OSSERVATORIO
DEI QUARANTA












































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Diario del
LABORATORIO DI REGIA

TUSCANIA
23-29 AGOSTO


di Roberta Fedele

<<Otkaz, patate, clap, bastoni,
boom, singhiozzi,
kata, stop!>>
 

Ringraziamo in particolare
Tuscania Teatro
e Ampelio.

Partecipano: Giuseppe Argirò, Andrea Beziccheri, Adele Caprio (con il suo cane Napo), Ascanio Celestini, Federico Cruciani, Valentina De Renzis, Roberta Fedele, Andrea Felici, Alessandra Ferraro, Andreina Garella, Daniela Giordano, Monica Giovinazzi, Giovanni Greco, Laura Landolfi, Silvia Mattioli, Valeria Patera, Nicoletta Robello, Claudio Spadola, Giovanna Summo, Antonio Tagliarini, Maria Cristina Zerbino

Ci fanno visita: Antonio Bilo Canella, Hafed Khalifa, Francesca Satta Flores, Pierpaolo Sepe con i suoi attori, Hossein Zardusht. Altri ospiti.

C’è stato un incontro. Fra registi, attori, cantori, danzatori. Un incontro durato una settimana. Una settimana nata all’insegna dello scambio e della conoscenza. Mezzo dello scambio e occasione della conoscenza è stato il lavoro pratico, poi affiancato da alcuni momenti di sola conversazione e valutazione di questo stesso lavoro. Cioè, per una settimana, nel Supercinema di Tuscania, si sono avvicendati dei teatranti a proporre a degli altri teatranti di avvicinare e sperimentare metodologie di lavoro e training.

Di questo incontro vogliamo conservare una memoria. Allora questa sorta di diario. Non vi si troverà documentazione, in dettaglio, di tutto quello che è avvenuto. Non si tratta di un "resoconto tecnico" dei laboratori, degli incontri, delle performance. Si tratta di una memoria quanto più possibile collettiva e oggettiva di questa lunga settimana. Si tratta di ripercorrere alcuni dei momenti fondamentali di questa settimana, così ripercorrendo sensazioni, intuizioni, intenzioni e magari anche delle ovvietà. E si tratta di esplorare, e quando possibile rivelare, il senso di questo incontro in cui tutti sembrano aver profondamente ma faticosamente creduto. Perché se qualcosa di nuovo o di esplosivo c’è stato in questa esperienza, questo qualcosa non è stato il mezzo (laboratori, incontri, performances), ma semmai l’aggregazione stessa.

Poi a ciascuno il suo. A ciascuno la propria memoria e a ciascuno il proprio senso.

Roberta Fedele

 

Lunedì, 23/8/1999

Alle 9.30 del mattino abbiamo un appuntamento al Supercinema di Tuscania. Siamo ancora in pochi. Ma siamo abbastanza da sentirci delusi di non essere in tanti. A scaglioni qualcuno arriva e si aggiunge a questo primo nucleo. Non sappiamo neanche bene chi ci sia ancora da aspettare. Si iniziano a disegnare gli entusiasmi e le perplessità. Siamo ancora in pochi. Ma siamo abbastanza da capire che il programma iniziale non potrà essere del tutto mantenuto. E siamo abbastanza da decidere di affidarci alle energie di ogni momento e abbastanza da capire che ogni incontro deve essere adeguato alle esigenze e alle offerte del gruppo. Queste le intenzioni.

Passiamo la mattinata occupandoci di problemi concreti. Le sistemazioni, la spesa, le chiacchiere. I problemi concreti da non sottovalutare mai. Quelle superbe banalità.

Nel pomeriggio il lavoro ha inizio. Giovanna Summo ci raccoglie nel nostro teatro per farci lavorare sullo spazio. La percezione dello spazio e la costruzione dello spazio. Innanzitutto cerca di favorire l’agio del gruppo ed evitare il disagio del singolo. Poi ci fa sentire come la percezione dello spazio si modifichi in relazione alla intensità dei sensi. L’utilità degli esercizi che svolgiamo può stare nella possibilità di trovare in noi una sensazione netta, da fissare nella nostra memoria corporea, da assimilare quindi, per poterla, all’occorrenza, ritrovare. Scopriamo anche come si possa costruire una storia a partire soltanto dalla variazione dei corpi nello spazio. E come il modo di pensare lo spazio in scena possa modificare la qualità e l’intensità della espressione. Alla fine del lavoro, così come durante, ci scambiamo le nostre sensazioni. E tutto fila liscio.

Ci siamo concentrati. Siamo stanchi. Non andiamo oltre. Il lavoro previsto per la giornata deve essere rimandato. Ci occupiamo un po’ dell’organizzazione delle giornate successive. Nei limiti in cui questo è reso possibile da presenti e assenti.

Ceniamo e visitiamo Tuscania, alla scoperta di luoghi, nell’eventualità di una finale performance nella città e per la città che ci ospita.

 

Martedì, 24/8/1999

Siamo tutti molto curiosi di vedere cosa succederà. L’intervento di Hafedh Khalifa era previsto per il pomeriggio, ma per lui è possibile raggiungerci solo in mattinata. Allora lo spazio è suo. Ci presenta un lavoro di avvicinamento al teatro Kabuki e al teatro . Vuole dimostrarci come delle tecniche apparentemente diverse e lontane come quelle orientali possano tornare utili anche ad un attore occidentale. Si lavora un po’ insieme. Si parla anche un po’ insieme. Ci sono dei momenti di noia e dei momenti divertenti. Ma, di fatto, l’intervento di Hafedh ha un taglio prevalentemente dimostrativo. Non siamo del tutto soddisfatti.

Mentre ci avviamo a pranzare, c’è una strana atmosfera, una strana tensione. Oltretutto sono arrivati e continuano ad arrivare dei nuovi partecipanti. Sebbene si cerchi di rendere l’inserimento quanto più semplice possibile, questo continuo formarsi, deformarsi, informarsi e riformarsi del gruppo può essere destabilizzante. Cominciamo a renderci conto che la puntualità deve essere una condizione fondamentale del percorso. E anche a questo proposito ci sono opinioni discordanti. Serpeggia ancora quella strana tensione. Si è innalzata la soglia del giudizio e della suscettibilità.

Dopo pranzo è il turno di Giovanni Greco. Giovanni è un po’ agitato. Si accorge dei nervosismi e delle perplessità. Deve in qualche modo adeguare il suo programma alla situazione. E nel corso del lavoro in effetti la tensione si scioglie. Giovanni, ci aiuta a ritrovare la dimensione del gioco. Ci induce al gioco e lo asseconda. Evita ogni interferenza. Ogni tanto ci spiega il senso di quello che stiamo facendo, tanto più che si parla di teatro dell’oppresso. Porta alcuni esempi di come spesso gli esercizi possano essere formalizzati. Ci svela la sua intenzione di favorire la formazione del gruppo. Il lavoro in questa direzione gli risulta fondamentale. Oggi, l’unico fine possibile è non quello generico e ambizioso di conoscerci, ma quello di lavorare come fossimo un gruppo. E in questo senso è importante riscoprire la dimensione del gioco. In effetti siamo tutti più rilassati. Anche nell’eccitazione.

Ci concediamo lo spazio per un feedback. E’ difficile parlare tutti quanti. Ci sono dei momenti di stallo. Dei momenti di forte reattività. Dei momenti di noia. Dei momenti di aggressività. Io non ci sono. Mi vengono raccontati tanti punti di vista. Non so altro. So ancora, di nuovo, la tensione. Poi, nuovi arrivi, sollevano nuovi dibattiti. E ho la sensazione di essere segmento di un immenso elastico sensibile anche al soffio del vento.

Cena e altro.

 

Mercoledì, 25/8/1999

Nell’attesa di essere tutti, consideriamo l’attesa. Ci irrita. Abbiamo bisogno di stabilire una regola, arbitraria come ogni regola. Decidiamo di non transigere sulla puntualità: chi arriva tardi non disturberà il lavoro e sederà come uditore. Opinioni.

Iniziamo ad affrontare un lavoro che incuriosisce molti, chi per distanza, chi per affinità. Sulla scrittura automatica. Andrea Beziccheri si trova a dovere e volere dirigere un lavoro che era nato diverso. Un lavoro che doveva essere guidato anche da altri, altri che comunque si lasciano la possibilità di intervenire, e strutturato in tre incontri. Con l’intenzione di approdare ad un momento di creatività collettiva. Questa intenzione c’è ancora in Andrea. Che inizia a farci lavorare. Ci sottopone ad un lungo rilassamento, dal quale qualcuno esce stremato. Cerca di liberare ciascuno di noi dalla verbalizzazione logica e dalle inibizioni. Tenta la direzione dello stato di coscienza alterata. Suoni, parole, suoni. E ci consegna, alla fine, dei fogli su cui liberamente scrivere. E’ tardi. Sapremo domani di cosa ancora si tratta.

Ci sono molte perplessità. Molte domande. Molte opinioni. Ancora una volta non abbiamo avuto modo di sfogarle e analizzarle "a caldo". E il tempo non sempre aiuta a metabolizzare. Pranziamo.

Torniamo a lavorare. Con Monica Giovinazzi. Anche lei è prudente, anche lei devi adeguarsi alle energie del momento. Ci riesce bene. Con un sorriso accogliente ci spiega che senso può avere questo suo laboratorio sui segni vocali da esaurire in poche ore. Ci avvicineremo solamente al suo lavoro. Che lei sa illustrare per noi. Riscaldiamo la voce, cerchiamo di conoscere la voce e ne esploriamo le possibilità. La maggior parte degli esercizi sono corali e direzionati ad allenare l’ascolto. Per favorire la coralità. Poi proviamo a lavorare ad una partitura. Si tratta di una struttura polifonica rigorosissima in cui le singole voci non possono che adeguarsi alle precedenti. E’ un lavoro lungo e sofisticato. E noi lo abbiamo solo avvicinato. Siamo soddisfatti e incuriositi. Si affastellano le domande e puntuali arrivano le risposte. Anche oggi nasce il desiderio di eventuali collaborazioni artistiche. Ci separiamo. Aspettiamo ospiti.

Viene a trovarci Pierpaolo Sepe. Non gli è stato possibile trascorrere con noi l’intera settimana. Ma ha piacere di venire a trovarci e di mostrarci la sua "Antigone". C’è anche Hossein, anche lui solo per questa sera. Lavora un po’ con gli attori di Pierpaolo. Guardiamo questo spettacolo. Poi ceniamo insieme e dobbiamo ancora salutarci. Ci chiediamo e ci chiederemo nei giorni successivi se non avremmo dovuto parlare un po’ dello spettacolo.

 

Giovedì, 26/8/1999

Raccolti di nuovo in teatro, siamo molto più stanchi di quanto riusciamo ad ammettere. E’ ancora il turno di Andrea Beziccheri. Dobbiamo continuare il lavoro sulla scrittura automatica. Andrea comincia nuovamente da un lungo rilassamento che, se non per le immagini suggerite, è del tutto simile a quello del giorno prima. Ci sono delle defezioni. Immediate o ritardate. Silenziose o rumorose. Continue. Alla fine del rilassamento, Giovanni non si capacita di essere uno fra pochissimi. Non si può continuare a lavorare. C’è da chiedersi cosa sia successo.

A seguito di questa brusca interruzione c’è una lunga discussione di cui è particolarmente difficile seguire il filo. C’è chi crede che il lavoro debba proseguire sempre e comunque e che proceda con i presenti e con gli assenti, secondo delle dinamiche di gruppo che vanno accolte e analizzate. C’è chi crede che le defezioni siano sempre sintomatiche di qualche errore, insomma di qualcosa su cui ci si deve interrogare subito e con urgenza. C’è chi crede che vadano accolti gli imprevisti e che gli imprevisti devono diventare un pretesto per interrogarsi, invece, sul senso profondo di questo nostro incontro. C’è chi crede che questo episodio sia solo e semplicemente fisiologico, accaduto com’è in un momento di stanchezza, in un momento di ripetizione, in un momento di disordine. Ad ogni modo, c’è qualcosa sui cui finiamo per essere tutti d’accordo: considerato che abbiamo avuto dei risultati positivi laddove abbiamo rispettato i programmi, cioè quando abbiamo affrontato quello a cui ci eravamo preparati, abbiamo bisogno di prevenire il disordine e la disorganizzazione pur accogliendo gli imprevisti; inoltre, abbiamo bisogno di confrontarci in maniera più immediata con il lavoro che svolgiamo, quindi dobbiamo lasciare più tempo a disposizione per questo nostra meta ricorrente che è il feedback. Siamo tutti stanchi. Anche nella stanchezza, ognuno a modo suo.

Pranziamo.

Nel pomeriggio ci lasciamo guidare da Giuseppe Argirò e Daniela Giordano. Anche per loro è una prima volta, la prima volta che collaborano. Ci guidano con ritmo vivace e sostenuto attraverso giochi teatrali che ci avvicinano e ci divertono. Ci sono dei momenti di profondo ascolto e di notevole affiatamento. Ci sono degli interventi e dei suggerimenti, imprevisti e ben accolti, da parte di tanti dei partecipanti: questo ci dà l’idea che si tratti della formula giusta per lo scambio e per la conoscenza. Esercizi e variazioni. Variazioni e digressioni. Antonio Bilo Canella, dalla platea, ha bisogno di intervenire e raccontare di come ha scoperto (inventato?) un esercizio che ci vede fare e ci racconta così un pezzo della sua storia. Passiamo al lavoro sul testo. Daniela ci suggerisce un immaginario alternativo a quello del testo, che può aiutare l’attore a costruire il suo personaggio a partire dalle relazioni con gli altri. Parliamo a lungo. E siamo molto seri…

Ceniamo. Dopo cena vogliamo e dobbiamo uscire. Come anche il giorno prima. Siamo in tanti e siamo in un paese di contadini che si alzano presto al mattino. Rumoreggeremo altrove. Inevitabilmente si parla di quello che è successo in questi giorni. E tra noi ci sono degli imitatori infallibili. Una risata intrattenibile ci contagia tutti. Ironizziamo sui più faticosi dei momenti, sui più seriosi dei personaggi, sui più difficoltosi dei lavori. Tutti bersaglio dello sberleffo ridiamo e ridiamo. Ma dobbiamo andare a dormire presto. Il giorno dopo ci aspetta la biomeccanica e i nostri fisici la temono.

 

Venerdì, 27/8/1999

Claudio Spadola ci ha suggerito di indossare abiti comodi e di portare con noi un asciugamano. Abbiamo tutti improvvisato dei pantaloncini corti e delle pose plastiche, per la biomeccanica. Torniamo seri e lavoriamo. Claudio è molto preciso. Ci fa lavorare (ci fa stancare) e ci spiega con esattezza il senso di ogni esercizio. Tentiamo di decodificare quelle parole russe che ogni tanto ci regala. Ma soprattutto ci spiega di come ogni principio della biomeccanica possa essere applicato tanto al lavoro dell’attore, alla ricerca del movimento espressivo, quanto alla economia intera dello spettacolo, con tutti i margini possibili di improvvisazione.

Abbiamo tutti un gran bisogno di riposare. Tanto più che aspettiamo ospiti per il tardo pomeriggio. Ci sembra ovvio che non ci sarà alcuna performance, né stasera, né alla fine della settimana. Decidiamo allora di pranzare e lasciarci il pomeriggio libero per poter parlare, per fare un consuntivo della settimana. In attesa dei nostri ospiti.

Il pomeriggio, di nuovo in teatro, rimandiamo le chiacchiere e i consuntivi. Accogliamo un’altra proposta. Ascanio Celestini ci coinvolge nel suo entusiasmo per i canti e le danze popolari. E ci insegna una tarantella. Dice di saperne poco, di tentare così, questa cosa "spicciola", ma noi siamo molto attenti. E ci divertiamo come non mai. E poi usciamo dal teatro. Quasi inaspettatamente per noi stessi, lasciamo il teatro e sfiliamo per le strade di Tuscania. Quando dal teatro esce l’ultimo di noi, nel teatro entra il primo degli spettatori. Ci siamo riusciti. In una città difficile, ostile e prevenuta. Questo è il nostro unico momento di apertura al territorio.

E’ ora il momento del consuntivo. Semmai anche della progettualità. In realtà, presenti i nostri ospiti, che abbiamo parzialmente messo al corrente della nostra esperienza, ci impelaghiamo in una questione tutto sommato oziosa. Che però comunque genera molti interventi. Un pretesto qualsiasi è valido per confrontarci su questioni addirittura annose, risolte o non risolte, che noi dal nuovo affrontiamo. C’è una filogenesi e una ontogenesi. Noi tutti lo sappiamo. Ma questo non ci trattiene. Diamo la parola anche ai nostri ospiti. Continueremo a parlare in modo informale. A cena. Di questa esperienza. E registriamo tutto per passare, il giorno dopo, alla progettualità.

 

Sabato, 27/8/1999

E’ il nostro ultimo giorno di convivenza. Si affastellano i ricordi, i pensieri, le valutazioni, i progetti. Ci confrontiamo su più punti.

  1. Ci sembra fondamentale chiarire come affrontare e gestire le relazioni con l’esterno. Sappiamo che questa nostra esperienza di aggregazione incuriosisce molti. E dobbiamo stabilire se e quando ci sia necessaria una apertura al pubblico, ai media, alla critica, alle istituzioni. Se e quando, perché non possiamo escludere che il nostro silenzio e la nostra assenza siano stati, alle volte e finora, addirittura una forza. E poi, di volta in volta, dobbiamo stabilire il come. Di modo che il nostro essere, operativi o meno, non sia equivocabile o strumentalizzabile.
  2. Stabilito che la nostra forza sta nella aggregazione (e non nel senso che il gruppo sostiene le scelte individuali, ma nel senso che ci sono settori in cui il gruppo può operare alternativamente e più agilmente del singolo), ci sembra chiaro che questa aggregazione ha la forma di una rete. Si tratta di una rete di contatti tali che ogni nodo della rete può, all’occorrenza, raggiungere gli altri. In questo senso ci sembra necessario trovare ulteriori modalità della aggregazione. Che si tratti di momenti di collaborazione creativa o che si tratti di scambio di materiali, i nostri progetti, per diventare operativi, vanno formalizzati e coordinati da un singolo o da un gruppo di lavoro che del progetto si mettano a capo. Allora è anche fondamentale che di volta in volta ciascuno si faccia referente per ciascuno dei livelli dell’organizzazione.
  3. I PROGETTI (in sintesi)
  • Creare un sito web: fondamentale come fonte di informazione e comunicazione precisa e dettagliata per noi stessi e come momento di apertura ad un panorama europeo. Vi si possono raccogliere la nostra storia, i nostri materiali, i nostri risultati, i nostri contatti.
  • Creare un archivio vivo: può essere uno spazio, accessibile a ciascuno di noi, dove raccogliere non solo i risultati di lavori compiuti, ma addirittura la materia prima e rozza del nostro lavoro. Ricerche, immagini, suoni, storie, registrazioni, ogni sorta di condivisibile materiale vivo.

Questo spazio può non essere necessariamente unico ed insostituibile. Si tratterebbe di un insieme di materiali che lasciano una traccia, la traccia di un lavoro che è ancora lavoro. E’ memoria che si stratifica.

  • Richiedere uno spazio: necessitiamo di uno spazio fisico in cui costituire un laboratorio permanente di regia. Ci aiuterebbe a dedicarci alla formazione e al lavoro sul territorio. A questo proposito valutiamo la possibilità di una collaborazione reciproca con le istituzioni universitarie e valutiamo quali possano essere i nostri interlocutori privilegiati.

Questo spazio può non essere necessariamente unico ed insostituibile. Si tratterebbe di un insieme di materiali che lasciano una traccia, la traccia di un lavoro che è ancora lavoro. E’ memoria che si stratifica. (bis!)

La sessione di lavoro è finita. Andiamo a fare un po’ di spettacolo. Abbiamo appuntamento con Scatola, un percussionista di Tuscania. Suoniamo, balliamo e cantiamo per l’agriturismo dove abbiamo cenato la sera prima. Ascanio ci racconta una storia.

Poi a cena da Ampelio. Ci sono altri artisti al tavolo. E si fa sempre più tardi. Qualcuno già saluta. E domani si parte.

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