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Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Pablo Neruda
 

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Grazie a tutti coloro che si stanno adoperando per arricchire i contenuti di questo sito con notizie, foto e documenti.

 

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ADNKRONOS - ultima ora


 
.:Documenti
Termini e Arese, un patto di unità
«Cerimonia» ieri davanti a Palazzo Marino dopo il corteo
MANUELA CARTOSIO il manifesto 18.12.02

MILANO
Con un intelligente gesto simbolico i lavoratori dell'Alfa hanno onorato lo striscione «Da Arese a Termini Imerese uniti nella lotta» che da due mesi apre i loro cortei. Hanno girato ai colleghi di Termini l'ambrogino d'oro ricevuto dal Comune il 7 dicembre. La pergamena con le motivazioni del premio resta ad Arese, appesa di fianco alla lapide dei caduti nella Resistenza; la medaglia e lo stemma sono stati consegnati ieri a Roberto Mastrosimone e a Giovanni Schillaci, venuti dalla Sicilia a rappresentare i lavoratori dello stabilimento Fiat e quelli dell'indotto. La «cerimonia» si è svolta sotto palazzo Marino, al termine della manifestazione che ha bordeggiato le quattro banche creditrici padrone di fatto della Fiat, vincitrici del primo round della guerra del Lingotto. «Dandoci l'ambrogino d'oro Albertini pensava di prenderci in giro», riassume Renzo Canavesi, dello Slai Cobas, «ma noi lo usiamo a modo nostro». Per sottolineare e rinforzare l'unità: tra chi continua a lavorare e chi è stato messo in cassa integrazione a zero ore, tra stabilimenti condannati alla chiusura e stabilimenti che si «illudono» di salvarsi da soli. Per fare unità, dice Canavesi, serve un'assemblea nazionale dei delegati Fiat, bisogna «tornare a Melfi» per intaccare un modello che «fa lavorare di più pagati meno», rimettere in discussione gli accordi separati di Cassino e gli straordinari a Pomigliano. D'accordo i due siciliani. «Ci hanno chiuso lo stabilimento e promettono che lo riapriranno a settembre», dice Mastrosimone, «fanno di tutto per dividerci, ma noi non ci accontentiamo di un piatto di lenticchie. Se la Fiat continua su questa china, se non cambia radicalmente il piano industriale saranno guai per tutti gli stabilimenti». Il salvataggio di Termini, secondo Schillaci, è «un'illusione ottica», prepara «l'agonia» e mira ad addormentare il conflitto. Nella sua fabbrica, la Biemme (vernici), lavorano in 87, «basta si fermi una sola linea alla Fiat e per metà di noi è il licenziamento». Nel cosiddetto piano industriale per Arese c'è la chiusura, afferma Carlo Pariani dell'Flmu, per Termini c'è «un imbroglio». Quanto alle banche, i soldi ce li mettano per investire su nuovi modelli, non per licenziare, perché i lavoratori sono il «primo bene» di un'azienda.

Contro i banchieri «avvoltoi» di Unicredit, San Paolo-Imi, Capitalia, Intesa Bci i cassintegrati Alfa gridano frasi all'antica: «Siete la rovina dei nostri figli». Il corteo passa da via Broletto, una banca via l'altra. In via Verdi sosta di fronte alla sede centrale della Cariplo dove ieri era riunito il consiglio d'amministrazione di Banca Intesa. Occasione ghiotta per Corrado Delle Donne che agguanta il microfono a rotelle dello Slai Cobas: «Qui dentro ci sono quei signori che dicono che va bene licenziare 8mila operai. Ai loro soldi ci tengono. Allora facciano il piacere di spiegarci perché qualche mese fa hanno dato 14 mila miliardi alla Fiat per scalare Montedison».

In borghese, perché non timbrano più il cartellino, i cassintegrati ci tengono a indossare qualcosa con su il biscione. Adesivi, stemmi e cappellini rossi. Paolo, operaio specializzato alle costruzioni sperimentali, sul cappellino ha scritto «Proud to be an Alfa's worker», in inglese «perché suona bene». Orgoglioso del passato, precisa, l'unica cosa che la Fiat «non ha potuto toglierci». Che Arese mantenga il centro stile e la ricerca per il marchio Alfa Romeo senza produrre niente secondo Paolo, che se ne intende, «è una cosa che non sta in piedi». Una balla rivendicata come un proprio merito dal ministro Maroni che sostiene d'aver convinto la Fiat a «modificare» il piano per tenere ad Arese il centro stile. Modifica inesistente perché il Lingotto ha sempre detto che lascerà ad Arese il centro stile. Tutto sta a vedere se lo farà davvero.

A Maroni, «il pinocchio lombardo», dedica particolari attenzioni il segretario della Fiom milanese Maurizio Zipponi: «Doveva salvare Arese, si è piegato a 90 gradi di fronte alla Fiat». Quanto ad Albertini, «che non rispetta chi ha fatto ricca Milano», non si libererà dei lavoratori dell'Alfa, «saremo qui a gennaio, a febbraio, a marzo...». E non per vedere il sindaco «con le mutande leopardate», come pretendeva ieri un operaio. Una delegata dello Slai Cobas invita Berlusconi a «mandare sua moglie a fare la spesa con 650 euro al mese». Un gruppo di operaie hanno portato in corteo un cancello di cartone con su scritto «Fiat chiuso», fatto a scuola dai figli «per ringraziare Agnelli». «Persino i bambini di 7 anni hanno capito a chi dobbiamo dire grazie».

 

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