Il rilievo fu ritrovato nella parte meridionale
della valletta di S. Secondo di Salussola, all’interno del territorio
comunale di Dorzano (BI), in una data difficilmente precisabile. Un sicuro
termine ante quem per il ritrovamento può essere comunque fissato
nel 1810, anno in cui il parroco del paese redasse, a scopo informativo,
una Descrizione della Comune di Dorzano da inviare alla Prefettura
di Vercelli 1.
Nel documento, oggi purtroppo scomparso, il parroco di Dorzano accenna
alla scoperta del rilievo, indicando anche il luogo diritrovamento: una
“possessione” appartenente al cav. Avogadro Casanova di Vercelli, situata
in “regione Porte”. Una ricerca presso l’Archivio di Stato di Vercelli
ha permesso di controllare questa informazione e di individuare con precisione
il proprietario del fondo in cui il rilievo fu scoperto: si tratta del
cav.Giuseppe Maria Avogadro di Casanova (1730-1814), uno dei più
facoltosi e stimati cittadini vercellesi del tempo, che, come attestano
le ultime disposizioni testamentarie, possedeva sessantun giornate di “vigna,
pratto e bosco” nel territorio di Dorzano 2.
L’identificazione topografica precisa del sito di ritrovamento non è
facile, in quanto sia le indicazioni desumibili dalla Descrizione del 1810
sia quelle fornite da padre L. Bruzza 8,
che per primo pubblicò il rilievo, risultano difficilmente utilizzabili.
I dati forniti dal parroco di Dorzano, redattore della Descrizione,
non possono infatti essere confrontati con la documentazione archivistica,
vista la lacuna nei registri catastali. Il Bruzza invece è piuttosto
vago e si limita a collocare il ritrovamento “in un piccolo campo detto
Le Porte...sulla sinistra della vecchia strada che da Salussola monta a
Dorzano, e più vicino a questo paese che al primo”. Lo studioso,
ritenendo forse che il toponimo “Porte” individuasse un singolo podere
e non un’area più estesa, identifica il luogo di ritrovamento
del rilievo con quello in cui nel 1819 fu scoperta l’epigrafe di T(itus)
Sextius (CIL V, 6771), attualmente conservata presso il Museo di Antichità
di Torino. In realtà entrambi i manufatti furono scoperti in località
Porte di S. Secondo di Salussola, ma sicuramente in due appezzamenti diversi
9.
L’analisi del Catasto figurato del territorio di Dorzano, redatto nel 1743, ha permesso di determinare con maggior precisione la localizzazione e l’estensione della regione Porte, rettificando l’ambiguo quadro topografico delineato dallo Schiaparelli e dagli Scarzella. Come si evince dalla lettura del foglio catastale n.3, si tratta di un area di piccola estensione, suddivisa in poco più di dieci parcelle, posta presso il confine comunale tra Dorzano e Salussola; confina a nord e a est con regione San Secondo, ad ovest con regione Massarione o San Secondo e a sud con regione Roncale. Va comunque sottolineato che il toponimo “Porte”, nell’uso comune attestato dai compilatori delle caselle dei registri, era in realtà utilizzato per individuare un’area che non corrispondeva perfettamente a quella determinata dal Catasto figurato, ma comprendeva anche zone confinanti a est e a sud 12. Sulla base delle scarse notizie delle fonti e della lacunosa documentazione
non è dunque possibile individuare con precisione l’ubicazione del
podere in cui fu ritrovato il rilievo. A questo proposito si è rivelata
scarsamente utile anche la ricostruzione delle complesse vicende patrimoniali
della tenuta della Ca’ Bianca, di cui può essere ripercorsa la storia
ottocentesca attraverso i documenti conservati nel fondo Famiglia Avogadro
di Casanova presso l’Archivio di Stato di Vercelli 13.
La mancanza di una documentazione catastale completa impedisce di proporre
considerazioni più dettagliate: occorre perciò limitarsi
a collocare il ritrovamento nell’area individuata, comprendendo anche alcune
parcelle confinanti, nelle regioni Roncale e San Secondo.
Il rilievo, venuto alla luce in un possedimento del “sig. Avogadro
di Casanova”, con ogni probabilità fu trasportato nella tenuta di
famiglia della Ca’ Bianca presso l’abitato di S. Secondo17
. Non vi rimase però per molto tempo: il redattore della Descrizione
della Comune di Dorzano attesta infatti che nel 1810 il manufatto era
già conservato a Vercelli, “incastrato in una muraglia del palazzo
di detto Cav[aliere]”, l’ancora oggi esistente palazzo Avogadro di
Casanova situato lungo Via Vallotti 18.
L’interesse antiquario del pezzo ne aveva evidentemente determinato il
trasferimento presso il palazzo urbano della famiglia vercellese, la cui
edificazione, al momento della sistemazione del rilievo nella “muraglia”,
era terminata da poco 19.
Il rilievo di Dorzano nella
sua attuale collocazione, incassato nella parete
Rilievo di Dorzano.
Dettagli: littore, flamen e tibicen
|
1
Si
tratta di una copia minuta in data 6 ottobre 1810 della
Descrizione
della Comune di Dorzano che serve di risposta alla lettera di Mr. Liegeard,
segretario generale della Prefettura di Vercelli, in data I°
aprile 1810, avente per iscopo un dizionario topografico-istorico del dipartimento
della Sesia. Il documento fu scoperto nell’Archivio Parrocchiale di
Dorzano da don Delmo Lebole, che ne pubblicò alcuni passi sul numero
2 anno 1951 della "Rivista Biellese" (LEBOLE 1951, p.26).
2 ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.II, m.40, s.n.: Disposizione testamentare di Giuseppe Maria Avogadro di Casanova. Il nobile vercellese risulta proprietario dei fondi di Dorzano almeno dal 1797: ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.I, m.19, s.n. Consegne diverse. Per un profilo della poliedrica figura di Giuseppe Maria Avogadro di Casanova, aristocrate savant e autore di trattati di agronomia e geometria cf. TESTA 1995, pp.5-44. 3 La famiglia Avogadro di Casanova ne era proprietaria da almeno tre generazioni. Come risulta dalla documentazione archivistica, il trisavolo di Giuseppe Maria, conte Carlo Giovan Battista Baldassarre, nel 1667 possedeva nel territorio di Salussola una “cassina...con luoghi et edifici et beni”, che passò in eredità al ramo cadetto della famiglia, rappresentato dal nonno del cavaliere, suo omonimo. Da questi la “cassina” e le proprietà passarono per via ereditaria a Carlo Giovan Battista e infine a Giuseppe Maria; fu probabilmente quest’ultimo ad utilizzarla stabilmente come residenza, trasformandola in villa rustica (ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.I, m.51, fascc.28, 54). 4 ASV, Famiglia
Avogadro di Casanova, s.I, m.58, fasc.12.
5 E’ assai difficile che il mapp.1732 coincida con il luogo di ritrovamento del rilievo: le 106 tavole di “prato e campo” sono infatti situate ad ovest della regione Porte, in un’area prossima a questa ma non confinante. Se è vero che il toponimo “Porte” indicava con ogni probabilità nell’Ottocento una zona di estensione maggiore di quella occupata dall’omonima regione catastale, è altrettanto vero che nei registri esaminati l’uso di localizzare in tale area parcelle estranee è attestato solo per gli appezzamenti confinanti. 6 Cf. infra nt. 16. 7 Lo spostamento del termine post quem ai primi anni dell’Ottocento trova una conferma implicita nella stessa Descrizione del 1810: è infatti difficile che il parroco di Dorzano potesse ricordare nella sua relazione una scoperta avvenuta a distanza di molti anni, menzionando con precisione anche il luogo esatto del ritrovamento. Come risulta dalla documentazione archivistica (purtroppo lacunosa) del fondo Avogadro di Casanova, il cav. Giuseppe Maria fu impegnato, a partire dagli anni Settanta del XVIII secolo, nell’acquisto di alcune proprietà nell’area di S. Secondo. Il nobile si indirizzò forse prima su fondi situati nel territorio di Salussola, prossimi a quelli già posseduti, e poi su terreni relativamente più lontani, ma vicini a quello acquistato nel 1771 nei confini di Dorzano. Il rilievo sembrerebbe provenire proprio da uno di questi possedimenti, recentemente acquisiti e probabilmente messi a coltura secondo gli innovativi metodi di cui il cavaliere era strenuo propugnatore (cf. TESTA 1995, pp.5 e sgg.). Purtroppo le carte settecentesche relative alla Ca’ Bianca (inventariate nel catalogo antico dell’Archivio di Casa Avogadro di Casanova, tuttora conservato presso l’ASV) non sono confluite nel fondo Avogadro di Casanova dell’archivio vercellese. Le vicende patrimoniali delle proprietà della Ca’ Bianca nel Settecento e nel primo Ottocento possono dunque essere ricostruite solo attraverso i brevi regesti del catalogo antico relativi al perduto vol.33 Carte relative alla Casa Bianca di Salussola. 8 BRUZZA 1874, p.CXLVII e p.56. 9 Come attesta lo stesso Bruzza (BRUZZA 1874, n.XXIX) la lapide di T.Sext(ius) fu infatti ritrovata in una proprietà di Lorenzo Bertodo, farmacista di Dorzano. 10 SCHIAPARELLI 1896, pp.253-254. 11 SCARZELLA 1975, pp.78-80. 12 E’ ad esempio il caso del parc. 1599, di proprietà Bertodo, in cui fu probabimente ritrovata la già menzionata lapide del Ponderario: localizzato da Gazzera, Bruzza, Lebole e Viale in regione Porte, nel Catasto figurato risulta invece appartenere alla regione Roncale. In effetti le regioni Roncale e Porte sono confinanti e l’appezzamento è posto immediatamente a ridosso delle parcelle di quest’ultima. 13 Alla morte
di Giuseppe Maria (1814) la Ca’ Bianca e il suo patrimonio fondiario furono
integralmente ereditati dal primogenito Carlo, che li possedette fino al
1840. In tale anno in base al rogato Momo la proprietà fu acquistata
dal fratello Flaviano (ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.II,
m.41, s.n. Stato dell’eredità...) e nel 1859, alla morte
di quest’ultimo, la Ca’ Bianca passò in eredità a sua figlia
Severina (ASV, Famiglia Avogadro di Casanova, s.II, m.41, s.n. Tasse
per beni rurali...). Severina Avogadro di Casanova fu dunque dal 1859
proprietaria di tutti i fondi che erano stati di suo nonno Giuseppe Maria,
ma forse non di quello situato in regione Porte, in cui era stato scoperto
il rilievo. Nel IV libro di mutazioni e trasporti, redatto nel 1864,
la famiglia Avogadro di Casanova non risulta più iscritta a catasto.
L’erede di Flaviano non è neanche registrata come contessa
Malabaila d’Antignano, titolo nobiliare da lei ottenuto dopo il matrimonio
con il conte Alessandro Malabaila d’Antignano, di cui, al momento dell’acquisizione
dell’eredità paterna, era già vedova. I beni di Dorzano erano
dunque stati già venduti prima della redazione del quarto aggiornamento
dei libri catastali. La mancanza del Libro III impedisce di
controllare i passaggi patrimoniali e, di conseguenza, ci priva degli ultimi
dati utili per individuare quali parcellari la famiglia Avogadro di Casanova
avesse posseduto in regione Porte.
15 MACCABRUNI 1988, p.243. Sull’ara di Pallanza: BRUSIN 1944, pp.157-164; FERRUA 1973, pp.16-17; SENA CHIESA 1982, p.117; SPAGNOLO GARZOLI 1996, p.102; sull’ara di Lomello: MACCABRUNI 1988, p.241-248. 16 Non si può neanche escludere che il rilievo abbia subito anticamente altri reimpieghi, precedenti al suo eventuale utilizzo nell’edificio di culto. Dato che numerosi indizi inducono a ritenere che il manufatto non sia stato portato a compimento, forse per una rottura del materiale, e che non sia stato quindi mai inserito nel monumento al quale era destinato, è possibile che la lastra sia stata recuperata immediatamente come elemento da costruzione. E’ interessante a questo proposito notare che nell’area di ritrovamento sono emerse tracce di murature di età romana. 17 Alla Ca’ Bianca furono conservati altri reperti archeologici ritrovati nei possedimenti degli Avogadro: è il caso del sarcofago di Aurelia Campana (CIL V, 6766), proveniente anch’esso dalla regione Porte, utilizzato fino al 1874 come abbeveratoio. 18 Il trasferimento dalle proprietà rurali alle dimore di città delle grandi famiglie nobiliari è un fenomeno assai comune, che riguarda una parte cospicua della documentazione scultorea romana oggi conservata presso i musei dell’Italia Settentrionale (cf. SENA CHIESA 1997, p.277, con bibliografia). 19 Il Palazzo Avogadro di Casanova fu edificato a partire dagli anni Ottanta del Settecento presso via della Visitazione (attuale Via Vallotti) laddove sorgevano le case Ranzo. La costruzione fu voluta dal cav. Giuseppe Maria Avogadro di Casanova che incaricò del progetto l’architetto Valeriano Dellala di Beinasco. I lavori terminarono nel 1804, come attesta una piccola lapide murata nella facciata dell’edificio (cf. TESTA 1995, nt.1 p.33). 20 BRUZZA 1846, tav. fuori testo. 21 L’Amministrazione
Civica si era insediata nel 1817 presso l’ex Convento dei Domenicani (acquistato
dal governo francese nel 1813); dal 1838 al 1845 su progetto dell’ing.
Antonio Malinverni venne eseguita una serie di ristrutturazioni edilizie
che trasformarono completamente il complesso religioso (cf. FACCIO
1979, pp.573-579).
23 SOMMO 1994, p.44. Per il problema della collezione civica di Vercelli antecedente al 1842 si veda SOMMO 1987, p.408 e sgg. 24 Le informazioni sulla collocazione del rilievo si leggono in una lettera scritta da Francesco Marocchino al Bruzza in data 11 novembre 1878 (pubblicata integralmente in SOMMO 1994, p.151). Con questa missiva il Marocchino, archivista del Comune di Vercelli, informava lo studioso che tutti i materiali archeologici esposti lungo lo scalone del palazzo Comunale erano stati sistemati nel nuovo museo lapidario. 25 BRUZZA, Iscrizioni antiche vercellesi, Roma 1874. 26Per una trattazione completa delle vicende museali del Lapidario Bruzza si veda SOMMO 1994, pp.43-65. 27 FACCIO 1903, n.11 p.8; FACCIO 1924, n.11 p.9. 28 Vittorio Viale (1891-1977) fu direttore dei musei Leone e Borgogna dal 1931 al 1952. Durante la sua direzione fu realizzato l’ideale raggruppamento delle collezioni vercellesi in un unico sistema museale: il Museo Borgogna fu ingrandito e trasformato in una importante pinacoteca, mentre il Museo Leone fu destinato principalmente all’esposizione dei reperti archeologici rinvenuti in area vercellese (cf. SOMMO 1982, pp.136-139). 29 Si tratta di una collezione archeologica composta da più di trecento pezzi, allestita presso l’Archivio Storico del Comune negli ultimi decenni dell’Ottocento. Alla formazione della collezione, che nel 1913 fu affidata in custodia al Museo Leone, avevano collaborato, tra gli altri, il Bruzza e il Marocchino (cf. SOMMO 1982). 30 Il vano in cui è conservato il rilievo (sala IV) può essere considerato una semplice “espansione” della sala romana, nucleo fondamentale dell’allestimento museale. Per una lettura architettonica della sala romana nell’ambito degli indirizzi ufficiali dell’arte fascista cf. CONTI 1998, pp.99-120. |