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RIMA
VII
Ecco ch'un'altra volta, o valle
inferna,
o fiume alpestre, o ruinati sassi,
o ignudi spirti di virtute e cassi,
udrete il pianto e la mia doglia eterna.
Ogni monte udirammi, ogni caverna,
ovunq'io arresti, ovunqu'io mova i passi;
chè Fortuna, che mai salda non stassi,
cresce ogn'or il mio male, ogn'or l'eterna.
Deh, mentre chì'io mi lagno e giorno e notte,
o fere o sassi, o orride ruine,
o selve incolte, o solitarie grotte,
ulule, e voi del mal nostro indovine,
piangete meco a voci alte interrotte
il mio più d'altro miserando fine.
(Isabella Morra)
La
vita
Le poche notizie che abbiamo oggi su Isabella Morra le dobbiamo in gran
parte a Benedetto Croce, il quale, attratto dalla straordinaria storia
di questa sfortunata poetessa e conquistato dall’originalità e dalla
forza poetica del “Canzoniere” di Isabella, sua opera principale
composta da dieci sonetti e tre canzoni, che costituiscono uno dei più
considerevoli momenti della poetica cinquecentesca, nel 1925 visitò il
piccolo centro lucano di Valsinni ove si erano verificati i fatti e la
tragica fine della nobildonna.
Dalla lettura dei pochi documenti disponibili ed, in particolare, dalla
biografia sulla “Storia della nobilissima famiglia Morra”, scritta
in latino e pubblicata dal nipote di Isabella, Marcantonio Morra (ne
esiste ora la traduzione in italiano realizzata da un suo discendente,
il principe Rogero Morra), sappiamo che la giovane nacque a Favale
(odierna Valsinni) nel 1516 e morì, uccisa dai suoi fratelli, nel 1545,
poco meno che trentenne.
Il periodo storico coincide con una delle tante guerre che si svolsero,
per il predominio sul Regno di Napoli, tra Francesco I, re di Francia, e
Carlo V d’Asburgo, re di Spagna.
Di nobile famiglia, anima delicata e gentile, Isabella viveva nel
Castello di Valsinni con la madre ed i fratelli dopo che il padre, il
barone Giovan Michele Morra, signore di Favale, schieratosi con i
Francesi, vinti, era stato costretto a rifugiarsi, nel 1528, a Parigi.
Ed è in questo periodo, durante il forzato esilio del padre, che si
compie il destino di Isabella: l’incontro con il poeta spagnolo Diego
Sandoval de Castro, signore della vicina Bollita (oggi Nova Siri) e
l’intesa che tra i due si instaurò. Fosse una semplice corrispondenza
letteraria o qualcosa di più non si saprà mai: quel che è certo è
che il fatto divenne di dominio pubblico e le dicerie giunsero alle
orecchie dei fratelli di Isabella, tre dei quali, associando ai motivi
“d’onore” quelli politici, concepirono ed attuarono una sanguinosa
vendetta. I primi ad essere assassinati, nell’autunno/inverno del
1545, furono Isabella Morra ed il suo pedagogo, scoperto mentre
consegnava ad Isabella alcune carte del Sandoval che veniva, a sua
volta, ucciso l’anno successivo, in un agguato tesogli nel bosco di
Noia (l’attuale Noepoli). Questi efferati fatti di sangue costrinsero
le autorità ad intervenire per cui i fratelli Morra furono costretti
anch’essi a fuggire in Francia.
Formatasi nella lettura dei classici e del Petrarca, la Morra vide
inesorabilmente passare i più begli anni della sua giovinezza nella
realtà di un luogo aspro e solitario che segnò profondamente la sua
maturità poetica.
Tutta la poesia morriana ruota, infatti, intorno ad alcuni aspetti
fondamentali: la difficoltà esistenziale, che assume anche momenti di
forte disperazione; la lacerante solitudine interiore ed esteriore; il
rapporto dialettico impossibile con un “ambiente” chiuso e rozzo; il
conflitto profondo tra una realtà incatenante ed il suo spasmodico
desiderio di libertà, il dover convivere, ma soprattutto, sopravvivere
con fratelli sospettosi e crudeli. Attraverso la poesia Isabella ha
narrato l’infelice sua vita e descritto i sentimenti profondi del suo
animo, esprimendo, così, tutto ciò che altrimenti sarebbe rimasto
latente e nascosto, è riuscita a “gridare” una sofferenza senza
limiti e a farsi ascoltare per sempre, superando i limiti ristretti di
Favale e del tempo storico.
(le notizie sulla vita sono tratte dal sito: www.parchiletterari.com,
che ringraziamo)
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