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L'amante casto

Di: Massimo Galli

Massimo Galli è nato a Siena il 15 maggio 1947, dove vive. La scoperta della poesia e della narrativa nasce per pura casualità seguendo alcuni gruppi di poesia e scrittura in internet.

Ha partecipato ad alcuni concorsi di poesia e narrativa:

3° Edizione Premio Nazionale di Poesia Città di Sesto Fiorentino (FI) vincendo il premio speciale “Il Viaggio” con la poesia omonima;

3° Edizione del premio Internazionale di poesia “La Montagna Valle Spluga” nel quale è stato 1°  classificato con la poesia “Quiete montana”

9° Concorso Letterario “Un Prato di Fiabe” dove è stato segnalato con la favola “La Grande gara”

2° Premio Nazionale di Poesia e Prosa “Stagionalia” dove è stato segnalato con la poesia “Il Buio”; sempre per la poesia si è classificato al 1° posto con la poesia “Nel cielo di Mimose” al Maria Leone, secondo classificato con “A te” a Gela ed altre segnalazioni e meriti.

“Non posso andarmene così, deluso e ignaro,

devo provare, confrontare, eccedere,

sentirti vera, vederti vera

per inebriarmi delle tue virtù”.

Che cosa è questo spirito che anela nella lirica “L’amante casto”, l'ethos e il pathos della poesia, la «tonalità» che è propria e originale? A mio avviso è un sentimento fondato sopra una fede ferma e di un sicuro giudizio, animato da una volontà robusta.

“Non posso andarmene così, deluso e ignaro,

devo provare, confrontare, eccedere,

sentirti vera, vederti vera

per inebriarmi delle tue virtù”.

Quale sia la realtà, Galli la conosce, e niente gli impedisce o indebolisce il suo conoscere: l’ignara delusione. Il mistero è solo quello intrinseco alla concezione stessa, che si svela solo nella scoperta di una realtà che non avrebbe mai voluto conoscere.

I dissidi e i contrasti, che si possono scoprire nei concetti e negli atteggiamenti, sono nel profondo delle cose stesse, si svolgono nella storia, rimangono nella lirica, non sviluppati, come se non appartenessero alla sua coscienza, che è, invece, coscienza compatta e unitaria: sicurezza del pensare e dell'operare. Ma in questa inquadratura intellettiva e morale si agita, il sentimento del mondo, il più vario e complesso sentimento, di uno spirito che ha osservato e sperimentato tutto e meditato, sui vizi umani e del loro valore. L'inquadratura intellettiva domina questa materia, che ne è interamente soggiogata.

“Poco so del tuo vero volto,

dei rosei frutti delle tue mammelle,

non conosco le tue tante vene

né le porte dove ogni senso esalta”.

Non è altro che l'atteggiamento spirituale che ha presente e si sforza di cogliere e determinare le varie definizioni: dei rosei frutti delle tue mammelle,/ non conosco le tue tante vene /né le porte dove ogni senso esalta”, che s'incontrano nel carattere della poesia gallianesca. E come non vedere ciò che è così reale ed effettuale. La verità si fa valere o traluce. Ma questa energica rappresentazione di una forza che supera e domina una forza è pure, “come ogni poesia – afferma il Croce - , è rappresentazione di un divenire e non di un divenuto, di un moto e non di una stasi”. E' tipico di Galli abolire ogni distanza e diversità di costumi, e avvenimenti d’ogni tempo e collocare tutto il pensiero sullo stesso piano, con un definito modello di verità e proiettare “il transeunte sullo schermo dell'immaginifico”.

“dei rosei frutti delle tue mammelle,/non conosco le tue tante vene”

Si vuol chiamarlo «poeta scultore», certo, quando per l'atto dello scolpire e per lo strumento dello scalpello s'intende il verso virile, vigoroso, robusto, risoluto.

Anche quando affermo che il carattere e l'unità della poesia stanno tutte nel metro, su cui la lirica è cantato; incatenata nei versi, serrata, disciplinata, veemente e nello stesso tempo calma, che dice e non dice il vero.

“Mai ti ho sfiorato il pube

e mai ho goduto dei tuoi tanti orgasmi.

Sono per te l’amante casto, l’ombra errante

di Platone che vaga al di qua dei vetri”.

Che Galli sia uno spirito austero, risponde al concetto che universalmente si ha della poesia, purché colui che la dona riesca a dominare le passioni e chiudere in sé una grande esperienza di dolore. Ma, quando l'immaginazione dipinge un Massimo Galli col volto perpetuamente contratto dallo sdegno e dalla meraviglia che “i seni rosei frutti di cui non conosce le vene”.

Su questo ethos e pathos di Galli, e sulla concezione intellettuale e le tendenze pratiche che lo condizionano, s'impianta il conflitto tra l’ “Io creativo” e il “Sé razionale” intorno alla «modernità» o «non modernità» del suo spirito.

“Alla mia sete sei oceano in bottiglia,

canto del cigno per il mio piacere,

tu sei per me come la Gioconda

di cui mai vidi le nascoste grazie”.

Qui sta il nostro rapimento ai ritmi e alle parole di Galli, anche alle più piccole e fuggevoli, che ci sono innanzi circonfuse dall’incanto, che poi è l'essenziale, del carattere universale della poesia; e a in questo caso Galli non è più Galli, nella sua definita individualità, ma è la voce meravigliata e commossa, che tramanda dall'anima ogni differenza, che, però svanisce, e risuona solo l'eterno ritornello, quella voce che ha il medesimo timbro fondamentale in tutti i veri poeti ed artisti, sempre nuova, sempre antica, perché la Poesia è senza aggettivo.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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