ADRIANO CASADEI

Nella giornata infausta dell' 8 settembre 1943, per lo sfaldamento generale dell'esercito, un giovane forlivese di 22 anni, abbandonò la caserma di Orvieto, dove frequentava il corso allievi sottufficiali.
Nelle discipline militari e in quelle sportive era risultato tra i migliori e nel lancio del martello era uno dei campioni più promettenti d'Italia. Si chiamava Adriano Casadei. Era un ragazzo intelligente e generoso, buono e socievole. Tornato a casa, intraprese uno studio severo, perchè era suo intendimento quello d'iscriversi all'università per laurearsi in chimica.
Dovette desistere dal suo proposito, perchè per sostenere gli esami, avrebbe dovuto prendere la tessera dei G.U.F.- Giovani Universitari Fascisti -. Cominciò allora a studiare privatamente con un'amica, ma le lezioni terminavano sempre con gli unici argomenti importanti che gli stavano a cuore: La situazione militare e politica dell'Italia, la necessità di rovesciare il fascismo, di cacciare il tedesco e di combattere per la libertà della patria.
Per far conoscere le sue idee di opposizione intransigente e totale alla dittatura e per aiutare con tutti i mezzi i partigiani che combattevano sulle montagne, fondò il <Movimento Patriottico Giovine Italia> d'ispirazione repubblicana ed entrò in relazione con la banda di Corbari, verso la quale indirizzava i giovani renitenti alla leva e gli uomini che volevano lottare con le armi in pugno, contro il nemico invasore e l'alleato fascista. Le sue energie furono tutte dirette a propugnare la causa della resistenza. L'amore per la libertà e il coraggio, lo indussero a organizzare colpi di mano e azioni di sabotaggio dentro la stessa città di Forli.
E fu proprio Corbari a desiderare di incontrarlo e da allora ebbero contatti sempre più stretti e cordiali.
Subito, fin dall'inizio, tra Corbari e Casadei, si stabili una comprensione reciproca e un'intesa perfetta, perchè i loro caratteri si completavano e ambedue erano indispensabili per la conduzione ideale della banda.
Corbari era il capo spavaldo e impulsivo, artefice di spericolate imprese individuali; Casadei era l'uomo freddo e calcolatore, l'intelligente organizzatore delle azioni collettive. Silvio è un eroe che simboleggia con le gesta un'epoca gloriosa, Adriano è la mente direttrice e organizzatrice delle battaglie vittoriosamente superate. Sono entrambi uomini d'azione che manifestano il loro valore l'uno con la temerarietà e l'altro con la mente. Silvio comanda e dispone, Adriano guida e dirige.
L'arrivo di Adriano fece della formazione una compagine valida a combattere con successo il nemico e i compagni trovarono in lui il condottiero che seppe fronteggiare anche le più difficili situazioni e li guidò alla vittoria.

Tra la moltitudine di azioni ardimentose di Casadei, una in particolare merita di essere raccontata, poichè essa rende perfettamente l'idea del coraggio e della lucidità mentale del giovane. Nella notte tra il 17 e il 18 luglio, sul monte Lavane, avvenne l'attesissimo aviolancio da parte delle forze alleate. Finalmente i partigiani potevano disporre di un approvvigionamento di oltre 40 quintali, che comprendeva : mitragliatrici, mitragliatori, sten, munizioni, bombe a mano, 8 quintali di esplosivo, vi erano in oltre viveri, medicinali, indumenti, sigarette ed altri generi voluttuari.

Ognuno dei partigiani, fu provvisto di un'arma automatica ed ebbe in dotazione munizioni e bombe a mano per quante ne voleva. Quello che rimase fu chiuso nelle casse e nei sacchi vuoti e nascosto fra le macchie e negli anfratti del monte.
Poco più in basso, a quota 1165 metri, c'è un'ampia radura con una capanna che serve d'asilo ai boscaioli e ai pastori. Nell'interno di questa sono riposti gli 8 quintali d'esplosivo, e le armi e le casse di munizioni eccedenti che non potevano essere utilizzati sul momento, ma che ben presto avrebbero rappresentato un micidiale strumento di morte.

Terminato il recupero del materiale, sarebbe opportuno che i partigiani abbandonassero la zona, ma sono esausti per lo sfibrante lavoro di recupero e si gettano sfiniti su giacigli di fortuna per riposare almeno fino all'alba, e quindi rimettersi in cammino.
Solo le sentinelle rimangono a vigilare.
Purtroppo il nemico ha notato l'insolito movimento, o ha intercettato i messaggi radio dell'aviolancio e favorito dalle tenebre ha iniziato l'ascesa del monte, circondandolo.
Alle prime luci dell'alba, le vedette più avanzate avvistarono una pattuglia di tedeschi nel fondovalle. Il silenzio del mattino è rotto da uno sparo.

Adriano Casadei non frappone indugi. Alla testa di una decina di uomini, scende dalla radura e attacca con furiose raffiche di mitraglia l'avanguardia delle forze nemiche.
L'abbondanza delle armi automatiche è di sicura efficacia e la frequenza del fuoco che consente di sparare finalmente senza economia, costringono il nemico a retrocedere dal proposito di cogliere di sorpresa i ribelli e a indugiare in attesa che si faccia sotto il grosso del reparto.
Intanto una pattuglia partigiana di servizio in avanscoperta, munita di binoccoli, segnalò l'entità delle forze che stavano salendo contemporaneamente dalle strade di accesso alla montagna. Cinque colonne poderose ed imponenti formate in gran parte dai tedeschi delle S.S. e di alpen-jager, approssimativamente più di un migliaio di uomini, sono pronte per annientare la banda di Corbari.( 53 uomini ) Accettare battaglia in quelle condizioni non era possibile, bisognava ritirarsi immediatamente.

Il cielo era coperto di nuvole che avvolgevano anche le cime dei monti. Regnava un silenzio assoluto. I pochi montanari avevano abbandonato le casupole per rifugiarsi nel fitto della macchia e nelle inaccessibili caverne.

Sulle ripide strade e per i campi verdeggianti il nemico avanzava con cautela , in ordine sparso, cercando di costringere i partigiani verso la cima del monte e prepararsi ad attaccarli in forze.
I partigiani si ritirarono ordinatamente lungo il crinale, mentre il gruppo di Adriano indietreggiava fino alla radura.

Sfruttando la posizione favorevole, i partigiani della retroguardia sparavano in continuazione, con un volume di fuoco che trasse in inganno il nemico circa la consistenza del gruppo partigiano.

La battaglia durò ininterrottamente per otto ore e un pugno di uomini sorretti, guidati, diretti e animati da Adriano, consentirono alla banda di mettersi in salvo sfuggendo all'accerchiamento e sfilando lungo il crinale.
Verso mezzogiorno, il nemico sferrò una pesante offensiva per fiaccare la resistenza e farla finita con i ribelli.

Mentre i mortai martellavano le postazioni, i tedeschi attaccarono a centinaia. Adriano diede ordine ai suoi compagni di ritirarsi, mentre Egli e altri due partigiani, si soffermarono un poco presso la capanna contenente l'esplosivo, facendo credere al nemico di voler difendere la postazione e di ripararsi al suo interno. Affannosamente viene procurata una miccia e sotto al fuoco del nemico che avanza inesorabile, Adriano riesce in qualche modo a sistemarla sotto l'usciolo.

I tedeschi soppraggiungono a centinaia, occupano la radura e circondano la capanna, nella certezza che all'interno si siano asserragliati i ribelli.
All'improvviso il monte sembrò incendiarsi. Un'enorme vampata con un abbagliante riverbero, illuminò il cielo; uno scoppio terrificante e un boato tremendo, squassarono dalle fondamenta la montagna e si ripercossero come un tuono lungo le vallate, in lontananza e uno schianto mostruoso, fece sobbalzare la terra sotto ai piedi dell'ultima pattuglia partigiana che s'allontanava. Furono sollevati in aria come fuscelli dall'immane esplosione, ma ricaddero incolumi.
Per il nemico è una strage: circa 200 i morti e oltre 150 i feriti. I tedeschi sono in preda ad un panico indescrivibile e non riescono a capacitarsi dello spaventoso disastro.
L'impresa straordinaria e l'importanza del successo meritarono l'encomio del comandante alleato e radio Londra trasmise l'elogio del generale Alexander per la banda di Corbari.
Tutte le vicende della formazione, portavano ora il suggello di una preparazione accurata e meticolosa, riuscirono ad accomunare le volontà dei due comandanti e a fondere gli animi in un vincolo indissolubile di amicizia che non li separerà mai più.
Anche la morte li ghermirà uniti e indivisibili.
In quella giornata tragica si palesò appieno la generosità di Adriano. Egli avrebbe potuto mettersi in salvo, ma l'affetto per il compagno sopravanzò l'istinto di conservazione e lo fece accorrere presso di lui.
L'ultimo suo atto, prima di offrire il collo al capestro, fu quello di abbracciare il corpo esamine dell'amico.
La morte di Adriano affida un messaggio agli uomini e li esorta ad amare la libertà, anche con l'olocausto supremo della propria vita.

I passi scritti con caratteri "normali" sono tratti dal libro "CORBARI E LA SUA BANDA" di E. Dalmonte.

Grazie 1000 per la biografia al compagno Luciano

I luoghi della memoria