I COSTUMI
Gli anni passavano adagio sulla
vallata
del Foglia e si trascinavano
dietro
la spensieratezza e l'allegria
dei
bambini di casa Polidori; Arturo e
gli
altri impararono ben presto le
prime
faccende domestiche, dato che un
bambino
di 5 o 6 anni poteva anche
aiutare
in casa ; ben presto comunque
il
tempo avrebbe cambiato questa
mentalità
, ed in cucina sarebbe
rimasta
soltanto la sorella, l'unico
aiuto
e conforto, nelle tante faccende
domestiche
per la bisnonna Maria, che
si
doveva sobbarcare il compito di
sfamare
dieci bocche e lavare e ripulire
per
dieci persone .
Quello
che oggi può sembrare semplice,
cioè
mettere dei panni sporchi nella
lavatrice
ed accenderla, allora era , o
per
lo meno doveva essere, veramente
faticoso:
in casa non c'era un
rubinetto
da cui prendere dell'acqua
per
il bucato, per cui ci si doveva
recare
alla fonte o al pozzo più vicini
con
tutto l'armamentario utile
all'occorrenza.
Ci si muniva quindi di
mastello
di legno, costruito con cura
dal
bisnonno o da un altro artigiano
del
fai-da-te; di sapone , che era
rarissimo
, ed andava usato con
oculatezza
e di brusca , che altro non
era
che una scopetta di legno con le
fibre
di saggina, la cui durata
dipendeva
dall'olio di gomito della
lavandaia,
ma che comunque non si
cambiava
mai fino a che non si era
consumata
del tutto.
D'inverno
era più facile trovare una
fonte
che portasse acqua, e anche se
non
c'era si poteva usare quella
piovana
che veniva raccolta dai tetti e
filtrata,
ma d'estate la cosa si faceva
molto
più complicata, dato che le
fonti,
i fossi e a volte anche i pozzi
non ne avevano a sufficienza per tutte le
famiglie
del posto. L'unica cosa da
fare
era quindi scendere al fiume
portandosi
dietro i panni e quanto
prima
descritto. La strada da fare era
lunga
circa un chilometro, e l'andata
di
solito comportava minor fatica ,
anche
perché tutta in discesa, il
ritorno
al contrario consumava le
ultime energie delle lavandaie, le
briciole
di forza rimaste dopo
il
faticoso batti e ribatti dei panni
sulle
pietre del fiume.
Per
fare uscire tutta la sporcizia
dalle
grosse fibre di lana e di lino
infatti
, occorreva strofinare
energicamente
il bucato, risciacquarlo
e
sbatterlo sulle pietre che a causa
del
continuo uso si erano tutte
levigate;
ogni donna aveva il suo
sasso,
scelto tra i tanti che le piene
invernali
avevano trascinato a valle
dai
monti: di solito si cercava il più
largo
e piatto, come se fosse una
tavola
, e lo si disponeva obliquo
sulla
corrente dell'acqua , appoggiato
su altre pietre a mo di cavalletto.
Solamente
molti anni più tardi
cominciarono
a comparire le prime assi
di
legno, costruite dai mariti per
alleviare
almeno un poco le fatiche
delle
loro lavandaie.
La
cooperazione tra massaie era allora
molto
sentita, soprattutto quando si
dovevano
lavare le lenzuola, in quei
casi
a sbattere il bucato si doveva per
forza
di cose essere in due, dato che
la
pesantezza delle stoffe era
proverbiale,
così ritmicamente la
polvere
della notte veniva sbattuta
sulla
pietra e trascinata via dalla
limpida
corrente, accompagnata quasi
sempre
dai canti o dalle chiacchiere,
che
aiutavano a sopportare meglio la
fatica.
Al
fiume ci si davano veri e propri
appuntamenti,
e così nelle giornate
serene quasi tutte le donne delle case
dei
dintorni si ritrovavano a
lavare
i panni sporchi e a discutere
dei
problemi che la vita dal tempo
sicuramente
creava con estrema facilità
alle
mogli.
Se
il bucato da pulire era tanto, si
poteva
approfittare di un passaggio
gratuito
su di un biroccio, che nella
maggior
parte dei casi era trainato
dalle
mucche che scendevano al fiume
per
bere e cariare l'acqua per le altre
rimaste
in stalla. Molto probabilmente
anche mio nonno scese tante volte al
fiume,
sia con la mamma che con gli
amici,
magari solo per accompagnare le
mucche
, oppure per giocare dietro il
carro
cercando di arrampicarcisi
sopra
dato che la velocità non era
certamente
elevata.
Il
giorno del bucato era di certo un
bel
giorno per mia bisnonna, dato che
si poteva finalmente parlare con qualche
altra
persona, conoscere i fatti
successi
nella zona, spettegolare di
qualche
cosa che potesse far passare in
second'ordine
le innumerevoli fatiche
che
tutti i santi giorni si dovevano
sopportare
Il
rumore della corrente era quindi
quasi sempre superato dal vociare
concitato
delle donne e dai tonfi dei
panni
sulle pietre, e questo spettacolo
continuava
per parecchio tempo, a volte
fino
alle ultime ore del pomeriggio,
quando
ogni donna ripresi i secchi e
gli
indumenti lavati tornava sulla
strada
di casa
Questo
era quello che succedeva in
estate,
ma in caso di cattivo tempo
si
doveva provvedere diversamente. si
ricorreva
quindi al ranno, una specie
di
intruglio puzzolente ed irritante
che
fu il precursore degli odierni
detersivi.
Ancora pochi anni fa mia
nonna
afermava che come venivano puliti i
panni
con il ranno lei non li aveva più
rivisti;
l'unico inconveniente era il
fatto
che col tempo si corrodevano
abbondantemente,
a causa appunto della
forte
azione caustica del liquido
Per
fare il ranno si prendeva una
grossa
tinozza con un buco sul fondo
chiuso
da un rubinetto, si riempiva con
gli
indumenti da lavare tutti avvolti
da
vecchie lenzuola, poi si ricopriva
il
tutto con un altro lenzuolo su cui
si
gettava della cenere e quindi
lentamente
ci si versava sopra
dell'acqua
bollente fino a ricoprire
ogni
cosa. Il tutto andava poi lasciato
nella
tinozza per parecchie ore , o per
lo
meno fino a quando l'acqua non si
era
raffreddata, si toglieva quindi il
tappo
per scaricare il ranno e si
sollevava
con prudenza il lenzuolo con
la
cenere avendo cura di non farla
cadere
sul bucato. Quest'ultimo andava
quindi
strofinato e sciacquato ed era
pronto
da stendere al sole per
asciugare.
La
puzza acre che si sprigionava da
questo
intruglio era fortissima, si
sentiva
lontano un centinaio di metri
che
in quella casa era stato fatto il
bucato,
e questo anche perchè il ranno
non
veniva gettato, ma lo si conservava
in
mastelli per lavare cose meno
delicate.
E'
capitato anche a me parecchie volte
di
vedere da piccolo nel fondo di casa
quegli
enormi mastelli ripieni di
liquido
marrone, quasi come tè, e
tante
volte provavo a immergerci un
dito
e prontamente lo ritraevo nel caso
ci
fosse qualche escoriazione: bruciava
veramente
tanto!