I
super-israeliti Rime macheroniche Poemetto
polimetro in otto canti Il
maggior figlio di casa Franchetti veniva riformato dal servizio militare:
tale fausto evento fece sorgere l'idea d'una festa in famiglia: l'esito di tale
festa mi dettò i versi che ne celebrano i fasti. Canto
1° |
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Vorria aver la rima cesellada, el verso de Vergilio e de Nasone,
vorria aver la succa
ben salada de
Dante, de l'Ariosto e del Manzone, vorria aver la penna rinomada de Galileo,
de Vico e de Bacone per
tramandar ai posteri con gloria la
susseguente ed inaudita storia. Ma
siccome natura, quell'ingrata, oltre
che scars assai de pisciutim seguendo
el sò caratere
de mata non
ha volù, per tutti i kolaim, donarme un scin de testa equilibrata coma
da temp ne manca fra i Gnivrim, così
ve dighi subit che farò quel
po' che dal servel cavar podrò.
So
ben che è assai difficil el
mester; m'imagini le critiche e i lamenti, i
pianti, le baruffe, i brutt pensier,
le
botte, le risposte, i complimenti: ma
me ve lassarò con gran piaser
tirarve pei cavei,
sgagnar coi denti, e
per non perder temp darò frattanto l'intonazion al mio novello canto. |
Vorrei
avere la rima cesellata, il
verso di Virgilio e di (Ovidio) Nasone, vorrei
avere la mente molto acuta di
Dante, dell'Ariosto e del Manzoni, vorrei
avere la penna celebrata di
Galileo, di Vico e di Bacone per
tramandare ai posteri con gloria la
seguente ed inaudita storia. Ma
siccome la natura, quell'ingrata, oltre
che assai carente di pisciutim
(soldi) seguendo
il suo carattere di matta non
ha voluto, per tutti i kolaim
(guai), donarmi
un scin
(briciolo) di buon senso come
da tempo ne manca fra i Gnivrim (ebrei), così
vi dico subito che farò quel
poco che potrò ottenere dal mio cervello. So
bene che il lavoro è assai difficile; m'immagino
le critiche e i lamenti, i
pianti, le baruffe, i cattivi pensieri, le
botte, le risposte, i complimenti: ma
io con grande piacere vi lascerò tirare
per i capelli, mordere coi denti, ed
intanto per non perdere tempo darò inizio
al mio nuovo canto. |
Canto
2° |
|
Allevato
lontan dagli affanni, tra
le glorie d'antico splendor, era
giunto a l'età dei vent'anni piturando compagn
d'un pitor: era
Aristide al nome glorioso, che
g'aveva 'sto genio famoso. Da
la fronte marmorea spaziosa se
vedeva qual seckel
g'avess, e
nei occ ghe brillava
focosa la
gran fiamma dei gran Santagnes: ma purtropp el dover militare a
la patria doveva pagare. Tutto
lindo, pulito, azzimato, un
bel giorno a la visita andonne: era
bello veder denudato questo
giovin rampollo d'Aronne; ma
non so... per fatal deficienza l'han
cassà via del tutt in
licenza. Figurarse la gran meraviglia: me
non credi che penna ghe sia, che
de tutta st’immensa famiglia contar
possa l'eccelsa allegria: sol
ve dighi che per farghe onor volle
Ettòrre un concerto propor. Chi
mai sia questo nobile Ettor se
ignoraste per caso assai stran ve
dirò che non è eI domator de
cavai, el valente Troian, ma
se creda da tutt la keilà che
d'Aristide sia el papà. La
proposta del buon genitore dita
lì in un moment de morbin vegna accolta con grande favore da sò fiol quel che sona el violin, una
testa... un ingegn sovruman
che
Rossini è in confront quasi un can. Sbalordito
da l'alto pensiero, rivolgendo
ne l'alma gli allori che
poteva il concerto per vero procurargli
sì in casa che fuori, tutt content
scolgassà in la poltrona interpella
sò mama e sò nona. E
così in un minuto secondo se
combina la celebre festa che
doveva fruttarghe nel mondo la
più splendida gloria ed onesta, e
per render più illustre el programma fa impissar de petrolio una fiamma. Intratant che l'illustre gudà è
sott sora con gran confusion per
disporre con gran cavanà
el palass
per el gran concerton, el poeta che è stuf de cantar ve
domanda un minut per chietar. |
Allevato
lontano dalle preoccupazioni, tra
le glorie di antico splendore, era
giunto a l'età dei vent'anni dipingendo
come un pittore: era
Aristide dal nome glorioso, che
aveva questo genio famoso. Dalla
fronte marmorea e spaziosa si
vedeva quale seckel
(intelligenza) avesse, e
negli occhi gli brillava ardente la
grande fiamma dei grandi Santagnes: ma
purtroppo il dovere militare doveva
pagare alla patria. Tutto
lindo, pulito, azzimato, un
bel giorno andò alla visita: era
bello vedere nudo questo
giovane rampollo d'Aronne; ma
non so... per una fatale insufficienza l'hanno
mandato via definitivamente in licenza. Figuratevi
la grande meraviglia: io
non credo che vi sia penna, che
possa descrivere la grandissima gioia di
tutta questa grande famiglia: vi
dico solo che per fargli onore Ettòrre volle proporre un concerto. Chi
mai sia questo nobile Ettore se ignoraste
per caso assai strano vi
dirò che non è il domatore di
cavalli, il valoroso Troiano, ma
tutta la keilà
(comunità) crede che
sia il papà d'Aristide. La
proposta del buon genitore buttata
lì in un momento di follia viene
accolta con grande favore da
suo figlio quello che suona il violino, una
testa... un ingegno straordinario che
al confronto Rossini è quasi un cane. Sbalordito
dalla grande idea, ripensando
in cuor suo alla gloria che
il concerto poteva veramente procurargli
sia in casa che fuori, tutto
contento sdraiato nella poltrona interpella
la sua mamma e la sua nonna. E
così in un attimo si
organizza la celebre festa che
doveva fruttargli nel mondo la
gloria più splendida ed onesta, e
per rendere il programma più importante fa
accendere una lampada a petrolio. Mentre
l'illustre gudà
(schiera) è
sottosopra con grande confusione per
preparare con grande cavanà (zelo) il
palazzo per il grande concerto, il
poeta che è stanco di comporre vi domanda
un minuto per riposarsi. |
Canto
3° |
|
Ettore: Lisa, Lisa benedeta
meta via quela spasseta, porta chì una qualche scragna, buta in cort
quela cavagna, e te Aldo sta fermin... tasi un po' con quel violin.
Richeta: Cara te, la mè Rosina, dam un po’ la mansarina e pò squassa el baldachin, che de ross s'è fatt turchin: me dà propria un gran pensier
e tel dich per non taser, quel mosciau che fa un odor che me toca fin el cor. Ma gh’è un'altra gran macà s'ho da dir la verità: non g’avem che tri bicier du scudeli
e un candeler: coma mai podrema far la gran sala a illuminar? coma mai a tutt la gent podrem dar el
trattament? Ettore: Son andà dal bon Scipion per stampar el cartelon ma m'ha ditt che nol farà per el gran d'affar che g’ha. e cosi dop tant bordel manca propria el bon e el bel. Lisa:
Tute queste en rose e viole, en sciochezze de parole.
el più gross
e gran torment en i inviti de la gent. Ettore: Ah! son stuf, son stuf del tutt non ghe vedi el mamasciut, me lassè far tutt a mi e ghe manca sol du dì: se, perdio, non m'aiutè me rinunci al soarè. Lisa:
Ma cos'è 'sto gran mappel, cos'è mai 'sta confusion dov'et miss el
tò servel, dov'et miss la tò ragion? per i invit
non ghe pensar ho sà
fatt le notazion perché propria vói ciamar del ckasser el
gran bon ton. G'ho miss dentar Giacomin e la goba
Margherita, Magnabigoli, Pepin,
Maier, Lazzaro e l'Annita. Gh'è Vittorio quel magnan che sò
in ghett bottega g'ha; gh'è Giovan
el venezian, la Clementa de Sciscià. Pò vói
anca che ghe sia per salvam
dai paramai la mè
cara "Amalia mia" che non vegna
quasi mai. Per finir la bela lista, che me para limitada
g'ho miss denter
qualche artista de gran fama rinomada: gh'è una qualche prima dona, c'ha cantà
con mì al Social, gh'è la Linda, la Simona, la moier
de Latmiral. G'ho mandà
pò un biglietin ai coristi e ai sonador; ghe sarà un bell'organin, du baritoni e un tenor. Se me son dismentegada
d'invidar
un qualchedun non me dir che son sventada, non è colpa de nissun. En queste le parole malcontente che tegnen
‘sti gnivrim
per combinar; ma intant
me ve domandi, bona gente, che me lasseghi
propria riposar. |
Ettore: Lisa, Lisa benedetta metti via quella spazzola, porta qui qualche sedia, butta nel cortile quella cesta, e tu Aldo sta tranquillo... taci un po' con quel violino. Richeta: Cara te, la mia Rosina, dammi un po’ la scopa e poi sbatti il baldacchino, che da rosso è diventato turchino: mi dà proprio una grande preoccupazione e te lo dico per non tacere, quel mosciau (gabinetto) che fa un odore che mi tocca fino il cuore. Ma c’è un'altra grande macà (disgrazia) se devo dire la verità: non abbiamo che tre bicchieri due scodelle e un candelabro: come mai potremo fare a illuminare la grande sala? come potremo mai accogliere tutta la gente? Ettore: Son andato dal buon Scipion
per far stampare il programma ma m'ha detto che non lo farà perché ha un gran daffare. e cosi dopo tanta confusione manca propria il buono e il bello. Lisa:
Tutte queste sono rose e viole, sono sciocchezze di parole. La preoccupazione più grossa e grande sono gli inviti delle persone. Ettore: Ah! sono stanco, sono totalmente stanco non ci vedo il mamasciut (fondamento), lasciate fare tutto a me e mancano solo due giorni: se, perdio, non m'aiutate io rinuncio all’ evento. Lisa:
Ma cos'è questo gran mappel
(casino), cos'è mai questa confusione dove hai messo il tuo cervello,
dove hai messo la tua ragione? per gli inviti non ci pensare ho già fatto l’elenco perché voglio proprio chiamare il meglio del ckasser
(ghetto). Ho messo dentro Giacomin e la gobba Margherita, Magnabigoli, Pepin,
Maier, Lazzaro e l'Annita. C'è Vittorio quel calderaio che ha la bottega giù nel
ghetto; c'è Giovan
il veneziano, la Clementa de Sciscià. Poi voglio anche che ci sia per salvarmi dalle lamentele la mia cara "Amalia
mia" che non viene quasi mai. Per finire la bella lista, che mi sembra limitata c'ho messo dentro qualche
artista di grande e rinomata fama: c'è qualche prima donna, che ha cantato con me al Teatro
Sociale, c'è la Linda, la Simona, la moglie di Latmiral. Ho mandato poi un biglietto ai coristi e ai suonatori; ci sarà un bell'organetto, due baritoni e un tenore. Se mi sono dimenticata d'invitare qualcuno non mi dire che son sventata, non è colpa di nessuno. Sono queste le parole poco
garbate che usano questi gnivrim (ebrei)
per organizzare; ma intanto io vi domando, buona
gente, che mi lasciate riposare
davvero. |
Canto
4° |
|
Arrivati
a la sera fatale del
non meno fatale concerto già
il palazzo da prima deserto s'incomincia
de gent a impinir: le
lucerne di mezzo a le sale mandan lieti e lontani bagliori, già
indistinti e confusi clamori fin
sò in strada me par da sentir. Sono
gare di gran complimenti, sono
evviva che vengon dal petto, è
un parlare in toscano e in dialetto che
mi desta una gran commozion: v’ha
chi ammira gli specchi lucenti, v'ha
chi loda le scragne imbottite, cose
mai non più viste né udite fin
dai tempi del vecc Bocalon. -
Oh! s'accomodi illustre Enrichetta, che
se senta in 'sta bella poltrona, e
anca lé, la mè cara
Simona, perché
in piedi lì dritta me sta? -
Grazie, grazie, ma g'ho la veletta, che
mi preme di non la sporcare. -
Me la dia che la vo ad inciavare nel
cassetto del nostro armoà. - O
Vittorio, Vittorio Comini, venga,
venga non stia in sudizione, di
mia casa egli è sempre padrone, tenga
pure sul capo il cappel. -
Ma coiussi, che bei stivalini
che
s'è missa la buona Clementa, Adonai!... semper
grassa deventa, e g'ha un pett che somiglia a un broffel. -
Quale onore mio buon Giacomino quale
onore vederte chissù, così
bel non me para più lu con
la cagna, la lira e el lorgnett:
bevi,
bevi, 'sto buon bicchierino è
de greggia de quella più fina me
l'ha data la gran tabachina la
più bella donzella del ghett. -
Coma mai non se veda l'Annita, la
futura gentil marangona? - G'ha da far le traponte per lona e
m'ha ditt che più tardi verrà. Sì
verrà con la sò Margherita quella
gobba sì bella e formosa che
con tutti s'è fatta famosa per
la nota sua grande onestà. - E
sarebbe ben lungo il mio dire se
volessi così continuare, che
potrei a buon conto stufare il
più caro e paziente lettor: credo
quindi util cosa finire per
dar mano ad un canto novello che
ho ben fede sarà solo quello che
sorrider faratti di cor. |
Arrivati
alla sera fatale del
concerto non meno fatale già
il palazzo dapprima deserto comincia
a riempirsi di gente: le
lucerne in mezzo alle sale mandano
bagliori lieti e lontani, già
clamori indistinti e confusi mi
pare di sentire fin giù in strada. Sono
gare di grandi complimenti, sono
evviva che vengono dal petto, è
un parlare in toscano e in dialetto che
mi procura una grande commozione: c’è
chi ammira gli specchi lucenti, c’è
chi loda le sedie imbottite, cose
mai non più viste né udite fin
dai tempi del vecchio Bocalon. -
Oh! s'accomodi illustre Enrichetta, si
sieda in questa bella poltrona, e
anche lei, la mia cara Simona, perché
se ne sta lì dritta in piedi? -
Grazie, grazie, ma ho la veletta, che
non voglio sporcare. -
Me la dia che la metto sotto chiave nel
cassetto del nostro armadio. - O
Vittorio, Vittorio Comini, venga,
venga non stia in soggezione, a
casa mia lei è sempre padrone, tenga
pure il cappello in testa. -
Ma perbacco, che bei stivalini che
s'è messa la buona Clementa, Adonai (caspita)!... diventa sempre più
grassa, ed
ha un petto che assomiglia a un foruncolo. -
Quale onore mio buon Giacomino quale
onore vederti qui, così
bello che non mi sembra più lei con
il cappello, il soprabito ed il monocolo: bevi,
bevi, questo buon bicchierino è
di grappa di quella migliore me
l'ha data la gran tabaccaia la
più bella signorina del ghetto. -
Come mai non si vede l'Annita, la
futura gentil (moglie del ) falegname? -
Deve fare le trapunte per lona e
m'ha detto che verrà più tardi. Sì
verrà con la sua Margherita quella
gobba così bella e formosa che
è diventata famosa a tutti per
la sua rinomata grande onestà. -
Ed il mio discorso sarebbe così lungo se
volessi continuare in questo modo, che
potrei comunque annoiare il
più caro e paziente dei lettori: credo
quindi cosa utile finire per
iniziare ad un nuovo canto che
sono sicuro sarà solo quello che
ti farà ridere di cuore. |
Canto
5° |
|
S'innalzan cantici si levan strepiti risuona
l'aere del
mantovan: anche
i decrepiti non
che gli stittici plaudono
attoniti chi
suona il pian. Son
canti erotici catastrofelici sui
bianchi cembali che
fan spavent, siccome
il turbine che
spazia rapido quando
terribile mugola
el vent. A
tanto magico suonar
di cembalo che filarmonico or tace, or cór, le
genti pallide si senton scorrere su
la cuticola un
gran sudor. È
tale il fascino che
allor sprigionasi dai
petti timidi dei
invità, che
tutti gridano con
tanta d'ugola oh!
dio finiscila per
carità. Oh!
Dio finiscila con
quell'armonica se
no una colica piena
d'odor tosto
sprigionasi fuor
dal ventricolo con
gran pericolo con
gran rumor. Oh!
siete stupidi a
non comprendere la
nota timida del
forte-pian! poi
che tanto asini natura
fecevi, andè in maiorsega
o fioi de can! A
tale apostrofe le
donne cadono in catalittico gran
sveniment, solo
gli uomini si scuoton subito con
tale strepito da
far spavent. Gh'è Magnabigoli
che
se sbotona e
se bastona con
el magnan, e Santagnacara ghe fa la festa con
la sò testa al Venezian. Gh'è pò el baritono che
slè tacada con
la cugnada de Giacomin e
se dan botte la
Margherita co
la mè Annita del
bel Pipin. Non
son più cantici ma
sono gemiti ma
sono tegole piatti
e bicier che
volan rapidi, che
al suol si frangono rompendo...
ahi misero qualche
seder! Così
d'un subito le
sale splendide tanto
magnifiche per
luce e fior si svuotan rapide più
che telegrafo per
la molteplice fuga
di lor. E
solo restano i
cari coniugi con
voce querula a bisticciar,
infìn che i moccoli senza
cerogine comincian pallidi a
vacillar. Ma
senza lucido e
bel pensiero a
dire il vero anch'io
son già, per
cui credetelo se
poso alquanto lo
vuol soltanto necessità!
|
S'innalzano
canti si
levano strepiti risuona
l'aria del
mantovano: anche
i decrepiti non
che gli stitici applaudono
attoniti chi
suona il piano. Son
canti erotici catastrofici
sui
bianchi cembali che
spaventano, siccome
il turbine che
spazia rapido quando
terribile mugola
il vento. A
tanto magico suonar
di cembalo che
armonioso ora
tace, ora corre, le
genti pallide si
sentono scorrere sulla
pelle un
gran sudore. È
tale il fascino che
allora si sprigiona dai
petti timidi degli
invitati, che
tutti gridano a
gran voce oh!
dio finiscila per
carità. Oh!
Dio finiscila con
quell'armonica se
no una colica piena
d'odore tosto
si sprigiona fuori
dallo stomaco con
gran pericolo con
gran rumore. Oh!
siete stupidi a
non comprendere la
nota timida del
pianoforte! poiché
tanto asini natura
vi fece, andate
in malora o
figli di cane! A
tale esclamazione le
donne cadono in
catalitico grande
svenimento, solo
gli uomini si
scuotono subito con
tale strepito da
fare spavento. C'è
Magnabigoli che
si sfoga e si
picchia con
il calderaio, e Santagnacara fa
la festa (colpisce) con
la sua testa il
Veneziano. C'è
poi il baritono che
se l’è presa con
la cognata di Giacomin e
si danno botte la
Margherita con
la mia Annita del
bel Pipin. Non
son più cantici ma
sono gemiti ma
sono tegole piatti
e bicchieri che
volano rapidi, che
al suolo si frangono rompendo...
ahi misero qualche
sedere! Così
d'un subito le
sale splendide tanto
magnifiche per
luce e fiori si
svuotano più rapide del
telegrafo per
la molteplice loro
fuga. E
restano solo i
cari coniugi con
voce lamentosa a
bisticciare, fino
a che le candele senza
cera cominciano
pallide a
vacillare. Ma
senza lucido e
bel pensiero a
dire il vero anch'io
sono già, per
cui credetelo se
mi fermo un po’ lo
vuole soltanto la
necessità! |
Canto
6° |
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Puta: En andadi finalment, era stufa in verità! ma che gent, oh Dio che gent sensa un scin de civiltà! Dopo i spesi ch'ema fatt, dopo tutt el tribuleri non credeva propria affat che nasses 'sto
putiferi. Rica:
Chi m'ha fatt
restar de sass el confessi con dolor è stà sol quel vis de cass de Leoncino el sonador. Un putel così educà che frequenta el tribunal, che con tanta cavanà lesa semper el giornal, non doveva, a mè parer per rispett e devozion solevar un tal gasér
ne l'altrui abitazion. Lisa: Ma Vittorio ghe
le ha date, g'ha fatt
vegnar sang de nas, g'ha piantà
ne le culate un cazzott da contrabass; e fortuna che Pepin è andà in mesa e i ha divis, che se no de quel putin ghe ne fava un gran pastiss. Ettore: Tute queste en piccolesse
che se polen
tolerar; quel che è pegio
en le sporchesse, roba propria da ingosciar che fasseva
Santagnes propria in mesa de la festa col grattarse
assai de spess quela malcontenta testa. Che massacro de pedocc ha mai fatt
quel nero tocch,
l'ho vist
me con i mè occ, se sentiva fin el ciocch. E pensar che avea inventà un articol
pel giornal doa parlava con kochmà del fraterno festival! Figli: Ah! davera, o
bon papà, sel faret
almen sentir, se non vegna pubblicà per cagion de quei kasir. Capirì che a ricordar tutt intregh
el bell'articol g'ho bisogn
de rinfrescar col limon el mè ventricol. |
Puta: Sono andati finalmente, ero stanca in verità! ma che gente, oh Dio che gente senza un scin (briciolo) di educazione! Dopo le spese che abbiamo fatto, dopo tutto il tribolare proprio non credevo affatto che nascesse questo putiferio. Rica:
Chi m'ha fatto restare di sasso lo confesso con dolore è stato solo quel brutto muso di Leoncino il suonatore. Un ragazzo così educato che frequenta il tribunale, che con tanta cavanà (devozione) legge sempre il giornale, non doveva, a mio parere per rispetto e devozione sollevare una tale gazzarra in casa d’altri. Lisa: Ma Vittorio gliele ha date, gli ha fatto venire il sangue dal naso, gli ha piantato nel sedere un cazzotto molto potente; e per fortuna Pepin si è messo in mezzo e li ha divisi, perché altrimenti di quel ragazzo avrebbe fatto polpette. Ettore: Tutte queste sono piccolezze che si possono tollerare; quel che è peggio sono le
porcherie, roba proprio da far vomitare che faceva Santagnes
proprio nel mezzo della festa col grattarsi in continuazione quella testa disgraziata. Che massacro di pidocchi ha mai fattoi quel nero (misero) individuo, l'ho visto io con i miei occhi,
si sentiva perfino lo schiocco.
E pensar che avevo già scritto un articolo per il giornale dove parlavo con kochmà
(competenza) del fraterno festeggiamento! Figli: Ah! davvero, o buon papà, ce lo farai almeno sentire, se non venisse pubblicato a causa di quei kasir (porci). Capirete che per ricordar tutto intero il bell'articolo ho bisogno di rinfrescare il mio stomaco col limone. |
Canto
7° In
questo canto viene riportato il testo dell’articolo che Ettore avrebbe
scritto prima ancora che l’evento avesse luogo, col proposito di farlo
pubblicare sul giornale locale (ndr). |
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«Ne la sera del vent'otto al suonare delle otto mentre il sole ormai cadeva un gran fatto succedeva. Il signor Franchetti Ettorre
nostro illustre cittadin
ogni cosa fe disporre per suonare un Concertin.
È Franchetti il genitor di quel genio ardito e fier
che a Milano si fe onor anche presso i camarer. Non parliamo di sua mamma che ci porta tanto amor, non parliamo del programma, roba scelta di valor. Sol direm che i
battimani fino al ciel s'udir volar: ne la strada fino i cani se meteven a baiar. Oltre fino a mezzanotte andò in lungo il soarè con gran pace, senza botte, senza gnanca un fatt indré bogliam quindi l'incidente per far plauso al cittadin,
che ci onora sì altamente fra i paes circonvicin. Una lode al figlio ancora che se acsì continuarà non è tant lontana l'ora
che gran fama acquistarà!
Figli: Oh! che bel, che bel discors,
adonai è un gran peccà
che per causa de quei ors
non te vegna publicà! Lisa: Ben, finila coi
giornai, fioi de can de malmasai; è ben ora de finir e d'andar un po' a dormir: sà se smorsa i mocolott, è assai tardi... è mezanott! |
«La sera del ventotto alle otto in punto mentre il sole ormai calava succedeva un gran fatto. Il signor Franchetti Ettorre
nostro illustre concittadino fece disporre ogni cosa per far esguire un
Concertino. Franchetti è il genitore di quel genio ardito e fiero che a Milano si fece onore anche presso i camerieri. Non parliamo di sua mamma che ci porta tanto amor, non parliamo del programma, roba scelta di valor. Diremo solo che i battimani s'udirono volare fino in cielo: nella strada perfino i cani si mettevano ad abbaiare. Fino ad oltre mezzanotte si dilungò la serata con gran pace, senza botte, senza nemmeno un fatto negativo suggelliamo quindi l’evento per applaudire il cittadino, che tanto ci onora fra i paesi confinanti. Ancora una lode al figlio che se continuerà così non è tanto lontano il momento che acquisterà grande fama! Figli: Oh! che bel, che bel discorso, adonai (perbacco) è un gran peccato che per causa di quelle bestie non ti venga pubblicato! Lisa: Bene, finitela coi giornali, figli di cane di malmasai (disgraziati); è ben ora di finire e d'andare un po' a dormire: già si spengono le candele, è assai tardi... è mezzanotte! |
Canto 8° |
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Ai canti, ai plausi, ai queruli
lamenti, che avvennero quel dì nel
festival, non scorsero brevissimi momenti
che tutto tornò in calma sepolcral; così con molti e gravi e grandi
stenti finito ho il mio poema o bene o
mal che tramandar ai posteri con
gloria dovrà la precedente e gaia
storia. |
Dopo i canti, gli plausi, le
lamentele, che avvennero quel dì durante
il festival, non trascorsero che brevissimi
istanti e tutto tornò in una calma
sepolcrale; così con molti e gravi e grandi
sforzi bene o male ho finito il mio
poema che dovrà tramandar ai posteri
con gloria la precedente e gioiosa storia. |