalisse 21,3).
Infine, in funzione della sua missione nel mondo, oggi globalizzato, la
Chiesa si dà strutture e servizi che le sembrano adeguati a compiere
la sua missione. È importante imitare il comportamento delle comunità
ecclesiali delle origini che hanno saputo tradurre il messaggio di Gesù
per il tempo futuro, quando già non si aspettava più la
parusia, e hanno assunto forme di organizzazione tolte dall'ambiente circostante
ma che erano loro funzionali. Secondo le principali ricerche cattoliche
insieme a quelle ecumeniche è consentito dire con sicurezza che
la Chiesa, in quello che riguarda il suo lato istituzionale, non può
essere derivata, direttamente, dal Nuovo Testamento. Questo non conosce
la struttura, presentata come un feticcio intoccabile dai documenti ufficiali,
vescovo-presbitero-diacono. Tale strutturazione è testimoniata
solamente a partire da Sant'Ignazio di Antiochia, nella terza generazione
apostolica. E nelle decisioni, le comunità ecclesiali originarie
si ispiravano più allo Spirito presente (cf. At 15,28) e al Signore
risorto che ai riferimenti al passato. Oggi, la Chiesa si confronta con
la sfida di guardare in avanti, poiché di fronte ad una situazione
assolutamente inedita, l'emergere di un'unica società mondiale,
deve, nello Spirito, prendere decisioni, cariche di conseguenze per il
futuro del Vangelo nel mondo. Come diceva il vecchio maestro Karl Rahner,
la Chiesa deve osare, nella forza del Risorto e del suo Spirito, fino
al punto in cui andare oltre sarebbe eresia o tradimento. Ed essa può
permettersi tale audacia perché si sente divinamente accompagnata.
Solamente in questa forma si colloca all'altezza delle sfide mondiali.
La sfida vale non solo per questa o quella Chiesa ma per la totalità
del cristianesimo come movimento di Gesù che deve comporsi insieme
ad altri movimenti spirituali che offrono anch'essi il loro messaggio
all'umanità. Tutti insieme sono corresponsabili perché il
Supremo che abita l'essere umano non sia affogato né sradicato
dalla faccia della Terra: la presenza di Dio nel cuore dell'universo,
nel centro della storia e nella profondità dell'essere umano.
L'ecumenismo non mira solamente alla pace tra le Chiese e le religioni
attraverso il mutuo riconoscimento nell'a-more e nella cordialità,
ma principalmente alla pace tra le tribù della terra e alla pace
perenne con la stessa Terra, Magna Mater e Gaia. Senza questa pace potremo
subire il destino dei dinosauri. La questione centrale non è più
chi è Chiesa di Cristo e chi non lo è. Neppure qual è
il futuro del cristianesimo o della civiltà occidentale che ha
servito da nicchia di incarnazione per le principali Chiese. La nuova
centralità si trova in ciò: che futuro hanno la terra e
i figli e le figlie della terra, l'umanità? Questo futuro non è
più garantito. Questa volta non c'è un'arca di Noè
che salvi alcuni e lasci morire gli altri. O ci salviamo tutti o ci perdiamo
tutti, con o senza elementi ecclesiali. In che misura l'eredità
di Gesù, la Chiesa cattolica con tutta la sua pretesa di esclusività
e le altre Chiese e Comunità cristiane aiutano a garantire un futuro
di vita e di speranza per la Terra e l'umanità? A questo deve servire
l'ecumenismo.
Di fronte alla crisi della Terra e dell'umanità è deviazionismo
irresponsabile parlare di subsistit in o est, di "sussistenza"
o di "assumere forma concreta". Il Titanic sta affondando per
tutti e alcuni gaiamente alienati si ostinano ad occuparsi di tali questioni.
Bene ci ha avvertito il Signore: "Quando vedete una nube salire da
ponente, subito dite: viene la pioggia. E così accade. E quando
soffia lo scirocco, dite: ci sarà caldo. E così accade.
Ipocriti, sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai
questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi
stessi ciò che è giusto?" (Lc 12,54-57).
Il card. J. Ratzinger per tre volte ha ribadito la condanna della mia
lettura del subsistit in del Vaticano II, nella forma più pubblica,
solenne e contundente possibile. Mi ha onorato con una nota (n. 56) nella
sua Dichiarazione della *Dominus Iesus+. A richiesta di eminenti teologi
di varie parti del mondo, comprese alte autorità ecclesiastiche,
sono stato sollecitato a dare una risposta. Lo faccio malvolentieri, poiché
considero queste questioni, in una prospettiva globale, intrasistemiche
e irrilevanti per la maggioranza dell'umanità e degli stessi cristiani
che si orientano attraverso il vangelo. Ho pubblicato una versione profetica
e di denuncia sotto il titolo *Ratzinger: sterminatore di futuro?+ pubblicata
sul *Jornal do Brasil+ nei giorni 4, 5, 6 ottobre del 2000 e questa di
tenore strettamente storico-teologico. Vivo nella periferia del mondo
e della Chiesa con scarse risorse bibliografiche. Anche così ho
assunto il compito con la serietà necessaria e possibile ai miei
limiti.
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