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Le urla dell'anima

Di: Antonio Gagliardi 

Antonio Gagliardi nasce ad Arzano (il paese che ha dato i natali anche ai libri di Marcello D’Orta), il 13 giugno del 1973. Si diploma Perito informatico nel 1992. Dopo aver fatto diversi lavori e aver provato diverse facoltà, oggi lavora a Vignola in provincia di Modena nella scuola statale superiore I.P.C.«Primo Levi», come Assistente Tecnico di laboratorio informatico.
È affascinato dalla mente umana, dalla psicoanalisi, dalla pedagogia e dalla sociologia.
La sua adolescenza non è stata fra quelle migliori. In età adulta ha affrontato, risolvendolo, un serio problema di salute. Sembrerà strano ma prova gratitudine per quell’esperienza che ha vissuto. Gli ha cambiato la vita, dice. Afferma che oggi il suo male, è la società. Quella che considera risucchiata dall’economia, quella troppo caotica e brutale, troppi occhi chiusi, troppe bocche di cemento e cuori ricoperti d’asfalto.
«La mia anima bendata
La mia anima accecata
Due buchi al posto dei miei occhi
Ormai per sempre nel buio
Lingua di marmo
Bocca pietrificata
è il cimitero delle mie parole afone»
L’anima bendata dell’uomo chiuso nell’eterno desiderio d’affermazione orgogliosa e di dominio terrestre, o non piuttosto nel senso umile di ritorno al tessuto umano-divino di quelle domande e di queste richieste? Orgoglio e angoscia: l'insipienza e l'irrazionalità di questa tragica coppia insidiano e compromettono il movimento di crescita dell'umanità sul piano universale e della persona sul piano individuale. L'umanità si è trasformata in una cosa reale, in un organismo vivo. L'abbattimento dei diaframmi fra i popoli, come quello del traforo del Gran San Bernardo fra l'Italia e la Svizzera, è già nelle cose, è nella natura stessa della tecnica, nel suo movimento d’espansione e d’unificazione. La tecnica e la comunicazione di idee, due cose che non hanno e non soffrono barriere, precedendo e condizionando le stesse formule giuridiche e i calcoli politici, legano i popoli tutti in un anello di destino unico in bene e in male. Per la prima volta nella storia si fa avanti una conseguente problematica universale, che impone sempre più decisamente una grande politica, e non più la politica che rivolge tutta la sua energia «al problema di chi debba compiere e chi subire contraffazioni» suggerisce Huxiey.
«Il cimitero di parole afone»
denudano il problema dei paesi sottosviluppati e delle popolazioni sottonutrite, tramonto del colonialismo, crisi delle risorse mondiali e della popolazione mondiale in rapido aumento, problema del lavoro della produzione e del mercato sul piano internazionale, problema della sicurezza di tutte le genti e della pace.
Anche sul piano del singolo, con l'abbattimento delle limitazioni delle forze individuali e con la liberazione dalla servitù del lavoro che abbrutisce, c'è un movimento di crescita, ed è quello della persona umana. Di qualsiasi classe o razza sia, l'uomo viene prendendo coscienza dei suoi diritti e della sua vocazione alla libertà.
«Ormai per sempre nel silenzio
Piedi uniti
Piedi legati
Piedi spappolati
dal peso della falsa morale
Ormai per sempre senza possibilità di alzarmi»
L'orgoglio tecnologico che non ammette limiti al potere dell'uomo e che ritiene di trattare e risolvere ogni cosa, anche il problema morale della colpa, e l'angoscia che l’abbandona alle forze irrazionali, sono allo stesso livello. Il loro errore originale è di non aver scoperto nella natura umana un'apertura metafìsica, di averla negata sul piano filosofico come su quello politico e storico. Eppure da una tale scoperta dipende rigorosamente il valore positivo dei concetti di coscienza, di responsabilità, di libertà. Eppure il movimento di crescita dell'unità dei popoli e dell'autonomia della persona umana, non è che una crescita di questi valori positivi, di questa capacità dell'uomo di attuare tutte le possibilità e disposizioni positive del suo essere, nel movimento del nuovo destino dalla Provvidenza assicurategli; affinché si ritrovi e stia sempre nel silenzio, ma grida, invece, con tutta la forza del suo spirito, la denuncia del «peso della falsa morale».
Se è vero che le esigenze che caratterizzano il volto del mondo moderno, e che attraversano e inquietano tutti i piani dell'attività umana, ci stimolano a non imprigionare l'uomo nella sola esperienza tecnica, e neanche nella sola esperienza razionale, a riscattare la tecnica dalla brutale concezione utilitaristica e dalla volontà di potenza, a liberarne e a svilupparne i valori umani nascosti nel moto del progresso materiale, a ridurre i disastrosi effetti dell'orgoglio e dell'angoscia, in una parola, a riportare la cultura alla sua genuina fonte, ch'è quella dei valori dello spirito, cui sono legate le esigenze profonde dell'essere, e in cui si ritrova la sua vocazione di fedeltà all'uomo; dobbiamo concludere che queste esigenze portano per mano la nostra età alla speranza.
«Mani
Mani disperate
Mani tremanti
Mani che rimpiangono d'essere le mie mani
Di un povero pazzo
Di uno stupido idealista
Di uno ucciso dal suono silente
del canto della dea speranza
mai raggiunta».
Orgoglio e angoscia non sono fuori di noi. sono in noi. Il dramma è sempre dramma dell'uomo, ed ha un solo scenario, la sua anima. È su questa che per prima agisce la fede, nella sua rivoluzione perenne. Il movimento di crescita dell'uomo moderno non può essere considerato solo come aspirazione alla giustizia sociale e alle libertà politiche; v'è in esso anche un problema di maggiorità che fra l'altro consiste nel maturare l'idea barbarica in una tecnica del dominio e del possesso in quella di una tecnica che aiutandoci a scoprire nel caos il cosmo e a decifrare un ordine essenziale, nel quale ci muoviamo e siamo, e aprendoci all'idea che l'universo è un grande pensiero più che una grande macchina, è anch'essa un'attività dello spirito, chiamata ad aiutare l'uomo nella conquista della libertà di espansione, che soprattutto consiste nel fiorire della vita morale e razionale.
«Rannicchiato lì a terra ad un marciapiede
insieme alla mia anima
Aspetto
Come una foglia d'autunno
che ormai secca
al minimo
alito di vento
aspetta rassegnata
il suo destino
è pronta a frantumarsi».
Cosa che avviene, in Antonio Gagliardi, ma non nel segno contradittorio dell'orgoglio o dell' angoscia, bensì in quello puro della creatività poetica.
Un ricordo amaro, se vogliamo, che non basta a far tacere l’anima dolorante, ma che la spinge ad urlare il suo disappunto, la sua angoscia. Gagliardi accompagna col ricordo e l’insoddisfazione che risveglia in lui. Peccato che il ritmo prosastico assunto, a mano a mano diviene più sfatto e a tratti fa perdere la vibrazione lirica al grido della sua anima. Non so se per l’impossibilità di sentirsi ancora ancorato alla vita, o perché convinto d’essere solo un aggregato sociale, che ritornerà con insistenza dolorosa e drammatica in una lirica, che oltre a denunciare una società indifferente, ne fa una personale tragedia.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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