TRE
CUGINI UNO PEGGIO DELL'ALTRO
Franco,
Paolo e Sauro,
tre nomi che resteranno
nella
storia e negli annali di Case Nuove
soprattutto
per gli innumerevoli dispetti
che
noi tre eravamo sempre intenti a fare
agli
abitanti del piccolo paese.
E
mai una volta che fossimo d’accordo
su
come e a chi fare l’ennesima vigliaccata;
praticamente
tutti, dalla zia Margherita alla
zia
Tina, dal vicino noioso al lontano abitante
di
Fontanelle, dal nonno alla mamma di turno
potevano
essere vittime designate.
Quel
furbacchione di Franco un giorno
pensò
bene di trasformare il nonno Arturo
in
un bellicoso cow-boy del vecchio west,
quindi
durante un ristoratore pisolino
pomeridiano
di una calda giornata estiva,
frugò
non visto nell’armadio e trovato il
“Borsalino”
delle grandi occasioni di cui
il
nonno era particolarmente fiero, lo trapassò
da
parte a parte con un ferro ed infilò poi
nei
buchi fatti un lungo spago per tirare in
alto
le falde del “nuovo cappello da sceriffo”.
Non
vi dico cosa successe poi, ai giorni nostri
il
povero Franco si sarebbe sicuramente
potuto
rivolgere al “telefono azzurro” a causa
dei
maltrattamenti subiti.
Altre
volte invece i dispetti si ritorcevano
immancabilmente
su di noi trasformandoci
in
vittime da compatire o in pietre
dello
scandalo. Poco tempo dopo che
il
nonno si ritrovò “decappellato” dalla
accesa
fantasia di Franco, io e Sauro
decidemmo
di fare una bella vacanza sulla
collina
proprio dietro casa , trasformandoci
in
tedeschi, e questo perché avevamo sentito
dire
che al mare c’erano molti turisti che
venivano
dalla Germania che appunto si
chiamavano
tedeschi.
Prendemmo
quindi un vecchio caldaio di rame
dei
fiammiferi ed un poco di carta e
partimmo
per quella che doveva essere la
nostra
prima vacanza fuori casa.
Il
luogo era bellissimo: un fosso dietro
la
casa di Giannetti dove tra l’altro
erano
ammucchiati molti torsoli di mais
già
sgranati e che avrebbero fatto giusto
a
caso per accendere il fuoco che doveva
permetterci
di mangiare.
Non
era una cattiva idea, soltanto che il
diavolo
ci mise lo zampino sotto forma
di
incendio che appiccammo ai torsoli
ed
alla scarpata soprastante e che non
riuscimmo
a spegnere proprio subito.
Nel
frattempo si era gonfiato un bel
temporale
( proprio tutte una dietro all’altra!
)
ed
a casa cominciarono a cercarci molto
preoccupati;
la pioggia scrosciante che
venne
giù ci aiutò a spegnere gli ultimi
focolai
dell’incendio e quindi ripreso
il
caldaio, che nel frattempo si era annerito
come
le nostre facce ed i nostri vestiti,
ci
avviammo sulla strada del ritorno.
Erano
terminati i fulmini meteorologici
ma
dovevano ancora iniziare quelli materni:
nel
vederci arrivare completamente anneriti
e
bruciacchiati infatti, e soprattutto sentendoci
parlare
una strana lingua tipo “bai cai strai”
ecc.
ecc. (quello era il tedesco), in casa
si
domandarono se la nostra integrità
mentale
fosse ancora piena e dopo aver
appurato
che lo era, si adoprarono in una
bellissima
sculacciata, che tra l’altro aveva
anche
la funzione di scrollarci di dosso tutta
la
fuliggine che avevamo accumulato
nell’opera di spegnimento dell’incendio.