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Solitudine

Di: Gianluca W. Cardile

Gianluca confessa che: «negli anni a venire, continuo nella disperata ricerca dell’amore. Ogni donna per me è crescita interiore. Nelle gioie così come nelle sofferenze, amo lasciarmi trasportare… istintivamente, mi sento forte, uomo e capace di tutto. Però lascio forse troppo presto i miei scritti, immergendomi completamente nella vita, nei suoi piaceri, nei doveri che distraggono.

Mi accorgo di essere rimasto solo, soprattutto dentro. La compagna di sempre, la poesia, sembra mi abbia abbandonato, lasciandomi alla vita. Il denaro, il lavoro, le donne, col passare del tempo mi procurano una strana sensazione di vuoto, inconsistenza e instabilità. Cerco allora di tornare a me, riscoprendo pensieri assopiti. Rinuncio al lavoro sicuro, scelgo l'amore, la precarietà, la poesia, nuotando così tra alti e bassi, tra gioia e dolori, ma con tutta l'anima».
A colui che si è esercitato a seguire l'attività del passato nella vita psichica quotidiana, è concesso il dono di osservare il gioco delle energie del profondo anche quando il suo spirito diventa creativo, sicché si trova ad essere ad un tempo sarto, con forbici ago e ditale, e spettatore: sarto, sotto le cui mani molti fili sono immessi in un vestito, dalla tesoreria del subcosciente e convogliati in un nuovo, artistico manufatto, e spettatore che affigge lo sguardo in questo misterioso avvenimento.

«Infangata figura di civetta
tra boschi cupi di tristezza
svolazzi di ramo in ramo
intrecciati l’un l’altro
in una infinità di bellezze
tradite dal non vivere
e dal restare inerti tra foglie ombrate
quasi ad aspettar che il vento
un animale o qualsiasi altro
riecheggi nei pensieri colmando
di paure la mente oscura alla vita».
Anche quest'atto creativo è e rimane, naturalmente, misterioso, sia che duri minuti, settimane, oppure anni; è un cammino come la vitalità del corpo e della psiche, non soltanto perché la vista interiore dell'osservatore non è né abbastanza rapida né sufficientemente idonea ad afferrare la quantità dei fili che spesso s'intrecciano, tra mezzopunto e imbastitura fulmineamente l'uno all'altro, ma perché il sarto deve confessare onestamente a colui che lo guarda che egli informa, è vero, l'opera che sta nascendo, come se fosse l'unico signore di quanto compie con l’ago, ma che tuttavia non perde neppure per un attimo la sensazione di essere in qualche modo egli stesso uno strumento, sorpreso e colmato da ciò che avviene, partendo dal suo intimo. Dopo, quando vede spiegato dinanzi a se il proprio lavoro finito, può dimenticare per breve tempo questa confessione o addirittura negarla, affermando che l'opera è dovuta al suo sacrificio, alle sue riflessioni, alla sua volontà e al suo talento. Ma la vita della psiche bada a far sì che tali tentazioni all'autocrazia siano ricondotte sul sentiero della modestia, col fargli sperimentare nuovamente i tempi dell'increatività, o facendo sì che il sarto si senta avvinto e tormentato nella sua trama, imbastita e trapuntata perché il risvolto del petto della giacca sia perfetto. I grandiosi artefici,diligenza, volontà, talento o come si vogliano chiamare, decadono allora rapidamente dal ruolo attivo a quello passivo e l'uomo è nuovamente disposto a lasciare quel mistero nella sua intangibilità.
È vero che soltanto colui che incontra la schiera dei buoni spiriti con le energie riunite del suo io, con la diligenza, colla dedizione, col raccoglimento, la costringe a produrre l'opera; eppure chi non può risolversi a voler essere strumento e servitore ubbidiente di quei buoni spiriti, non è beneficato e colmato dai loro doni.
«(…) quasi ad aspettar che il vento
un animale o qualsiasi altro
riecheggi nei pensieri colmando
di paure la mente oscura alla vita».
Lo spettatore, il quale non è altro che lo stesso sarto, vede poi la totalità dell'avvenimento creativo, pur comprendendo che sopra le tre correnti che sfociano l'una nell'altra alla soglia della coscienza, il richiamo del mondo, l'azione volitiva dell'io e le sorgenti che sgorgano dal profondo, è steso tuttavia il velo del mistero che non si potrà mai sollevare, il miracolo dell'opera. Nessuna conoscenza del ricco e mobile tesoro dei contenuti del profondo, di tutte le fatiche della volontà, della quantità di sollecitazioni ad operare provenienti dal mondo, non può mai svelare il miracolo di queste correnti che sono in movimento quanto mai vivo e del fatto nuovo che si presenta poi spesso inatteso e sempre in modo travolgente: la soluzione, l'idea subitanea, l'invenzione, la poesia. Per quanto il sarto procuri di formare un vestito quanto più perfetto possibile, la vera trama per l'opera è una piccola poesia, non è cosa di cui possa disporre liberamente. L'esperienza afferma senza riserve la certezza che quanto più un uomo svolge un'attività creatrice, tanto più profondamente la riceve. E nessuna spiegazione della formazione di un'opera può mai proiettare la propria luce nel buio, oltre il confine di quel mistero, dietro il quale tutto riposa nella creazione e una cosa sola è certa: l'incontro col miracolo creativo di entrambi.
«Mai muterà il tuo destino
o silenzioso uccello della notte
ed il tuo triste canto riecheggerà
sino allo spuntar del sole
quando l’allegra vita diurna
accecherà i tuoi sguardi
e spegnerà il tuo canto
innalzandosi maestosa a schiacciare
crudelmente la tua triste, infangata,
tenebrosa figura...»
In tale modo l'osservatore del sarto può riferire parecchie cose di quelle correnti, che sono affluite nella confezione del vestito, che si presenta come una perfetta opera d’arte, ma i momenti decisivi in cui si è svolta a passo a passo la nascita dell’opera nuova sono incomprensibili e di conseguenza, assolutamente indicibili.
Questo mistero sussiste nella creazione del poeta, senza essere toccato dal fatto che nella esperienza personale del «sarto» il rapporto tra la mèta prefìssa, la diligenza e l'opera conscia da una parte e il dono della concezione dalla «creazione del vestito da un pezzo di tesuto, che mostra la nascita dell’alba» dall'altra rivela la più grande varietà. Non c'è infatti poeta il quale non riconosca quell’inscindibile legame fra l'essere colmato di doni e la creazione, fra il misterioso concepire e l'ostinata volontà, fra il lasciar crescere e il formare.
Paul Valéry afferma: «Gli dèi ci donano benignamente il primo verso, ma dipende da noi forgiarne un secondo, che armonizzi col primo e non sia indegno del sovrannaturale fratello maggiore».
Lo stesso dice Spitteler, benché in parecchie sue affermazioni dia molto risalto al lato volitivo. Nelle Lachenden Wahrheiten afferma:«Una leggenda, vera e bella, narra del poeta che va a trovare le muse senza essere stato chiamato. Però è assai più bello e più vero allorché il poeta ripete la visita senza lasciarsi spaventare perché la prima volta non ha trovato la musa in casa». Questo umorismo è soltanto un velo che copre la consapevolezza di quel rapporto fra la volontà e la concezione. Karl Jaherg, conferma la confessione fatta nel 1904: «Distinguo in me cinque uomini diversi. Il primo è il poeta, che concepisce. L'ispirazione per la mia Olynìpischer Friihiing mi venne un mattino di Capodanno. In quattro ore il piano dell'opera era completo. Poi viene l'artista il quale dice: il piano rimane immutato, ma sono io quello che decide come verrà fatto e come sarà condotto. Il poeta è spinto nella stanza accanto e l'artista si mette al lavoro. La cosa della massima importanza è la determinazione delle proporzioni: quest'episodio misura tanto, gli darò tanto spazio. Quando l'artista ha bisogno dì una nuova ispirazione, chiama il poeta dalla stanza attigua e gli dice: Coraggio! Adesso lavora tu. Ti do questo posto e fa in modo che basti... Il quarto uomo è l'assassino. L'artista ordina al poeta di andare direttamente da A a B. Soltanto, l'ispirazione conduce il poeta a C: fuori di strada fa una scoperta che gli da un modello. Crea forse qualcosa di perfetto che però non si adatta al piano. Ora si tratta soltanto di chiamare a raccolta tutto il coraggio per uccidere. Tutto ciò che viene ammazzato è riposto nell'armadio e non compare.
L'esposizione in questo capitolo segue la regola, spesso disprezzata, che il linguaggio d'ogni scienza, non appena viene riferito a un determinato campo, deve concordare con questo. Perciò la poesia non dovrebbe in nessun caso venir danneggiata dal «chiarimento» che segue. Per tal ragione è stata riportata alla fine del capitolo; lasciamo al lettore, se lo stima necessario, di leggerla prima. La lettura della conclusione corrisponde al senso del chiarimento. II poeta ha messo gentilmente a disposizione della poesia tutti i dati utili, più, per quanto possa riuscire grave al poeta rinunziarvi... Qua e là gli riesce di salvare uno dei figli assassinati, di collocare qualche frammento nel posto adatto. Questa è appunto una delle più alte creazioni del poeta e da ciò le lotte che la rinuncia comporta. Si parla con molta facilità di embarras de richesse; Fembarras de richesse procura al poeta i maggiori tormenti... Infine distinguo in me  l’imbrattacarte. Per settimane intere non sono capace di mettere insieme un verso, oppure, se scrivo, è un lavoro acciarpato; un qualsiasi scolaro lo farebbe meglio di me. Mia moglie conosce questo periodo di tormenti. Non riconosco più il poeta della terza parte dell’Olympischer Friihiing; non comprendo più come sia riuscito a portarlo a termine. Poi, improvvisa,viene l'ispirazione;la mia anima è pura e riboccante e i versi scorrono senza sforzo»
«quando l’allegra vita diurna
accecherà i tuoi sguardi
e spegnerà il tuo canto
innalzandosi maestosa a schiacciare
crudelmente la tua triste, infangata,
tenebrosa figura...»
Come si confonde spesso con l'amore il bisogno passivo di essere amati, spesso si confondono queste forme parassite di pseudo-obbedienza con i valori morali di obbedienza e di rispetto.
Ma bisogna riconoscere che l'obbedienza e il rispetto si presentano spesso sotto manifestazioni che autorizzano la confusione. La pedagogia cristiana, specialmente, non ha ancora messo a punto nei suoi istituti di educazione uno stile di vita degno della sintesi di libertà e di utilità che la teologia e la politica cattolica dovrebbero difendere. La vera obbedienza non è affatto quella sottomissione braccata verso la prima autorità venuta, quella incapacità di affrontare in pieno il mistero «della vita e di combattere arditamente la propria battaglia personale, sia pure nella più rigorosa disciplina collettiva: non. è quella paura di pensare e di osare, quella servilità all'ordine, qualunque sia l'ordine, purché abbia le apparenze dell'ordine e i suoi mezzi d'intimidazione: non è quella fragilità puerile che si crede graziosa, e per finire, quello  imboscarsi sistematico al riparo dall'avventura umana, che si nasconde a volte sotto il rispetto del rispetto». Propongo questa poesia di Cardile quale «Omaggio: dono di un uomo, al di sopra di se stesso, quando ha, con il gesto più diffìcile e più completo, radunato tutte le sue ricchezze personali nel loro massimo di intensità», Quando:
«attendi la notte, sarà solo tua
poiché questo ti è stato dato e... .
...questo è ciò che vuoi»

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

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