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RIMINI

Rimini: storia e forma della città

L'osservazione attenta di una mappa di Rimini permette di leggere lo sviluppo della città con relativa chiarezza. Il centro, nella sua regolarità, denuncia ancora l'impianto romano. I borghi, nelle parti più vicine al centro e quindi più antiche, sono compatti, densi di edifici; poi si frantumano come tessere di un mosaico, e sfumano nella campagna. La zona di marina si distingue facilmente, perché ha un carattere suo, una sua artificiosa, confusa regolarità; ha solo due limiti precisi: il mare e la ferrovia; per il resto, più o meno densa, si estende lungo tutto il litorale. Alcuni interventi urbanistici sono individuabili e databili più facilmente: come la zona di ville vicino all'Anfiteatro, gli isolati verso la stazione, i lunghi fabbricati popolari di Viale Tripoli e l'agglomerato vicino allo stadio; e poi i quartieri dell'INA casa della sinistra del porto e del Marecchia, il centro studi della Colonnella, il nuovo Ospedale, il Comprensorio PEEP dell'Ausa.
Ma a percorrerla, questa città, dal mare alla campagna, dalla Colonnella alle Celle, c'è da rimanere perplessi, perché non è possibile riscontrare nella realtà urbana quelle differenze che le mappe avevano rivelato. I fabbricati, quelli residenziali come quelli industriali, gli alberghi come le scuole, tanto al centro che in periferia o al mare, sembrano tutti condomini derivati da un unico cliché; il loro falso razionalismo senza tempo (ma in realtà formalmente fedele ai moduli del ventennio fascista, e spiritualmente aderente alle regole della speculazione immobiliare) ha contaminato anche gli edifici più modesti e più vecchi, sventrati al piano terra da negozi e magazzini, gonfiati da appendici nelle corti interne, alzati con attici squallidi, o arricchiti da balconi e balconcini. Di tanto in tanto si scopre un edificio antico, segno preciso di una vicenda, di una storia non recente; ma il suo valore di testimonianza è vanificato dalla banalità del contesto in cui si trova e dall'uso che ne è fatto, impedito cioè di trasmettere compiutamente il messaggio storico di cui è carico.
La pianta di Rimini è sostanzialmente quella romana e medioevale; ma la città è nel complesso un falso, un pasticcio di nuovo su fondamenta antiche; è nuova, ma con una struttura urbanistica antica. Questo spiega gli scompensi, le carenze, le incongruenze della Rimini di oggi, sottoposta a sollecitazioni improvvise e contraddittorie da quando la società e l'economia riminesi ebbero un mutamento repentino: cioè soprattutto in due precisi momenti: gli anni venti, e l'ultimo dopoguerra, che trovò la città quasi totalmente distrutta.
La Rimini di oggi ha dunque la struttura della Rimini di ieri; le parti completamente nuove si sono aggregate all'impianto urbanistico antico, condizionate nella forma e nella struttura quasi unicamente dall'opportunità speculativa e comunque sorte senza una precisa valutazione globale dello sviluppo urbano. La ricostruzione del centro storico ha rispettato, grosso modo, i perimetri degli antichi isolati, ma non la volumetria antica, con una contraddizione che l'ha snaturato; gli accessi al centro sono rimasti quelli di una volta, e l'accrescimento dell'abitato ha conservato come direzioni principali quelle degli assi Viari antichi, congestionando di attività e di traffico il centro stesso ed avvolgendolo poi, completamente, quasi fino a soffocarlo; i servizi sociali e le attività economiche, politiche e culturali sono rimaste concentrate nel centro storico, privilengiandolo in maniera innaturale, ma anche svuotandolo parzialmente di abitanti. E' vero che questi problemi non sono solo di Rimini e che tutte le antiche città ancora vive li stanno subendo drammaticamente in questi anni; a Rimini però essi sono particolarmente avvertibili per la rapidità con cui la città ha subito una distruzione radicale e per 1'istintività con cui i riminesi hanno puntato quasi tutte le loro possibilità di sopravvivenza e di sviluppo su un unico tipo di economia: quella basata sull'industria turistica.
La grossa trasformazione di Rimini è avvenuta nel dopoguerra, anche se le sue premesse erano state poste nella seconda metà dell'Ottocento. Fino ad allora la città era rimasta, come grandezza, conformazione, numero di abitanti, quasi uguale a quella romana. Anche la sua economia e la sua funzione nel territorio non erano sostanzialmente mutate. Forse non sarà inutile ripercorrere brevemente le fasi salienti della sua storia, per vedere come il suo ruolo e la sua forma siano rimasti quasi fino al nostro secolo sostanzialmente immutati. Si è già detto che .l'ampiezza di Rimini era stata determinata dall'Ausa e dal Marecchia; la sua conformazione dalle strade di grande comunicazione che la univano alla Toscana, a Roma, alla Gallia Cisalpina; il suo centro dall'incrocio di queste strade, in rapporto col porto. La sua funzione in epoca preromana era stata di mercato per i popoli dell'entroterra, dell'Emilia meridionale e delle Marche, che vi erano attirati dalla facilità di comunicazioni e dall'esistenza di un approdo frequentato da mercanti provenienti dal mare. In epoca romana la città fu baluardo difensivo prima, testa di ponte poi; ma la sua economia era basata sull'agricoltura e sugli scambi commerciali.
Il primo mutamento rilevante all'interno della città si ebbe con le invasioni barbariche e con il cambiamento di direzione del Marecchia; alla crisi della agricoltura si accompagnava quella del commercio; vennero a meno i traffici con l'entroterra e gli scambi per via di mare. Il porto si insabbiò e le poche navi che giungevano ancora nella città spopolata e semi distrutta attraccavano vicino al ponte romano sul Marecchia. L'asse commerciale (mercato, porto), politico (corte dei Duchi), religioso (Cattedrale: Santa Colomba) si spostò quindi anch'esso verso il fiume e il ponte. Alla fine della crisi, quando nell'Xl secolo la città cominciò a ripopolarsi, le attività agricole e mercantili cominciarono a riprendere e il rapporto col territorio divenne stabile, la struttura urbanistica della città si ricostituì accettando i mutamenti avvenuti nell'alto Medio Evo: il centro direzionale della città non fu più nell'ex foro romano, ma in corrispondenza dell'attuale piazza Cavour, dove esisteva l'unica fontana, e dove in seguito furono eretti il Palazzo Comunale (XIII s.) e quello del Podestà (XIV s.). La nuova murazione non ampliò sensibilmente la città, che solo sotto la signoria malatestiana, nel XIV e XV secolo, riacquistò veramente una importanza notevole, come capitale dl un territorio estesissimo (da Senigallia a Sansepolcro a Cervia: tuttavia essa non mutò sostanzialmente fisionomia, dal punto di vista urbanistico, perché la regolarizzazione del porto e la costruzione di Castel Sismondo non fecero che confermare la situazione precedente. Anche dal punto di vista economico non vi furono cambiamenti notevoli: ma i rapporti fra territorio e città, gli scambi commerciali, i traffici marittimi furono più vasti e intensi, come più intensa e brillante fu tutta la vita della città, con i suoi mercati periodici e le sue fiere straordinarie che attiravano mercanti da tutte le regioni e da tutte le nazioni. Alcuni di questi, anzi, si stabilirono definitivamente a Rimini (come gli Agolanti, fiorentini); altri vi costruirono fondaci (come il canevone de' Viniziani) ed eressero confraternite (come gli Armeni, nel luogo che poi fu della Confraternita di San Girolamo; i Tedeschi, a San Patrignano, nell'area dell'attuale piazza Ferrari; gli Albanesi, a San Nicola; i Veneziani, presso l'oratorio di San Sebastiano, nel rione Ducale).
Dal punto di vista urbanistico qualche mutamento si ebbe successivamente, nel XVI secolo con la costruzione della torre dell'orologio e dell'insula relativa (1547) nella piazza grande (piazza Tre Martiri), con la sistemazione (1578) della strada che conduceva alle colline (via Saffi) e con l'apertura (1566) della strada nuova (via Castelfidardo). Dopo le grandi costruzioni monastiche del Medio Evo dei Benedettini, Agostiniani, Domenicani, Francescani, Serviti, Celestini) e quelle dovute ai Malatesti (soprattutto Castel Sismondo e il Tempio Malatestiano), non sembra si sia avuto un vero incremento edilizio, anche se la prima metà del Cinquecento vide sorgere alcuni palazzi importanti, come quelli dei Maschi, dei Ricciardelli, e come quello detto di Isotta; e chiese come la Colonnella e San Giuliano. D'altronde non sarà stato senza motivo se il Vasari, a Rimini tra il 1547 e il 1548, notava la cattiva qualità delle, fabbriche riminesi, "le quali sono molto peggiori che gli edifici vecchi fatti nei medesimi tempi in Toscana". Del 1541 è una commedia (La Porzia) ambientata a Rimini; il suo autore, il Parmense Giuseppe L. Galliani, nel prologo ci ha lasciato questa breve descrizione della città: "Bastavi solo saper che questa è Rimini in cui si narra il caso successo: e, alcuno di voi pur si meravigliasse, per esser lei terra posta sul mar Adriatico, di non veder il porto, sapete ben che per il gran secco ch'è stato quest'anno in ogni loco il mare per modo è fuggito in fuori che non si può vedere, e s'alcuno fosse pur desideroso di vederlo insieme con la cittade, ... potrà andar sin là e vedrà il porto, il borgo ove si fa la fiera, la piazza del mercato, ove si corre la quintana, la piazza del castello e la fontana, che con l'acqua sua divide i ghibellini dai guelfi, l'arco di Diocleziano imperatore a la porta San Bartolo e, per concludere, cercarla tutta di punto in punto, con l'osteria della Rota, quella del Giglio, quella della Campana ov'è la posta, e si chiarirà di ciò che gli piacerà...".
Il passaggio del territorio riminese nel grande stato della Chiesa, nel XVI secolo, segna dopo un primo momento di vivacità un improvvisò arresto della vitalità cittadina, un cauto ristagnare di iniziative, indice di un lento assestamento dell'economia, provata da invasioni e da guerre. L'attività agricola è di nuovo in crisi; la popolazione è in diminuzione; le fiere sono disertate; il porto è quasi inagibile; le vecchie discordie tra la nobiltà cittadina subito riaccese. Solo alla fine del Cinquecento fu ritrovato nuovamente il senso della stabilità politica, e si ebbe come conseguenza una leggera ripresa economica, sempre su basi agricole e commerciali. Un ignoto segretario del Legato di Romagna, in una relazione databile fra il 1621 e il 1634, scriveva: "Delle città (romagnole) Rimini è la più mercantile, la più ricca, abbonda di ogni cosa, ha oglio più delle altre, et boni casciotti". In quegli anni, che segnarono l'inizio di tempi veramente duri per la Romagna e per tutta l'Italia, percorse da eserciti stranieri e dalla peste, Rimini si trovava dunque, relativamente alle altre città della Legazione, in buone condizioni.
Fin dall'inizio del Seicento aveva cominciato a rinnovarsi, e qui va segnalato particolarmente un grosso intervento urbanistico di carattere pubblico: la trasformazione radicale del centro direzionale, trasformazione intesa a conferirgli un maggior decoro ed un maggior prestigio; il palazzo del pubblico venne ingrandito, la piazza della fontana fu aperta sulla via maestra con la distruzione di un'intera insula di fabbricati e regolarizzata con la costruzione della Annona (i forni). Nel centro così valorizzato si ebbero subito dopo grossi interventi dell'iniziativa privata: i nobili cominciarono a costruire e ricostruire i loro palazzi lungo l'attuale via Gambalunga e lungo i1 corso fino alla piazza grande (Gambalunga, Pavoni, Tingoli, Bianchelli). Anche nuovi edifici religiosi vennero eretti (dei Cappuccini, dei Teatini, della Confraternita di San Girolamo). Il porto riprendeva lentamente a funzionare, tanto per le cure del governo centrale, quanto per l'interesse della nobiltà e della borghesia cittadina: a questi anni risale la prima concreta Idea di uno sfogatore per evitare le disastrose inondazioni del Marecchia (Filippo Targone, 1607). Sempre a questi anni risalgono i lavori storici dell'Adimari (1616) e del Clementini (1617- l627), la fondazione della biblioteca Gambalunga (1619) ed il primo ideale progetto per la trasformazione di Rimini in città ideale. Tutti sintomi di una nuova vivacità culturale, economica, sociale, di una nuova consapevolezza civile, che si realizzeranno più concretamente tra Sette e Ottocento. Ancora due fatti sono da segnalare per quanto riguarda il Seicento: la trasformazione definitiva di Castel Sismondo in fortezza, e la sua esclusione dal centro della città; l'apprezzamento sempre più vivo per le vacanze in villa, che portò alla costruzione sul Covignano di numerosi (e modesti) palazzi della nobiltà riminese. Va tuttavia precisato che quest'ultimo fatto non era segno di rinnovata attenzione per la proprietà agricola, come in altre regioni, ma era semplicemente legato alla ricerca di decoro e distinzione, alla possibilità di svaghi e di una nuova vita di relazione, alla creazione di nuove alleanze tra le vecchie famiglie nobili.
All'intervento pubblico nel Settecento vanno attribuite le costruzioni della pescheria e del macello, la sistemazione del porto, la creazione di nuove difese contro le minacce dei pirati, l'introduzione di nuove industrie e il potenziamento dell'arte della seta. In questo secolo la vita cittadina ebbe veramente una grande vivacità ed una formidabile ripresa, nonostante alluvioni, terremoti, passaggi di eserciti ne turbassero l'ordinato sviluppo. Quasi tutto il tessuto edilizio si rinnovò, e la città sembrò assumere un volto nuovo; le relazioni dei viaggiatori e delle guide hanno sempre più spesso notazioni di ammirazione, oltre che per i monumenti antichi, per la città nel suo insieme.
"La città è grande e popolosa - troviamo scritto nel Voyage d'Italie di Francois Deseine (1699) - vi si vedono molti palazzi, la maggior parte dei quali è stata costruita dai Malatesti, già signori di buona parte della Romagna, che qui avevano la loro residenza". Montesquieu, nel 1729, annotava nel suo taccuino di viaggio: "Ad una posta da Fermo è Pesaro..., e poi si arriva a Rimini, bella città: via larghe e ben tracciate; due belle piazze, molto grandi, e alcuni monumenti antichi" . (Ma quanto, in queste annotazioni, dipende dal carattere del viaggiatore e dal suo umore? Circa negli stessi anni, precisamente nel 1714, un altro francese, il conte Philippe de Caylus, di passaggio per Rimini scriveva: "Ho, cenato all'Aquila: non dei peggiori. Ho percorso la città ed ho notato ciò che sto per descrivere. Rimini, già Ariminum, come ho visto in diversi monumenti, è una piccola città dall'aria povera, e io credo che lo sia effettivamente; è mal costruita e peggio pavimentata. Un vecchio muro cadente ne forma la cinta; un castello gotico diroccato, che mal sostiene il titolo sontuoso di fortezza datogli in città, ne costituisce la difesa..."). Alcuni viaggiatori cominciarono ad osservare anche qualcosa di diverso: e meraviglia trovare in una lettera dell'Algarotti, spedita a Parigi nel 1761 a Giovanni Mariette, fra le descrizioni dell'Arco, del Ponte, del Tempio Malatestiano, di varie altre antichità, queste notizie: "Di moderne fabbriche é da notarsi la pescheria...; e ben conveniva che di una bella pescheria fosse fornita una città, la quale ha con la pescagione da trentamila scudi l'anno di profitto. Manda il suo pesce a Bologna, in Toscana eziandio. Ne fan gran consumo gli eremi di Camaldoli, dell'Alvernia, di Valle-ombrosa posti in verso la Romagna. Fanciullagini, dirà ella, rispetto al traffico che si fa dalle (or bande colle aringhe e co' merluzzi, che di Terra-nuova vengono a nutrire mezza Europa. Così è; ma chi è piccolo ha da tenere conto di ogni piccola cosa: e però si reputa un gran che, che si contino In Rimini sino a dodici filatoi da fare l'organzino, e che vi sia una manifattura dove si separi il zolfo, che viene dal paese di Cesena". Monsieur de Lalande nella prima edizione del suo Voyage d'un francois en traile 1769) si mostra molto interessato al porto: "Il porto di Rimini non è mai stato molto buono, ma è divenuto peggiore negli ultimi due secoli, e soprattutto da una quindicina d'anni a questa parte è diventato impraticabile per le piene del Marecchia, che porta giù dalle montagne detriti e ghiaia". Nella seconda edizione del suo libro (1786), dopo aver scritto che la città é ben costruita, con strade diritte, chiese e palazzi In marmo d'Istria, a proposito del porto aggiunge che esso "è sempre stato frequentato soprattutto a causa della pesca che é abbondantissima, e che permette a questa città di fornire di pesce Bologna, la Romagna ed anche una parte della Toscana. Il borgo di Marina, ed i magazzini che costeggiano il canale attestano dell'attività commerciale, che tuttavia si svolge con barche piccole, in quanto l'insabbiamento del canale ha reso il porto impraticabile da una trentina di anni". Il Lalande doveva essere perfettamente al corrente degli studi e delle polemiche sui provvedimenti da prendere per il restauro del porto, perché cita con precisione gli autori che se ne erano occupati e commenta; "non c'è forse altro porto che sia stato esaminato da tante persone esperte; la città di Rimini non ha trascurato niente al riguardo, ma lo spirito di parte e l'ignoranza della massa hanno impedito di approfittare di questo lavoro".
Gli studi sul porto, i provvedimenti presi dalla città per esso, le polemiche lunghe, feroci, inconcludenti su questo problema, le note dei viaggiatori, ci fanno comprendere l'estrema importanza che gli si attribuiva in questo secolo. Certo non era il porto del Quattrocento, in cui approdavano navi di tante nazioni e su cui si affacciavano fondaci di tutti i tipi. Il porto di Rimini non era più una tappa obbligatoria dei grandi itinerari commerciali; tuttavia permetteva ancora l'esportazione dei prodotti agricoli e garantiva l'attività peschereccia: le due uniche voci veramente attive dell'economia della città e del territorio. E' ovvio che l'attività peschereccia era sempre stata esercitata a Rimini; lo dimostrano gli statuti trecenteschi e, più tardi, l'Adimari e il Clementini. Mai come ora, però, essa era stata così importante per la città che aveva quasi del tutto dovuto rinunciare alle sue tradizionali fiere, e quindi aveva dovuto abdicare alla sua funzione di centro commerciale. Naturalmente la marinareccia, che continuava a popolare esclusivamente i borghi dl San Giuliano e di Marina, ora cominciava ad avere un certo peso politico: la costruzione 1748) della pescheria, rossa e gialla come le vele delle paranze, di fronte al palazzo Comunale, ne é la dimostrazione più evidente. Non é un caso certamente che i due più grandi scienziati riminesi del Settecento, il Bianchi e il Battarra, si siano interessati soprattutto rispettivamente del mare e della campagna; e che l'unica allegoria della città di Rimini dipinta in questo secolo la presenti appunto fra il mare e la campagna, secondo uno schema convenzionale quanto si vuole, ma di indubbia efficacia. Nel XVIII secolo si ebbe un notevole aumento della popolazione: gli abitanti passarono da 7805 a ben 13015 fra il 1701 e il 1796. Tuttavia la pianta della città non subì trasformazioni rilevanti: le zone privilegiate rimasero quelle attorno alla piazza della fontana ed al corso, mentre la zona orientale, vicina all'anfiteatro, e quella compresa tra le mura e il mare continuarono ad essere quasi spopolate. La vecchia cinta muraria, insomma, teneva ancora bene, anzi l'area da essa racchiusa non era ancora satura. C'è da tenere presente, inoltre, che nelle aree occupate dalle numerose comunità religiose (comprendenti un buon quarto dell'intera città) la densità degli abitanti non era certamente alta. Su queste aree, dopo le soppressioni del conventi e di numerose parrocchie (797-1810) si ebbe una certa speculazione; ma esse per lungo tempo rimasero in abbandono, vuote o coltivate ad orti, dopo la distruzione totale, spesso Immotivata, degli edifici che vi sorgevano, come dimostra chiaramente la pianta di Rimini del 1858 incisa da G. Della Bella. A queste vicende si riferiva, verso il 1850, Luigi Tonini: "Fra il declinare del secolo XVIII ed il sorgere di questo XIX fu per noi tale un'epoca di distruzione, che per poco non cambiò la faccia di questa città". I mutamenti in realtà non furono che squarci nel tessuto urbano, squarci che vennero rimarginandosi verso la metà del secolo con l'aumento della popolazione, dovuto in parte all'accrescimento naturale e in parte all'immigrazione; a causa dell'immigrazione, sensibile almeno dal secondo decennio dell'ottocento, nel 1826 si formò l'attuale borgo Mazzini. Alcune industrie attiravano contadini e braccianti dalle campagne: si trattava di una raffineria di zolfo, di fabbriche di zolfanelli fosforici, di birra, di bibite e di alcune altre minori. La città, dopo la prima avventura napoleonica che l'aveva vista per breve tempo capitale del dipartimento del Rubicone, dopo i moti che ne avevano fatto una delle città protagoniste del Risorgimento, aveva riacquistato prestigio ed una certa floridezza; dal 1843 cominciò ad avere anche una certa notorietà per il suo stabilimento balneare; nel 1861 ebbe la sua stazione ferroviaria a servizio della città, dello stabilimento balneare e del porto, attorno a cui erano sorte le industrie.
Solo dall'inizio del Novecento le vecchie mura non riuscirono più a contenere la città; naturalmente furono scavalcate verso la zona del mare e della stazione; mentre il borgo di marina veniva assorbito dalla città, in aggiunta ai vecchi borghi di San Giuliano e di San Giovanni, e a quello nuovo di Sant'Andrea, cominciò a delinearsi il quartiere dell'ippodromo; contemporaneamente sul mare si veniva abbozzando una specie di città giardino. Da questo momento perdono molto del loro interesse le industrie, l'agricoltura e il commercio. Il turismo comincia ad attrarre capitali, energie, lavoro; l'economia riminese comincia a cambiare e così i rapporti della città con la campagna, il porto, il mare. E' a questo punto che Rimini comincia a trasformarsi radicalmente, nell'estensione, nel perimetro, nel carattere; l'ultima parte del volume darà conto di tali trasformazioni. Tutti gli avvenimenti urbanistici accaduti fra la metà dell'Ottocento e lo scoppio dell'ultima guerra furono intesi a svecchiare il nucleo più antico della città, a dargli un'apparenza di modernità. Essi furono promossi dalla ricca borghesia, per la quale il centro avrebbe dovuto assolvere in alternativa alla zona balneare, intesa soprattutto come centro di svaghi mondani ad una funzione di rappresentanza ed essere riservato alle attività economiche, culturali, burocratiche, alla residenza della nobiltà, della borghesia, del ceto medio impiegatizio. In questo modo ammodernare la città significava separare nettamente il centro dalla periferia operaia e quindi allontanare dal centro gli .insediamenti popolari, le attività agricole, pescherecce, artigianali, distruggere l'edilizia minore, rettificare ed allargare le strade, creare nuovi giardini. L'impulso ad attuare tale programma veniva, oltre che dalla mentalità stessa di chi l'aveva promosso, dalle occasioni di speculazione immobiliare offerti dal centro e dalla marina; occasioni più allettanti di quelle offerte dall'investimento nei settori industriali che fruttavano solo a lunga scadenza e cominciavano ad essere sospetti per l'introduzione di nuove idee sociali. Le prime decisioni che incisero stabilmente sul volto della città furono lo spostamento del foro boario verso la campagna, la collocazione della ferrovia tra città e mare, la costruzione di un grande teatro. Tutti e tre questi fatti sono da sottolineare, ma specialmente l'ultimo: l'aristocrazia la borghesia cittadina si erano elette il loro santuario accanto ai palazzi comunali, nella zona più prestigiosa della città, dove in altri tempi si era pensato di ricostruire la cattedrale.
In questa ottica si possono vedere la distruzione di tutta l'insula dell'attuale giardino Ferrari e l'allargamento della strada che conduce dalla piazza grande alla stazione (già in programma all'atto della costruzione della stazione stessa); determinati da motivi culturali e ideologici, di decoro borghese e di azione politica, furono poi il ripristino dei palazzi comunali e gli sventramenti fascisti dell'arco e del borgo San Giuliano. Non si trattò di modifiche straordinarie; guasti di questo tipo, ma ben maggiori, furono provocati in questi anni un po' dovunque (per rimanere in Romagna si veda, per esempio, come sono state ridotte città come Ravenna e Forlì); bastarono comunque a fare in modo che si radicasse l'idea che per migliorare la città non era necessario tenere conto della sua storia.