Lotte di inizio secolo
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Il primo numero de "L'Eco della Lomellina"
(3 maggio 1890).
Come puntualmente documentato sul settimanale
locale "L'Eco della Lomellina", nel 1901, a Sannazzaro, come
in tutta la Lomellina, ci fu l'esplosione su vasta scala delle lotte contadine.
Un avvenimento storico, di grande portata. Fino ad allora nelle campagne
gli scioperi erano stati occasionali e avevano interessato, più
che i lavoratori locali, quelli che ogni anno accorrevano, per 30-40 giorni,
per la monda dei risi. Arrivavano a migliaia in Lomellina: dal vicino
Oltrepò, dal Lodigiano o dalla più lontana Emilia; si trattava
di uomini, donne, ragazzi di 10-11 anni, tutti ingaggiati da appositi
intermediari. Quando giungeva la stagione, in maggio, i lavoratori affluivano
con ogni mezzo: con i treni, se provenivano da lontano, ammassati su carretti,
in genere, se le distanze erano più brevi. L'alloggio loro riservato
era precario, il vitto non sempre rispondeva alla qualità pattuita
e le ore lavorative risultavano massacranti, fino a 15, 16 al giorno.
Le ragioni di contrasto coi conduttori dei fondi, volendo, non mancavano.
Così, per ricordare un caso, nel'99 alla cascina Erbogna di Valeggio
erano scoppiati disordini per l'orario di lavoro, che avevano portato
all'arresto di una mezza dozzina di mondariso da parte di un delegato
e di sei carabinieri giunti dalla sotto-prefettura di Mortara. Si era
detto che gli arrestati erano "dei pochi di buono, dal più
al meno dei pregiudicati". In effetti, lo sciopero era allora da
molti considerato alla stregua di un crimine, e chi lo praticava era giudicato
in conformità. Il sistema di reclutamento, specialmente, era alla
base dei malcontenti, affidato in genere ad individui poco scrupolosi,
che speculavano talvolta in modo vergognoso sulla manodopera. Si erano
visti intermediari dileguarsi sul finire della campagna, facendo mancare
ai mondini parte delle loro corresponsioni e perfino il biglietto di ritorno.
Per questo, fin dal '92, il deputato Alghini di Modena aveva presentato
un progetto di legge perché gli agricoltori trattassero direttamente
l'ingaggio con apposite rappresentanze dei lavoratori, ma i fittabili
non ne avevano voluto sapere: a loro conveniva evitare pattuizioni troppo
rigide e una controparte che non fosse debole e divisa per la stessa ragione
si faceva in modo che il lavoro non abbondasse per la manodopera locale
che così, al tempo della monda, aveva i suoi problemi ad essere
ingaggiata. Per il salario si fissavano tre categorie: gli uomini, le
donne e i ragazzi; le paghe inoltre mutavano di settimana in settimana
raggiungendo i livelli più alti alla fine di giugno, quando i lavori
fervevano anche per la mietitura e stare in risaia diventava più
penoso. Nel '98 a Sannazzaro la prima categoria riceveva, all'inizio della
stagione, una lira per dieci ore di lavoro giornaliero, 0,80 ne otteneva
la seconda e 0,50 la terza. Alla fine della campagna il salario della
prima risultava salito a L. 1,50 e in proporzione quello delle altre due.
Variazioni si avevano altresì da località a località.
Rimaneva il fatto, in ogni caso, che si era di fronte a retribuzioni veramente
misere, che gli agricoltori giustificavano a causa del basso prezzo dei
prodotti
Quello che era mancato fino a quel momento ai contadini
era l'organizzazione, ma adesso, nel 1901, il momento pareva propizio
e l'ora finalmente giunta per cambiare pagina...Ai primi di maggio di
quell'anno, gli scioperi dilagavano nelle campagne: "Dal Bolognese,
dal Mantovano, dal Ferrarese" essi si erano estesi anche alla Lomellina,
"a Sannazzaro, Lomello, Mede, Torreberetti, Valle, Semiana, Zeme
e diversi altri paesi" A Sannazzaro i primi a scendere in sciopero
furono i salariati e le mondine dei signori Pollone, Cardoli, Fagnani;
poi l'astensione coinvolse anche la grande tenuta della Cascinazza, assumendo
un carattere generale. Le contadine ben presto, però, si accordarono,
ritenendosi paghe di aver visto salire la loro mercede giornaliera da
L. 0,60 a L. 0,75; più a lungo si protrasse invece l'agitazione
di famigli, bifolchi e cavallanti che, lasciando ingovernate le bestie,
riuscirono alla fine a spuntare miglioramenti più sostanziosi.
L'inizio era incoraggiante e infatti trovò attuazione, di lì
a poco, la proposta di costituire in paese anche una Società di
Mutuo Soccorso fra contadini, braccianti e coloni. Dopo i successi conseguiti,
le lotte contadine ripresero quasi subito e continuarono per tutta la
stagione della monda; le ragioni al solito non mancavano: quando non era
il salario, erano problemi di assunzione, ed altri ancora. Alla fine di
maggio, un "martedì mattina, una numerosa turba di mondine
invadeva il municipio protestando perché il cav. Pollone non le
aveva accettate al suo servizio". Era successo che 1'impresario Beolchi,
avuto l'incarico di assumere 60 donne, al ponte di S. Pietro, dove si
era soliti "far piazza", se n'era trovato di fronte 200 che
gridavano: "O tutte o nessuna". Nel corso della stagione la
giornata dei mondini salì per le tre categorie rispettivamente
a L. 1,80, 1,45 e 1,10 e l'impressione fu che le pretese dei lavoratori
fossero fin troppo cresciute, visto che si ricusava perfino il lavoro
"nelle campagne un po' distanti dal paese". E si doveva constatare
inoltre che da parte degli scioperanti si ricorreva talvolta alla violenza.
A Ferrera, ad esempio, un giorno un gruppo di donne e ragazzi avevano
aggredito, per indurle ad astenersi dal lavoro, le mondine delle cascine
Confaloniera, Gattinera e Malandrana: alcune erano state colpite a bastonate
e altre costrette a rifugiarsi in una stalla: per questo fatto c'era stato
l'arresto di cinque donne e al processo, dove l'arringa venne tenuta dall'avvocato
"Piceni di Milano (...) intersecando la difesa con un po' di conferenza
socialista", esse vennero condannate a qualche giorno di reclusione.
Per evitare questi incidenti in giugno venne a Sannazzaro l'on. Cabrini,
ammonendo di non lasciarsi "sopraffare dalla passione di rivendicare
un'offesa colla violenza", ma di pensare piuttosto "ad organizzarsi
in lega, per sostenere le resistenze contro i proprietari" ".
Il suo invito, come quello di altri, fu raccolto, visto che ben presto
tutta la Lomellina vide fiorire le leghe contadine. Quale fu la reazione
delle autorità e degli agricoltori di fronte al dilagare degli
scioperi e nei confronti dell'organizzazione proletaria? L'atteggiamento
del governo fu prudente, diretto ad attenuare le ragioni dello scontento.
Per questo il sotto-prefetto di Mortara emanò durante le agitazioni
due circolari, con cui deplorava in una il comportamento di quei conduttori
che fornivano ai dipendenti, come salario in natura, riso, segale e granoturco
di infima qualità o addirittura avariati, e faceva appello con
la seconda perché anche le case coloniche, in pessime condizioni
igieniche, si adeguassero alle norme sanitarie. Le possibilità
che queste ordinanze avevano di trovare applicazione erano tuttavia alquanto
scarse, visto che i sindaci a cui erano dirette, erano in genere proprio
quegli agricoltori di cui si denunciavano gli abusi. Non era da credere
quindi che le cose potessero di molto cambiare. Era comunque un fatto
nuovo, importante, che il governo prendesse atto delle condizioni dei
contadini e, anziché schierarsi come prima , al fianco degli agricoltori
per reprimere le agitazioni dei lavoratori, ne incoraggiasse di questi
in certo qual modo le rivendicazioni. Nelle lotte l'autorità si
sarebbe limitata a tutelare la libertà di lavoro
Ma se i lavoratori
della terra si organizzavano in leghe, gli agricoltori, vinta la sorpresa
del momento, non se ne stavano con le mani in mano e passavano a loro
volta al contrattacco
In breve, in Lomellina, alle leghe contadine
venne a contrapporsi la Federazione agraria
Alla fine del 1901 tuttavia
il successo sembrava arridere alle masse proletarie, come si poteva constatare
anche dalle migliorate loro condizioni di vita
A chi si doveva il
merito della rapida organizzazione del contadino, ragione prima dei suoi
successi? Innanzitutto alle Camere del Lavoro, che da organi apartitici
si erano sempre più trasformate in strumento di lotta politica
e sociale al servizio del socialismo e dei lavoratori
Erano venuti
gli scioperi, le leghe, i successi; poi, nel 1902, all'inizio della nuova
campagna risicola, in marzo, a Mortara si riunirono le Federazioni lomelline
delle leghe e degli agricoltori, per un accordo che avrebbe dovuto valere
per l'intera zona. Non fu difficile fissare il numero dei giorni e delle
ore di lavoro, ma fu impossibile addivenire ad un'intesa sul salario.
Gli agricoltori non erano disposti a stabilire. un prezzo, viste le differenze
da località a località e la scarsa affidabilità delle
leghe - si diceva - a far rispettare i patti. Nel frattempo si cercava
di risparmiare sulla manodopera, riconvertendo in parte le colture e promuovendo
l'uso delle macchine... In caso di sciopero l'ordine era di resistere
ad oltranza e di non trattare con le leghe. Fu così che, mentre
il 1901 era stato per i contadini l'anno delle vittorie, il 1902 risultò
quello delle sconfitte. In marzo le leghe contadine del Vercellese avevano
presentato un "memoriale" che prevedeva per i braccianti un
salario annuo di 600 lire. I fittabili l'avevano respinto ed era stato
lo sciopero generale dei lavoratori della terra. Ben presto il contagio
si venne estendendo alla Lomellina e scioperi scoppiarono qua e là.
A Sartirana l'astensione fu generale, anche dei mungitori, che misero
a repentaglio la vita stessa delle bestie. Si ricorse a manodopera dei
paesi vicini, ci furono dei disordini, accorsero da Mortara il tenente
dei carabinieri e lo stesso sottoprefetto. Alla fine il dissidio parve
composto, ma subito "i famigli vennero licenziati con ordine di sfratto
entro otto giorni. Con pianti ed implorazioni quelli di Casa ducale ottennero
di rimanere fino a S. Martino". La sconfitta era bruciante, tanto
più che la lega nulla poté. Qualche giorno dopo si scioperava
anche a Sannazzaro, per portare il prezzo dell'ora di lavoro a 25 centesimi:
gli agricoltori sostenevano di volersi attenere al concordato, nel frattempo
stipulato a Mortara, che ne prevedeva solo 18. Fu chiamato l'on. Montemartini,
unico deputato socialista della provincia, per un accordo; ma senza successo.
In una animata assemblea alla Società Operaia, Montemartini consigliò
agli scioperanti "che se intendevano continuare lo sciopero calcolassero
prima per bene se trovavansi in condizioni finanziarie tali da poter resistere,
altrimenti andassero a lavorare". Era un invito alla prudenza, ma
all'unanimità si votò per la resistenza, proponendo alcuni,
contro il parere di Montemartini, di coinvolgere nella lotta anche i salariati.
Gli agricoltori e il cav. Pollone in particolare decisero allora di ricorrere
a contadini di Dorno, che poterono lavorare sotto la protezione dei carabinieri;
così, dopo dieci giorni, grazie sempre all'intervento di Montemartini,
si dovette accettare la paga concordata a Mortara. La disillusione fu
grande
In effetti la Camera del Lavoro, le leghe avevano suscitato
il moto rivendicativo, ma non erano poi state in grado di sostenerlo e
di controllarlo. Finche c'erano stati dei successi i contadini erano con
le organizzazioni, ma ora tutto il movimento appariva palesemente in crisi.
Era stato un errore il massimalismo di certuni e lo stesso partito socialista
rischiava ora di perdere credibilità e consensi
Del problema
delle risaie, dopo le vicende tumultuose dei primi anni del secolo, incominciò
ad interessarsi anche il governo con l'intento di regolamentare, con speciale
legislazione, tutta la materia. I risicoltori lomellini ne furono subito
preoccupati e indissero nel febbraio del 1904 a Mortara un convegno nazionale,
al quale parteciparono alcune migliaia di agricoltori.
Rilevato che le progettate riduzioni d'orario nei lavori delle risaie
sarebbero risultate, per la particolare natura della coltivazione, di
danno gravissimo tanto ai coltivatori quanto ai lavoratori, veniva approvato
un ordine del giorno così formulato: "Gli agricoltori lomellini,
vercellesi e novaresi (...) chiedono agli alti poteri dello Stato che
la mondatura non venga sottoposta, quanto alle ore, ad un regime speciale".
Al convegno degli agricoltori faceva immediatamente seguito quello dei
contadini in cui, sempre a Mortara, ad un comizio ove parlò l'on.
Bissolati fu richiesta "la pronta approvazione della legge sulle
risaie con la fissazione ad otto ore della giornata di lavoro in risaia".
Per il momento, però, il Consiglio Provinciale con duro realismo,
fissò a 10 ore la giornata dei mondariso locali e a 11 quella dei
forestieri, limitandosi solo ad escludere dai lavori i minori di 13 anni.
La campagna del 1904 risultò piuttosto vivace per le vertenze sull'orario
di lavoro. A Mortara si scioperò a lungo per ottenere le 8 ore
a 25 centesimi, contro la volontà dei fittabili di non scendere
sotto le 9 ore; a Sannazzaro invece furono gli agricoltori a provocare
le proteste e le astensioni non accettando, secondo il bollettino di Mortara,
la giornata di 10 ore a centesimi 24 all'ora. L'annata fu agitata in Lomellina
come lo fu in tutta Italia in quanto culminò nello sciopero generale
di ottobre, degenerato in violenze con morti e feriti. Il governo fu abile
nella circostanza ad approfittare del malumore insorto nell'opinione pubblica
e indisse le elezioni. Gli esiti furono tali che, nel complesso, come
su scala nazionale, i socialisti dovevano scontare gli effetti negativi
delle loro scelte massimaliste, anche se le azioni tumultuose degli ultimi
anni avevano certamente contribuito a radicare la loro presenza anche
là dove fino a quel momento essa era pressoché inesistente.
Il soffio della ribellione era penetrato ormai dovunque in Lomellina
Quanti
avevano creduto, con le elezioni del 1904, di avere inferto un colpo mortale
al socialismo e posto fine alle tensioni sociali dovevano rimanere ancora
una volta amaramente delusi. Gli scioperi continuarono, anche se a fasi
alterne, e ad essi ci si dovette abituare, come a un connotato dei nuovi
tempi. La causa principale del contendere era ormai l'orario di lavoro,
che le "leghe di resistenza" volevano ridotto a otto ore. Su
questo punto però la posizione degli agricoltori si rivelava intransigente
e quando il governo, attraverso l'Ufficio del lavoro, nel 1906 presentò
un disegno di legge che prevedeva in risaia un massimo di nove ore, la
reazione dei fittabili lomellini fu del tutto negativa e improntata a
toni catastrofici. L'anno dopo, però, i fittabili sarebbero stati
ben contenti di assumere le mondine a 9 ore giornaliere. Queste reclamavano
a tutti i costi le 8 ore. A Sannazzaro all'inizio della stagione Egisto
Cagnoni tenne "sulla pubblica piazza una conferenza raccomandando
ai contadini di ricostituire la lega e di essere solidali a resistere
nella pretesa delle otto ore a 25 centesimi all'ora". Questa volta
l'iniziativa della lotta, in paese, fu presa da quattro donne che decisero
di costituire una lega femminile e di sostenere ad oltranza lo sciopero;
e, quando da Ferrera giunsero delle crumire, alla cascina Balossina e
alla Gravassola esse le affrontarono costringendole ad andare indietro;
il capo a sua volta, arrivato in carrozza, "fu investito d'improperi
e minacciato di percosse con l'anticipazione di qualche sassata".
In effetti il fronte degli scioperanti era poco unito; spesso si scioperava
in paese e si cercava lavoro, ad ogni condizione, in quello vicino. Così
1'anno prima, proprio a Ferrera, durante la stagione del taglio erano
stati contadini di Gropello a sostituire quelli locali in sciopero. Sulla
questione dell'orario gli agricoltori non erano proprio disposti a cedere.
A Zeme nel 1908 ci fu da parte dei contadini un memorabile sciopero durato
53 giorni; poi furono costretti a capitolare. Tuttavia il problema rimaneva
sul tappeto come si poté constatare 1'anno dopo. Quella del 1909
fu in effetti una primavera "calda" in Lomellina. I primi incidenti
si verificarono nel territorio di Ottobiano, quando 450 mondini in sciopero
che tentavano di invadere le cascine Pia e Gorina furono costretti a retrocedere
da 35 carabinieri a cavallo. Poi gli scioperi dilagarono un po' dappertutto
e dai campi si estesero alle filande. Particolarmente critica la situazione
si fece a Mede: in giugno, quando più dovevano fervere i lavori,
1200 persone, prevalentemente donne, si trovarono in sciopero. Alle mondine
si unirono poi le operaie delle tre filande e il clima era diventato incandescente.
Si fecero affluire oltre a numerosi carabinieri "uno squadrone di
cavalleggeri e due compagnie di fanteria". Alla fine si riuscì
a comporre la vertenza sulla base delle 8 ore, quando intervennero il
sottoprefetto, 1'on. Marazzani, deputato socialista di Vigevano, Gasperini
della Federazione lavoratori di Bologna ed Egisto Cagnoni. Nonostante
1'acuirsi dei conflitti di lavoro, in Lomellina, a differenza di altre
zone, gli incidenti non degenerarono mai in atti particolarmente gravi
di violenza. A fatti di sangue tuttavia in questi anni non si arrivò,
come capiterà invece dopo la guerra, anche se il clima sociale
in certe località era tanto acceso che c'è da sorprendersi
come non si sia giunti a tanto... Con le lotte contadine d'inizio secolo
la Lomellina venne alla ribalta degli avvenimenti sindacali italiani.
La battaglia per le otto ore fu infatti qui combattuta e vinta, in linea
di principio almeno, per la prima volta in Italia. Di colpo i braccianti
e le mondine si trovarono a sostenere una lotta che andava ben al di là
dei loro specifici interessi. Nelle battaglie dei contadini lomellini
era tutto il movimento dei lavoratori a riconoscersi ed essi costituivano
veramente, in quel momento, 1'avanguardia del proletariato protagonisti
in prima linea per una rivendicazione di fondamentale importanza. Perché
tutto questo proprio in Lomellina? Non certo per una vocazione allo scontro
dei suoi abitanti, per natura piuttosto pacifici e remissivi, alieni nella
vita privata dalle posizioni estreme, quanto per il tipo particolare di
agricoltura che qui si praticava. L'irrigazione e la risaia volevano la
grande conduzione e le masse bracciantili; la contrapposizione era quindi
nelle cose e la lotta di classe la si poteva quasi captare attraverso
il paesaggio. Il verde delle risaie non si poteva accordare politicamente
con i colori sfumati: esso richiamava le tinte forti, il rosso cupo e,
a tempo debito, il nero ben marcato.
Alessandro Savini
(Riduz. e adatt. da "Una terra, una popolazione -
Sannazzaro de' Burgondi attraverso il suo giornale - 1890 / 1926",
edito a cura del Comune di Sannazzaro nel 1987, per gentile concessione
dell'Autore. I passi riportati tra virgolette sono tratti dal settimanale
locale "L'Eco della Lomellina").
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