Chissà
quando passerà questa paura. La sentiamo dentro le
vene che scorre, come una strana insicurezza. L'unica
certezza è che è stata infranta la sensazione di
essere in un paese "civile" e quindi al
sicuro da "certe" cose. Le immagini
rimbalzano su tutte le emittenti e si cerca di capire,
di calcolare, di fare previsioni. Intanto, la paura si
fa largo e un po' ci scuote, un terremoto lontano
forse, ma lo avvertiamo e qualcosa trema anche dentro
di noi.
Un'immagine in particolare, mi resta impressa nel
cervello e non se ne vuole andare: gente in festa in
varie parti del mondo, segni di vittoria su una
tragedia che ha coinvolto migliaia di persone.
Non
voglio generalizzare, non devo generalizzare. E' un
impegno che devo sforzarmi di mantenere visto che a
Gerusalemme c'è stato un sit-in di appoggio davanti
al (credo) consolato americano. Non importa poi se
davanti al consolato, o in un altro luogo, ma il
sit-in c'è stato, ed era una manifestazione di
vicinanza per il lutto. Non devo intestardirmi in un
discorso noi contro loro, non avrebbe senso.
Eppure la rabbia diventa così grande guardando
caramelle lanciate al cielo da una parte, migliaia di
morti dall'altra. Dalle informazioni che circolano
ora, sembra che in tutte le capitali arabe ci siano
stati festeggiamenti. Una base ampia di consenso, che
potrebbe dare coraggio a chi ha organizzato l'attacco.
O peggio potrebbe far crescere ancora questa idea del nemico
occidente, da combattere con i martiri. Forse, ma
non ho fonti certe, si sarebbe festeggiato anche in
Nigeria.
C'è
odio verso l'economia del mondo occidentale che
schiaccia i poveri. Fin qui è comprensibile. Ma
gioire per la morte di migliaia di persone, è
possibile? E non importa se con loro è crollato un
simbolo (per altro bellissimo) del capitalismo. Anche
un solo morto, supera in valore un simbolo d'acciaio.
L'unico segno positivo è la condanna (ma potevano
ragionevolmente fare altro?) venuta da tutti i capi
politici, anche dai talebani. Mi viene da pensare che
sono troppe le divisioni interne in quei paesi per
venirne a capo. Persone che cercano la pace e persone
che cercano la guerra, persone che piangono per i
morti di un paese capitalista e persone che invece
festeggiano i propri eroi, sacrificatisi per colpire
il grande nemico.
Evitiamo
un altro errore: confondere i poveri con i mandanti.
Abbiamo vissuto tantissime strumentalizzazioni e
ancora non siamo abituati a riconoscerle: ci vuole poi
molto a far credere ad
un abitante del terzo mondo che
il male sia l'America e l'occidente? Chissà quanti
interessi ci sono dietro. E guarda caso il primo
indiziato che mi viene in mente non è Bin Laden, lo
sceicco nemico degli Stati Uniti, il primo indiziato
che mi viene in mente è il danaro. Forse
qualcuno guadagnerà da tutto ciò. Chi? I produttori
di armi? Sicuro. Chi desidera le trivellazioni
petrolifere in Alaska e ora non incontrerà più
grosse difficoltà a procedere? Forse.
Mi sembra difficile da credere, ma il danaro
potrebbe aver colpito il denaro per generarne
altro. Magari per farlo finire in determinate tasche.
Spero non sia così, ma l'organizzazione dietro
quest'immensa operazione di guerra è stata così
imponente da far temere una partecipazione di più
interessi.
Ultimo
pensiero. Pearl Harbour, che ci ha così sconvolto,
era comunque un obiettivo militare. Lì c'era la
flotta americana. Qui il nemico non ha un nome
(terrorista è un po' troppo generico per i miei
gusti) e ha colpito simboli di una cultura, non
eserciti. L'unica speranza è che il mondo, non più
diviso in blocchi, si unisca per contrastare quelle
parti pericolose che vengono dal proprio interno.
Deve essere finito qualcosa l'11 settembre 2001. Ci
siamo ritrovati un mondo unito e abbiamo gettato alle
spalle le grandi contrapposizioni come Russia contro
America. Certo è, che ce le siamo lasciati alle
spalle in un modo terribile.