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ANTONELLI |
ENTOMOLOGIA PISA |
AGRARIA PISA |
Informatore Fitopatologico, Edagricole, Bologna, XXXIX, Nr. 6, giugno 1989, pp. 27-32.
LA PALPITA UNIONALIS Hübner (LEPIDOPTERA, PYRAUSTIDAE): UN FITOFAGO DI CRESCENTE IMPORTANZA NEGLI OLIVETI TOSCANI.
Riccardo Antonelli, Elisabetta Rossi
Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose - Sez.
Entomologia
Agraria, Università degli Studi di Pisa.
Dopo le gelate del 1985, in numerose zone olivicole della Toscana la
Palpita unionalis sembra rivestire una sempre maggiore importanza
economica, producendo danni alla vegetazione e ai frutti dell'olivo.
Introduzione.
Da qualche anno a questa parte, la Palpita unionalis ha fatto la
sua massiccia comparsa nelle aree olivicole di diverse Regioni del Centro
Italia. Per quanto presente pressoché costantemente anche nel passato
(Martelli, 1915; Malenotti,
1926; Martelli, 1961;
Triggiani, 1971) negli ultimi tempi,
ed in particolare durante l'annata appena conclusasi, si è manifestata
diffusamente in tutta la Toscana. In più occasioni di sopralluoghi
compiuti in varie province toscane (Pistoia, Lucca, Pisa, Firenze, Livorno
e Siena), è emersa una certa difficoltà da parte degli operatori,
al riconoscimento e alla corretta impostazione di eventuali problematiche
di lotta nei confronti di questa specie. La presente nota si propone pertanto
di fornire qualche informazione su questo fitofago, guidando la sua
identificazione
attraverso la descrizione delle sue diverse fasi di sviluppo e l'esame
dei danni.
Sinonimia, distribuzione, piante ospiti.
Nota comunemente con i nomi di "tignola verde", "piralide",
"glifode" o "margaronia", "dell'olivo" o
"del gelsomino", la Palpita unionalis Hübner (
Margaronia
unionalis Hübner, Glyphodes unionalis Hübner) è
un Lepidottero Piraustide diffuso in tutto il Bacino Mediterraneo (Spagna,
Francia Meridionale, Italia, Iugoslavia, Grecia, Cipro, Asia Minore, Nord
Africa) oltre che alle Canarie ed a Madera, ma è presente anche
nelle aree subtropicali e tropicali di Asia (Giappone, India, Giava), America
e Australia, (Balachowsky, 1972).
Nell'Europa del Nord e Centrale, questo insetto viene catturato con le
trappole luminose tra settembre e ottobre durante le sue migrazioni, ma
non riesce ad acclimatarsi (Vassilaina
et Al., 1973).
La margaronia è relativamente polifaga, attaccando diverse specie
della famiglia delle Oleacee: oltre all'olivo infatti, si può trovare
su varie specie del genere Jasminum, Phyllirea, Ligustrum
e Fraxinus, (Arambourg, 1986).
È segnalata comunque anche su alcune piante di famiglie diverse:
Ombrellifere, Ericacee, Apocinacee, Geraniacee (
Grandi,
1951; Triggiani, 1971; Arambourg,
1986).
Cenni di morfologia e biologia.
Gli adulti di questa farfalla hanno una apertura alare di 25-30 mm e sono
facilmente riconoscibili per il colore bianco satinato e brillante su cui
spicca il margine costale nocciola chiaro delle ali anteriori
(fig. 1).
Le differenze tra i due sessi non sono molto evidenti: il maschio infatti,
si diversifica dalla femmina solo per la presenza di un ciuffetto anale
di squame allungate. I primi adulti compaiono nell'oliveto tra la fine
di marzo e la prima quindicina di aprile (Martelli,
1915) ma, avendo abitudini prevalentemente crepuscolari e notturne,
non è facile osservarli durante il giorno perché tendono
a rifugiarsi sulla pagina inferiore delle foglie. All'imbrunire però,
iniziano a volare alla ricerca di sostanze zuccherine di cui si nutrono:
melata, nettare, ecc.. La loro attività prosegue per tutta la notte
durante la quale avvengono anche gli accoppiamenti e le ovideposizioni.
Dopo poche ore dallo sfarfallamento, il maschio e la femmina raggiungono
la maturità sessuale e, disponendosi in direzioni opposte, procedono
immediatamente alla copula, che si protrae per un paio d'ore (El-Kifl
et Al., 1974). La deposizione delle uova inizia circa tre giorni
più tardi e prosegue per 4-7 giorni, dopodiché la femmina
sopravvive solo per poche ore (El-Kifl
et Al., 1974; Badawi et Al.,
1976). Le uova, che misurano circa 1 x 0.6-0.7 mm, sono di forma
ellissoidale,
schiacciate e leggermente convesse nella parte superiore. Il corion reticolato
è incolore tanto che in prossimità della schiusura è
possibile vedere per trasparenza la larvetta
(fig. 2). I germi vengono
deposti su entrambe le pagine fogliari isolati o in piccoli gruppi di 2-5
o più elementi embricati. Ciascuna femmina può deporne un
numero molto variabile, compreso, a seconda degli Autori, fra 86 (Vassilaina
et Al., 1973) e più di 1200 (Avidov
e Rosen, 1961). La durata dello sviluppo embrionale, a temperatura
costante, è indicata in
tab.1:
secondo Arambourg (1986), varia da
circa un mese a 10 °C (l'estremo termico inferiore è individuato
a 9 °C) a 3 gg. a 30 °C, mentre Badawi
et Al. (1976) suggeriscono per le temperature di 15, 20, 25
e 30 °C, le durate, rispettivamente, di 12, 7.13, 4 e 3 gg. (cfr.
tab. 1). La temperatura ottimale, sempre sulla base delle indicazioni
di questi ultimi Autori, è intorno a 25°C: per essa, ad una
durata di 4 gg., si accompagna una percentuale di schiusura del 98%.
Le larve neonate sono lunghe circa 1.5 mm, di colore giallo-paglierino
(fig. 3) con poche setole situate su dei
tubercoli. Nelle età successive
il corpo assume una colorazione verde sempre più intensa (fig. 4),
mentre durante ciascuno stadio, il capo tende a passare dal verde tenue
al marrone chiaro all'approssimarsi della muta. A completo sviluppo misurano
20-22 mm di lunghezza, ma poco prima di trasformarsi in crisalide, si accorciano
fino a 12-15 mm e assumono talvolta, dei riflessi rossastri (fig. 5). Le
larvette, dopo essere uscite dal corion erodendone un polo, si dirigono
singolarmente o in piccoli gruppi, verso la pagina inferiore delle tenere
foglie apicali. Qui si costruiscono una tela sericea e al di sotto di questa
protezione, iniziano ad erodere il mesofillo, rispettando però
l'epidermide
della pagina opposta. Non è raro tuttavia osservare anche il caso
dell'insediamento delle giovani larve sulla parte superiore della lamina
fogliare, nel qual caso il danno viene prodotto in modo opposto. Una volta
compiuta la muta, le larvette abbandonano il riparo e se ne costruiscono
uno nuovo e identico su un'altra foglia. Le larve di seconda e terza età
si comportano in modo analogo a quelle di prima, mentre gli stadi successivi
formano il proprio rifugio saldando insieme con fili sericei due o tre
foglie. Da questo momento fino all'incrisalidamento esse divorano tutto
il lembo fogliare compresa la nervatura principale. Al termine della sesta
età le larve sono mature e, dopo aver riunito insieme due o tre
foglie, si fabbricano con bianchi e radi fili sericei un bozzolo all'interno
del quale si incrisalidano. La durata dello sviluppo larvale a temperatura
costante è di 25.92 giorni a 20°C, 17.6 gg. a 25°C e 15.6
gg. a 30°C secondo Badawi et Al.
(1976), di 23 gg. a 20 °C per
Arambourg (1986) (cfr. tab. 1).
Le crisalidi, che misurano 12-16 mm, appena formate sono di colore verde,
ma si scuriscono gradualmente fino a diventare brune (fig. 6). La durata
dello sviluppo di questo stadio preimaginale è indicato, sulla base
dei dati forniti da Badawi et Al.
(1976) e Arambourg (1986), in
tab. 1.
La Palpita unionalis è una specie polivoltina e omodinama:
per l'Italia, i dati forniti da
Martelli
(1915) indicano cinque generazioni annue nell'Italia del Sud, ma sembra
verosimile l'osservazione di Triggiani
(1971) secondo cui si assiste ad un notevole accavallamento di esse
per cui diviene assai difficile distinguerle. In Egitto (cfr. El-Kifl
et Al., 1974; Badawi et Al.,
1976), vengono segnalate 9-10 generazioni all'anno, mentre in Israele,
Avidov e Rosen (1961) ne osservano
6 sovrapposte tra loro. Lo svernamento avviene in tutti gli stadi preimmaginali
secondo Triggiani (1971), solo come
crisalide in accordo alle osservazioni di Martelli
(1961).
Le cause di pullulazione.
Molteplici e concomitanti sono le probabili cause della pullulazione di
margaronia osservata nel 1988. Un primo fattore è stato probabilmente
il particolare andamento climatico dello scorso inverno, caratterizzato
da temperature miti che hanno esercitato una scarsa attività di
contenimento sugli stadi svernanti dell'insetto. A ciò, va ad aggiungersi
come condizione predisponente, la situazione di molti oliveti ancora in
fase di ristrutturazione dopo gli effetti della gelata del 1985, unita
alla sempre meno frequente realizzazione delle operazioni di spollonatura
degli olivi. Entrambe questi fattori hanno contribuito a creare un substrato
ideale (rametti giovani ricchi di germogli) per lo sviluppo della tignola
verde. Non va neppure trascurata l'ipotesi che una riduzione dei trattamenti
contro la mosca dell'olivo, a causa della scarsa produzione, abbia favorito
indirettamente questo fitofago.
I danni.
I danni che questa specie arreca all'olivo sono generalmente a carico delle
foglie di succhioni e polloni
(fig. 7): nei casi di attacchi gravi, tuttavia,
come quelli che in quasi tutta l'Italia Centrale sono stati recentemente
segnalati, le erosioni interessano anche i germogli della chioma (fig. 8) e i frutti (fig. 9). Al contrario nei vivai di
olivo (fig. 10) del
Pesciatino,
la presenza della Palpita è risultata essere pressoché costante
anche negli anni precedenti. Il danno, in questi casi, è prodotto
ovviamente solo a carico dei germogli delle giovani piante. I vivaisti
tendono troppo spesso a sopravvalutare gli effetti dell'attacco, ciò
li induce a intervenire pesantemente contro questo fitofago e ad effettuare
un numero di trattamenti eccessivo. In impianti recenti e in oliveti sottoposti
a drastiche potature di riforma (caso tipico, questo, di molti oliveti
toscani danneggiati dalle gelate del 1985), nonché sulle piante
che hanno subito di recente l'innesto (fig. 11), la margaronia ha fatto
la sua massiccia comparsa, cogliendo di sorpresa gli operatori che spesso
lo hanno scambiato per la più famosa tignola dell'olivo (Prays
oleae Bern.). Durante l'annata olivicola appena conclusasi inoltre,
nelle zone in cui l'attacco da Palpita è stato più pesante,
si è potuta riscontrare anche sui frutti, la presenza di danni,
costituiti da erosioni più o meno ampie della polpa, tali da mettere
a nudo, anche completamente, il nocciolo (cfr. fig. 9). Non raro inoltre,
è stato il ritrovamento di "nicchie" scavate all'interno
dell'oliva. Le drupe attaccate si sono dimostrate maggiormente soggette
a fenomeni di cascola, sebbene in genere, il danno prodotto non fosse rilevante.
Sono tuttavia stati segnalati casi di un'incidenza economica significativa,
per quanto manchino completamente dati circa una sua quantificazione effettiva.
La lotta.
Trovandoci davanti alla pullulazione di un insetto che, nei nostri ambienti,
era stato sempre presente in modo non preoccupante, è senz'altro
difficile dare indicazioni sulla opportunità di eseguire trattamenti.
A ciò si aggiunge anche una oggettiva carenza di dati riguardanti
sia l'incidenza di parassitoidi e predatori naturali sulle sue popolazioni
sia il momento più idoneo per l'esecuzione degli interventi nonché
la scelta del principio attivo da utilizzare. Di fatto, gli Autori hanno
ravvisato la necessità di trattamenti solo in situazioni particolari:
tipico il caso che si è verificato laddove era importante salvaguardare
l'integrità di un certo tipo di forma di allevamento (olivi a vaso
monoconico di recente impianto), oppure quando poteva essere compromesso
l'innesto di recente esecuzione. Più raramente, invece, su piante
in buona vegetazione si è ritenuto opportuno intervenire con insetticidi:
si è infatti notato che, nella maggior parte dei casi, la
"cimatura"
prodotta dal lepidottero ha consentito il ricaccio autunnale di nuovi germogli,
limitando quindi di parecchio il danno prodotto. Per quanto concerne gli
attacchi ai frutti, come già detto, non si è mai osservata
una incidenza tale da giustificare un intervento, unitamente al fatto che
in molte zone, i trattamenti contro questo insetto si sarebbero sovrapposti
a quelli antidacici e considerando anche la particolare annata di scarica.
Riguardo poi al tipo di principio attivo da impiegare, assai scarse sono
le indicazioni bibliografiche in merito:
Triggiani
(1971) afferma che ottima azione svolge il Carbaryl, Foda
et Al., (1976), dalla sperimentazione di 3 diversi esteri fosforici
hanno rilevato una maggiore efficacia del Tetrachlorvinphos, mentre secondo
le indicazioni di Tremblay (1986),
possono essere consigliati i p.a. Methidathion e Heptenophos. Per quanto
concerne le esperienze relative a questo primo anno di osservazioni, nei
casi in cui si è consigliata l'esecuzione di un trattamento, la
scelta del prodotto si è indirizzata verso insetticidi dotati di
citotropicità. È apparso tuttavia evidente anche dalle prime
impressioni sull'esito di questi interventi di controllo, come l'elemento
decisivo per la riuscita del trattamento sia da ricercarsi nel corretto
momento di intervento.
Poco o nulla si conosce a proposito dell'impiego del Bacillus thuringiensis
(Arambourg, 1986): la notevole
scalarità delle generazioni estive unita alla già descritta
tendenza delle larve a creare dei ripari con le foglie, potrebbero costituire
una limitazione all'impiego del prodotto. Tuttavia i grandi vantaggi in
termini di minore impatto ambientale, che l'uso di questo insetticida biotico
consentirebbe, impongono una scrupolosa sperimentazione prima di poter
esprimere un giudizio sulla sua effettiva efficacia.
I nemici naturali.
Diversi sono i nemici naturali della Palpita che contribuiscono al mantenimento
degli equilibri naturali. Gli entomofagi sono in massima parte costituiti
da Imenotteri Braconidi, Ichneumonidi, Calcididi, Tricogrammatidi e da
Ditteri Larvevoridi. Il genere di Braconidi che, da un esame bibliografico
risulta essere più attivo, è senz'altro l'Apanteles spp.
segnalato come principale parassitoide (A. syleptae F.) della Palpita
infeudata al gelsomino (El-Sherif
e Kaschef, 1977) e all'olivo (A. sp.
Badawi
et Al., 1976) in Egitto, in Francia (A. taragonae secondo
Balachowsky, 1972) e in Italia
(A. sp. in Martelli, 1915),
(A. xanthostigmus Hal. in Triggiani,
1971). In particolare, l'A. xanthostigmus, attivo per tutto
l'anno si sviluppa all'interno della larva dell'ospite che riesce tuttavia
ad arrivare fino alla terza età, fase in cui il parassitoide esce
dall'ospite per impuparsi, causandone quindi la morte. Le percentuali di
parassitismo osservate da Triggiani (1971)
a Taranto sono comprese fra il 37 ed il 50%, ma El-Sherif
e Kaschef (1977), riportano per l'A. syleptae valori che hanno
toccato, nella regione del Mariout in Egitto, anche il 92% (dati riferiti
al giugno 1973 su Palpita infeudata al gelsomino). L'A. xanthostigmus
è segnalato in Italia anche come parassitoide del Prays oleae
Bern. (Silvestri, 1907). Altre specie
di Apanteles segnalate (Arambourg,
1986) sono l'A. lacteicolor Vier. e l'A. laevigatus Ratz..
Balachowsky (1972) indica anche la presenza di un Ichneumonide (la
Xantopimpla punctata Fr.) e di un Calcidide (la Brachymeria euphocae
Westw.). Tra i Tricogrammatidi, un attivo parassita oofago del gen.
Trichogramma
è riportato come vivente a spese delle uova della Palpita in
Grecia (Pelekassis, 1962) e in Iugoslavia
(Tominic, 1972). In seguito, Voegel
e Pointel (1979), studiando questi parassitoidi, hanno formulato l'ipotesi
che si tratti di una nuova specie, da loro definita Trichogramma oleae.
Per quanto concerne i Ditteri Larvevoridi, secondo Malenotti
(1926) il principale parassitoide del Piraustide in Italia, sarebbe
la Nemorilla floralis Fall., mentre Martelli
(1915) attribuisce alla Nemorilla notabilis Meig., insieme al
già citato Apanteles sp., il ruolo più importante
nel contenimento di questa specie. La sola N. maculosa Meig. È
indicata come parassitoide della margaronia in Puglia (Triggiani,
1971), dove tuttavia risultata piuttosto rara. Questa specie, altamente
polifaga, deposita l'uovo sulla larva di pochi giorni, sviluppandosi poi
a spese degli organi interni della vittima che però riesce ad arrivare
fino allo stadio di crisalide. Per questa ragione il bruco, benché
parassitizzato, risulta ugualmente dannoso alla pianta. La larva del parassita
una volta matura si impupa, di solito all'interno dei resti della crisalide,
ma nel caso della P. unionalis ciò avviene all'esterno (Triggiani,
1971). Altre specie di Ditteri Larvevoridi sono segnalate da Avidov
e Harpaz (1969) (Pales pavida (Meig.)) e da Balachowsky
(1972) (Pseudoperichaeta insidiosa R.D.).
Tra i predatori, sono segnalati come agenti di contenimento delle larve
di margaronia da Triggiani (1971),
il Dittero Sirfide Syrphus corollae F. e numerose specie di ragni.
Dalle osservazioni condotte in Toscana nel 1988, si è potuta rilevare
la presenza piuttosto abbondante di un parassitoide appartenente ai Ditteri
Larvevoridi (fig. 12).
Meno frequente è risultato un Imenottero del gen.
Apanteles (fig.
13), mentre in un solo campione, prelevato nella
provincia di Livorno, è stato ritrovato un Imenottero del gen.
Trichogramma
(fig. 14). La
determinazione di tutte queste specie è attualmente
in corso.
Conclusioni.
Da quanto si è potuto osservare nelle indagini preliminari condotte
durante l'estate 1988 in numerosi oliveti della Toscana, è emersa
una preoccupante presenza di Palpita unionalis. La novità
dell'evento ha suggerito una certa riflessività riguardo al problema
di eventuali interventi insetticidi. Per il prossimo anno, si ritiene di
estrema importanza seguire l'evolversi della dinamica di popolazione di
questo fitofago, attraverso l'esecuzione di campionamenti periodici sulla
vegetazione. In questo modo, sarà possibile valutare se il ruolo
di contenimento svolto dai fattori biotici e abiotici è stato sufficiente
ad abbassare il livello di popolazione del fitofago. Tuttavia, nell'ipotesi
che questa azione non riesca a produrre l'auspicata riduzione della popolazione
del lepidottero, sarà necessario intensificare le ricerche riguardo
alla sua effettiva incidenza economica, valutando, nelle diverse situazioni,
opportunità di ricorrere a trattamenti insetticidi. In questo caso,
la sperimentazione dovrà mirare a stabilire il più corretto
momento di intervento nonché i principi attivi più idonei,
privilegiando, se possibile, quelli di origine biotica.
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Web Author: Riccardo Antonelli |
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