IL
VECCHIO FICO
Si trovava proprio davanti al pollaio,
nel vecchio orto dei nonni che bordava
la strada provinciale, e doveva avere
almeno una cinquantina d'anni, finchè
un
giorno..., ma cominciamo dal
principio.
Il piccolo campo avuto in uso dalla
provincia, era situato sulla sinistra
dell'abitato ( per chi viene da Pesaro),
incastrato tra il fiume e quella che poi
sarebbe diventata la principale via di
comunicazione della vallata del Foglia;
non era molto grande, ma il nonno si era
premunito di fornirlo di quasi tutti i
vegetali che potessero servire in casa:
grano, viti, verdure, pesco, susino,
ciliege "aghisciole" ed infine due fichi;
uno più piccolo che faceva frutti grossi ,
ma con poco sapore, ed un altro, il
prediletto , che invece produceva i
"ramiàni" fichi piccoli e saporitissimi,
molto dolci ed abbondanti, tanto che
a volte bastavano sia per casa che
per
un regalo da fare a chicchessia.
Proprio per questo motivo, l'orto era
sede di frequenti visite di amici e
parenti che tra una chiacchiera e l'altra,
approfittavano dell'occasione per
gustare gli squisiti frutti raccolti dai
fragili rami della pianta: il legno di fico
è
risaputo infatti, non essere dei più robusti.
Questo fatto determinò negli anni
la rottura di alcuni rami, che con
l'andare del tempo indebolirono il
tronco della pianta provata dalle
abbondanti nevicate degli inverni
passati; il giorno del fattaccio, nell'orto
si trovavano la nonna, la zia Margherita ,
una vicina di casa ed io ;la giornata
autunnale invitava a passare fuori gli
ultimi giorni di ottobre, e stessa cosa
dovevano pensare anche le api , la cui
arnia
era posta proprio sotto la pianta di fico.
La zia cominciò a raccogliere i primi frutti,
subito imitata dall'Annita, e tra esclamazioni
ed apprezzamenti la raccolta continuò
veloce e la scorpacciata proseguì per
molto
tempo.
Dapprima a sparire furono i fichi più
vicini a terra, e quindi più facilmente
raggiungibili, poi con fatica cominciò
la raccolta di quelli posti sui rami più alti,
e le due "avide" iniziarono ad allungarsi
sulle punte dei piedi ed a tirare i rami
del
povero fico.
La cosa avvenne abbastanza velocemente:
si senti dapprima uno scricchiolio , poi
un secco "trach", infine un tonfo sordo
mescolato a strilla femminili ed una
imprecazione
dell'Annita .
La pianta piombò sulle due donne
che si trovarono intrappolate tra i rami ,
le foglie, i fichi appiccicaticci e soprattutto
tra le api, che si erano viste di botto
oscurare lo spazio aereo dai rami del fico.
In un attimo si scatenò il pandemonio,
la zia cercò di fuggire, l'Annita continuava
a mangiare usando una mano per
raccogliere e l'altra per scacciare le api,
la nonna cercava di aiutare le poverine
urlando sciò all api che erano giustamente
incavolate.
Entro un minuto mia nonna riuscì a
togliere da sotto il fico la Margherita,
e la scena che si presentò ai nostri occhi
era a dir poco esilarante: immaginate
una vecchietta, completamente bianca
e con i capelli lunghi raccolti sulla testa
che esce da una centrifuga in lavatrice,
sembrava l'incarnazione della medusa
mitologica: i capelli ritti ed appiccicati
tra loro, la faccia stravolta, i fichi che
facevano la loro bella presenza su tutto
il viso e sull'abito della povera zia,
e ciliegina sulla torta, le api che le facevano
da contorno come una scura e minacciosa
aureola.
"povera me, povera me" diceva , e cercava
di allontanare gli insetti dalla faccia,
"
ho perso il fazzoletto, dove sono i miei occhiali?".
Ad un tratto, di tra i rami della pianta ,
l'Annita che nel frattempo era rimasta
imperturbabile a mangiare, disse:
" Rosa, i tu fich en gitt a la scola per
imparè a leggia, adess han cumpret gl' ucchiel
per veda mei": le lenti della zia infatti ,
facevano bella mostra di se sopra un ramo,
tra un fico spappolato ed un'ape intenta
a
succhiarne il succo.