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Alti muri di tufo

Di: Cassandra

Cassandra è nata a Treviso nel 1961, città che ama non tanto quanto caratteristica delle persone che ci vivono, ma per i luoghi. Ha conseguito la maturità scientifica, ma purtroppo il sogno di diventare una bravissima biologa è sfumato presto e si dedicata all'informatica fin dal 1980, con discreto successo professionale, ancora oggi, infatti, lavora per un'azienda come analista di sistemi informativi e consulente informatica. Ha fatto teatro amatoriale, è stata mezzosoprano per vent'anni in un coro, ama moltissimo la lirica, ma tutta la musica in genere; «la rosa del mio inverno» è la figlia, dice con un bel sorriso luminoso. Ama gli altri, molto più di se stessa, ama il mondo, gli animali, molto più dare che ricevere, insomma ama. Dallo pseudonimo che ha scelto, credo si possano intuire tante altre cose di lei tra le righe. Laureata in Psicologia e insegnante elementare.
Ha vinto il 3° Premio nel Concorso Internazionale promosso dall’Associazione culturale «Le Driadi» di Roma e il Premio Speciale dell’Assessorato alla Cultura Città di Eboli per il Concorso Internazionale di Poesia  «Il Saggio». Collabora con le riviste culturali «Il Saggio» e L’Ateo, di cui è membro del Comitato di Redazione. Figura nel libro «Dove va la poesia» Carello Editore e ne «Il Dolce Web» Carello Editore. «Traguardi» sempre per la Carello, «Versi Diversi»  il Saggio e «Nuove gemme letterarie» sempre per i tipi della Carello Editore. Nel febbraio 2003  ha pubblicato «Nero assenso» per i tipi della Fabio Croce Edizioni.
Tra le tante poesie di quest’autrice pubblicate nel sito «Poeticamente» ho scelto la più attuale e per quanto sta accadendo nel Medio Oriente e per la veridicità in cui afferma la teoria di Nietzsche, che afferma «poeta è colui che anticipa i tempi, che narra quanto accadrà e l’uomo comune vede ciò che il Vate ha cantato solo quanto si manifesta a tutti, perciò è anche il super uomo». Qualcuno, in passato fraintese l’affermazione di Nietzsche e come superuomo intese «razza ariana» sterminando ciò che riteneva impuro. Quanto sta accadendo oggi, sono sincero non l’ho capito: le voci sono tante e tutte veritiere sia da una parte sia dall’altra.
«
Alti muri di tufo
dello stesso
color ocra
della terra insanguinata
si confondono
nel morente paesaggio»
Qualche giorno fa, quando si cominciò a parlare di ultimatum, per non pensare, andai a teatro ed ebbi l'occasione di assistere ad uno spettacolo molto semplice e di altissima suggestività. Una quindicina di attori di età poco superiore ai venti anni si esibirono in un teatro, tenuto in considerazione per gli spettacoli di sperimentazione che faceva rappresentare, alle compagnie sperimentali che gli erano raccomandate, eppure lui aveva fatto la gavetta, si era dovuto accontentare di rappresentare spettacoli per una sola persona in cantine, a volte anche fatiscenti; poi si è legato ai potenti della politica ed è riuscito ad acquistare uno dei teatri più belli della zona, dando un calcio ai sacrifici e ai sogni. Aveva avuto la fortuna d’incontrare d’incontrare sulla sua strada un’attrice (vera bestia da palcoscenico), che dirigeva con sapiente maestria. L’accompagnava nei vari canti del corpo, e questa la rende ancora più grande perché recita più col corpo che con la voce; poi vennero altri giovani spigliati e votati al sacrificio monacale che il teatro pretende, proprio come afferma Antonino Artoid «l’Attore se non si dedica al teatro con vocazione monastica meglio che ritornino a fare gli imbianchini o altri nestieri più consoni alla loro personalità». Nello spettacolo cui parlo gli attori erano forniti di un solo strumento e di una sola apparecchiature di «diffusione»: il proprio corpo e gli infiniti «risuonatori» che il corpo possiede (questa una grandissima scoperta di Grotowskij, che col suo studio tanto beneficio a portato all’attore e di conseguenza al teatro più moderno.
Sul palcoscenico, si confondeva la terra insanguinata col paesaggio morente. Non era, infatti, il solito spettacolo con un suo filo conduttore, ma la commedia si svolgeva con dialoghi, veramente più monologhi che dialoghi, slegati che suscitavano, non si sa bene per qual motivo, la risatina sonante di una fanciulla seduta dietro di me, che non mi seppi spiegare.
Nel recitare nel far parlare il corpo, i componenti occupavano il palco con movimenti ritmici, ora tenendosi per mano e accompagnando la musica con leggeri spostamenti del busto e delle gambe; ora saltando per lo spazio scenico. I loro volti sorridenti, stando a quanto descritto sul volantino pubblicitario avrebbero dovuto manifestare la gioia di vivere amando il prossimo e godendo della letizia che la solidarietà umana offre a piene mani, invece saltò fuori un finale raccapricciante: l’uomo finiva per mangiare l’uomo.
La Poesia di Cassandra, non finge le condizioni dell’assoluto, ma le cerca:
«Già dilaniato
da guerre antiche
di insane menti
arrossato
dalla vergogna
del sangue sparso
assume i colori
del tramonto della vita»
Il pubblico, a poco a poco, coinvolto nell’assunzione dei colori del sangue sparso e sentendosi al tramonto della vita, si lasciò trascinare da questo clima. Ben presto non si accontentò di ascoltare, ma partecipò attivamente. Ora leggendo questi versi lapidari di Cassandra, preoccupazioni e tristezze si dileguano con il susseguirsi delle immagini per lasciare trionfare la più l’interpretazione dell'esistenza che si possa sognare.
È superfluo affermare, tanto la cosa è resa evidente dallo spirito animatore della lirica, che gli che lo spirito avverte come se fosse stato consegnato ad un’istituzioni benefica. I versi lapidari, forti e sinceri:
«Già dilaniato
da guerre antiche
di insane menti
arrossato
dalla vergogna
del sangue sparso»
mi riporta come d’incanto alla realtà cruda che da questa notte stiamo vivendo. Su chi cadrà il sangue che menti insane hanno ritenuto spargere contro la volontà di tutti gli uomini di buona volontà? Sì, lo vedo il sangue che avrebbe tanta voglia di nascondersi, ma è lì che scorre a valle che imbruna la terra, tanto da far vergognare il sole.
Ogni giorno si fa sempre più vivo in me il desiderio di cantare questi versi agli angoli delle strade popolose, nelle piazze affollate di gente che discorre sul bene e sul male di questa guerra insana, affinché anche gli altri godano lamia stessa beatitudine. Mi risulta, infatti, che in molte città e paesi, in Italia e all'estero, non si fa che parlare dello stesso argomento, guidati dallo stesso ideale di rendere più serena e buona l'umanità e che, questa guerra inutile abbia termine. In tali gruppi, dove le varie nazionalità e razze convivevano in lieta fraternità, si è già raggiunta, la discordia perché non ci si capisce più, e non solo a parole: è una vera unificazione di popoli che si è divisa. In quest’epoca dove il lamentarsi sembra un dovere e il contestare una manifestazione di personalità, l'invito espresso dalla Poesia di Cassandra è canto che incita ad essere fratelli è certamente un avvenimento che potrà dare un valido contributo alla pace.
«Al barlume della luna
contrastano
le lame di fuoco
per colpire
errati bersagli»
Immaginate un campo di battaglia in cui il «barlume della luna/ contrasta con le lame di fuoco/ per colpire/errati bersagli». Numerose sono state le guerre che hanno sconvolto i paesi nel corso della storia. Dai tempi più antichi, quando si combatteva con mezzi offensivi rudimentali, ad oggi, epoca delle più moderne e micidiali armi, sempre si sono svolti grandi conflitti tra i popoli. Dopo il furore della battaglia, i gemiti dei feriti e la terribile immobilità dei morti rimangono a testimonianza della crudeltà della lotta. Mi è facile immaginare quale possa essere il colloquio fra due combattenti di diversi eserciti, mentre, coricati sui lettucci delle loro sofferenze, si accorgono di essere l'uno vicino all'altro. In un primo momento uno chiede al vicino il suo nome e il reparto, credendo di avere come compagno di sventura un suo commilitone. Poi si accorge che il suo vicino, poche ore prima, era un suo avversario. Faceva parte dell'esercito nemico, contro il quale si doveva crudelmente combattere per conseguire la vittoria finale. Il primo moto di sorpresa, e direi quasi di odio, è presto superato dal vedere il proprio vicino di letto soffrire le stesse pene. In seguito, servendosi di parole comprensibili all'altro, gli chiede il nome e il paese. L'altro, che aveva provato i medesimi sentimenti, non tarda a rispondere. Così, a bassa voce per non disturbare gli altri sofferenti, s’intreccia un colloquio. Non sono adoperate parole di odio, tanto è chiaro che la guerra non l'ha voluta nessuno dei due. Ciascuno nelle proprie espressioni cerca di trovare conforto al proprio dolore. Si rievocano a vicenda i lontani paesi che hanno visto le loro giovinezze, così presto sacrificate dal terribile rombo del cannone.
«Ma quale bersaglio
può mai essere giusto
se tale lo chiamiamo?

Donne già schiave
fanciulli già grandi
case già vacillanti
uomini già soldati
questi sono i bersagli
e triste e la parafrasi
al quanto:
morte su morte».

La vicinanza si trasforma quasi in amicizia, quando si accorgono di avere problemi simili. Due famiglie li attendono lontane, innalzando a Dio preghiere per la loro salvezza. Se i loro governanti avessero avuto la stessa possibilità di parlare a cuore aperto fra loro, certamente il conflitto non sarebbe scoppiato.
La mia fantasia, accompagnata dai versi di Cassandra, mi porta lontano, ma sono certo che tutte le guerre si potrebbero evitare se con serenità, anche nei momenti più drammatici, si potessero intrecciare colloqui fra gli appartenenti ai popoli nemici.
Presto anche il colloquio fra i due feriti avrà termine. Uno dei due sarà portato fra i prigionieri di guerra, l'altro trascorrerà la sua convalescenza fra i commilitoni. In tal modo la pausa dell’odio sarà breve e lo sterminio continuerà, forse non arrecando nessun vantaggio neppure ai vincitori.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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