"Ero solo un granello di sabbia, minuscolo, senza peso alcuno e perciò destinato all'oblio immediato".
Sono le parole di Janusz Bardach, commentando la sua avvenuta condanna a morte, nel 1941, ad opera di un tribunale fittizio della Armata Rossa Sovietica. Si è trattato del pensiero più comune, balenato nella mente dei trenta milioni di individui sterminati dalla furia Staliniana, tra il 1937 e gli anni '50.
Polacco di origini ed ebreo di religione, Janusz abbraccia gli ideali comunisti e li persegue con passione. Sfugge alle persecuzioni naziste arruolandosi nell'Armata Rossa come carrista. A seguito di un incidente in manovra, nel quale il suo carro armato di rovescia e si arena nel letto di un fiume, viene formalmente accusato di attività sovversive anti-sovietiche e di attentato al potere del compagno Stalin. Ha inizio così la sua odissea che lo porterà, dalla sua terra di origine, la Polonia, fino alla regione della Kolyma, all'estremità Nord-orientale della Siberia. Un viaggio all'inferno e ritorno.
Sono numerose le analogie con le persecuzioni naziste del popolo ebraico, eppure la persecuzione di politici, scrittori, artisti, pensatori, semplici cittadini accusati di spionaggio e di propaganda anti-comunista, perseverata da Stalin negli anni bui dell'unione Sovietica, assume contorni oscuri a causa dell'isolamento in cui tutto ciò si è verificato. Erano lontani gli obiettivi di macchine fotografiche e telecamere, era troppo lontano il mondo civile. Soltanto dopo la morte di Stalin nel 1953 e il ritorno dei (pochi) supersiti si cominciò a delineare una realtà ben più grave di quella da tutti ipotizzata. Il sistema carcerario sovietico era quanto di più barbaro la mente umana potesse concepire per ridurre gli individui a larve umane, accompagnandoli, lentamente, verso una morte certa. La crudeltà, l'abbandono, la violenza e la disperazione umana pervadono ogni pagina del libro, si delineano scenari pari a quelli ben noti a tutti della barbarie nazista. Ancora più sconvolgente è che la ricchezza e la prosperità dell'Unione Sovietica siano state create su questi individui, sacrificio umano per la gloria della Madre Patria. Strade, ferrovie, oro, minerali, legname…
Janusz, nonostante la condanna e i patimenti, è ancora fedele alla causa Sovietica, convinto che tutto ciò sia opera di funzionari dell'NKVD (il KGB del tempo) che operano al di fuori del controllo di Stalin. Ben presto i suoi ideali crolleranno, perché in prigione incontrerà gli stessi agenti che avevano arrestato lui e la sua famiglia, a dimostrazione di come la strategia del "terrore" Staliniana non risparmiasse nessuno.
Così "L'Uomo del Gulag" ci invita ad aprire gli occhi sull'ennesima realtà di tortura e pazzia che ha come protagonista il genere umano, troppo spesso colpevole di azioni normalmente attribuite a bestie selvatiche. Trenta milioni di persone hanno perso la vita nella neve della Siberia, oltre metà della popolazione dell'Italia. L'esempio perfetto di quanto
"l'uomo può essere lupo all'uomo".
Lorenzo
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