Raccontar(si)  3 -   Prato, Villa Fiorelli, 30 agosto-6 settembre 2003

 

“Genere, complessità, culture”

(intercultura e migrazioni; mediazioni e traduzioni;

teorie, poetica e rappresentazioni della complessità)

 

  

Il Laboratorio 2003 si costruisce su tre parole chiave, “Genere, complessità, culture”.

Per genere intendiamo il processo di costruzione di identità sessuate, con i suoi corpi, i suoi codici,  i suoi risvolti socio-politici,  le sue figure, cartografie e pratiche che non dobbiamo mai cessare di riconoscere, analizzare, criticare. 

Per intercultura intendiamo quell’interazione tra individui, competenze,  saperi, strumenti  e ambiti diversi che ha come scopo non solo lo scambio, ma la critica dei paradigmi dominanti, e si propone di produrre e riconoscere nuove forme di pensiero e di comportamento assolutamente urgenti e necessarie nel clima di complessità socio-politica ed economica in cui viviamo.

Il nostro Laboratorio non perde mai di vista il modo in cui genere e intercultura si intrecciano, creando variazioni  sul tema del potere e dell’empowerment. Siamo tutti soggetti complessi e dinamici, in perenne mutazione anche per quanto riguarda l’assetto sociale,  ma spesso è difficile considerarci tali, e quindi negoziare opportuni cambiamenti. L’intercultura può essere inoltre definita una struttura complessa che sviluppa “proprietà emergenti” di cui vanno ancora studiati, concettualizzati,  teorizzati i livelli.

 L’intercultura, questo già lo sappiamo, permette una percezione diversa degli ambienti sociali e delle alternative culturali. È urgente, dunque, dare a noi stesse/i e alle persone più giovani i mezzi per affrontare il mondo che cambia. Il nostro Laboratorio  propone una pratica interculturale basata sulla narrazione.  Tutte le partecipanti (si) raccontano, scambiando e traducendo la propria esperienza, costruendo  narrative inter- e trans-culturali, scegliendo figure di riferimento e cercando nella materia del quotidiano, della storia, della letteratura e della scienza strumenti di analisi, modelli teorici, ispirazione.

Mentre prepariamo questo terzo incontro non possiamo ignorare le condizioni del nostro vivere. Globalizzazione, guerre, neoliberismo, il lavoro che cambia, la scienza che avanza,  con tutti gli altri eventi e mutamenti di cui riceviamo notizie dai media -- deputati a dare loro statuto di realtà, verità,  finzione -- fomentano  precarietà e insicurezza, disagio individuale e collettivo.   Perciò abbiamo scelto come terzo e nuovo argomento la complessità. 

Per complessità intendiamo anche il vasto campo teorico che interroga l’ordine, il disordine, il caos: sistemi complessi per la quantità di fattori indipendenti che interagiscono, e  perciò sfuggono alla nostra capacità di controllo. I sistemi complessi sono spontanei, disordinati, vivi, mutanti – come il tempo atmosferico, gli ecosistemi, la vita, l’universo, i mercati azionari. Vivono e operano in bilico sull’orlo del caos, producono il nuovo che destabilizza l’ordine dato. Ne sono esempio la schiavitù, l’apartheid, la  subordinazione femminile da cui nascono i movimenti di rivendicazione dei diritti civili e il femminismo; oppure un sistema (monarchie, totalitarismi, democrazie, imperialismi) che si rovescia, si dissolve, implode; oppure  una specie che scompare (non solo i dinosauri) o si trasforma. Scegliere il modello della complessità significa anche scegliere un modello non teleologico, e perciò funzionale al pensiero postmoderno,  consono agli esempi di democrazia partecipativa che desideriamo prospettare attraverso i nostri studi interculturali.

Pensiamo sia opportuno chiederci come viviamo sull’orlo del caos, della guerra infinita, del disastro ecologico: situazioni di complessità, adattamento, sconvolgimento  non facilmente analizzabili. I Social Forum ci hanno incoraggiato a pensare in  termini di uno sviluppo globale sostenibile.  Sembra impossibile far convergere in tempi brevi i sei mutamenti fondamentali per cambiare le condizioni ambientali del pianeta: stabilizzazione demografica, minimo impatto tecnologico, un’economia che ci porti a vivere del reddito e non del capitale,  ridistribuzione sociale delle risorse, un piano di gestione ecologica sovranazionale, un piano di informazione ed educazione capillare che non escluda nessuno. Capire questo significa capire che tutte le forze sociali, politiche, economiche, culturali sono connesse, e come tali vanno analizzate -- in quanto modelli complessi che richiedono da parte nostra un intelligente adattamento:  “Dobbiamo imparare a pensare diversamente noi stessi e i processi di trasformazione profonda”, suggerisce Rosi Braidotti.

Sono in molti a suggerire che il movimento caotico può mettere in discussione l’ordine della globalizzazione.  Per Katherine N. Hayles il  caos – imprevedibile,  selvaggia,  polisemica  erranza  -- è un principio femminile  in eccesso, che crea nuovi spazi di informazione.  Per molti anni la critica femminista ha sostenuto che si dovesse cercare nelle scritture femminili quella “zona selvaggia” che eccede alle regole del discorso eteropatriarcale. Ora è anche il discorso interculturale a “perturbare”.  All’interno del paradigma della complessità -- dove lingua e identità, tempo e memoria, narrazioni ex-centriche si incontrano nei testi letterari, scientifici, filmici, ecc. --  la rappresentazione dell’Altro/a permette di fare emergere nuove soggettività e forme narrative.

L’incrocio del linguaggio scientifico con quello letterario consente interessanti accostamenti.  Applicare il concetto di frattali e attrattori, per esempio,  può favorire la rappresentazione del cambiamento sociale – non dissimilmente dal metodo usato da Donna Haraway nelle sue tavole sinottiche. Quali attrattori consentono la comunicazione tra sistemi diversi e disparati?  Nel nostro Laboratorio è la scrittura/narrazione a fungere da attrattore tra discipline ed esperienze diverse. Possiamo pensare scritture e narrazioni come frattali, e cercare nei testi gli attrattori (personaggi, eventi, sentimenti...) che consentono accostamenti e incroci.  Ma la letteratura ha comunque una tenuta su cui riflettere.  Essa  ha senso anche in prigionia, anche durante i bombardamenti (insegna Virginia Woolf);  anche se il quotidiano si sfascia  in enormi cambiamenti avvenuti all’ultimo istante (dice Grace Paley), e mette in luce i modi diversi di leggere il mondo e di relazionarsi al mondo.

Pensare la complessità  ci incoraggia a mettere l’accento sulle diverse grammatiche del comunicare: letterarie, poetiche, iconografiche.  Teatro politico/laboratorio e testi “migranti” spesso rimettono in discussione i codici.  L’incontro tra culture apre confronti, relazioni e dialoghi, suggerisce  nuovi modelli di partecipazione rispetto al potere.  Arundhati Roy  propone una sfida concreta quando parla della politica “di prendersi per mano da un capo all’altro del mondo”.

 

                     

 

IL PROGETTO  DI MASSIMA

 

 

IL PROGRAMMA

 

 

SCHEDA DI ISCRIZIONE

 

<<< torna alla prima pagina