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Resoconto della tavola rotonda del 4 luglio 2001

Nell’intervento di apertura dei lavori, Laura PAOLETTI, Segretario Generale di Nova Spes, ha dichiarato l’impegno della Fondazione a cogliere la congiuntura irripetibile rappresentata dall’avvio della XIV legislatura, che consente di riprendere un dibattito sulla scuola di ampio respiro, finalmente non compresso dall’agenda politica e non soggetto alle radicalizzazioni proprie del clima pre-elettorale; un dibattito che sia capace soprattutto di rilanciare presupposti condivisi. Dopo aver ricordato i momenti salienti del lavoro pluriennale di Nova Spes sul tema della scuola, che risponde all’obiettivo caratterizzante della Fondazione di promozione dell’uomo globale, Paoletti ha proposto alcune questioni fondamentali, che scaturiscono da un’insoddisfazione nei confronti della filosofia di fondo che ha ispirato il tentativo di riforma scolastica attuato nella precedente legislatura: la coincidenza, solo apparentemente inevitabile, tra diritto all’istruzione e "scuola di massa"; il destino della relazione educativa; la funzione della formazione professionale; il senso di un generalizzato diritto al successo formativo; la necessità di un coinvolgimento profondo della società civile su tutti questi temi di capitale importanza, a prescindere da ogni logica di schieramento. Per questo la Fondazione non soltanto ha costruito il proprio progetto di riqualificazione del sistema scolastico nel confronto continuo con posizioni ed entità culturali anche molto distanti tra loro per matrice ideologica, ma intende proseguire sulla medesima strada. Questi in sintesi i punti qualificanti della proposta di Nova Spes: la centralità della persona umana; la distinzione tra la finalità primaria della scuola, la trasmissione delle conoscenze, e quella subordinata della socializzazione; la necessità di mantenere una scansione temporale rispettosa dell’età evolutiva. All’esigenza di un duttile modello di selezione orientativa, che consenta al singolo la scoperta della propria vocazione e delle proprie attitudini, risponde tanto la proposta di un’articolazione delle discipline per livelli di complessità quanto la chiara bipartizione tra il canale scolastico e quello della formazione professionale, interamente ripensato in modo da conferire ad esso una pari dignità rispetto al primo.

Laura Paoletti ha quindi illustrato più nel dettaglio i due concetti chiave all’insegna dei quali Nova Spes ha inteso promuovere l’incontro: la qualità della scuola, la cui definizione è appunto quanto i lavori si propongono di individuare, e le riforme - con un significativo plurale che ribadisce l’esigenza di confronto e l’attenzione ad una molteplicità di posizioni e proposte - che dalla riflessione sulla qualità devono scaturire.

Ha quindi preso la parola il moderatore della prima tavola rotonda ("Qualità culturale ed efficacia educativa in un mondo che cambia"), Vittorio MATHIEU, Membro dell’Accademia dei Lincei, che, dopo aver ringraziato l’Accademia per l’ospitalità offerta, ha sottolineato come l’accordo profondo sull’importanza della scuola, ovviamente condiviso dai partecipanti all’incontro, non sia da intendersi come livellante unanimismo, ma come la feconda esigenza di produrre armonia tra gli opposti.

L’intervento dell’on. Luigi BERLINGUER (DS) ha preso le mosse dalla constatazione di un suo dissenso profondo su uno dei temi chiave della proposta di Nova Spes: la distinzione tra conoscere e operare, sulla quale si impianta la differenziazione netta tra canale scolastico e canale della formazione professionale. Secondo l’ex-ministro un simile impianto formativo non può che limitarsi ad una funzione riproduttiva di assetti sociali esistenti. Nonostante il manifesto e grave ritardo in materia di legislazione scolastica che pesa sul Paese, sulla volontà di reale cambiamento non si riscontra affatto quell’unanimità che a prima vista sembrerebbe indubitabile. Favorire e non subire il cambiamento degli equilibri sociali significa in primo luogo prendere atto del fatto che il lavoro manuale tende a scomparire: l’intreccio tra lavoro e sapere è una novità rispetto al passato, che non consente di riproporre quegli straordinari monumenti scolastici che hanno strutturato finora la scuola italiana e che sono tuttavia datati. La scuola è chiamata oggi da un lato ad offrire conoscenza e spessore teorico a tutti (e non soltanto ad una parte) e dall’altro a superare la gerarchia dei saperi, pur con la consapevolezza che ciò comporta scelte drammatiche per la nostra tradizione. Il fatto che viviamo in un mondo con un reddito complessivamente soddisfacente consente di intrecciare, qui più che altrove, il rapporto tra conoscenza e lavoro. Berlinguer ha quindi considerato quella che, a suo avviso, è un’altra delle finalità fondamentali della scuola: sollecitare vocazioni al di là della provenienza sociale o di classe, senza di che il sistema scolastico sarebbe profondamente iniquo. L’allusione alla scuola di massa lascia invece trasparire fastidio nei confronti di questa idea. Il diritto al successo formativo non significa necessariamente dequalificazione della scuola. Il 6% dell’élite si qualifica ancora oggi: il problema vero è l’assenza di un progetto per tutti gli altri. La domanda sociale nuova che viene posta alla scuola è quella di una qualità per tutti, anche se, ovviamente, a livelli intellettuali diversi, cosicché il raggiungimento da parte di ciascuno del massimo della propria qualità non esclude che questo sia minore del massimo raggiunto da un altro. È inoltre necessario, secondo Berlinguer, tener conto del fatto che una scuola che riflette unicamente sull’età scolare, senza prendere in considerazione quella precedente e successiva, è fuori dal tempo: bisogna mirare piuttosto all’educazione costante.

All’intervento di Berlinguer è seguito quello di Luciana LEPRI (Responsabile Formazione di Nova Spes), la quale ha subito sottolineato come presupposto necessario di ogni confronto reale sia l’attenzione ai possibili fraintendimenti terminologici e la conseguente necessità di superare un certo conformismo semantico. Affermare, ad esempio, che a tutti deve essere assicurato il successo formativo" non esime dal chiedersi, prima di ogni entusiastica adesione, se esso sia o meno un obiettivo raggiungibile. Operare, poi, di fatto perché questo successo sia elargito per provvedimento amministrativo, senza pretendere l’impegno e il coinvolgimento attivo dello studente, fa sorgere legittimi dubbi sulla portata etica ed educativa di queste iniziative. Al contrario il termine "selezione", che compare nella proposta di Nova Spes e che generalmente viene rifiutato con pathos, richiede un’analisi più approfondita. Tale rifiuto aprioristico è dovuto a tre ordini di ragioni: si vede una tendenziale contrapposizione tra educazione e selezione; si ritiene che la selezione implichi una concezione elitaria della cultura e che essa apra la strada alla disuguaglianza sociale. Il problema tra uguaglianza e disuguaglianza è sempre stato posto dalle società: in quelle semplici si riteneva che la disuguaglianza dipendesse da un principio trascendente (Dio o il fato); in quelle complesse la disuguaglianza è invece ricondotta ad un principio immanente. Poiché è la libertà dell’uomo che operando dà origine a differenze, se ne deve concludere che la disuguaglianza si radica in ultima analisi nella libertà: questo è un concetto fondamentalmente laico e democratico. Selezione, nell’ottica di Nova Spes, non equivale ad emarginazione, ma esprime piuttosto l’intento di aiutare lo studente a collocarsi nel segmento e nel livello del processo educativo a lui più adatto. Per questo la proposta della Fondazione prevede una articolazione delle discipline per livelli di complessità, sia nelle medie che, in forma diversa, nelle superiori. Lepri ha proseguito sottolineando come un sistema educativo che sia privo di selezione si collochi astrattamente fuori dal contesto sociale. Posto che la disuguaglianza è presente nella società, e posto che la scuola è un sottosistema di questa, è velleitario il proposito di assegnare alla scuola il compito di risolvere un problema che non è alla sua portata.

Giuseppe BERTAGNA (docente di Pedagogia generale all’Università di Brescia) ha affermato in primo luogo la necessità di un esame delle teorie generali della scuola che sono in grado di garantire una vera efficacia educativa facendo fronte ai problemi nuovi posti dalla progressiva tecnicizzazione della realtà: primo fra tutti il problema di una crescente asincronia tra l’esterno, ovverossia la realtà in continua evoluzione, e l’interno, ossia l’individuo che è costretto a governare le rapidissime evoluzioni della tecnica con un’attrezzatura psichica inadeguata. Rispetto alla specifica questione della scuola, ciò ha dato luogo, secondo Bertagna, a due atteggiamenti diversi: a) il rifiuto della società tecnica come strutturalmente negativa e la conseguente idea della scuola come "chiostro" completamente svincolato dalla realtà, che debba porsi in contrapposizione completa rispetto ad essa, secondo una strategia che può essere definita "psicotica"; b) l’acritica accettazione della società della tecnica come in tutto e per tutto "buona". Questo presupposto dà origine ad un’idea di scuola che, secondo una strategia "nevrotica", insegue la realtà, nell’intento di essere uno specchio fedele di questa, sempre al passo con i tempi, e finisce con l’essere costantemente in ritardo, con l’identificarsi con una vorace dispensatrice di conoscenze che è ben lontana dall’offrire cultura. Analogo a questo modello è quello che ha come obiettivo fondamentale l’inseguimento dell’utile secondo un paradigma pragmatico funzionale per cui non si formano prima di tutto persone, ma si formano le figure di cui c’è bisogno. Di fronte a questi modelli negativi Bertagna ha suggerito la necessità di assumere una strategia non nevrotica, né psicotica, ma "pedagogica", che si preoccupi innanzitutto di formare la capacità critica, quella cioè di discernere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, il bello dal brutto. In conclusione Bertagna ha riaffermato l’esigenza di non attribuire alla scuola fallimenti e problemi che non sono i suoi.

Lucio RUSSO (docente di Calcolo delle Probabilità all’Università di "Tor Vergata") ha aperto il proprio intervento replicando all’affermazione di Berlinguer circa la scomparsa del lavoro manuale, ricordando come lo stesso declino investa anche il lavoro intellettuale. Infatti il progresso delle tecnologie e i processi di globalizzazione fanno si che la produzione materiale e i centri decisionali si concentrino in un numero ristretto di luoghi e di persone. La conseguenza è che oggi non c’è più la necessità di conoscenza diffusa a largo raggio. Il vero problema, dunque, è se la scuola debba ugualmente continuare a fornire conoscenze, perlomeno a quelli che desiderano riceverne, o si debba limitare a formare competenze che, anche nell’uso delle moderne tecnologie, possono essere acquisite senza l’approfondimento di un sapere teorico. Russo ha quindi insistito sull’equivoco di fondo derivante dalla confusione tra capacità tecniche e dominio dell’argomentazione razionale, quest’ultima essendo la vera finalità, sempre più trascurata, della scuola: è completamente inutile importare nella scuola le nuove tecnologie se poi non cambiano i contenuti disciplinari, acquistare computer e poi continuare a fondare l’insegnamento della matematica su problemi che non sono in alcun modo connessi a quelli posti dalle tecnologie informatiche.

Un secondo problema, sul quale si incentra il dibattito quando si parla di riforma della scuola, è costituito dalla continua moltiplicazione delle conoscenze, in particolar modo nell’ambito scientifico. Da ciò alcuni deducono che occorre evitare di trasmettere, nella scuola, contenuti disciplinari poiché questi hanno raggiunto una mole tale da non poter essere contenuta nei processi di apprendimento: le discipline devono, perciò essere sostituite dall’insegnamento del metodo. Se questa operazione fosse possibile, sarebbe senz’altro auspicabile. Purtroppo non si può insegnare un metodo a priori o, più esattamente, non si può insegnare un metodo avulso dalla disciplina. Si tratterebbe quindi, secondo Russo, di realizzare nuove sintesi che riescano ad enucleare i momenti metodologicamente essenziali selezionando argomenti significativi dal punto di vista del metodo. Un’altra questione è quella della mobilità sociale. E’ vero che la scuola tradizionale, attraverso i suoi meccanismi di selezione assicurava una mobilità sociale estremamente limitata ma oggi, da quello che risulta da alcuni studi e ricerche, la situazione invece di migliorare è peggiorata, nonostante che la scuola abbia pressoché abbandonato qualsiasi criterio selettivo. La mobilità sociale viene assicurata per coloro che, all’estero, studiano in scuole ed università prestigiose o frequentano master di assoluto rigore scientifico; il che dovrebbe far riflettere. L’ultimo punto toccato da Russo ha riguardato la critica rivolta alla conoscenza teorica, a quella conoscenza, cioè, che rimane a livello di pura rappresentazione meritata senza una immediata possibilità di traduzione operativa. Seppur entro certi limiti condivisibile, tale critica omette di aggiungere che il valore operativo non è uguale per tutte le conoscenze. Per esempio un corso di informatica ha una possibilità di essere immediatamente tradotto in comportamenti operativi e praticamente utili diverso da quello che può avere un corso di storia antica o di letteratura italiana. Ma da ciò non si può concludere che la storia e la letteratura, sebbene a livelli e con modalità diverse, non abbiano la possibilità, evidentemente dilazionata nel tempo, di rivelarsi ugualmente utili per le scelte esistenziali e professionali della persona.

A conclusione del primo giro di interventi ha preso la parola il senatore Franco ASCIUTTI, che ha sottolineato come l’individuo sia il perno della posizione della Casa delle Libertà in merito di scuola e come quest’ultima si sia posta come impegno inderogabile, prima di ogni intervento concreto, quello di porsi in ascolto della società civile.

La seconda tornata di interventi è stata aperta da Luigi BERLINGUER, che ha affermato la non incompatibilità tra l’idea di diritto al successo formativo e il criterio del merito, il cui declino è largamente precedente la riforma. Anche la cultura della selezione ha un suo valore, che però non deve coincidere con la cristallizzazione di differenze sociali preesistenti. Berlinguer ha rilevato anche la fondatezza dell’idea di un’articolazione delle discipline per livelli e ha concluso dichiarando l’importanza, al di là di ogni possibile critica, di aver sconfitto il pregiudizio dell’impossibilità di operare una riforma globale della scuola.

La replica di Luciana Lepri si è incentrata sulla necessità di sottolineare l’identità e la specificità della scuola. Il sistema scolastico, come sistema parziale della società, ha una logica e funzioni proprie e da ciò deriva la sua identità e la sua diversità dagli altri sistemi scolastici di cui deve tener conto senza però subordinarsi alle loro esigenze. L’illusione che la scuola possa e debba rimediare alle ingiustizie e alle diseguaglianze sociali, per quanto in sé nobile, ha finito per imporre alla scuola e ai docenti una serie di compiti e di obblighi che hanno fatto perdere all’una e agli altri la specificità del loro ruolo e delle loro funzioni. Così la scuola ha finito per fare male ciò che altri sanno (o dovrebbero) saper fare meglio. Infine, la subordinazione alle logiche dell’economia, del mondo produttivo e a quelle del cambiamento tecnologico ha distolto il sistema educativo di istruzione e di formazione dalle sue proprie specifiche finalità e ha trasformato la scuola nel luogo di una velleitaria socializzazione e di un altrettanto velleitario addestramento al lavoro.

Giuseppe BERTAGNA ha dichiarato di prendere atto con soddisfazione di quanto affermato da Berlinguer circa lo snaturamento dell’Università cui ha dato luogo la riforma degli Atenei, dovuto alla commistione tra istruzione e formazione professionale. Ha quindi insistito sull’ideologicità di un’idea di scuola come terapia delle storture sociali e sulla necessità di definire con precisione cosa si nasconda dietro quel concetto di merito sulla cui giustezza tutti sembrano convenire.

Ha concluso la tavola rotonda l’intervento di RUSSO, il quale ha rilevato la contraddizione insita nel voler rivalutare il merito e nel voler assicurare a tutti il successo formativo, indipendentemente dai risultati conseguiti.

Nel successivo dibattito sono intervenuti: Graziella Zelaschi (Dirigente Scolastico), Bruno Bordignon (Segretario Scuole Salesiane), Giovanni Stelli (Istituto Studi Filosofici), Giuliano Ligabue (Dirigente Scolastico), Marco Ludovico (Sole 24 ore), Michele Coccia (Ordinario di Latino).

I lavori pomeridiani si sono aperti con la tavola rotonda, moderata da Giancarlo ZUCCON (Presidente dell’Inst. Int. education technique) sul tema: "Formazione professionale e sviluppo territoriale: il sistema e gli attori".

Giancarlo ZUCCON nel suo intervento introduttivo ha inteso illustrare le linee fondamentali della proposta di Nova Spes, anche per rispondere ad alcune sollecitazioni venute dal dibattito della sessione mattutina. Partendo dalla constatazione dell’esistente Zuccon ha fatto rilevare che il nostro sistema formativo presenta, dopo il primo ciclo, un’offerta quasi esclusivamente scolastica, in quanto anche gli istituti tecnici e di istruzione professionale vanno scivolando verso un’organizzazione degli studi di taglio liceale. Questo contrasta fortemente con l’equilibrio esistente tra i due canali in altri paesi europei, come Francia e Germania. In secondo luogo manca nel nostro sistema un livello di istruzione superiore non universitaria, sul modello delle "Fachhochschulen" tedesche. In terzo luogo l’organizzazione della formazione professionale si presenta a tutt’oggi in Italia con caratteri di grande frammentazione e disomogeneità territoriale. A questa condizione corrisponde sul piano culturale una mancata definizione del rapporto che deve intercorrere tra scuola e formazione professionale. La differenza di impostazione tra i due canali può essere fatta corrispondere, per Zuccon, a quella che passa tra scienza e tecnologia: l’attività conoscitiva muove dai sistemi reali verso i sistemi di pensiero, mentre per la tecnologia il processo è inverso. Questa differenza, che non deve essere confusa con quella tra metodo deduttivo e metodo induttivo, non configura alcuna gerarchia di valore: occorre piuttosto guadagnare l’idea che la formazione professionale non può essere il canale di scarico che raccoglie coloro che vengono espulsi dal canale dell’istruzione scolastica. Per questa profonda revisione culturale è necessario, per Zuccon, avviare già dalla scuola primaria quell’approccio pratico al reale che faccia maturare vocazioni per un canale di formazione da intendersi di pari dignità rispetto a quello destinato agli studi più teorici.

L’intervento di Beniamino BROCCA (Responsabile Scuola CCD) ha avuto intenzionalmente un taglio più politico. Per Brocca si deve sfuggire ad una duplice unilateralità che può portare a conseguenze sbagliate: l’unilateralità di guardare la scuola esclusivamente dal punto di vista della società, e quella contrapposta della totale autoreferenzialità della scuola. Al centro della scuola sta l’alunno come persona e perché questa centralità sia tutelata non si deve far sparire dal rapporto educativo l’affettività, difesa a parole, di fatto sacrificata nella molteplicità dei curricoli disciplinari. Brocca ha difeso i percorsi innovativi seguiti dalla scuola italiana anche prima dell’avvento dei governi dell’Ulivo, individuando come nodo irrisolto dei tentativi di innovazione quello del rapporto tra istruzione scolastica e formazione professionale, un problema rimasto irrisolto a suo avviso anche nella riforma Berlinguer-De Mauro. Da questo lato la sospensione dell’attuazione della riforma apre per Brocca un opportuno spazio per l’approfondimento delle questioni psicopedagogiche sollevate nelle dispute sulla riforma: quest’approfondimento dovrebbe portare ad una revisione dell’intelaiatura con una particolare attenzione alle passerelle da un percorso di studio all’altro. Sul nodo del federalismo Brocca in conclusione ha posto il problema di una definizione delle competenze tra centro e periferia.

Dall’intervento di Maurizio DREZZADORE (Amministratore Delegato ENAIP-ACLI) è emerso come problema centrale per la formazione professionale quello dell’architettura organizzativa. Al momento l’organizzazione della formazione professionale affidata alle regioni si presenta come fortemente destrutturata, una situazione molto problematica, ma con forti aspettative di cambiamento. Il bagaglio addestrativo dato a chi si rivolge a questo canale di formazione si rivela presto obsoleto, e su questo versante la riforma Berlinguer-De Mauro mostra dei significativi passi avanti. Nella riforma però non viene affrontato il problema dell’architettura, con una forte contraddizione tra organizzazione centralizzata e decentramento. In relazione alla proposta di Nova Spes al centro del convegno, Drezzadore ha colto positivamente elementi fondamentali di novità, ponendo tuttavia il problema dell’unicità dell’obiettivo nella diversità dei canali di istruzione e di formazione: un sistema con questa articolazione deve, a suo avviso, prevedere con precisione le modalità di passaggio da un percorso all’altro, pena il perdere il suo senso. Drezzadore ha anche sottolineato il valore positivo di un modello organizzativo della formazione professionale comparabile al canale scolastico e ha difeso la pluralità di attori promotori della formazione professionale entro un quadro di regole ben definito.

Don Stefano COLOMBO (Vice Presidente CNOS-FAP) ha portato la sua esperienza sul campo per denunciare la debolezza complessiva del sistema di formazione professionale: in particolare si è indebolito quel momento forte costituito in passato dalla formazione iniziale, pressoché azzerata in alcune regioni. Una incidenza negativa rilevante in questo indebolimento è venuta dall’accrescimento di un anno dell’obbligo scolastico, fuori però da un quadro organico. Il rilancio dell’apprendistato nel suo valore sociale è per Colombo una delle risposte possibili, nel breve periodo, alla crisi in atto.

La tavola rotonda sulla formazione professionale è stata conclusa da Claudio GENTILI (Ufficio Studi Confindustria). Gentili ha fatto rilevare come, alla luce dell’evoluzione delle modalità di lavoro, la contrapposizione tra sapere e lavoro manuale è fuorviante: per lavorare nell’impresa, a tutti i livelli, è sempre più necessaria una grande quota di sapere. A fronte di questa realtà Gentili ha colto nella proposta di Nova Spes due culture: una tesa a valorizzare la formazione professionale nella sua dignità ed un’altra che invece tende a separare le due cose e a difendere la trasmissione del sapere cosiddetto "teorico". Per Gentili la vera prospettiva è quella dell’integrazione crescente tra i due aspetti, e l’integrazione passa per la contaminazione reciproca. Questo problema, che in Europa la Francia sta ora affrontando più di altri, è decisivo per il sistema-paese: la vera sfida è far crescere il numero di tecnici di alta qualificazione, che attualmente in Italia si attesta intorno al 5% rispetto al 30-40% dei paesi nostri competitori sul mercato europeo.

Nel dare inizio all’ultima parte dei lavori, dedicata agli interventi programmati delle associazioni direttamente coinvolte nella stesura del progetto elaborato da Nova Spes o comunque contattate nel corso del lavoro, Stefania FUSCAGNI (MEP) ha in primo luogo menzionato pubblicamente i telegrammi pervenuti, esprimenti plauso all’iniziativa e auguri di buon lavoro, dal Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, dal Presidente del Senato Marcello Pera, dal Presidente della Camera dei deputati Pierferdinando Casini, dal Presidente della Commissione Bilancio Tesoro e Programmazione della Camera Giancarlo Giorgetti, dall’on. Valentina Aprea, dall’on. Andrea Di Teodoro, dal Senatore Lodovico Pace, dal Presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti. In particolare il messaggio del Governatore Fazio ha manifestato la completa adesione ad un progetto ispirato ad "una visione della scuola come paideia capace di alimentare il senso di appartenenza ad una comunità", ricordando che "di fronte alla globalizzazione" e "ai rischi della perdita di senso" "abbiamo bisogno di specializzazioni, ma anche di cultus atque humanitas", di "versatilità tecnica e tecnologica", ma anche di profonda cultura classica.

Fuscagni ha quindi rilevato nel fatto stesso di dar voce alle associazioni l’evento metodologicamente più rilevante dell’intera giornata, mirante soprattutto a creare le condizioni di un dialogo fecondo con la società civile, a raccogliere riflessioni, consensi (o eventualmente dissensi) e proposte operative rispetto a quanto affermato in sede di elaborazione culturale e politica. Il ruolo di Nova Spes è consistito appunto, ha proseguito Fuscagni, nel creare uno spazio per cogliere il momento opportuno rappresentato dall’attuale congiuntura politica e far sì che le associazioni possano divenire parte attiva in un processo di riforma della scuola davvero condiviso.

È quindi intervenuta Serafina GNECH (Gilda), la quale ha richiamato l’attenzione sull’importanza di riproporre il problema della professionalità docente, rivalutata a parole, ma di fatto dequalificata: lo dimostra l’imposizione di una "didattica di Stato", che rappresenta una vera e propria limitazione della libertà d’insegnamento, o il tentativo antiintellettualistico di trasformare l’insegnante in un operatore generico, non più definito nella sua identità dal possesso delle conoscenze, ma dalla semplice padronanza di tecniche di trasmissione di queste.

L’intervento di Fabrizio POLACCO (PRISMA) ha ribadito come la proposta di riqualificazione del sistema scolastico, frutto della sinergia di diversi soggetti che si sono rivelati capaci di mettere da parte matrici culturali diverse e pregiudizi ideologici, sia di fatto l’unica proposta organica alternativa a quella della riforma Berlinguer. Polacco ha quindi ricordato l’urgenza di intervenire affinché non si consolidino alcuni provvedimenti parziali, ma non per questo innocui, come il decreto sull’insegnamento della storia; e ha insistito sul fatto che mettere uno studente nelle condizioni di poter scegliere già a 14 anni non significa limitarlo, ma prendere sul serio il suo diritto alla libertà di scelta e dunque responsabilizzarlo.

Giovanni STELLI (Istituto Studi Filosofici) ha incentrato il suo intervento sull’esigenza di raccogliere la sfida posta dalla contraddizione tra la spinta alla democratizzazione del sapere e la necessità di evitare una sua progressiva dequalificazione: questo non significa in nessun modo riproporre una concezione della conoscenza di tipo aristocratico, ma innanzitutto decidere se la scuola è luogo del sapere o della socializzazione (come ritiene chi propone di scolarizzare l’intera giornata dello studente) e in secondo luogo ridimensionare l’ipertrofia della didattica con una rinnovata attenzione ai contenuti.

Claudia MONTEDORO (ISFOL) è intervenuta sulla formazione professionale, richiamando i due modelli presenti in Europa: quello tedesco, basato sul parallelismo tra scuola e formazione e quello francese o spagnolo che prevede un unico tronco all’interno del quale istruzione e formazione professionale si ramificano. Secondo la ricercatrice non si tratta di discutere sulla scelta di uno dei due modelli, ma di garantire una reale parità attraverso un processo di orientamento che connoti tutta la scuola dell’obbligo, che preveda naturalmente un sistema di passerelle in modo tale da consentire una certa reversibilità delle scelte, soprattutto quando queste avvengono in età precoce. Montedoro ha inoltre sottolineato la necessità di adeguare i sistemi di formazione alle diverse esigenze del territorio.

Fabio CRISTOFARI (FAES) ha espresso l’apprezzamento della propria associazione rispetto al lavoro svolto da Nova Spes. Si è quindi soffermato sul ruolo dei genitori quali principali educatori dei propri figli, i quali devono poter esercitare il diritto di libertà educativa impedito in Italia da condizionamenti economici che non permettono alle famiglie di scegliere la scuola che ritengono in linea con la loro impostazione; fatto questo tanto più grave quanto più prende piede la tendenza a trascurare la formazione della persona in favore di un mero "addestramento" a tecniche lavorative già sempre superate. Soltanto l’abbandono del regime di monopolio statale può riqualificare l’offerta formativa e restituire vera libertà alle famiglie.

Luisa SANTOLINI (Forum delle Famiglie) ha focalizzato l’attenzione, a partire dalla propria esperienza all’interno di una commissione ministeriale, sull’incomunicabilità tra il linguaggio degli "esperti" dell’educazione, per lo più marcatamente ideologico, e le famiglie, che pure hanno il diritto-dovere sancito dalla costituzione di educare i figli. La sfida epocale posta dalla scuola consiste nel conservare il passato, che non deve essere cancellato in nome di un futuro assunto come di per sé positivo, senza tuttavia ripeterne gli errori. Santolini ha menzionato il documento prodotto dal Forum delle famiglie che chiede la tutela della libertà di scelta educativa mediante il passaggio da una scuola centralista e statalista ad una scuola della società civile secondo il principio di sussidiarietà.

Carlo NANNI (consulente ecclesiastico UCIIM), dopo aver sottolineato le ragioni di consonanza con il documento – il ripensamento dell’articolazione del primo ciclo e soprattutto il rilevante carattere educativo che la ispira tutta – ha segnalato i punti che, a suo avviso, necessiterebbero di ulteriore approfondimento: il mutato rapporto tra preadolescenza e adolescenza, la distinzione tutt’altro che netta tra sapere/saper fare, l’interdisciplinarità, il concetto di persona. Nanni ha inoltre espresso l’esigenza di una riflessione sulle specifiche conoscenze capaci di garantire una formazione etica e civile.

Ha concluso il giro degli interventi Patrizia CAPPELLI (AGESC) che ha manifestato la propria gratitudine a Nova Spes per aver prodotto un documento contenente proposte concrete su un tema sul quale troppo spesso impera l’astrazione; un documento che può essere utilizzato come base comune dai genitori in quanto utenti della scuola. Cappelli ha quindi sottolineato come i genitori non siano una componente accessoria della scuola, nonostante sia questa la considerazione in cui spesso sono tenuti dagli operatori scolastici, e anzi condividono con la scuola la finalità primaria: l’educazione.

 

Stefano Bancalari – Pierluigi Valenza

13/07/01