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Primavera italiana

Di: Mihai Mircea Butcovan

Mihai Mircea Butcovan, è nato a Oradea, Transilvania, Romania, è in Italia dal 1991, per gli studi di Teologia e di Pedagogia, che sono rimasti incompiuti per difficoltà economiche; ed ora anche di sociologia, ma ha continuato a fare l’«Osservatore Romeno» in proprio. Le sue poesie sono una sorta di  appunti, cronaca di una singolare esperienza di immigrazione.
Una volta,accennando ai giudizi pronunciati da certi scrittori intorno al divino poeta, affermai che Lamartine, parlando di Dante, lo aveva chiamato poeta municipale, asserendo che la Divina Commedia non era nient'altro che un po' di cronaca rimata delle piccole vicende di una repubblica italiana del Medio Evo. Lo feci allora, e lo ripeto ora che al poeta francese che, prima di tutto, Firenze alla fine del '200 e al principio del '300 non era una piccola trascurabile repubblica italiana, ma uno degli stati culturalmente, civilmente ed economicamente più progrediti di tutta l'Europa. Quando Dante scriveva, i mercanti fiorentini avevano invaso ogni piazza dell’Europa occidentale e il fiorino di Firenze era moneta corrente in tutte le nazioni cristiane. In secondo luogo, ribatto ancora al Lamartine che il canto Ventesimo del Purgatorio dimostra un Dante non preoccupato solo delle rivalità interne della sua Firenze, ma di tutta la grande politica italiana ed europea di allora, nel gioco della quale la Casa di Francia occupava un posto di eccezionale importanza.
Mihai, che amaramente afferma di fare l’Osservatore Romeno vorrei ricordasse quanto Dante soffrisse, in conseguenza della politica menzognera di Carlo di Valois, fratello del re di Francia, mandato come paciere nel 1301 da papa Bonifacio VIII si rivelò sfacciatamente sostenitore della minoranza Nera, e fautore della restaurazione elettiva del potere imperiale in Italia cui si opponevano i Guelfi sostenuti dalla forza militare dei Francesi angioini padroni del Regno di Napoli. Gravissima e per Dante l'indegnità morale di quei principi di cui uno, Carlo II d'Angiò, vendette la sua figliuola per danaro al marchese d'Este; un altro, Carlo di Valois detto il Senza Terra, mandato a Firenze per portarvi la pace, vi portò il tradimento e la distruzione e un terzo, Filippo il Bello, che sedeva sul trono francese quando Dante scrisse questi versi, aveva per cupidigia abolito l'ordine dei Templari, facendo morire il Gran Maestro con un giudizio infame; e prima aveva osato alzare la mano sacrilega sullo stesso papa Bonifacio VIII.
«Una stagione come tante altre
La stessa ma più bella
Forse perché l’ultima
Sole mediterraneo»
Mihai descrive la primavera come una stagione uguale alle altre e subito dopo asserisce che è la più bella: la contraddizione tra l’«Io creativo» e il «Sé razionale» rispecchia inesorabilmente il controsenso della sua affermazione; però non credo che in questa lirica egli voglia essere la presenza di un versificatore infatuato delle piccole vicende delle stagioni.
«Processi di beatificazione al traguardo
E feste nazionali
Bilancio inopportuno di
Una coscienza in manette
Un prigioniero del proprio passato
Uno schiavo ribelle, rivoluzionario
Controcorrente, negativo
Recalcitrante, comunista
Cristiano, eccetera».
Colui che parla della nostra Terra e di noi, con ironia, forse più con sarcasmo che ironia, non ha capito ancora, eppure a tra noi da dodici anni, che siamo passionali ed essendo tali mettiamo sempre tanta passione e un cuore di largo respiro in tutte le manifestazioni che l’occhio umano possa abbracciare, non dimenticando, anzi, tenendole care nella memoria, per essere testimone di tutta la storia del suo tempo, tutte le vicende di cui è testimone e le giudica dal suo punto di vista, secondo quel che gli suggeriva la sua coscienza. Dalla lettura di questi versi che sono sgorgati proprio dall'animo di Mihai la figura del poeta esce quasi ingigantita, per la trasfigurazione dei fatti al servizio delle sue idee. Quei giudizi che egli pronuncia hanno risentimento, e rancore per qualcosa che avrebbe dovuto essere solenne e invece è solo un momento quasi apocalittico.
La poesia è eterna. Il poeta è sicuro di ciò, perché sa che l'animo umano si esalta nella lettura dei poeti e perciò i popoli conservano le loro opere con religiosa cura, come documenti della loro stessa vita. Nulla rimane dell'antica Troia e i popoli che l'abitarono furono distrutti o scomparvero senza lasciar discendenza; ma sopravvivono i versi di Omero che ha eternato con la storia di quella guerra anche se stesso. E' ciò che dice pure Foscolo nei Sepolcri: di Troia sono scomparse perfino le tombe: resta l'opera del cieco divino sorta fra le tombe. La latinità vive oggi non solo nel Diritto, ma forse anche in modo più fascinatore per l'animo umano, nei versi di Virgilio, Catullo, Orazio, nomi che durano e dureranno circondati da una gloria che non può venir meno perché la poesia parla alla fantasia e al cuore, a quanto cioè di più alto e di più sensibile vive nell'animo umano da quando Adamo comparve sulla faccia della terra. Dante, Petrarca, Boccaccio vivono sempre di un'esistenza che non verrà mai meno finché durerà la lingua italiana. Vivranno sempre fino a quando l’uomo avrà memoria e ricorderà di essere stato testimone del suo tempo, come Mihai vorrebbe fosse.
«Eccetera vuol dire che ho fatto di tutto
Per non essere questo o quello
E quando non facevo questo ero quello
Così la mia mente si chiede dove
È morto nessuno in me
Sono vivo ma sogno
Meglio un morto sveglio»
Ora non possiamo più soffermarci sui grandi Poeti, perché essi sono in noi, finché anche noi vivremo, come sono ricordati i versi di Mihai perché dobbiamo ricordarli per comprendere la lirica, e l'onore vero va tutto a chi ha saputo parlare all'animo umano e interessarlo tanto intensamente che l'interesse continuerà inalterato, perché anche parlando con ironia delle tradizioni di una Terra che lo ospita ed è e rimarrà ospitale accettiamo, questa lirica come uno sfogo rancoroso, perché è trasfigurazione artistica.
«quando batte un chiodo soffia sempre il vento»
diceva suo padre e lui imparava da solo

non cadono più le foglie
ma nascono altre».
E la «Primavera Italiana», è una luce che non può spegnersi, perché è lo splendore del vero, è l'espressione più cara e più universale dell'attività dello Universo. Il danaro non è tutto, e il suo valore è solo contingente: da l'utile, ma non il bene, il bello. La poesia, la musica, le arti del colore e del disegno danno momenti di gioia disinteressata e appunto per questo pura, libera da scorie e perciò destinata all'eternità.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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