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Due anelli dello stesso anello

Di: Antonio Gagliardi

 

Ricordate «Io speriamo che me la cavo» e il seguito di queste storie che Marcello D'Orta ha raccontato? Come sapete è ambientato ad Arzano, un paese vicino a Napoli, lo stesso che ha dato i natali ad Antonio Gagliardi, il 13 giugno del 1973, il quale distaccandosi dai ragazzi (alunni del maestro D'Orta), si diploma Perito informatico nel 1992 (un poeta che metterebbe a punto il mio PC sarebbe la più bella fortuna che mi potrebbe capitare). Dopo aver fatto diversi lavori e aver provato varie facoltà, decide di abbandonare l'università e va ad insegnare a Vignola in provincia di Modena, informatica, nella scuola statale superiore. Ama tutto ciò che suscita emozioni. È affascinato dalla mente umana, dalla psicoanalisi, dalla pedagogia e dalla sociologia. La sua adolescenza, come per i ragazzi che abbiamo avuto modo di imparare a conoscere attraverso Marcello D'Orta, non è stata fra quelle migliori, com'è d'altronde per tutti i ragazzi del Mezzogiorno e specialmente per i campani.

Con questa poesia, Antonio affronta un tema eterno: il sentimento che lega il figlio alla madre e viceversa. Un tema che facilmente può portare il narratore in scivolate paurose di luoghi comuni scaturiti dal sentimentalismo. Certo se avesse detto quanto ha scritto con meno parole il risultato sarebbe stato certamente più immediato, invece bisogna soffermarsi ad ogni paragrafo per non perdersi nei meandri di un discorso anche se per niente banale o sentimentalista o, che sarebbe stato peggiore, in un susseguirsi di luoghi comuni.

«Il tuo cuore

mi ha dato vita.

Assetato

ho bevuto la tua acqua»

Fin dall'inizio si apre il discorso della musicalità di questa poesia, il verso «cantabile» delle Canzonette e delle Fughe, e quindi sarebbe opportuno precisarne i caratteri.

Essa, all'opposto della musica sinfonica e impressionistica, che si modula sulla propria materia e si fonde, si definisce in un sottile intrecciarsi di significati in schemi metrici e volute ritornanti e figure ritmiche. In alcune cose s'indovina un'eco più ottocentesca, per cui rifarsi al Metastasio cederebbe il passo, per certi accenti di sfogata pateticità, a qualcosa come una risonanza verdiana.

«Affamato

ho succhiato il tuo sangue.

I tuoi pianti

sono stati i miei pianti.

Le tue gioie

sono state le mie gioie.

I tuoi affanni i miei affanni.

Le nostre anime

avvinghiate l'una con l'altra

come

due anelli dello stesso anello».

Del resto Gagliardi, parla dell'italiana esemplarità dei versi, è in grado di rinfrescare, sia pure con sottile timidezza, certe movenze auliche e popolaresche di melodramma:

«I tuoi occhi

il mio primo amore.

Il tuo sorriso

la mia vita.

I tuoi dolori

la mia disperazione».

Occorre, dunque, rilevare, questi caratteri formali di una grazia un po' rude, un'incisività figurativa d'intagliatore di moduli tradizionali, il più sospirato e cantabile abbandono. Sono appunto i termini entro cui si ordina quell'affettuoso mondo poetico, si delinea la vita dell'uomo che è in ogni caso tutta la vita...

«Mi perdo

in quel prato fiorito

che emana profumi di rose.

Petali di rosa che volano via,

lambendo vellutate gocce

cristalline decorate

di verde smeraldo.

Verde come i frutti acerbi

sono pieni di vita.

Verde come la speranza

di chi non vuole rinunciare.

Verde come il colore dei suoi occhi

che come la danza delle lucciole

formano scie luminose nel buio

tracciando la strada del ritorno.

Li guardo attentamente

e scopro dei segni.

Alcuni più profondi

altri più leggeri

che come crepe

dividono il prato

in tanti pezzi disuguali.

Mi trascinano in delirio

Mi trascinano in mille perché

Mi domando nel riflesso del mio io

se mai, io sono la causa di una delle sue crepe»

Ed ecco profilarsi la vena più profonda, quella che, non paga di atteggiare il movimento dell'ispirazione sui laboriosi schemi tradizionali, o di ripetere i trasporti nelle movenze della canzonetta o della romanza, prende a modularsi direttamente sul respiro stesso del sentimento, sulla voce momentanea e incomparabile della vita interiore.

Dopo i versi Mi trascinano in delirio/Mi trascinano in mille perché la preghiera alla madre, è viva e fortemente sentita senza retorica o lacrime di alambicchi. Qui Gagliardi rinnova, con la più duttile sapienza, la conoscenza della gestione del sentimento con l'accento della grazia intima che solo una madre sa donare nei suoi momenti più alti.

«Mi domando

quale strana creatura

ha risucchiato i suoi sogni.

In quale scrigno segreto

sono custoditi i suoi desideri e i suoi amori»,

infine la sua calda materia, ora si enuclea, nella forma della più semplice ispirazione a forma di diario ed acquista quella fugace impressione naturale e rapida fissazione di un pensiero o di un ricordo, i trasalimenti della vita profonda. Sono, è vero, semplici constatazioni, in cui l'emozione lirica si distende come nel proprio naturale respiro e in fulminei scorci evoca la figura e il paesaggio suscitando atmosfere di un'intensità irraggiunta. S'è così operata, in questa poesia di Gagliardi, una sorta di precipitazione, per cui tanti elementi del suo mondo, magari poetici ma non poeticamente essenziali; ma che, accolgono ora le espressioni familiari, la saggezza ed esperienza, gli aneddoti, i momenti riflessi, che sono forse anch'essi, in fondo, di natura poetica, ma di un ordine diverso.

Si direbbe che anche la saggezza dell'età giovanile sia stata una delle tante care illusioni, che il vento avrebbe potuto disperdere. L'incanto dei ricordi d'amore e di gioventù, delle labili gioie e l'immagine della madre sempre presente; gli accesi aspetti momentanei della realtà prossima qui abitano, dove troverà la definitiva saggezza della madre e un disperato aggrapparsi e ritirarsi assieme, che ondeggia fra il ricordo e la vita presente.

«Tu come già facesti un tempo

mi darai di nuovo vita

Ritorneremo

come due anelli dello stesso anello

Quando specchiandomi

nel riflesso delle tue acque

Vedrò i contorni

del tuo viso

scolpiti nel mio cuore»

Della poesia di Gagliardi c'è rimasto la fedeltà alla sua indole più profonda. Oggi, che tragiche esperienze hanno indotto la nostra vita a tanti energici sfrondamenti, a un gusto di umanità e di realtà essenziale, la semplice e umanissima voce di Antonio Gagliardi non ha bisogno di giustificazioni. Pure, è così difficile attenersi al semplice fatto della poesia, che i critici che ne avvertiranno d'istinto l'alta qualità, s'industrieranno a rendersene conto col ricollegarla a forza ad una prestabilita poetica del tempo.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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