RaabeTeatro presenta
sabato 9 febbraio h 21
domenica 10 febbraio h 21
IL
RESPIRO DI BERNHARD
omaggio a T. Bernhard
uno spettacolo di
Monica Giovinazzi
La scrittura di Thomas Bernhard, piú che
spiraliforme, si potrebbe definire a strati sovrapposti: ciascuno strato
modifica quello sottostante in una sorta di macerazione geologica, dove lo
strato inferiore, l´incipit, diventa un humus, da cui deriva e a cui fa
riferimento l´intero svolgimento del periodo, spesso sospeso – anche
nella respirazione – nell´attesa della conclusione della frase con l'avvento
del verbo finale, che libera il lettore che però non avrá piú limpide le
parole lette, ma piuttosto un ricordo, un´impressione del percorso tortuoso
per arrivare alla fine del periodo. E poi si riparte.
materiali su Thomas Bernhard al sito
www.thomasbernhard.at e
http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Bernhard
Il romazo "Der Atem. Eine Entscheidung" di
Thomas Bernhard è del 1978 pubblicato in italia da Adelphi nella Collana
Fabula (1989)
"Fra monache in attesa che i malati esalino l'ultimo respiro e cappellani
ansiosi d'impartire l'estrema unzione, il diciottenne Bernhard, malato di
pleurite, si trova nell'anticamera della morte nel reparto degli agonizzanti
in un ospedale di Salisburgo. Attorno a lui, l'uno dopo l'altro cessa di
respirare. È in quel luogo e in quel preciso momento che lui invece decide
di vivere."
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Recensione di Mauro Corso su
www.teatroteatro.it
Il Respiro di Bernhard
di Monica
Giovinazzi
Al teatro
Raabe Teatro di Roma
Dal 09/06/2007 al 10/06/2007
Fra monache in attesa che i malati esalino l’ultimo respiro e ansiose d’impartire l’estrema unzione, il malato si trova nell’anticamera della morte nel reparto degli agonizzanti. Attorno a lui qualcuno cessa di respirare. È in quel luogo e in quel preciso momento che lui invece decide di vivere.
Il
nuovo lavoro di Monica Giovinazzi, che trae ispirazione dal romanzo Il
respiro di Bernhard, conduce il pubblico all’interno della scena, in una
prospettiva claustrofobica e opprimente. Pesanti drappi di tessuto grezzo
formano le pareti e le separazioni di un ospedale, non un luogo di
guarigione, ma uno spaventoso limbo in cui la morte è perennemente in
agguato. E poi arrivano loro, le monache, non dispensatrici di conforto
spirituale ma bigotte traghettatrici per l’altro mondo. Esse si aggirano fra
i malati studiandoli, giudicandoli, cantando inquietanti filastrocche e
certificando il loro stato di salute con freddo distacco burocratico. Gli
ammalati invece giacciono, sospesi in uno stato che non appartiene né alla
vita né alla morte e in cui è pericolosamente semplice dimenticare di
compiere un azione comune e necessaria come respirare.
La stessa autrice definisce questo atto unico un lavoro per “muscoli e
laringe”, ma in realtà c’è molto di più. Il respiro di Bernhard è
organizzato come un’opera musicale in cui la percezione dello spettatore è
divisa fra quello che vede e quello che è celato alla vista ma non al suo
orecchio. Per via della particolare struttura di scena gli spettatori si
dividono in tre sezioni, ciascuna delle quali ha un’esperienza leggermente
diversa rispetto alle altre. Voci, suoni e rumori si acavallano e si
sovrappongono da ogni direzione in un’agghiacciante sinfonia da nosocomio
fatta di sospiri, annunci di servizio, scrosciare di acqua impura e
stagnante fino ad arrivare al secco e tagliente scatto delle forbici. Non
meno importanti sono i pochi oggetti portati in scena: i catini di metallo,
le flebo sospese in alto che ricordano i sacchetti con i pesciolini da luna
park e quelle mele che nella vulgata di San Girolamo sono così legate
all’idea di “male”. Questi elementi scandiscono rigidamente la vita
ospedaliera, fino ad arrivare alla visita dei parenti, momento amato e
temuto da chi viene lasciato in solitudine.
Il
respiro non è però un cantico di disperazione, ma un inno alla speranza
e alla rinascita, alla forza di volontà del malato che solo con le proprie
energie può tornare alla vita. Per questo la rimozione della scenografia
diventa un atto catartico, liberatorio, un abbraccio energico e tenero nei
confronti della vita. Il grido che conclude la piece è un gesto di trionfo
che allarga il cuore e mette in disparte il dolore provato. Davvero notevole
il lavoro degli esecutori ed il loro controllo del corpo e della voce.
(Mauro Corso)