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Signora mia

Di: Nataniele Paghini

 

Ciao, come state amici miei? Lo sapete che mi siete mancati? Non so nulla di quanto è accaduto perché da lunedì mattina, mentre salvavo questo file che sto riscrivendo, andò via la corrente elettrica e, afferma il tecnico, che è stato proprio quest’occasione che mi ha bruciato l’HD e sono stato costretto a cambiarlo; perciò se mi fate recapitare tutti i messaggi che vi siete scambiati in questi due giorni mi farete cosa gradita. Grazie anticipate.
Ed ora parliamo della poesia «SIGNORA MIA» di Nataniele Paghini.
Nataniele dice di sé che la sua «vita è sempre ruotata attorno al piacere della lettura e della scrittura, e se pur la consapevolezza dei miei limiti quale autore di poesie e di narrativa fantastica non mi ha mai abbandonato».
Già per se stessa la poesia non è altro che la descrizione di noi stessi, continua l’autore, affermando che: «
L’uomo, nel corso della sua evoluzione culturale, ha sempre cercato di esprimere i profondi sentimenti e turbamenti suscitati in lui dalla contemplazione del mondo che lo circondava, attraverso raffigurazioni».
Fra le tante poesie di quest’autore, la scelta è caduta su: «SIGNORA MIA» poiché questa lirica segna
un punto senza il quale la forma, è solo ornamento esteriore, che non nasce insieme col concetto del qual è veste viva di esso, quasi luce che con la potenza e la dolcezza del vero di cui è manifestazione, prende la mente.

Non per niente il principio dell'arte vera è il ritorno al cuore; cioè quello dell'antica sapienza: Conosci te stesso: Una condizione che dà la ragione della vita umana e gliela faccia vedere un momento nell'ordine universale, e gli mostri come giungere a quell'accordo della vita e delle azioni con la Ragione, cioè all'ordine, che da la libertà effettiva e la pace.

«Con le tue mani vorrei

creare un fiore per nascondermi,

i suoi petali saranno ricordi

che cavalcheranno l’eternità,

guanti di velluto fatato

che sfioreranno i miei sensi imbrigliati»;

specialmente dei fatti umani, se non s'arriva a rendercene ragione: se non si vede come da atti specifici o abitudini vengono alcune conseguenze; come chi fa bene, alla fine trova bene; chi fa male, prima o poi trova male.

«Con le tue labbra potrei gustare

il mondo per poi sentire il sapore

della mia anima e riempire le guance

delle parole d’amore che ti sussurro».

Anche le favole immaginate dagli artisti son verosimili quando del vero hanno l'aspetto e l'andamento, «Con le tue labbra potrei gustare/il mondo per poi sentire il sapore/ della mia anima e riempire le guance/delle parole d’amore che ti sussurro», e così figurano e adombrano o esaltano il proprio stato d’animo, specialmente se si è innamorati; quando cioè in queste fantasie, splende il vero generale dei fatti umani.
«Con i tuoi occhi guarderei

Dio sedere nei suoi paradisi, possente

ed immobile nell’eternità, per

poi chiedermi quale sia il valore

di una preghiera e quello di una battaglia».

Ora qual è questo vero? qual è l'andamento generale delle cose nella vita degli uomini singoli e nella vita sociale? e quale ne è la ragione? qual è insomma il vero morale? quella che gli antichi chiamavano sapienza poetica? La sapienza, dalla quale è sempre derivata l'azione educatrice dell'arte?

E non si creda che questa verità importi poco all'artista; perché la parte morale, essendo la più importante, nelle cose letterarie, tiene maggior rispetto del proprio sentire, rispetto ov'è più diffusa la realtà dello spirito, che non appare al primo sguardo: ed è come la luce che si diffonde in tutte le altre parti e da all’opera una propria vita che rimane avvolta nell’alone che la illumina.

A questo punto la forma si sottomette e diventa dipendente, accettando remissivamente la disposizione e il rapporto delle diverse parti, l'ordine e il progresso dei fatti, cioè sottomettersi e accettare l'applicazione di quelle norme che costituiscono l'arte. Poiché l'artista, per mettere ogni cosa al suo posto, bisogna che sappia qual è il posto per ogni cosa; per rappresentare un fatto umano particolare.

«Con i tuoi seni sognerei

di colline infinite e di dolci vini,

e saranno il mio conforto nel pianto

e la mia ebbrezza nei giorni di vittoria,

e per ultimo saranno giaciglio

per la stanca mia anima

quando sarà della morte il certo tempo».

L’Autore ha avuto in queste affermazioni una ferma idea dell'ordine di fatti al quale il suo discorso appartiene: e quindi lo ha potuto rappresentare, chiarire nella sua ragione e spiegarlo bene nelle sue cause e nel suo processo, qualsiasi fatto volontario, qualsiasi avvenimento in cui la volontà dell'uomo s'incontra con l'impreveduto, perché Lui ha desiderato di sognare i seni e con essi segnare le colline colme d’infinite viti, fino a quando sentirà l’anima stanca e pronta ad accettare la morte. Ed è questo pensiero che lo fa sentire sollevato e vedere dall’alto della sua ispirazione artistica, un ordine superiore all'umano, nel quale anche i fatti impreveduti e inevitabili si spiegano e si giustificano.

«E di altri templi dovrei cantare,

ora e poi, signora mia, ma preferisco

che alla penna su carta la mia bocca,

di te implorante, sia messaggera

di poesie e lodi non di parole composte,

ma di caldi sospiri e ampi baci

fra pelle e carne».

Ora l'andamento generale della vita umana sarebbe come di ruscello che scaturito limpido dalla roccia va limpido a gettarsi nel fiume.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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