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La notte dell'aquila insonne

Di: Davide Bee

 

Davide è nato, oltre cinque lustri fa, in Toscana, e tuttora vive in un comune di una delle sue dieci province; terra di tappezzieri e tessitori;  terra che lentamente si amalgama agli strati di catrame e asfalto della crosta terrestre, sprofonda e si trasforma come un cadavere in decomposizione. La «provincia» in cui vive è sempre stata grande fonte d’ispirazione; la spirale continua che regola i cicli,l’involucro vuoto che tutte le mattine guarda dalla finestra, lo porta ad immaginare infiniti oceani, fingere sensazioni indescrivibili. La grande tranquillità spirituale e affettiva, lo spinge a scavare dentro e guardare gli incubi negli occhi, a baciarli quasi indifferente.

Dalla nostra stessa natura, siamo portati a guardare e ad ammirare le cose grandi, trascurando assai spesso tutto ciò che è piccolo. I nostri occhi si appagano alla vista delle grandi proporzioni, mentre non riescono a scorgere gli oggetti e gli esseri più minuti. Anche il nostro cervello compie lo stesso lavoro. Ad esempio, per noi la storia è ricca di nomi di grandi comandanti che hanno saputo con i loro eserciti conquistare vaste regioni. Alessandro Magno, Cesare e Napoleone, se non avessero avuto alle loro dipendenze migliaia e migliaia di sconosciuti soldati, certamente ci sarebbero completamente ignoti. Eppure chi si preoccupa di conoscere chi furono gli umili soldati, che con il loro coraggio e la loro dedizione al dovere, permisero il realizzarsi dei sogni dei loro comandanti? Se noi ammiriamo qualche superbo edificio, ad esempio la Basilica di San Pietro,ci interessiamo di sapere chi fu il suo architetto, ma non pensiamo ai muratori, che hanno portato a termine la mirabile costruzione. La visione del cielo stellato ci commuove al pensiero delle enormi dimensioni delle miriadi di stelle e siamo portati a pensare all'infinita potenza di Dio. Le stesse leggi che regolano i movimenti degli astri sono presenti anche nell'infinitamente piccolo, che sfugge all'osservazione dei più potenti microscopi. L'atomo ha la stessa perfezione del sistema solare.

«L’aquila insonne ha ripreso a cantare;

il vento d’inverno ne ha portato la voce,

schiuma del mare mi ha toccato la pelle,

e sono stanco e ormai battuto».

Da un fortuito incontro di nubi di diverso aspetto, si scatena un violento temporale. In breve scendono dal cielo fitte gocce di pioggia, seguite da un tambureggiare di «schiuma del mare mi ha toccato la pelle» e nello spazio di poche decine di minuti, si susseguono tre fenomeni più comuni e l’aquila affronta nella sua insonnia il vento dell’inverno e la voce che si leva dalla schiuma del mare. L’aquila imperterrita affronta le tre potenze della natura e con un poco di fantasia, seguendo lo stile dei favolisti, s’immagina quali sono le  chiacchiere che si scambiano il vento e le onde schiumose, allora l’aquila scambia con loro il parere sui fenomeni della vita.

I versi di Bee mi hanno riportato alla memoria una favola che spesso narrava la Madre superiore che sostituiva la maestra alle elementari, e risento la sua voce: «La mia vita è particolarmente strana. Se continuo il mio lavoro per qualche giorno consecutivo, tutti alzano gli occhi verso il cielo, cercando di trovare uno spiraglio fra le nubi, che annunci la fine della mia opera. Se invece mi prendo un lungo riposo, tutti mi invocano, perché io scenda a por fine ai gravi danni della siccità. Spesso mi capita di essere invocata dal contadino, che si preoccupa dello stato delle sue coltivazioni, mentre mi teme il turista, che non vuole essere danneggiato nel suo viaggio», dice la pioggia. Alla pioggia si aggiungono le voci del vento e della schiuma del mare che si scambiano le medesime lementele.

«Sul comodino c’è ancora quella foto,

una goccia del passato rimasta impigliata,

il mio passato è morto».

Dovrei trarre delle conclusioni dalla favola che mi raccontava la superiora e i versi di Bee. Mi accontento invece di dimostrare la mia simpatia per i versi che cantano una dolce «barcarola» che sa limitarsi a darmi quel dondolio necessario per portarmi alla porta del sonno, diventato così raro ora nelle ore notturne, e plaudo alla musicalità delle parole che come l’aquila si adoperano senza affaticarsi a tener legato l’incanto che solo la poesia sa creare.

Certamente a questo mondo non ci si deve meravigliare di nulla. Uno di questi giorni ero seduto al balcone con il libro in mano; sopra di me le rondini, si libravano nel cielo azzurro. Il loro rapido muoversi nell'aria era il più bel saluto che potessi ricevere; anche se, per un istante, ho rimpianto quel passato rimasto impigliato in una goccia.

Mi pare di vedere un passero che saluta la rondine e le narra come ha trascorso l'inverno. Stupito, rimango immobile come una statua, per non disturbare, il colloquio che si fa sempre più interessante. Il piccolo volatile chiede notizie sui cambiamenti avvenuti nelle località, dove si erano conosciuti.

Scrive Nietzsche. Noi saremo le sue vittime «L'impotente scaglia davanti a sé l'irritazione che gli proviene dalla sua sconfìtta. La sua indole compressa si gira in recriminazione contro l'ambiente che lo circonda e contro i poteri in odio verso la felicità e verso la riuscita di coloro che ne sembrano favoriti. Il risentimento però implica anche qualche lotta e non si addice a tutti i temperamenti. Lo schizotimico si rifà più comunemente, al livello della sua impotenza, un equilibrio proprio in cui ritrova la serenità dell'uomo che non forza il suo talento. Ad eccezione del vuoto spaventoso in cui cadono gli schizofrenici ricoverati in case di cura, egli non fugge la realtà per il nulla, ma per un universo interiore che viene da lui sostituito al mondo reale e goduto più della realtà. Queste costruzioni immaginarie offrono una grande varietà di figure: ma esse hanno in comune il fatto di sostituire sempre un adattamento laborioso con un adattamento facile».

«L’aquila insonne ha cantato nuovamente;

chi ha detto che Dio non sa suonare la chitarra?»

L’aquila insonne ha cantato nuovamente ed ha risvegliato nella mia memoria ciò che pensa Rousseau:«In quella strana situazione, la mia inquieta immaginazione prese una determinazione che mi salvò da me stesso e calmò la mia sensualità nascente: fu quella d'alimentare le situazioni che mi avevano interessato nelle mie letture, di ricordarle, di variarle, di combinarle, di appropriarmele al punto di diventare uno dei personaggi che immaginavo, al punto di vedermi sempre nelle situazioni più piacevoli secondo il mio gusto, finché lo stato fìttizio in cui riuscivo a pormi mi faceva dimenticare la mia condizione reale di cui ero così malcontento. Questo amore per gli oggetti immaginari e questa facilità di occuparmene finirono per disgustarmi di tutto ciò che mi circondava e determinarono quel gusto della solitudine che da allora mi è sempre rimasto». E confessa anche che il suo cuore troppo tenero e affettuoso, l'ha «sempre reso pigro ad agire per troppo ardore di desiderio».

Ecco perché il passato morto accanto alla foto impigliata nella sua goccia, rattrista più del più crudo inverno è alleviato soltanto dal  ritmo di «barcarola» che la poesia ha preso dall’inizio…

«La luce è tenue sul mio sguardo acceso,

ci pulsa ancora il sangue della donnola ansante,

dello struzzo loquace;

solo consolazioni nella notte dell’aquila insonne».

Per rimanere in argomento leggiamo cosa scrive in proposito: «Assai presto ho scoperto come fosse più semplice abdicare ad un desiderio che soddisfarlo». La luce tenue sul suo sguardo acceso, mi richiama Féré che cita il caso d'un uomo che visse un romanzo immaginario per anni ed anni: gli stava a cuore questa seconda vita, ed attraversava l'altra come un sogno. In questo modo tutto diventa facile. Ad un astenico che si chiudeva in interminabili silenzi solitari, per ascoltare meglio il pulsare della donnola, Janet ci fa chiedere se il Poeta in quel momento, parlasse a se stesso. Questa immagine mi fa raffigurare un giovanotto che passeggia insieme a me e che si trova nel mio monitor, per garantirmi che consegno ai suoi versi l’interpretazione, facendo dire loro mille cose spiritose. Questa confessione immaginaria è piena di significato: basta che un soggetto si collochi in posizione d’irrealtà, e quelle stesse operazioni che gli erano impossibili con facoltà intatte, gli diventano accessibili.

Emigrando nell'irreale, trova la realtà del soggetto che non passa solamente in qualche cosa di meno reale, un contenuto che non si limita ad arretrare d'un maggior o minor numero di passi. Entra in un universo completamente nuovo che possiede, neppure attenuato tutto il carattere dell'universo reale. Egli stesso si sente realizzato insieme alle immagini dei sogni o a quelle interiori, più suggestive, solide e sistemate, che si uniscono fra loro e si contaminano, in una localizzazione precisa. Perciò i versi sembrano appartenere, anche allo spazio di là da una quarta dimensione la cui ambiguità artistica è colorita, musicale e feconda.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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