I
regali della Befana
La notte dell'Epifania era, per noi bambini degli anni 60,
sicuramente la notte più magica ed attesa dell'anno.
Allora, in quel di Case Nuove non esisteva la leggenda di Babbo Natale,
e le renne addobbate di campanelli a tirare la slitta volante
erano lungi anni luce dai nostri pensieri.
Ma la Befana, la vecchietta che incurante del freddo e del gelo
volando a cavallo di una vecchia e logora scopa, portava doni
e carbone nelle calze appese al camino,
quella si, che era una cosa da ricordare!
Nonostante chiudesse tutto il corollario delle festività natalizie,
per noi la festa dell'Epifania rappresentava un appuntamento
importantissimo: guai ad ammalarsi e soprattutto, nei quindici
venti giorni precedenti, guai a fare capricci o non ascoltare
i genitori.
La vecchietta, sempre allerta e vigile, avrebbe potuto sentire tutto
e regolarsi di conseguenza nella distribuzione dei doni.
Per aggraziarsi il benvolere della Befana, era possibile scrivere
una letterina in cui si chiedeva educatamente il regalo che più
ci piaceva, senza dimenticare che, dire una bugia alla Befana,
come affermare di essere stati buoni mentre invece si era stati delle pesti,
comportava un biglietto di rimproveri da leggere in presenza dei
genitori, e molte volte, una notevole diminuzione delle agognate caramelle.
In molte parti del mondo, la lettera di Natale i bambini la scrivevano per
il vecchio con la barba bianca, la nostra letterina natalizia era invece
indirizzata a Gesù Bambino e dopo averla scritta l'ultimo giorno di scuola
prima delle vacanze, la mettevamo sotto il piatto del babbo
Il giorno del pranzo di Natale aspettandoci al massimo
qualche moneta da 50 o 100 lire.
L'aspetto era completamente diverso da quella inviata alla Befana:
una era scritta in bella calligrafia su un bel foglietto bianco
con disegnato un piccolo paesaggio innevato,
con una piccola chiesa con il campanile, gli abeti e le case,
il tutto ricoperto di neve bianca
e a rendere più magica l'atmosfera una bella spruzzata
di "luccichini" dorati o argentati.
L'altra invece poteva essere scritta su un foglio qualsiasi, anche di
cartapaglia, con penna o matita ed anche qualche piccolo errore di
ortografia. La vecchietta non faceva certo caso a queste imperfezioni, e lo
dimostrava il fatto che anche la sua lettera di risposta era infarcita di errori
o sproloqui vari a testimoniare il fatto che, anche se non era andata a scuola,
restava comunque una persona con un cuore d'oro.
Non si riusciva a chiudere occhio quella notte: dopo aver attaccato la calza
al camino, prendendola in prestito dalla nonna che le aveva più grandi e robuste
di tutti gli altri parenti, si andava diligentemente a dormire, ma per modo di dire,
in quanto l'emozione dell'attesa non ci permetteva di riposare nel nostro letto.
Ogni tanto un bisbiglio, per non farci ascoltare dai grandi, e le orecchie
ben tese a sentire i più piccoli rumori provenienti dalla cappa del camino,
che passava nello spessore del muro portante della casa,
proprio dietro alla testata del nostro letto.
"Hai sentito niente?" dicevo a mio cugino,
"No. Mi sa che quest'anno non viene: le abbiamo combinate proprio grosse!"
E così via in un frenetico ricordare le marachelle combinate e la conseguente
punizione che, meritata o no, avrebbe prima o poi invogliato la vecchina
a cancellarci dalla sua lista.
Per quanto grande fosse la nostra resistenza ed il desiderio di scoprire
l'attimo in cui sarebbe passata per il camino, alla fine ci addormentavamo sempre,
e il sogno che facevamo era sempre quello: una piccola figura, incappucciata
in un vecchio e logoro mantello, a cavallo di una scopa, che svolazzava
nella notte fredda e senza stelle entrando e uscendo in ogni camino della zona:
"La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
il cappello alla romana
viene viene la Befana.
La Befana vien di notte
vien dai monti a notte fonda,
neve e gelo la circonda,
neve gelo e tramontana
viene viene la Befana"
Riaprire gli occhi la mattina dell'Epifania voleva dire correre
giù per le scale a capofitto, in pigiama e senza ciabatte,
incuranti degli scalini freddi e dei piedi scalzi.
Voleva dire sgranare gli occhi e vedere quella "calzettona" tutta rigonfia
come un grosso salame, con dentro qualche caramella, un torroncino,
due mandarini ed un arancio, qualche monetina di cioccolato,
tutte piccole cose avvolte singolarmente, per prolungare la gioia della scoperta,
con della carta proveniente da non so quale vecchio giornale, e legata in cima
con dello spago a formare un piccolo ciuffo da cui penzolava un bigliettino
arrotolato che non vedevamo l'ora di leggere:
"Caro Paolo, anche quest'anno mi sono ricordata di te, nonostante le tigne
e i dispetti che vi fate con i tuoi cugini. Ricorda che se non ti comporterai bene,
il prossimo anno non tornerò più. La Befana"
Come erano vere quelle parole, scritte a calligrafia tremante e grossa come quella
di uno scolaro di prima elementare.
Bisognava conservare quel biglietto e riguardarlo di tanto in tanto,
perché altrimenti, se non avessimo seguito i consigli della befana,
prima o poi, non l'avremmo mai più rivista!