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1) Leon Battista Alberti, Ludi Matematici, Milano, Guanda, 1980, a c. di R. Ricciardi con Prefaz. Di L. Geymonat, Introduz., p. 27.

2)  Ivi, pp. 56-57.  “Questo instrumento si chiama equilibra, colla quale si misura ogni cosa” (p.56). Rinaldi spiega che lo strumento corrisponde “ all’antico Archipendolo. L’equilibra è sostanzialmente un’applicazione meccanica del principio della leva. Non viene spiegato il principio fisico su cui si basa l’equilibra, ma…Alberti ne ha colto profondamente il funzionamento. Lo strumento vien qui impiegato per mostrare come, usandolo, è possibile livellare correttamente un terreno tenendo conto della curvatura della superficie terrestre: fattore fondamentale per controllare e predisporre il movimento delle acque…”  (p.57).

3)  C. Poni, Un paesaggio a due dimensioni: Fossi e cavedagne della pianura cispadana nei secoli XIV-XVIII, in Fatti e idee di storia economica nei secoli XIV-XX, Studi dedicati a F. Borlandi, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 128.

4)  L’Orazione si può leggere sia pure parzialmente in F. A. Bocchi, Il Polesine di Rovigo, Bologna, Forni, 1975, pp. 70-74, Ristampa anastatica dell’ediz. di Milano del 1861.

5)A. Olivieri, Un’articolazione urbana, la corte: Tecnologie e modelli culturali  fra  ‘400 e ‘500, in Economia e Storia,                                   

Milano, Giuffré, 2, 1983, p. 151.

 

6)  A. Bignardi, Virgilio georgico, in Economia e Storia, Milano, Giuffré, 1, 1982, p. 12. “ …Facile a identificarsi è il vilem phaselum del verso 227, I libro, citato con altre leguminose. Scrive il Messedaglia nelle Note folenghiane…: ‘ …I fagioli folenghiani corrispondono al vilis phaselus di Virgilio, e non sono, si badi bene, i nostri comuni fagioli odierni, che hanno origine americana. I fagioli del Nostro…appartenevano al genere Dolichos: di origine asiatico-africana, venivano già coltivati dai greci e dai romani. Si tratta dei così detti fagiuoli dell’occhio…tutti bianchi…eccetto che nel bellico il quale è nero…”.

7)  “ Nel ruolo di intellettuale legato alla corte, il Groto intrattenne sempre rapporti con donne d’alto rango. Intensi i rapporti con gli Estensi. A Barbara d’Austria, seconda moglie di Alfonso II, cui doveva dedicare la Calisto e il Tesoro, offrì una ‘corona’ di sonetti, come a Lucrezia, consorte del duca di Urbino…”. Cfr. F. Rizzi, Le socialità profonde: la famiglia di Luigi Groto il Cieco d’Adria, in AA.VV., Luigi Groto e il suo tempo, in Atti del Convegno di studi, Adria, 27-29 aprile 1984, vol. I, p. 33. Il Groto credeva veramente alla possibilità di poter accedere a corte? Egli espresse opinioni molto critiche sui Prìncipi: “…Lodi vere si convengono a pochi principi del nostro secolo e quei pochi sono avari…I Mecenati son morti, i Roberti son in transito…”. Cfr. M. Pieri, Ameni siti e ‘Cannose paludi’: le favole pastorali, in AA.VV., Luigi Groto e il suo tempo, op. cit., vol. I, p.331.                                                                                                                                                                            

8)  A. Olivieri, Un’articolazione urbana…, cit., p. 150.

9)  Ivi, p. 145.

10)  Ivi, pp. 144-145.

11)  Su Tartaglia, la sua attività a Venezia, sulla traduzione di Archimede e sui suoi rapporti con il potente Diego Hurtado de Mendoza, ambasciatore di Carlo V presso la Serenissima, cfr. A.G. Keller, Matematici, meccanica e macchine sperimentali dell’Italia settentrionale del Cinquecento, in L’Affermazione della scienza moderna in Europa, Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 27-32. Per la traduzione di Archimede, cfr. Opera Archimedis Syracusani Philosophi et Mathematici ingeniosissimi per Nicolaum Tartaleam Brixianum (Mathematicarum scientiarum cultorem) multis erroribus emendata, expurgata et in luce posita…, Venetiis, 1543, in E. J. Dijksterhuis, Archimede, Firenze, Ponte delle Grazie, 1989, p. 32,n. 31.

12)Su Giacomo Lanteri Da Paratico ( ?-1560 ca.), i suoi rapporti con Alfonso II e Renata di Francia, duchessa di Ferrara, cfr. G. Vivenza, Giacomo Lanteri Da Paratico e il problema delle fortificazioni nel secolo XVI, in Economia e Storia, Milano, Giuffré, 2, 1976. Il Lanteri dedicò alcune sue opere a Renata di Francia (p.507) e ad Alfonso II duca di Ferrara, ove nel 1500 “…erano particolarmente sviluppati gli studi relativi alle artiglierie; già Alfonso I aveva ‘ la più bella artiglieria d’Europa’…”; e Alfonso II “fece importanti innovazioni nelle armi da fuoco portatili”, p. 506, n. 13. Come agronomo Lanteri scrisse un Della Economica. Trattato di M. Lanteri gentilhuomo bresciano, Venezia, 1560. Cfr. S. Ciriacono, Trattati di agricoltura, di idraulica e di bonifica, in Trattati di Prospettiva, architettura militare, idraulica e altre discipline, Venezia, 1985, p. 52, n.25.

 

 

 

13)Sull’editoria veneziana e l’architettura militare, cfr. V. Fontana, Architettura militare, in Trattati di prospettiva…, op. cit., pp. 33-44.

 

 

15)  Il Groto e il Bonardo, nella Villa di Fratta, “tengono sullo scrittoio e sulla tavola degli ‘esperimenti’  Aristotele e Archimede…Archimede diviene un exemplum per la cultura di Padova, Vicenza, Ferrara già nel ‘400…”. Cfr. A. Olivieri, Gli esperimenti dell’acqua: l’influenza di Leonardo ed Archimede nell’opera di M. Bonardo. Alcune indagini, in AAVV., Uomini, Terra e Acque. Politica e cultura idraulica nel Polesine tra ‘400 e ‘600, Rovigo, Minelliana, 1990, p. 452.

16)  Su Paolo Dal Pozzo Toscanelli e i suoi rapporti con la magia e l’astrologia, cfr. E. Garin, Paolo Dal Pozzo Toscanelli, in AA.VV., Libera Cattedra di storia della civiltà fiorentina, Secoli vari (‘300-‘400-‘500), Firenze, Sansoni, 1958, pp. 144 sgg. Si volle tramandare di Toscanelli l’immagine di uno scienziato ‘perfetto’, ma “ a dire il vero - puntualizza Garin – Paolo Toscanelli aveva cominciato con lo studiare medicina a Padova; e un buon medico, allora, come non si disinteressava di spezie e medicamenti d’importazione, così non poteva non occuparsi d’astrologia…”, pp. 144-145.

17)  L’espressione è di E. Garin, L’Umanesimo italiano, Bari, Laterza, 1975, p. 122. Sulla condizione dell’intellettuale e del letterato tardo-rinascimentale, sempre valido resta lo studio di G. Benzoni, che parla di una “impudica libidine di servitù”. Cfr. G. Benzoni, Gli affanni della cultura. Intellettuali e potere nell’Italia della Controriforma barocca, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 74-199. “…L’Italia è piena di intellettuali privi di sistemazione, famelici di riconoscimenti e prebende, li ossessiona lo spettro della miseria…”. Uno spettro che ossessionava anche il Groto, il quale era terrorizzato, ancor più degli altri suoi “colleghi”, per l’infermità da cui fu colpito sin dalla nascita, dall’idea della solitudine e della povertà, dopo una vita dedicata all’insegnamento e alla poesia: “…In Parnaso si fan diete non ordinate dai medici, e digiuni non comandati dal calendario…non si mangia altro che amare coccole di lauri. Altro non si beve che acqua freddissima di fontane…”. Da una lettera ad Alessandra Volta del luglio 1569. Cfr. M. Pieri, Ameni siti…, cit., p. 333, n. 19.

18) “…Se Orazio e Marcello -scrive Cantimori- fossero stati a Wittemberg ai tempi di Melantone…avrebbero certo potuto apprendere da quel gran dotto, fra altre cognizioni di filosofia e di latino e greco, nonché di teologia, anche la possibilità di molte e molte cose più strane dei sogni…geomanzia, astrologia, onoromanzia, divinazione…”. Cfr. D. Cantimori, Umanesimo e reiligione nel Rinascimento, in Idem, Torino, Einaudi, 1975, p. 263. Sugli “sconfinamenti” degli umanisti verso la teologia, la cabala e la magia, cfr. un  saggio abbastanza recente di E. Zolla, Il sincretismo fiorentino del Quattrocento, in Nuova Antologia, dicembre 1993. A Proposito di Pico, scrive: “…Nella Qabbalah Pico era penetrato direttamente dopo aver imparato l’ebraico e il caldeo da Flavio Mitridate, un convertito che compilò un sermone sulla passione di Cristo, con elementi ebraici e islamici, un cabbalista cristiano…”, p. 329. Quando il Groto spiegò “come” era giunto alla famosa “divinazione” della vittoria di Lepanto, scrisse: “…Volli anche pronunciare il millesimo traendoli dai penetrali della Cabala…”. Cfr. F. Rizzi, Le socialità profonde…, cit., p. 47.

19)Per la penetrazione delle idee protestanti fra il popolo minuto e i “maestri di scuola”, cfr. D. Cantimori, Gli eretici del movimento riformatore italiano, in Umanesimo e Religione…, op. cit., p. 206 sgg. “…Ma la propaganda protestante non si era fermata ai circoli del Valdés e di Viterbo, era penetrata largamente fra maestri di scuola, piccoli letterati, artisti e artigiani, e anche fra contadini…”. Per la diffusione di eresie anabattiste in area veneta, molto importanti gli studi di Stefania Ferlin Malavasi, Sulla diffusione delle teorie ereticali nel Veneto durante il ‘500: anabattisti rodigini e polesani, in Archivio Veneto, 1972, vol. XCVI.

20)  “ In politicis et Theologicis controversiis numquam calamum velut (1) falcem in alienas messes (2) ingerere, et si di Principum iussu aut alia necessaria de causa ita aliquis disserere aut scribere omnino debeat, Principis lyncaei petat primo consensum, et in tali editione aut disputatione lynceum non se dicat…”. Gli Statuti in Jean-Michel  Gardair, I Lincei: i soggetti, i luoghi, le attività, in Quaderni Storici, 48, 1981, p. 777, n. 13. Si emendano due sviste nel  testo del Gardair,1)  valut per “velut”, e 2) menses per “messes”.

 

 21)  “…La corte – scrive A. Olivieri -, costituisce per sempre un’ ‘industria’, in grado di accogliere le istanze più varie, produttrici di modelli letterari, tecnici e, soprattutto, urbani…Non è casuale che…alla corte veneziana sia…insistente la presenza del ‘profeta’, o dell’interprete di vaticini…”. Cfr. Olivieri, Un’Articolazione urbana…, cit., p. 150.

22)  “…Numerosi i passi dell’epistolario in cui…emerge il motivo dell’intellettuale sventurato, il fatalismo, il destino segnato dalla cecità, il ‘mito costruito’ del ‘novello Omero’…”. Cfr. F. Rizzi, Le socialità profonde…, cit., p. 33.

23)  “…Non è forse inopportuno ricordare – scrive Momigliano – come già nell’antichità la comprensione del passato fosse rivestita di forme che non possono essere classificate nell'’mbito della storiografia e della filosofia...Spesso si dimentica che i Greci trovarono un terzo modo di comprensione, una terza via di accesso alla storia -–precisamente quella della profezia, e in particolare del tipo specifico del vaticinio, dei libri Sibillini…”. Cfr. A Momigliano, Profezia e storiografia, in Pagine ebraiche, a c. di S. Berti, Torino, Einaudi, 1987, pp. 109-110.

24) Il 1530, scrive O. Niccoli, “…rappresenta…un momento di vera e propria esplosione del profetismo in una sua forma specifica, e cioè quella del profetismo imperiale. La correlazione con l’incoronazione di Carlo V a Bologna è troppo evidente ed è apertamente indicata nelle profezie stesse: Questo è il sacro imperatore,/ questo è quel profetizato (sic),/ questo è quel vero signore/ che ci harà pacificato/ Or sia dunque laudato/ questa sua bona arivata (sic)…”. Cfr. O. Niccoli, Profezie in Piazza. Note sul profetismo popolare nell’Italia del Primo Cinquecento, in Quaderni Storici, , 41, 1979, pp. 515-516.

25)  Nel secondo Cinquecento si nota “ come il potere stesso…sfrutti, al servizio della sua ideologia, il ruolo profetico delle Sibille…dopo la vittoria di Lepanto swl 1571 sui Turchi…”. Cfr. la recensione di G. Antonucci al convegno su Mito e realtà del potere nel teatro dall’Antichità classica al Rinascimento (Roma, 1987), in Cultura e scuola, 106, 1988, p. 329.

26)  L’Orazione con cui il Groto avocò a se stesso il vanto di aver profetizzato per primo la vittoria di Lepanto fu pronunciata in Senato a Venezia il 18 novembre del 1571: “… Il perché si può dire ch’io sia stato il primo messaggero, che in questo sacro collegio abbia portato l’annuncio di sì memorabil vittoria…”. Cfr. F. Rizzi, Le socialità profonde…, cit., p. 47.

27)  Cfr. Rime di Luigi Groto Cieco d’Hadria, in Venezia, Appresso Ambrogio Dei, MDCX (1610). Argomenti d’alcune compositioni di quest’opera, situate qui con ordine d’alfabeto: le quali paiono d’haver bisogno di qualche dichiaratione. Le liriche sono disposte per ordine alfabetico e senza numerazione di pagina.

28)  Sull’interpretazione di F. Ersparmer della poesia del Groto come puro “lusus” torneremo in altra occasione. Cfr. F. Ersparmer, Il Groto rimatore, in Atti…, cit., vol. I, pp. 205-220.

29)  Cfr. A. Olivieri, Un’articolazione urbana…, cit., p. 150.

30)  Cfr. P. Griguolo, G. M. Bonardo e l’ambiente culturale di Fratta nel ‘500, in AA.VV., Palladio e Palladianesimo, Rovigo, Minelliana, 1984, p. 81.

31)G. Benzoni, Aspetti della cultura urbana nella società veneta del ‘500-‘600. Le Accademie, in Archivio Veneto, 1977, p. 90.

32)   G. M. Bonardo, Le ricchezze dell’agricoltura, e della villa…, Venezia, 1584, cit. in S. Ciriacono, Trattati di agricoltura…, cit., p. 57, n. 37.

33)  “Mantova e Ferrara, Parigi e Londra, il mondo del Palatinato costituiscono le corti ove i confronti del Bonardo con il Polesine si fanno serrati e insistenti…”. Cfr. A. Olivieri, Gli esperimenti dell’acqua…, cit., p. 451.

34)  L. Bolzoni, L’Accademia Veneziana: splendore e decadenza di una utopia enciclopedica, in Annali dell’Istituto storico italo-germanico, Bologna, Il Mulino, 9, 1981, p. 117 e 139. “Un progetto grandioso ( o megalomane, come hanno detto alcuni critici ) che trova splendida, ma effimera realizzazione nella Venezia di metà ‘500: in questi termini si potrebbe sintetizzare la vicenda dell’Accademia Veneziana ( o della Fama, così chiamata dalla sua impresa ), nata nel 1557 e fallita clamorosamente nel ’61…” (p. 117).

35)  “ …Sul Toscanella -scrive Vasoli -, le notizie sono scarsissime, nonostante sia stato uno scrittore molto prolifico e molto legato al mondo editoriale veneziano;…ma si sa pure che fece Parte dell’ ‘Accademia dei pastori fratteggiani’ a Fratta, insieme a…Girolamo Ruscelli e Ludovico Dolce…I volgarizzamenti del Toscanella mostrano la sua particolare attenzione alla tradizione dialettica umanistica, sulla linea Agricola, Melantone, Sturm, Ramo…”. Cfr. C. Vasoli, Le Accademie fra Cinquecento e Seicento e il loro ruolo nella storia della tradizione enciclopedica, in Annali dell’Istituto…, op. cit., p. 105, n. 40. Ruscelli, ammiratissimo dal Groto, fu il curatore dell’edizione del “Decameron” sulla quale egli lavorò ai tempi della sua “emendatio” dell’opera maggiore del Boccaccio (Cfr. J. Tshiesche, Il rifacimento del Decamerone di Luigi Groto, in Atti…, op. cit., vol. I, p. 246.). L’Accademia Veneziana era in odore di eresia per aver pubblicato opere intrise di elementi pitagorici e cabalistici, come l’ Harmonia Mundi (Venezia,1525), di Francesco Giorgio Veneto (Cfr. L. Bolzoni, cit., pp.130-131), sulla quale aveva espresso giudizi lusinghiero il Ruscelli, al quale sembrava “avesse penetrato Francesco tutte le scienze” (Cfr. P. Zambelli, Il De Auditu kabbalistico e il Lullismo, in Atti e Memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, Firenze, Olschki, MCMLXV, p.154). Meno comprensivo il Cardinal Pietro Bembo, che in una lettera all’arcivescovo di Salerno del 1533, scriveva: “…Anch’io penso quella sua [ di Francesco Veneto] cabala, della quale ha meco tenzonato lungamente, essere cosa molto sospetta et pericolosa…”, Cfr. Bolzoni, cit., pp.131-132.

36)  Richiesto nel corso del processo del 1567 dal vescovo Canani di citare i libri eretici della sua biblioteca, il Groto rispose: “…Quasi tutte le opere di Erasmo…quelle di Cornelio Agrippa, il Machiavegli, il De Occulta filosofia,  molti libri dell’Aretino, uno di Andrea Corvo, il De civitate Dei, i Sette Libri di Bernardo Ochino, la Maccaronea,  il Decameron…”.  “E questi libri - incalzava il Canani – li avete per eretici, reprobati da Santa Madre Chiesa, o per cattolici?”. Il Groto, evidentemente temendo per la propria incolumità, rispose secco: “Per eretici”.  Cfr. N. Pozza, Il Vescovo Inquisitore, in La Putina greca, Milano, Mondadori, 1972, p. 186. Il racconto di Neri Pozza è basato sugli Atti del processo al Groto, “stralciati con fedeltà” dalla pubblicazione degli stessi di G. Màntese-M. Nardello, Due processi per eresia. La vicenda religiosa di Luigi Groto il ‘Cieco d’Adria’, e della nobile vicentina Angela Pigafetta-Piovene, Vicenza, Neri Pozza, 1974, pp. 41-50. Per l’affermazione di Bodin, cfr. Confutazione delle opinioni di Giovanni Wier, in AA.VV., La Stregoneria in Europa, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 106.

37) Per i contatti del Groto con l’ambiente vicentino, intriso di suggestioni protestanti e calviniste, nonché per i rapporti di stretta amicizia con il Magagnò e il Palladio, cfr. E. Franzina, Vicenza, Storia di una città (1404-1866), Neri Pozza, 1980, pp.461-462 sgg.

38)  Cfr. il saggio di Stefania Ferlin Malavasi, Gli eretici a Badia nel ‘500: anabattisti rodigini e polesani, in Atti e Memorie del Sodalizio Vangadicense, Badia Polesine, Ediz. del Centro, 1975.

39)  “ Tra i poeti che ricorsero a Domenico Venier…per averne consigli, bisognerà ricordare almeno Veronica Franco e Bernardo Tasso. Anche il giovane Torquato si rivolge a [lui] per correggere il suo Rinaldo. Più tardi, nel vivo delle polemiche sulla Gerusalemme, consulterà di nuovo il Venier…”. Cfr. L. Bolzoni, L’Accademia Veneziana…,  cit., p. 120, n. 12. Il Groto considerò sempre il Venier un “maestro” inarrivabile, che si può solo “imitar di lontano”, “sì come non [si] concorre con Virgilio”. Cfr. l’ Argomento al sonetto di imitazione del Venier Non pianse, arse, legò, stral, fiamma, o laccio, in Rime, cit.

40)  Cfr. per tutti il saggio di F. Ersparmer,Luigi Groto Rimatore, cit. Per Ersparmer la parola poetica del Groto non rimanda a nulla se non a se stessa: “Né i vocaboli o le figure sono simboli, segni che direttamente rimandano a ( o contengano in sé ) qualcosa d’altro: un concetto, un oggetto, un sentimento…”(p.205). Sulla creazione di una letteratura “autoreferenziale”, al di là di ogni rapporto di significanza con un pubblico di lettori, ci sarebbe parecchio da discutere. Ma su questo importante problema, impossibile ad affrontarsi in questa sede, mi riprometto un successivo intervento.

41)  La corte tardo-rinascimentale tende a configurarsi come una “regione chiusa…che elabora una cultura iniziatica, fornendo di sé un’immagine di mistero e di inaccessibilità”. Cfr. P. Merlin, Il  tema della corte nella storiografia italiana ed  europea, in Studi Storici, 1, 1986, pp. 238-239. A corte “il posto degli umanisti è preso da professionisti del ruolo pubblico, mentre ai cortigiani è riservata la rappresentazione rituale del potere” (p. 237). Anche riguardo alla corte di Ferrara, De Caprio parla di una “ridotta permeabilità sociale. Casi come quelli di Giovan Battista Pigna, il figlio di speziale diventato ministro di Alfonso II d’Este…non sono la norma…Si tratta di una permeabilità orizzontale più che verticale, che investe meccanismi di selezione all’interno dei gruppi dirigenti…”. Cfr. V. De Caprio, Aristocrazia e clero dalla crisi dell’Umanesimo alla Controriforma , in Letteratura Italiana Einaudi, vol. II. Il passo è stato antologizzato in Guglielmino-Grosser, Il sistema letterario (5‘-‘6-‘700), Milano, Principato, 1988, p. 273.

42)Sull’influenza di Serafino Aquilano (1466-1500) sulle corti di Milano, Mantova, Ferrara e Urbino, nel periodo più fulgido della loro storia, cfr. V. Rossi, Il Quattrocento, Milano, Vallardi: “…Tutti pendevano dalle sue labbra ed egli con aria di ispirato, come acceso di fuoco divino, recitava,  talvolta fingendo di improvvisare, i suoi sonetti e i suoi strambotti e disposava in dolci armonie le parole alla musica…Isabella d’Este prendeva in singolare diletto a quelle recitazioni e si compiaceva di possedere componimenti non divulgati del fortunato poeta; se lo disputavano le corti…” (p. 391). Serafino Aquilano possedeva una perizia tecnica eccezionale: “…nell’arte del lambiccare il pensiero e tramutar le stille in rigagnoli egli è maestro, sì che gli vien fatto di ricamare sui più tenui e frivoli argomenti…Un guanto, una cintura, un monile, un uccellino prigioniero, un falcone e simili inezie sono i soggetti che meglio si acconciano al proposito suo di sfoggiare spirito, acume, galanteria…” (p. 394). Un’abilità, questa, che era tipica anche del Groto, com’è stato ampiamente sottolineato, con varie sfumature di giudizio, dalla critica. Cfr., in questo senso, F. Bandini, Sui madrigali di Luigi Groto, in Atti (Adria) , op. cit., vol. I, p. 222, il quale nota che “…lo scatto della poesia grotiana è l’occasione…”. Riguardo ai sonetti con l’ ‘eco’, il Groto è ancor più ‘artificioso’ dell’Aquilano, puntando  anche sui giochi sonori dati dalle rime interne:

Chi piangono in sì dolce, amara doglia

Questi almi cigni, e pie Sirene? Irene.

E’ ita fuor di vita? Ita: di bene.

Raro il ciel parco ne dispoglia: spoglia.

Chi le sue chiome ordìo? Dio: a la spoglia

Chi dié color si begli? Egli: chi tiene…

      

      La lirica,  Nella morte della signora Hirene da Spilimbergo, è tratta dalle Rime di Luigi Groto Cieco d’Adria, In Vinegia, MDCV (1605), c. 56 v., Appresso D. Bissuccio. Si farà riferimento d’ora in poi a questa edizione piuttosto che a quella di Ambrogio Dei (Venezia, 1610), soprattutto perché, a un’analisi comparativa sia pur sommaria dei testi, quella del Bissuccio è sicuramente più curata, più attenta alla punteggiatura, agli accenti, all’ortografia e con meno errori di stampa. Un rapido confronto, a caso: Ad un Crucifisso nel Venerdì Santo. Pelicano divin, dà co ‘l tuo sangue (Bissuccio, c. 80 v.). Pelicano divin da col tuo sangue…(Dei, p. 169). Le spoglie atre…(Bissuccio, v. 6); La spoglia atre…(Dei). E’ indubbio che sarebbe necessario avviare un lavoro filologico di restauro dei testi poetici.

      Di Serafino Aquilano si propone questo esempio, dal titolo emblematico: L’Eco, in Lirici Italiani del Cinquecento, a c. di R. Fimiani, Milano, Signorelli, 1934, p. 13.

    

 Aimé! Che avrò del mal che io porto? Porto.

      Son spirti qui, ch’odo un accento? Cento.

      E tu, di’, chi sei? Vivo o morto? Morto.

      Palpar ti posso, o sei pur vento? Vento…

 

 

43)  Cfr. la pubblicazione delle lettere degli Accademici Pellegrini fra le Varietà a c. di Luigi Suttina in Giornale Storico della Letteratura Italiana, vol. IC, 1932, p.278.

44)  F. Belo, più o meno, riguardo alla corte la pensava come il Groto: “Perciò che hoggidì son rari, anzi non ve nne (sic) è nessuno di mecenati”. “Sarà facile- commenta G. Ferroni- ritrovare in questa insistenza sull’inutilità dell’opera ( motivo piuttosto diffuso in zone anche manieristiche della cultura cinquecentesca) il segno della crisi storica, sociale e culturale  (comincia a crollare l’assoluta fiducia nella destinazione sociale dell’opera d’arte, nel suo legame con una sfera sociale omogenea…)…appunto come coscienza, negli autori, della mancanza di adeguate remunerazioni per le loro fatiche…”. Cfr. G. Ferroni, Le commedie di F. Belo e il realismo dell’irrazionale, in ‘Mutazione’ e ‘Riscontro’ nel teatro di Machiavelli, Roma, Bulzoni, 1972, p. 187 e n.47.

45) Cfr. la lettera del 27 maggio del 1577, in M. Pieri, Ameni siti…, cit., p. 335, n. 37.

46)  Cfr. C. Dionisotti, La guerra d’Oriente nella letteratura veneziana del Cinquecento, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, pp. 202-203; 222-223.

47)  Cfr. F. Rizzi, Le socialità profonde…, cit., p. 47.

48)  Cfr. C. Dionisotti, La Guerra d’Oriente…, cit., pp. 222-223.

49)  Cfr. A. Olivieri, Un’articolazione urbana…, cit., p.150.

50)  Cfr. G. Antonucci, Mito e realtà del potere…, cit., p. 329.

51) Ivi.

52)  Cfr. G. Zalin, Venezia e i Turchi, in Economia e Storia, Milano, Giuffré, 1, 1976, p. 77.

53)  P. Preto, Venezia e i Turchi, Firenze, Sansoni, 1975. Cfr. G. Zalin, cit., p. 77.

54)  Cfr. la recensione di D. Aricò ad AA.VV., Simbolo, metafora, allegoria, Atti del IV Convegno Italo-Tedesco (Bressanone, 1976), Padova, Liviana, 1980, in  Intersezioni, Rivista di storia delle idee, Bologna, Il Mulino, 3, 1981, pp. 672-673.

55)  “…Si riteneva che rettorica ( o retorica ) derivasse dal latino rector (colui che regge e governa ). Questa etimologia inesatta dava rilievo alla convinzione che “l’arte del ben dire” coincidesse con l’arte di governare…”. Cfr. Ceserani-De Federicis, Il Materiale e l’immaginario, Torino, Loescher, 1985, vol. I (Ediz. Rossa), p. 354.

56)  Cfr. E. Li Gotti, Il madrigale del Trecento, in AA.VV., La Metrica, a c. di Cremante-Pazzaglia, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 328. “…Il madrigale letterario è frutto della poetica del ‘grazioso’…del ‘dulcis’, ‘brevis et subtilis’….Frutto di una moda, né riusciamo a intenderne il significato e (direi quasi) il profumo svellendolo dall’ambiente  in cui è nato e in cui ha avuto sviluppo. Un ambiente…di pochi iniziati …un ambiente di Corte…” (p. 328).

57)  Cfr. M.T. Biasion, La massima o il ‘saper dire, Palermo, Sellerio, 1990. Sul ‘paragone iperbolico’, cfr. le pp. 69-72; per l’antitesi, pp. 48-51; per il chiasmo, pp. 58-59.

58)  “Un ‘locus communis’- scrive Lausberg – che si presenta con la pretesa di valere come norma riconosciuta della conoscenza del mondo e rilevante per la condotta di vita o come norma di vita stessa, si chiama sententia…Una sentenza…intesa in un senso particolarmente lato viene chiamata …maxima ( fr. Maxime,  ingl. Maxim)…Cfr.  H. Lausberg, Elementi di Retorica, Bologna, Il Mulino, 1969, p. 220 e n. 41.

59)  Cfr. quanto osserva la Biasion, La Massima…, op. cit., nel paragr. Le ‘Maximes’ come parola d’autorità, pp.113-118.

60)  “…Ogni paragone ( come ogni affermazione paradossale ) è un rapporto a due in cui uno dei due termini rappresenta la legge ( un sapere comune indiscutibile ) e l’altro le variazioni possibili…”. Cfr. M.T. Biasion, La Massima…, op. cit., p. 72.

61)  Cfr. le Rime (Venezia, Bissuccio, 1605), p. 50 r. Non si sono apportate modifiche né alla punteggiatura né all’ortografia, mantenendo anche gli accenti pletorici ( ò-o).

62)  O. Niccoli, Profezie in piazza, cit., p. 516.

63)  Ivi, p. 520.

64)  “…Giovine -scrive il Bocchi – tradusse la Bucolica  e le Georgiche di Virgilio, il Riccoboni gli mandava le sue poesie latine per giudizio; scrisse in quell’idioma orazioni ed epigrammi, tradusse in ottave il primo dell’ Iliade poco più che trilustre…”. Cfr. F. A. Bocchi, Uomini Illustri, in Il Polesine di Rovigo, op. cit., p. 210.

65)  Rime, p. 76 v. Le lettere tra parentesi indicano che sono stati inseriti gli accenti mancanti ( E-E’; Perche-perché).

66)  “…Virgilio ha certamente avuto presente il sibillismo nella prospettiva legata al ruolo del dio Apollo, e ne ha espresso la rappresentazione ‘solare’ in una prospettiva messianica, cioè rapportando tutto lo svolgimento cosmico ad un regnum solis che non è altro che la trasposizione di arcaici miti e rituali presenti anche in Oriente in cui al centro si trovava la figura di Helio-Re che nasce al solstizio invernale. Questa nascita è dunque posta sotto il segno del Capricorno, ossia sotto quel segno che esprime l’idea di una rinascita del sole perciò di una ripresa ciclica del tempo dopo l’apparente perdersi dell’astro nella sua corsa annuale, che in una trasposizione messianica rappresenta l’avvento di una nuova era cosmica. La cosa più interessante è che tale segno astrologico può essere ritrovato in enigmatici ‘simboli legati alla nascita di Ottaviano Augusto’, accanto all’altro, più vicino alla realtà storica della Bilancia. Da un punto di vista spirituale i due segni…sembrano esprimere due diversi modi di ‘leggere’ la personalità di Augusto. Mentre infatti il Capricorno dà il senso della sovranità augustea incentrata su una renovatio spirituale…la Bilancia è propriamente il segno che può essere rapportato alla  centralità cosmica della ‘persona’ di Ottaviano…Nel clima della Pax Augustea  le attese scaturitr dalla mistica sibillina della prossima venuta di un re che avrebbe instaurato un ‘regno solare’ sembrano diventare realtà…”.  Cfr. N. D’Anna, Virgilio e le rivelazioni divine, Genova, ECIG, 1989, pp. 115-116.

67)  Rime, op. cit., c. 50 v.

68) Cfr. F. Petrarca, Canzoniere, a c. di G. Contini, Torino, Einaudi, 1968, XXVIII, pp.36-37: “Onde nel petto al novo Karlo spira/ la vendetta ch’a noi tardata noce/ sì che molt’anni Europa ne sospira:…” (vv.25-28).

69) La divisa dell’imperatore Carlo V si può vedere in Ceserani-De Federicis, Il Materiale e l’immaginario, op. cit., vol. 2, 1986, figura 29 delle tavole fuori testo. Per la citazione della Yates, cfr. Ivi, p. 890.

70)  Rime, op. cit., c. 50 r. a) si è aggiunto l’accento su “sé” (‘se’ nel testo).

71)  Sull’identificazione Artofilace-Bootes, cfr. l’articolo veramente dotto di A. Traglia, Cn. Cornelio Lentulo Getulico e il suo frammento esametrico, in Cultura e Scuola, 1988, 108, pp. 56-61.

72)  Cfr. A. Olivieri, Un’Articolazione urbana…, cit., p. 50.

73)  Rime, op. cit., c.50 r. a) Si è aggiunto l’accento sul “perché” ( ‘perche’ nel testo ).

74)  Rime, op. cit., c. 80 r. a e b) Si sono aggiunti gli accenti “né-pié” ( ‘ne’ e ‘pie’ nel testo ).

75)  Cfr. E. Garin, Per una nuova valutazione storica della magia rinascimentale, in AA.VV., Magia e Scienza nella civiltà umanistica , a c. di C. Vasoli, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 160. Garin pone l’accento sulla “posizione preminente dell’uomo, che attraverso l’azione rovescia il motivo del microcosmo, inteso come formula abbreviata del tutto, in quello dell’uomo signore delle cose; e finalmente il carattere pratico del sapere…” (p. 161).

76)  Cfr. D. Cantimori, Aspetti della propaganda religiosa nell’Europa del Cinquecento, in Umanesimo e religione…, op. cit., p. 172.

77)  Rime, op. cit., c.67 r.

78)  Cfr. F. Rizzi, Le socialità profonde…, cit.: “…Il Groto enfatizza il ruolo ‘nobile’ di se stesso, della propria famiglia, degli antenati, accanto al  ‘fantastico’ dello scrittore cieco, del ‘novello Omero’. La famiglia Groto è ‘notabile’ anche…per lo stemma patrizio caratterizzato da un uccello marino detto “grotto” ( dal latino ‘Onocrotolus’), allora frequente nelle paludi adriesi…” (p. 25).

79)  Cfr. L. Da Vinci, Scritti letterari, a c. di A. Marinoni, Milano, Rizzoli, 1952:  “…Pellicano. Questo porta grande amore a’ sua nati, e trovando quelli nel nido morti dal serpente, si punge a riscontro al core, e col suo piovente sangue bagnandoli li torna in vita…” (p. 100).

80) Alla voce “Groto”, il Boerio scrive: V.(edi ) Pelicàn. E alla voce “pelicàn”: “…o più comunemente “Groto”…Onocrotalo o Pellicano…”. Cfr. G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, 1856, ristampa anastatica, Milano, Martello, 1971, ad vocem.

81)  Rime, op. cit., c. 80 v.

82)  Angeli Politiani Oratio super Fabio Quintiliano et Statii Sylvis: “…Quid admirabilius…hominum pectora mentesque irrumpere…Quid vero praeclarius…viros eorumque egregie res gestas exornare atque extollere dicendo?…”. In E. Garin, L’Umanesimo Italiano, op. cit., p. 86 n. 46.


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