MA.R.I.C.A. MALATTIE REUMATICHE INFIAMMATORIE CRONICHE e AUTOIMMUNI GRAVIDANZA, POLIABORTIVITA' E AUTOIMMUNITA' SINDROME
DA ANTIFOSFOLIPIDI Dottoressa Angela
Tincani
La
associazione tra anticorpi anti fosfolipidi (aPL), evidenziati dalla positività
del test per il Lupus Anticoagulant (LAC) o del test degli anticorpi
anticardiolipina (aCL), ed un particolare quadro clinico caratterizzato da
trombosi, perdite fetali ricorrenti o trombocitopenia è stata battezzata negli
anni 80 “sindrome da anticorpi antifosfolipidi”(APS)(tab.1). Originariamente
descritta in pazienti con Lupus Sistemico e quindi come parte del quadro della
malattia (sindrome secondaria), la
APS è stata descritta anche in soggetti senza alcuna altra patologia se non
quella legata alla sindrome stessa (sindrome primaria). Tab. 1- Caratteristiche della Sindrome da Antifosfolipidi da
Harris EN, et al.; Br. J. Rheumatol. 1987; 26:324-7.
Il
riscontro di un dato clinico e di un dato di laboratorio è sufficiente per la
diagnosi . Il test per aPL deve essere positivo in almeno due occasioni a
distanza di più di tre mesi. 1.1
EPIDEMIOLOGIA Trattandosi di una
sindrome è difficile stabilirne la prevalenza e incidenza nella popolazione
normale. Segue qui un elenco delle situazioni nelle quali si hanno alcune
notizie. Tab.
2- Epidemiology of the Antiphospholipid Sindrome da
Petri M; in The Antiphospholipid Syndrome, CRC Press 1996; 13-28.
2.
DIAGNOSI Dalla
definizione sopra riportata si comprende come la diagnosi di APS debba
necessariamente comprendere 2 approcci complementari e indispensabili: uno
clinico (2.2) e uno di laboratorio (2.3). Recentemente,
durante l’8° Simposio Internazionale sugli Anticorpi Antifosfolipidi,
tenutosi a Sapporo in Giappone nell’ottobre 1998, è stato raggiunto un
accordo internazionale sui criteri di classificazione. Lo scopo di questo sforzo
era quello di fornire dei requisiti rigidi e inconfutabili per poter creare dei
gruppi di pazienti assolutamente omogenei, adatti per la elaborazione di studi
controllati. Si è pertanto
privilegiata la individuazione delle caratteristiche essenziali della APS che
emergono dalla osservazione degli studi clinici prospettici da un lato e dai
modelli sperimentali dall’altro, (tab 3). Da
quanto detto si dovrebbe dedurre che questi, come tutti i criteri
classificativi, non sono destinati alla diagnosi del singolo paziente. In
effetti sia nella parte clinica che in quella di laboratorio la diagnosi può
essere confortata da una serie di altre informazioni in qualche caso meno
specifiche, ma pur sempre rilevanti, in altri casi semplicemente più nuove
quindi meno validate dalle osservazioni prospettiche cui precedentemente
accennato.
Tab.
3- Dichiarazione di Consenso Internazionale sui da
Wilson W, Gharavi A, et al.; Arthitis Rheum. 1999 in press.
Richiesti:
1 o più criteri clinici ed 1 o più criteri laboratoristici nello stesso
paziente.
2.2
DIAGNOSI CLINICA Dalla
analisi compiuterizzata delle caratteristiche cliniche di 667 pazienti con
malattia lupica sono stati evidenziati i sintomi
più
frequentemente associati ad aPL (Alarcón-Segovia et al.; Sem. Arthritis Rheum.
1992; 21:275-285). A
conferma di quanto già era stato evidenziato nelle casistiche più ridotte
riportate in letteratura tali sintomi sono:
·
Perdite fetali ricorrenti ·
Trombosi venose ·
Trombosi arteriose ·
Ulcere agli arti inferiori ·
Livedo reticularis ·
Anemia emolitica ·
Trombocitopenia
Naturalmente
la rilevazione di questi sintomi fa sospettare la APS e pertanto avvia le
procedure laboratoristiche richieste (2.3) solo quando le cause più comuni
siano state escluse. Oltre
a queste caratteristiche, basandosi su osservazioni abbastanza condivise anche
se non controllate, altri sintomi sono stati descritti come associati ad APS.
Tra questi pricipalmente la malattia valvolare cardiaca e un certo numero di
manifestazioni neurologiche non sempre o non chiaramente riconducibili a
trombosi (ischemia cerebrale transitoria, mielite trasversa, corea, emicrania). Basandosi
sulla riconosciuta frequenza di queste caratteristiche, anche se non rivestono
carattere diagnostico, se ne raccomanda la rilevazione che può confermare un
sospetto diagnostico o stimolare alla effettuazione di
accertamenti strumentali che in alcuni casi potrebbero portare alla
dimostrazione di fatti trombotici. Da quanto detto si desume che una serie di rilievi strumentali sono necessariamente impiegati nella formulazione della diagnosi di APS e cioè: ·
Le indagini atte a documentare
trombosi (doppler arteriosi e venosi; flebo-arteriografie, indagini
neuroradiologiche, in particolare risonanza magnetica nucleare; biopsie per
documentare trombosi dei piccoli vasi). · Le indagini atte a valutare il benessere fetale (in particolare la ecografia fetale per rilevare eventuali ritardi di crescita conseguenza della insufficienza placentare e la doppler-flussimetria delle arterie ombelicali e uterine). 2.3
DIAGNOSI DI LABORATORIO A
differenza di molte altre patologie autoimmuni, la diagnosi laboratoristica di
APS può comprendere anche la positività di un solo test. Per questa ragione
viene raccomandato estremo rigore nella valutazione dei test diagnostici e nel
controllo della loro persistente positività. 2.3.1
TESTS CLASSICI E’
evidente che nel rispetto del consenso internazionale sui criteri classificativi
della APS i tests diagnostici sono il Lupus Anticoagulant e il test per gli
anticorpi anticardiolipina purchè siano rigorosamente rispettate le modalità
sopra riportate(tab.2). 2.3.2
TESTS NUOVI Le conoscenze acquisite negli ultimi 10 anni hanno evidenziato come i così detti anticorpi anti fosfolipidi siano in larga parte non verso il fosfolipide di per sé ma piuttosto verso le proteine che legano i fosfolipidi (es.:beta2 glicoproteina I, protrombina etc.). In particolare la beta2 glicoproteina I (b2GPI) è stata riconosciuta come parte pricipale del complesso antigenico riconosciuto dagli anticorpi anti cardiolipina. Per questo motivo sono stati sviluppati dei metodi ELISA per il rilevamento di anticorpi anti b2GPI che rivestono oggi un significato diagnostico apparentemente più specifico e più sensibile del test classico degli anticorpi anti cardiolipina (per una revisione dell’argomento: Tincani et al.; Clin Exp Rheumatol. 1998; 396-402). Pertanto anche se questo metodo non è entrato in quelli approvati dal consenso internazionale, probabilmente anche per la attuale carenza di studi di standardizzazione del metodo, un paziente con sospetto clinico di APS e anticorpi anti b2GPI, anche in assenza di positività del LAC o degli aCL ha una forte probabilità di avere la sindrome. Il giudizio finale resta al medico che deve tenere in considerazione in questo anche la affidabilità del laboratorio o dei laboratori che forniscono i dati. 2.3.3
TESTS COMPLEMENTARI Essendo la APS una malattia autoimmune sistemica la positività di altri autoanticopi è tuttaltro che rara e può servire a confermare(a) o completare la diagnosi(b,c,d). a) Tests descritti nella APS con varia frequenza: · Test di Coombs diretto · Anti mitocondri di tipo M5 (AMA-M5) · Anticorpi anti lamine b) Tests per la valutazione degli anticorpi antinucleo, che puntualizzano la eventuale relazione tra la APS con una malattia Lupus Like o addirittura la sua secondarietà a Lupus Eritematoso Sistemico: · Anticorpi antinucleo (con titolo) · Anticorpi anti ENA · Anticorpi anti DNA (nativo e denaturato) c) Valutazione del sistema complementare, ancora per valutare la relazione della APS col Lupus Eritematoso, ma anche per rilevare eventuali deficit di fattori complementari descritti nella APS · Attività emolitica complementare totale (CH50) · C3 · C4 d) Indagini routinarie, in particolare: · Emocromo completo con formula e piastrine (per la valutazione della eventuale piastrinopenia e anemia) · Funzionalità renale · Funzionalità epatica · Test di flogosi che dovrebbero essere negativi nella APS (salvo eccezioni: una potrebbe essere la VES elevata in caso di anemia emolitica Coombs’ +) Come
specificato nei criteri diagnostici, la diagnosi di APS prevede l’esclusione
di altre coagulopatie, pertanto i pazienti dovranno essere indagati per le più
comuni cause di trombofilia (da concordarsi con il laboratorio di coagulazione). Il trattamento che deve ricevere un paziente con APS in corso di episodio trombotico non è diverso da quello che riceve un paziente pure affetto da trombosi ma senza la Sindrome. Questa fase deve comprendere: · iniziale scoagulazione con eparina · successivo passaggio ad trattamento con aticoagulanti orali (warfarina) In questa fase sono stati impiegati con successo anche trattamenti fibrinolitici. I pazienti con APS sono caratterizzati da un alto rischio di ricorrenza di fenomeni trombotici (rischio quantificato dal 22 al 69%). Pertanto questi
pazienti dovrebbero essere mantenuti scoagulati molto a lungo. Inoltre il grado
di scoagulazione dovrebbe essere tale da ottenere un Tempo di protrombina (PT)
con un Indice Internazionale di Normalizzazione (INR) tra 3 e 4 (condotta
terapeutica derivata da: Khamastha MA et al . New
Engl J Med.,1995;332:993-997. Rosove MH, Brewer PMC. Ann
Int Med., 1992; 117:303-308. Derksen RHWM et al, Ann Rhem Dis 1993; 52:689-692). La presenza di piastrinopenia, che spesso si associa alle manifestazioni maggiori della sindrome, non protegge i pazienti dagli episodi trombotici (Krinic-Barrie S et al, Arch Intern Med 1997;157: 2101-2108), di conseguenza anche in questa situazione la condotta terapeutica non andrebbe teoricamente modificata. Se la piastrine scendono sotto le 50000 i pazienti dovrebbero essere trattati con corticosteroidi. L’impiego delle immunoglobuline in vena dovrebbe essere limitato a situazioni in cui necessita un rapido e temporaneo rialzo delle piastrine (es. profilassi di interventi chirurgici). Nei pazienti con piastrinopenia resistente allo steroide sono stati riportati successi con dapsone, danazol, clorochina.warfarina e splenectomia (tutti dati aneddotici) 3.1.2
PROFILASSI DELLA TROMBOSI NEL PAZIENTE ASINTOMATICO Dal momento che anticorpi anti fosfolipidi sono stati dimostrati nel 3-6% della popolazione sana e in una percentuale certamente significativa di pazienti con malattia autoimmune sistemica (30-50% nel Lupus Eritematoso Sistemico) si pone il problema di come trattare soggetti con antifosfolipidi ma senza precedenti episodi trombotici. Oggi questo trattamento include per prima cosa allontanare i fattori di rischio e cioè: · fumo, · obesità, · ipertensione, · ipercolesterolemia, · contraccettivi orali, · profilassi con eparina delle situazioni ad alto rischio (interventi chirurgici, immobilità per ingessature, etc.)
In soggetti con persistente e significativa positività del LAC e/o degli aCL può essere indicato l’uso di basse dosi di aspirina a tempo indefinito. Quando gli aPL sono nel contesto di una malattia autoimmune è indicato l’uso della idrossiclorochina. Non esistono precise indicazioni alle modalità di trattamento profilattico della trombosi in pazienti con piastrinopenia isolata che non hanno mai avuto trombosi. Negli anni 80 era stato usato con successo un trattamento con steroide e aspirina delle pazienti con APS durante la gravidanza. In tempi successivi tuttavia, è stata dimostrata un’alta incidenza di effetti collaterali materni legata al trattamento steroideo. Attualmente la profilassi della perdita fetale nelle pazienti con APS si basa sulla scoagulazione e l’antiaggregazione. Dal momento che la warfarina attraversa la placenta ed è teratogena tra la 6° e 12° settimana di gestazione, il trattamento anticoagulante viene effettuato con eparina. Queste pazienti che usualmente sono già in trattamento anticoagulante devono essere passate in eparina. Questo è generalmente fatto prima del concepimento, il che talvolta espone le donne a lunghi trattamenti eparinici, non liberi da effetti collaterali, dal momento che la data del concepimento non è sempre prevedibile. Attualmente, visto che come si è detto la teratogenicità della warfarina non si verifica prima di 6-7 settimane viene suggerito di iniziare il trattamento eparinico dopo che il test di gravidanza è positivo. Nel caso di eparina non frazionata, la quantità andrebbe dosata tenendo conto del valore del tempo di tromboplastina parziale (PTT) e portandolo col trattamento ad un valore di 1,5-2 rispetto al controllo, cosa che fuori gravidanza si ottiene in genere con la somministrazione sottocutanea di 5000 U due volte al dì; in gravidanza probabilmente l’eliminazione è più rapida e la quantità andrebbe tarata di volta in volta sul valore del PTT. E’ discusso se questo valore vada preso al picco dopo la somministrazione o immediatamente prima della successiva inoculazione. La recente introduzione della eparina a basso peso molecolare, che presenta una serie di vantaggi pratici rispetto alla eparina non frazionata, pone il problema del monitoraggio in quando la quantità da somministrare andrebbe verificata tramite l’inibizione del fattore Xa. Il trattamento di queste pazienti è simile a quello precedentemente esposto. L’unica differenza significativa è che la paziente non è generalmente in trattamento scoagulante prima della gravidanza. Il trattamento di mantenimento può essere uno di quelli esposti al paragrafo 3.1.2 e cioè nella larga maggioranza dei casi aspirina 100 mg/die. Il trattamento con eparina sarebbe pertanto da aggiungere dopo il primo rilevo ecografico di battito cardiaco fetale, in genere intorno alle 6 settimane di gestazione. 3.3.2 PROFILASSI DELL’ABORTO IN PAZIENTI CHE NON HANNO MAI ABORTITO In questo gruppo
vengono comprese donne con aPL ma che non hanno mai sperimentato aborti nè
trombosi. I trials controllati danno in questi gruppi a basso rischio risultati
contraddittori (successo con la sola aspirina intorno al 90% Silver et al. Am
J Obst Gynecol,1993; 169: 1411-1417. Successo
con la sola aspirina intorno al 40% Kutteh et al. Am
J Obst Gynecol,1996; 174:1548-1589.) Inoltre
ci sono studi sempre su questi gruppi di pazienti che indicherebbero comunque di
associare alla aspirina il trattamento classico con eparina. La decisione
terapeutica in questi casi potrebbe a mio avviso essere più conservativa e
partire dal trattamento anti aggregante. In caso di trombocitopenia in pazienti senza anamnesi ostetrica positiva non ci sono indicazioni precise se non l’uso di corticosteroidi (Leuzzi et al; Clin Exp Rheum 1997;15:197-200.) Comunque la piastrinopenia presumibilmente non protegge dall’eventuale rischio di aborto (visto che è dimostrato che non protegge dal rischio trombotico), coseguentemente con valori piastrinici > 100000 potrebbe essere indicato l’uso di Aspirina a basso dosaggio. |