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La luce risplende fra le tenebre e le tenebre non la compresero. Gv 1 Vs 5 Primo tema


Titolo: Le tenebre sono bisogno di luce.


Argomenti: Uno solo è il Verbo che parla. Il vero peccato di Pietro. Il silenzio interiore. Le tenebre testimoniano la luce. Riconoscere la propria cecità. Rispettare il valore di Dio. La vera dimensione dell’uomo. La tomba vuota. La giustizia sta nel rispetto dei valori. Morire al pensiero dell’io.

La Luce nelle tenebre (la Fedeltà). La Luce rifiutata (la Fedeltà).


26/settembre/1975 


Luigi: “La luce risplende fra le tenebre e le tenebre non la compresero”.

Il Verbo parlando del Padre informa le creature e dice: “La luce risplende”; lo dice al presente, perché la luce (che è il Pensiero di Dio Creatore) sempre risplende; ricevo un’informazione e questo mi impegna a seguirla.

Domanda: Avremmo capito che la vita sta nella Luce e che la Luce risplende nelle tenebre, se Dio non ce l’avesse rivelato?

Luigi: La Parola del Vangelo l’abbiamo già tutta in noi, perché uno solo è il Verbo che parla; ma il Verbo che parla dentro di noi, parla anche fuori: creazione, incarnazione, Vangelo.

Noi siamo tutto “fuori”, perciò questa rivelazione ci viene fatta dal di fuori, per raccoglierci e scoprire ciò che già portiamo dentro di noi, ciò che Dio ci dice dentro. Dio, che parla dentro di noi, s’incarna fuori di noi, se no noi non prenderemmo coscienza che sta già parlando dentro di noi; ne prendiamo coscienza quando sentiamo come vere, come già racchiuse in noi, le parole che udiamo nel Vangelo.

Domanda: Chi crede veramente che la Luce splende nelle tenebre, non dovrebbe superare ogni stato di angoscia o confusione ?

Luigi: Non dobbiamo mai essere troppo sicuri di noi, o della nostra fede o amore. Il vero peccato di Pietro fu prima del rinnegamento, avvenuto in stato di paura, e cioè fu nella sua presunzione. Tutti abbiamo un bagaglio personale da superare: orgoglio, sentimento, anche la bontà stessa naturale, la semplicità, ecc.; quindi tutto ciò che è nostro va superato, perfino il “te beato, Pietro”(Mt 16,17), poiché potrebbe mutarsi in un “va’ via, Satana”(Mt 16,23); non bisogna mai seguire il sentimento, ma è necessario che ciò che sentiamo lo riferiamo a Dio. Non dobbiamo essere mai sicuri; se lo fossimo sbaglieremmo. Ma fossimo anche all’apice della santità, non dobbiamo mai far conto su noi; e neppure se fossimo stati approvati nel passato da Dio (“Te beato, Pietro”): noi non saremo mai Dio, ed eternamente dovremo riferire tutto a Lui. Attraverso questa fatica di superarci per portare tutto a Dio, Egli ci purifica e ci fa approdare alla Luce.

Domanda: Come si giunge a vedere questa Luce che splende nelle tenebre?

Luigi: Per accorgerci che la Luce risplende nelle tenebre, è necessario tanto silenzio interiore. Per ricevere poi la rivelazione di questa Luce, è necessaria una “veglia infinita”, in cui bisogna far tacere tutto in noi e fuori di noi. L'Apocalisse parla di “mezz’ora di silenzio che precede la rivelazione”(cf Ap 8,1); deve tacere tutto: il nostro desiderio deve essere tutto incentrato lì. È Lui che si fa pensare e si fa presente.

Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 17.01.1976: (appunti)

“La Luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa”. La luce che risplende è il Pensiero di Dio Creatore che ci è dato nelle tenebre. Le tenebre siamo noi.

Dice “risplende” perché è sempre attuale. Usa il presente perché non dipende dall’uomo, perché il Pensiero di Dio L’abbiamo sempre presente, nonostante noi. Basta un filo d’erba per farci capire che è Lui il Creatore e che noi non creiamo niente.

Noi siamo le tenebre che non comprendono la luce. Dio è luce e non si confonde mai con la creatura.

Le tenebre di per sé non sono opposizione alla luce, anzi sono testimonianza della luce, poiché esse sono la fame che invoca un pane, la luce. Sono bisogno di luce.

Sabato 24.01.1976: (appunti)

“La luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa”

La luce risplende perché tutti sappiamo che è Dio il Creatore, non lo siamo noi. Le tenebre non sono peccato, ma sono bisogno di luce. Le tenebre sono fatte da Dio per ricevere la luce. Però se le tenebre si ritengono luce, respingono la luce, non accettano la Verità, la luce, Dio, perché due cose uguali (due luci) si oppongono e si respingono.

Infatti Gesù dice: “Non sono venuto per coloro che vedono”(cf Mc 2,17) (che credono di vedere). Solo i segni contrari si attraggono: le tenebre sono la fame che invoca il pane. Possono accogliere la luce, sono bisogno di luce. Ma non la ricevono, non possono riceverla, se non si riconoscono tenebre.

Nella Genesi leggiamo che: “In principio Dio creò il cielo e la terra e le tenebre coprivano l’abisso” (Gen 1,1-2): quindi le tenebre c’erano già prima dell’uomo e quindi prima del peccato. Poi Dio disse: “Sia fatta la luce” (Gen 1,3). È la parola di Dio che fa la luce. Ma l’uomo deve ascoltare. Dio parla, ma è sempre Dio che forma nello stesso tempo l’orecchio. Dio è il Pane, ma è anche Lui che forma in noi la fame del Pane.

Essere tenebre e miseria non è colpa: lo si è per natura. La colpa sta nel fatto che “essendo ciechi, dite di vedere” (Gv9,41), come dice Gesù.

Se vuoi vedere la luce, prima devi diventare cecità, cioè riconoscere la tua cecità, cioè lasciare l’orgoglio. La fame è Dio che l’ha creata: l’uomo è per natura bisogno di Dio, bisogno di Luce e “tutto è stato fatto bene” (Gen 1,31), per aiutare l’uomo a trovare e conoscere Dio. Ma l’uomo nel pensiero dell’io rovina tutto.

Non sono le creature che ingannano, ma è il pensiero dell’io. Se siamo in Dio, capiamo che esse non sono verità, ma hanno la funzione di essere stimolo per cercare la Verità: per questo non dobbiamo fermarle al nostro io.

È Dio che ci fa essere, ma se dimentichiamo Dio, è il mondo che ci fa essere: non per quello che siamo, ma per quello che abbiamo, per cui c’è gonfiatura (l’avere non modifica l’essere, ma lo gonfia). Invece Dio ci fa riconoscere quello che veramente siamo e ci fa diventare quello che dobbiamo essere. In Dio riprendiamo la nostra vera dimensione.

Sabato 16.04.1983

 

Marco: “La Luce risplende nelle tenebre….” La luce può splendere senza le tenebre?

Luigi: Certo, altrimenti Dio avrebbe bisogno della creazione. Dio non ha bisogno della creatura per risplendere.

Ida: Ma noi invece per vedere la luce abbiamo bisogno delle tenebre.

Marco: È Dio che ce le dà le tenebre?

Luigi: No, Dio vuole dare la luce a noi che siamo tenebra; però siccome noi crediamo di vedere, deve farci fare l’esperienza delle tenebre. Noi dobbiamo sperimentare il contrasto perché siamo creature stolte; ecco, visto che siamo stolti, dobbiamo passare attraverso l’esperienza delle tenebre per individuare la luce. Se fossimo intelligenti, non sarebbe necessaria l’esperienza delle tenebre, perché le tenebre che accolgono la luce sono trasformate in luce.

All’inizio tutte le cose Dio le ha fatte a periodi di sera e di mattino. Quindi abbiamo questo alternarsi. Cioè, la parola di Dio giunge a noi e poi c’è il tempo di riflessione, affinché questa parola venga assimilata da noi; quindi abbiamo questa pausa della luce che attende da noi l’assimilazione. Ogni cosa che arriva a noi dev’essere assimilata, ma assimilata in Dio, assimilata nella sua Origine, nel Principio. E allora ci trasforma in luce.

Questo “non l’hanno compresa” ci dice che le tenebre devono comprendere; cioè, questa luce che risplende nelle tenebre è Dio che si annuncia in tutto. Infatti Dio è Colui che nessun uomo può ignorare e nessun uomo può smentire; anche quando l’uomo dice che Dio non esiste non fa altro che confermare che Dio esiste. Quando l’uomo ha ben negato Dio, Dio dice: “Sono qui”. Noi non possiamo cancellare il Pensiero di Dio in noi; il Pensiero di Dio si afferma in noi nonostante noi e prima di noi; infatti noi non possiamo cancellare la nostra fame di assoluto. La fame di assoluto è effetto della presenza del Pensiero di Dio in noi e il Pensiero di Dio in noi è un Assoluto.

 

Silvana: “La luce risplende nelle tenebre…”

Luigi: Risplende in quanto nessuno la può ignorare; Dio è Colui che nessuno può ignorare; Egli si annuncia in tutto, quindi nessuno può ignorare. Ma non ignorare non vuol dire conoscere; per cui noi non potremo dire: “io non sapevo”; no! “tu sapevi che Io c’ero!”, ci risponderà il Signore; e dovremo ammettere: “Sì, Signore, è vero, io sapevo…..”. “E allora perché non ti sei occupato di Me? Il filo d’erba l’hai fatto tu?”. “No, Signore, non l’ho fatto io”. “Allora perché non ti sei interessato di Colui che l’ha fatto? Perché L’hai trascurato?” .

Chi conosce non può fare a meno di amare; però fa a meno di amare colui che non può ignorare. Dio è Colui che non possiamo ignorare, quindi questo ci rende responsabili della risposta: possiamo anche non amarlo; in tal caso ci sentiremo dire: “tu sapevi! perché hai preferito altro?”. E allora denunci il fallimento della vita; e già! la tua vita è fallita perché l’hai trascorsa a cercare mele su un larice: “lo dovevi sapere!”.

Flavio: Non penso che ci sia niente della creazione di Dio che non sia nella Luce; le tenebre sono soltanto dentro di noi.

È dentro di me che posso fare risplendere una cosa nella luce, oppure, rivestendola di me, farla diventare tenebra. Però la funzione dello Spirito Santo, dato che siamo tempio dello Spirito Santo, in questo qual è?

Luigi: Lo Spirito Santo è Luce ed è la nostra meta .

Nino: Quel “risplende” viene a confermare l’interpretazione data prima di quel’“era”; infatti l’“era” sottolinea la mutazione nell’uomo, mentre invece la luce “risplende” anche adesso che l’uomo è mutato. Dio è immutabile.

Luigi: Certo, l’uomo muta, Dio non muta. L’uomo muta i suoi rapporti con Dio. La giustizia sta in questo rispetto dei valori, quindi è un rapporto. Dio è l’immutabile, quindi il rapporto fisso va sempre portato in Lui; noi siamo la variabile che va sempre misurata su quel termine fisso.

Paolo: Le tenebre sono dentro di noi, però in noi c’è anche lo Spirito…

Luigi: Le tenebre sono sostanzialmente il pensiero del nostro io, contrapposto al Pensiero di Dio.

Paolo: Però in noi c’è anche la presenza di Dio, quindi è guardando a questa Presenza che si evita la tenebra.

Luigi: Se noi sottomettiamo il nostro io a Dio, ecco allora il nostro io viene trasformato in luce, perché il punto luce è Dio. Noi invece generalmente cosa facciamo? Noi mettiamo il nostro io come punto fisso di riferimento e poi sottomettiamo le cose al pensiero del nostro io. E allora naturalmente tutto diventa tenebra. Noi arriviamo a sottomettere anche il pensiero di Dio al nostro io: “sono io che penso Dio; sono io che faccio Dio”; e qui abbiamo una confusione eterna, da cui non usciamo più. Noi ci costruiamo un cerchio di soggettività che non possiamo più spezzare (infatti usciamo dalla nostra soggettività solo in quanto abbiamo un dato oggettivo tra noi). Quindi, se mettiamo il pensiero del nostro io come punto fisso di riferimento, come praticamente facciamo rapportando le cose al “mi piace o non mi piace”, ci chiudiamo in un cerchio di soggettività da cui non usciamo più.

Marco: Quindi l’io serve soltanto a conoscere Dio? Cioè Dio ce l’ha donato per questo?

Luigi: Certamente; l’io è la condizione essenziale, perché ad esempio un cane non può conoscere Dio. Noi possiamo essere dei cani. Quindi soltanto un essere cosciente può conoscere la Verità; però si richiede, proprio per questa consapevolezza, il superamento di se stesso. Il nostro io deve superarsi. Il nostro io è “l’albero della scienza del bene e del male” (Gen 2,17), posto al centro del giardino terrestre, di cui noi non dobbiamo mangiare i frutti. Quindi c’è l’albero, c’è il nostro io, però non ci dobbiamo nutrire di questo. Noi ci dobbiamo nutrire dei frutti di Dio, non del nostro io.

Pinuccia B.: Mangiamo i frutti del nostro io quando facciamo partire le cose dal nostro io.

Luigi: Certo, “l’albero della conoscenza del bene e del male” è una cosa buona, infatti il pensiero del nostro io è una cosa buona, perché è una creatura di Dio, ma come creatura di Dio tu lo devi sottomettere a Dio, quindi non devi nutrirti di esso. Tutte le creature sono per la vita, ma non debbono essere la nostra vita: mangiare il frutto vuol dire farlo mia vita. Quindi tu non devi vivere per il tuo io, come non devi vivere per gli altri io, perché altrimenti vivresti per ciò che ti è dato come mezzo per condurti al Fine.

Comunque, al centro del Paradiso Terrestre c’è il pensiero del nostro io; fintanto che noi non superiamo il pensiero del nostro io, non c’è niente da fare: noi ci chiudiamo in un cerchio di soggettivismo da cui nessuno può distoglierci; entrerà poi il Cristo, perché soltanto Cristo può spezzare questo cerchio di soggettivismo, lasciandosi uccidere. Quindi nessuno di noi può spezzare questo cerchio, nessuno, perché noi diventiamo “figli delle nostre opere” (cf Gv 8,34); e quando le nostre opere sono del pensiero del nostro io, ne diventiamo schiavi.

Ida: Hai detto che noi non possiamo uscire dal nostro cerchio di soggettivismo se Cristo non entra in esso. Lui muore per tutti, ma risorge…

Luigi: …non più per tutti.

Pinuccia B.: Cristo risorge per chi, comprendendone la Morte, muore a se stesso e lo segue.

Luigi: Infatti Cristo risorto non si presenta più ai Farisei, ecc.; questi esperimentano la tomba vuota e basta. E noi, tutti quanti, esperimentiamo la tomba vuota, perché ad un certo momento tutte le creature diventano una tomba vuota, perché Cristo è passato, il Verbo è passato. Quindi il Verbo ha parlato, perché il Verbo parla in tutto, ma arriva un certo momento in cui, proprio per effetto del nostro io, in tutte le creature noi troviamo delle tombe vuote. Quindi nel pensiero del nostro io, l’unica cosa che possiamo esperimentare è la tomba vuota; è per questo che dico che non possiamo smentire la risurrezione: la tomba è vuota, non c’è il cadavere.

È per questo che i discepoli di Emmaus sconsolati dicono: “Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma Lui non L’hanno visto (Lc 24,24). Chi convince è Lui, è la Presenza. Fintanto che non troviamo la presenza, non basta la tomba vuota.

 

Flavio: Quando si è fedeli ad una luce che arriva, si incomincia a vivere.

Luigi: Certo, il problema della vita è un problema di fedeltà.

Flavio: “La luce splende…” e se aderisco ad essa, vivo; però nell’attimo in cui non sono più fedele a questa luce io esperimento di nuovo la morte; quindi ho una morte e una piccola risurrezione già adesso. Ecco, hai detto che la morte a noi stessi è rinascere coscientemente in Cristo; allora noi non siamo coscienti di vivere nell’attimo in cui siamo fedeli ad una luce, se subito dopo…; cioè non siamo ancora in una cosa costante.

Luigi: In quanto sono fedele è perché c’è una costante. La fedeltà è costante.

Flavio: …però poi casco di nuovo.

Luigi: Ah beh, allora lì esperimenti la morte. È come quando uno ama una persona e poi esperimenta la rottura: esperimenta una morte: “prima c’era armonia, adesso invece…”. E così è lo stesso; è un rapporto d’amore fondato su questa giustizia. Dio devi metterlo al centro; se tu metti Dio al centro, ti accorgi che c’è sintonia, che c’è armonia…; poi naturalmente basta un pensiero, basta una parola detta non secondo il suo Spirito ed esperimenti già la divisione, perché è un’ infedeltà.

Ecco, siccome noi diventiamo figli delle nostre opere, diventiamo figli anche delle parole inutili che abbiamo detto: Vi sarà chiesto conto di ogni parola inutile che avrete detto (Mt 12,36); ma non perché Dio stia lì a misurare le nostre parole, ma perché dicendo parole inutili, cioè in quanto facciamo partire da noi cose non secondo l’Amore di Dio, creiamo delle fratture. E tutto questo crea una disarmonia in noi che ricade su di noi, e si crea questa distanza. Dio non è mai distante da noi, anche nel peccato più grosso, più grave, Dio è sempre vicino a noi, perché Dio non muta, Dio non cambia di luogo. Sono le nostre colpe, i nostri peccati che creano le distanze tra noi e Dio (cf Is 59,2). Lui è vicinissimo, eppure noi siamo distanti. Infatti nella distanza noi esperimentiamo la morte; la morte è una distanza; la morte non è annullamento.

Flavio: La morte a noi stessi non per forza deve coincidere con la morte fisica!?

Luigi: No, per carità, la morte fisica è soltanto un segno.

Flavio: Se una persona muore a se stessa, poi non esperimenta più questo ritornare…

Luigi: Sia chiaro: morire a noi stessi vuole dire superarci, non fermarci ai nostri sentimenti, alle nostre impressioni, a quello che sappiamo, e cercare sempre il Pensiero di Dio; cioè questo morire a noi stessi vuol dire andare oltre il pensiero del nostro io, o a quello che esperimenta il pensiero del nostro io, per cercare il Pensiero di Dio. In quanto ti si presenta un fatto, un segno, una parola, tu sai che in tutto c’è sempre la mano di Dio, cerca allora sempre il Pensiero di Dio. Quindi “non giudicare” (Mt 7,1) secondo quello che tu sai, ma cerca in tutto il Pensiero di Dio (cf Gv 7,24). Ecco, la vita sta proprio in questa verticalità: bisogna partire sempre dal dato che Dio ti fa arrivare; quindi se anche ti arriva un bambino, guarda che quel bambino è Dio che te lo manda, cerca il Pensiero di Dio; cercalo in tutto: quindi un ubriacone non disprezzarlo, perché c’è la mano di Dio, c’è una lezione di Dio per te; un giorno capirai che magari Dio ha vestito un angelo da ubriacone per darti una lezione. Se tu magari lo hai disprezzato dicendo: “è solo un ubriacone” , ti verrà detto: “NO! c’era l’opera di Dio in quell’uomo”. Quindi cerca sempre in tutto il Pensiero di Dio. L’opera essenziale è questa. È questo il superamento del pensiero del nostro io, questo morire a noi stessi: che è poi il non nutrirsi più dei frutti del pensiero del nostro io.

Don Giuseppe: L’ubriacone è come il lebbroso per S. Francesco: è come una personificazione di Dio e l’ha fatto superare, l’ha fatto morire a se stesso…

Luigi: Certamente, in tutte le cose c’è una lezione personale, perché Dio ci tratta personalmente. Dio non ci tratta come massa, come umanità, Dio ci chiama per nome. Dio ci tratta personalmente, quindi in tutte le cose c’è una lezione, una parola di Dio per me, personale. E quindi dobbiamo sempre cercare: “Signore, che cosa mi vuoi dire attraverso questa persona? Qual è il tuo Pensiero in questo avvenimento?”: questo è il superamento del pensiero del nostro io. Se invece io penso a me stesso dico: “questo qui è uno stupido; quest’altro è un ignorantone, quello è un cafone; lui è un bambino, un ladro, ecc.”: ecco, classifico, giudico; mentre il Signore dice: “tu non giudicare” , non puoi giudicare. E se il Signore dice di non giudicare, noi non dobbiamo giudicare, ma dobbiamo accogliere la lezione dalle mani di Dio. Non devi giudicare, perché giudicando tu escludi la lezione. In quanto Dio ti manda un ubriacone, e dici: “questo è un ubriacone”, giudichi, escludi la lezione di Dio; e un giorno ti dirà: “Io ti ho mandato quella lezione per salvarti, e tu perché non hai tenuto presente che ero Io?”. Ecco, in tutte le cose c’è Dio, tutto è creazione di Dio; siamo nella creazione di Dio, siamo in casa d’altri; rispetta dunque tutte le cose e cerca il pensiero del Padrone.

Amalia: “La luce splende nelle tenebre”, ci descrive la nostra realtà: noi siamo tenebre, ma in noi c’è la presenza di Dio che è Luce.

Luigi: Sì, la Luce, Dio, si annuncia nonostante noi, perché Dio si annuncia senza di noi, però non si fa conoscere senza di noi. Bisogna tenere molto presente questo: “Dio si annuncia a noi senza di noi, non si fa conoscere senza di noi”. Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te.

Piero: Volevo approfondire che cosa significa il “dedicarsi a-” (alla luce che splende nelle tenebre); a volte ci sembra di dedicarci a Dio se facciamo una cosa invece che un’altra; invece il dedicarci a- è proprio mettere a disposizione di Dio quel pensiero che Lui ci ha dato.

Luigi: Ecco, dedicarci a Dio vuol dire offrire il nostro pensiero, per cercare il Pensiero di Dio; puoi cercare il Pensiero di Dio andando in macchina, come invece puoi fare magari deserto una settimana e pensare tutto il tempo a te stesso.

Piero: La qualità del rapporto sta nel pensare Lui. Poi sarà Lui attraverso il pensiero a cambiarti le situazioni esterne.

Marco: Se le deve cambiare…

Flavio: Qual è la differenza tra l’intuizione e la luce? Cioè, la luce che mi arriva non è intuizione, però, perché…?

Luigi: C’è una luce che splende nelle tenebre, e questa è intuizione, è l’annuncio, la parola che arriva a noi che non possiamo smentire. Infatti se incontri una persona che ti fa una domanda, tu non conosci quella persona, però non puoi smentire, e non puoi dire: “non è vero, io non ho incontrato quella persona”; perché la verità è questa: non so chi è quella persona, però so di averla incontrata e che mi ha chiesto la via per andare a-. Quindi se poi dopo ti interessi di quella persona, ad un certo momento arrivi a capire chi è quella persona; ma ci vuole la dedizione da parte tua. E allora arrivi alla luce. Ma prima hai ricevuto l’annuncio e in questo annuncio c’è un’intuizione, un’intuizione che non puoi smentire. Quindi, l’intuizione c’è quando tu non puoi smentire una cosa; la luce c’è quando la conosci. Si passa dall’intuizione alla luce attraverso la dedizione.

Pinuccia B.: “La Luce splende nelle tenebre..”, Flavio ha detto che le tenebre non esistono di per sé, ma esistono solo in noi. Però non è che già noi stessi siamo tenebre?

Flavio: L’ho detto nel senso che noi proiettando il nostro io su tutto facciamo le tenebre, perché le cose in sé sono nella luce. Quindi per questo dicevo che le tenebre sono in noi.

Luigi: Sì, le tenebre sono in noi.

Pinuccia B.: Però la creatura nasce tenebra, perché siamo dei ciechi nati. Tenebra vuol dire non conoscenza.

Luigi: La luce è Dio, noi non siamo Dio, quindi…; però siamo chiamati alla Luce, infatti noi abbiamo sete di luce. E se c’è una cosa che maggiormente offende l’uomo è la menzogna; perché l’uomo è offeso dalla menzogna? Evidentemente perché è fatto per la luce; però lui non è la luce. Quindi il fatto che l’uomo si senta offeso se viene raggirato, è testimonianza che è fatto per la Verità.

Pinuccia B.: Però è una situazione normale e non una situazione di colpa l’essere tenebra. Il peccato viene dopo, quando la tenebra non accoglie la luce; cioè essendo cieco tu dici di vedere (cf Gv 9,41), come dice Gesù, e allora diventa una tenebra peccaminosa (vedi dispensa n°1179 “L’inceneritore”).

Luigi: E allora qui abbiamo l’io che si nutre di se stesso e che dice: “io so”. “No, tu non sai!”. Il punto fondamentale dell’uomo, la sua vera dimensione è questa: l’uomo non sa; la sua luce è presso Dio.

È Dio la nostra intelligenza, è Dio la nostra luce, per cui dobbiamo in continuazione, sempre rivolgerci a Dio, interrogare Dio; “Se tu hai bisogno di Luce – dice S. Giacomo – cercala presso il Padre, il quale la dà abbondantemente senza rimproverare” (cf Gc 1,5). Ecco, bisogna cercare presso il Padre.

Pinuccia B.: Quindi l’essere tenebra non è peccato, il non riconoscerci tenebra, cioè il rifiutare la luce allora diventa peccato.

Luigi: Peccato è affermarci noi luce.

Pinuccia B.: Infatti Gesù dice: “Se foste ciechi non avreste colpa, ma essendo ciechi e dite di vedere la colpa rimane” (Gv 9,41).

Alcuni pensieri conclusivi:

Silvana: Siamo stati creati per conoscere Dio, per cui siamo tenebre, ma siamo fatti per la luce.

Marco: Io non so se è vero, ma mi sono accorto che ci sono dei periodi in cui mi è più facile essere vicino al Signore, e degli altri periodi che mi è più difficile; allora penso che sia bene usare quelli in cui sono facilitato e mordere di più negli altri.

Flavio: Per poter concepire in noi la vita, per vivere, è necessario dare la risposta che ha dato Maria all’Angelo: “Si faccia di Me secondo la tua Parola”(Lc 1,38).

Luigi: Certo, chi ci fa concepire è la Parola di Dio, perché noi da soli non concepiamo un bel niente, siamo sterili da soli. Noi per concepire abbiamo sempre bisogno dell’Altro, cioè chi ci fa concepire è la Parola di Dio. È la Parola di Dio che feconda, ma solo se noi ci rendiamo disponibili.

Flavio: Maria è stata fecondata dallo Spirito Santo e non dalla Parola…

Luigi: No, è stata fecondata dalla Parola di Dio. Maria ha concepito per mezzo della Parola di Dio.

Nino: L’uomo prima di incontrare Cristo è sempre tenebra; può essere bisogno di luce e accoglierla o può rifiutare la luce.

Paolo: Bisogna dedicarsi al vero Fine, che è conoscere Lui.

Don Giuseppe: La luce continua a splendere tutti i giorni, ma tutti i giorni ho la possibilità di chiudere le imposte a questa luce .

Amalia: La vita è Dio.

Piero: Si entra nel Regno di Dio amando Dio, cercando la luce di Dio, e non con le leggi; bisogna rispettare le leggi con amore e non per dovere.

Luigi: Certo, altrimenti diventa recitazione; si possono recitare tutti i comandamenti, ma ciò non ci salverebbe.

Pinuccia B.: È meraviglioso sapere che la nostra vita sta nel conoscere Dio, perché questo è avere un orientamento.

Luigi: Sarà difficile, tutto quello che si vuole però sai dove andare.

Pinuccia B.: La luce che splende nelle tenebre è questo orientamento e il sapere dove si vuole andare è già inizio di vita, un punto di luce che ci aiuta nei momenti di scelta, di dubbi, ecc.

Luigi: Certo.

Sabato 11.02.1989

 

Tiziana: Il problema grosso per noi è quello di riuscire a capire che siamo tenebre.

Luigi: E sì, purtroppo noi ci crediamo luce; noi ci specchiamo e poi diciamo: “guarda come sono luminoso”.

Tiziana: “La luce splende nelle tenebre”, ma noi non abbiamo consapevolezza di essere tenebra; pensiamo di avere in noi la luce.

Luigi: Certo, dobbiamo convincerci che il Principio della luce, chi illumina è Dio; e fintanto che noi non colleghiamo le cose con Dio, dobbiamo convincerci che non capiamo, cioè dobbiamo dire: “non capisco”. Altrimenti noi siamo sempre lì che sentenziamo, che giudichiamo, che vogliamo.… È lì l’errore, perché Gesù dice: “Se foste ciechi non sareste in colpa”, quindi essere ciechi non è colpa. Quando io dico: “non capisco”, non sono in colpa. Sono in colpa quando non capisco e dico: capisco. Allora lì c’è la colpa, perché altero la Verità, non rispetto la Verità. Ecco, la Luce nostra è Dio, ma se la Luce è Dio, dobbiamo cercare tutte le cose in Dio: lì troveremo la luce. Dio non ci ha creato ciechi dicendoci “resterete ciechi”. NO! Dio ci ha creati ciechi, dandoci però la possibilità di giungere a vedere. E come quando ci manda la malattia e poi ci dice: “ecco la medicina”; quindi ci crea ciechi e poi ci dice: “ecco la luce”; mentre ci dice: “sei cieco”, ci dice anche : “Io sono la tua luce” (cf Gv 8,12), e ci dà la possibilità. Ma l’importante che noi alziamo il pensiero sotto lo stimolo della Parola che ci dice: “Io sono la tua Luce”, cioè dobbiamo alzare il nostro pensiero dal nostro io a Dio.

Angelo: Nel versetto 5 il Signore mi ha fatto capire che la sua luce risplende nel nostro io che non accoglie la sua luce.

Luigi: Ma in quanto risplende ci dà la possibilità di accoglierla. Non devi dire che la luce di Dio risplende nel nostro io che non accoglie…, ma devi dire che la Luce di Dio risplende nel nostro io per dare la possibilità di accoglierla. Se uno ti invita a pranzo, ti dà la possibilità di andare a pranzo, ma tu non dire: “quello mi ha invitato a pranzo perché io non accolga l’invito”; se ti ha invitato è per darti la possibilità di andare a pranzo. Però, se ti dà la possibilità, tu puoi anche dire “no”; soltanto che dicendo “no” tu diventi responsabile. Però chi ti ha fatto l’invito, se è sincero, ti ha invitato ad andare a pranzo. Così è lo stesso: la luce in quanto arriva a noi ci invita a pensare Dio, a conoscere Dio; è una proposta, quindi ci dà la possibilità.

Silvana: Questa “luce che risplende nelle tenebre”, quando giunge come annuncio è già una luce che…

Luigi: Tu guarda il filo d’erba: il filo d’erba risplende; tutto è luce, tutta la creazione è tutta luce; e cosa ci dice?

“Io non mi sono fatto da solo, non mi hai fatto tu, mi ha fatto un Altro”: ecco la luce! Quindi ti invita; tutte le creature ti dicono (e questo è luce): “noi non ci siamo fatte da sole, non ci hai fatte tu”. Noi però possiamo anche illuderci e dire: “ti ho fatto io”, però tutta la creazione risponde: “no! non ci hai fatto tu, ci ha fatto un Altro”, e dicendoci questo ci segnala quest’Altro: ecco la luce! Certo, noi possiamo dire: “ma io oggi ho da fare”: ecco il rifiuto!

Franca: “E la luce risplende nelle tenebre”; questa sua Parola è una certezza: la sua Parola che è Luce giunge ovunque.

Luigi: Certo, Dio parla in tutto, tutto è parola di Dio; io non posso ignorarla. Non posso ignorarla perché se scappo da una cosa trovo l’altra, ma l’altra è anche parola di Dio; scappo da quest’altra e vado da un'altra ancora, ma anche questa è parola di Dio…; tutto è parola di Dio.

Franca: La luce non risplende solo per alcuni, ma per tutti.

Luigi: Dio non fa preferenze di persone, quindi a tutti dà la possibilità della Vita Vera.

Rita: O l’accolgo o non l’accolgo; la luce non è che venga: già c’è nelle tenebre! Dobbiamo soltanto scoprire e accogliere questa luce che è già in noi. Quindi l’accoglierla dipende da noi nel senso che se non la desideriamo, non la cerchiamo, ma la ignoriamo, è scontato che continuerà ad esserci la tenebra. Ma se Dio ci fa crescere in questo desiderio di luce, in questo desiderio di Lui, di conoscenza, di vita, ci dà anche la possibilità di ricevere questa luce.

Pinuccia B.: “La Luce splende nelle tenebre”: questa Luce posso intenderla come il Pensiero di Dio che Dio ha posto in me; perché poi nel versetto 8 dice: “La luce vera è quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo”, quindi questa luce ce l’abbiamo tutti.

Luigi: Se splende nelle tenebre vuol dire che è già in noi.

Pinuccia B.: Quindi abbiamo tutti la possibilità di pensare Dio.

Luigi: Dio è l’Essere che nessuno può ignorare, nessuno; puoi chiamarlo Dio, Allah, Javhè, come tu vuoi, però la sostanza è una sola: Dio è Colui che nessuno può ignorare. E se nessuno può ignorarlo vuol dire che la luce risplende nelle tenebre. Adesso bisogna vedere come tu rispondi a questa luce che risplende nelle tenebre.

La luce nelle tenebre (Gv 1,5)

L'uomo è immerso in una notte spirituale: ciò che vede non lo soddisfa; ciò che non vede non riesce a capirlo. Di fronte a questa realtà in cui nasce e vive, a questo universo stupendo, immenso e sconvolgente, ogni uomo si interroga, ma non sa rispondere. Si chiede che cosa è questa immensità che lo sovrasta e questa sua piccolezza affidata a forze immani e in balìa delle cose più banali; per cui, mentre nel suo orgoglio si proclama padrone di se stesso e del suo destino, libero da ogni volontà altrui, un soffio lo può portare via, un microbo lo può cancellare dalla faccia della terra, un granello di sabbia lo può far urlare di dolore.

Ogni uomo si interroga e si chiede che cosa è questo tempo che passa, queste cose che passano, questo quotidiano nascere e morire, e questo penare, questo amare, questo lottare, questo costruire e questo distruggere.

Ogni uomo si interroga, ma non si risponde: non ha la possibilità di rispondere alle domande che egli stesso pone. Ha la possibilità di staccare una foglia da un albero, ma non ha la possibilità di riattaccarla.

Perché può interrogare, ma non può rispondere alle sue interrogazioni? Perché formula problemi che non sa risolvere? Perché in lui vi sono le domande, ma non le risposte? Che significato ha questo? È la notte dell’uomo, di ogni uomo.

In quanto interroga è un'esigenza di risposta. Egli interroga perché è fatto per ascoltare una risposta. Ma da chi?

Ogni uomo ha la sua notte e porta in giro il suo smarrimento. L'uomo è fatto per ascoltare non parole di uomini, che in vari modi altro non possono fare che riproporre le sue stesse domande, porre i suoi stessi problemi, ripetere, rinnovare le sue stesse interrogazioni. Negli altri l'uomo non può far altro che ritrovare se stesso. Tutte le creature sono specchi in cui l’uomo vede riflesso il suo volto, sono eco che ripete la voce, le sue interrogazioni. Non ci sono, e non ci possono essere, parole di uomini che rispondano ai veri problemi dell'uomo.

Non c'è ideologia, non c'è parola che possa dare luce all'anima: piuttosto la mortifica e la offende.

Non c'è uomo che possa far uscire l'uomo dalla sua solitudine. Quindi non c'è società che possa rispondere ai veri bisogni dell'uomo: il futuro dell'uomo non è né nella società né nelle ideologie.

L’uomo non è fatto per essere solo, e non è fatto per essere con altri uomini. L'uomo è fatto per essere con chi può rispondere alle sue domande, alle sue interrogazioni.

Solo Colui che ha fatto l’uomo e gli ha posto nell'anima le interrogazioni più grandi di lui può rispondere alle sue interrogazioni. Solo Chi l’ha ferito lo può curare e guarire. E poiché le interrogazioni dell'uomo riguardano l'Assoluto, solo l’Assoluto può rispondere.

L'uomo è fatto per prendere contatto personale con Dio, per essere con Dio e per ascoltare le parole di Dio. "Solo l'incontro con Dio realizza completamente l'uomo", scrive Von Balthasar.

Tutta l'opera di Dio nel nostro mondo, nella vita di ogni uomo, nella storia, avviene per farci alzare gli occhi verso di Lui, verso Chi, solo, può rispondere alle nostre interrogazioni. Tutta l'opera di Dio è informazione per noi.

L'universo, il tempo, la vita, gli avvenimenti grandi e piccoli di ogni giorno, il tanto amore e la tanta mancanza di amore nel mondo, ci introducono a Dio. A quel Dio che è invisibile alla natura umana. Invisibile, ma non per questo meno vero e presente.

Non esiste soltanto ciò che l'uomo vede; esiste anche, e soprattutto ciò che l'uomo non vede, poiché l'esistenza delle cose non dipende dall'uomo. Se dipendesse dall’uomo, questi non avrebbe problemi. Non è l'uomo con i suoi occhi, il metro di esistenza delle cose e sarebbe ben stolto l'uomo che dicesse: esiste solo ciò che io vedo e tocco. Come dicesse: esiste solo ciò che io dico che esiste.

No, esiste anche ciò che l'uomo non dice o non vede se esista. La Verità non dipende dall’uomo e non ha bisogno degli uomini per esistere.

Se nessuno vede Dio, non è perché Dio non sia: è perché occorrono altri occhi, soprattutto occhi che non facciano dipendere dall’uomo ciò che vedono. Ciò che non dipende dall’uomo è invisibile alla natura umana.

Tutto quanto è visibile alla natura umana ha l'uomo come suo centro e vertice. Ma l'uomo non è il centro e il vertice di Dio, bensì Dio è il centro e vertice dell'uomo.

Per questo, Dio non è visibile all'uomo, ma l'uomo è visibile a Dio. E poiché Dio è invisibile alla natura umana, l'uomo si trova in un mondo di segni: segni di Dio e della sua Verità, della sua Presenza e della sua venuta. La notte dell'uomo è costellata di luci.

(I – 21.07.1976)

Dio non è visibile naturalmente all’uomo perché trascende l'uomo. Dio non è visibile, ma fa giungere i suoi annunci all'uomo, che lo sollecitano ad alzare gli occhi verso Colui che ancora non si vede.

L'universo apre davanti ai nostri occhi uno spazio immenso di novità, di bellezza, di verità, di vita: segni tutti di Dio per noi, parole sue per noi.

Tutto è opera di Dio; tutto è segno di Dio, annuncio, rivelazione di Dio. Tutto ci conduce e riconduce ogni giorno al Pensiero di Dio: non c'è luogo né in alto né in basso, né in superficie né in profondità; non c'è tempo, non c'è creatura, non c'è uomo, né fatto, né parola di uomo, che non sia testimonianza, segno della Verità di Dio. Il suo Regno abbraccia l'universo.

Dobbiamo convincerci che non siamo noi a fare il Regno di Dio; piuttosto siamo chiamati ad ammirare il Regno di Dio che è attorno a noi, in mezzo a noi e dentro di noi. Non siamo noi che portiamo Dio, ma è Dio che porta noi a scoprire la sua Verità, la sua Presenza.

Tutte le opere, i fatti, i giorni, i fatti di ogni giorno, ci ripropongono costantemente e pazientemente la Verità di Dio affinché alziamo a Lui i nostri occhi. Tutto ci invita a sostare dal nostro pazzo correre per guadagnare cose che non danno vita, a liberarci dalle nostre preoccupazioni ed a trovare il tempo per guardare, per meditare, per intendere la Presenza di Colui che parla in tutto.

Tutto è parola di Dio. Le parole ci raccolgono in un pensiero: ce lo annunciano, ce lo rivelano. Le Parole di Dio ci raccolgono alla presenza di Dio da tutti i nostri luoghi, poiché la parola di Dio giunge ovunque e penetra ogni notte dell’uomo, ogni suo pensiero, ogni suo desiderio.

Dio parla in tutto e pertanto attraverso tutto ci propone la sua Verità, ci rivela la sua Presenza, ci dice: ecco, sono Io che ti parlo.

La nostra conversazione è nei cieli con Dio, sempre ed ovunque, anche se non lo sappiamo. Per quanto corriamo siamo sempre fermi davanti a Lui.

Gli uomini non potrebbero, non saprebbero pensare Dio che non conoscono se Dio stesso non si facesse pensare, non si comunicasse loro. Nessun uomo potrebbe parlare di Dio ad un altro uomo se Dio non fosse già in mezzo a loro. Se nel nostro mondo si parla di Dio, se gli uomini tra loro parlano di Dio, fosse anche per negarlo o per rifiutargli la loro fede e il loro amore, è perché Dio è già in mezzo a loro, è perché Dio per primo ha parlato loro di Sé. Non si può comunicare niente a chi ha niente dentro di sé. Nel vuoto nessuna comunicazione è possibile.

È Dio che si fa pensare dagli uomini; è Dio che si fa parlare dagli uomini. È Lui il Creatore. È Lui che governa e sostiene ogni cosa. È Lui che conduce ogni cosa al suo fine e pilota le interrogazioni dell'uomo fino a condurle al luogo delle loro risposte. È Lui che parla in tutto e in tutti. “Uno solo è Dio, Padre di tutti. Egli è al disopra di tutti; agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti”, scriveva S. Paolo nella sua lettera agli abitanti di Efeso.

Dio attraverso tutte le sue opere e i giorni della nostra vita, ci convoca tutti alla sua Presenza affinché possiamo udire da Lui la risposta alle nostre interrogazioni, la soluzione dei nostri problemi. È Lui infatti che forma i problemi ed è Lui che risponde ad essi. Tutto Egli fa per insegnarci a vivere con Lui ed in Lui, nel regno della sua Verità. È Dio infatti il vero Maestro dell'uomo: se Dio non parlasse, gli uomini non potrebbero comunicare assolutamente nulla tra loro. È nella informazione di Dio all'uomo che gli uomini comunicano tra loro.

Dio forma negli uomini i problemi e gli uomini comunicano tra loro i problemi. Ma se Dio non risponde, nessun uomo può rispondere. È Dio che forma la notte ed è Dio che la illumina. L'uomo non ha la possibilità di illuminare le sue notti spirituali.

Dio forma i problemi e Dio risponde ad essi, ma risponde solo quando l’uomo si è convinto che solo Dio può rispondere. Così Dio forma nel cuore degli uomini le domande alle quali Egli solo può rispondere affinché ogni uomo si rivolga a Lui e sia istruito da Lui, realizzando in sé il tempo predetto dai profeti: “Saranno tutti istruiti da Dio” (Gv 6,45). Per questo Gesù dice: “Domandate e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7). E ancora: “viene dato a chi domanda; trova chi cerca; viene aperto a chi bussa” (Mt 7,8). Il che significa anche: niente viene dato a chi non domanda; niente trova chi non cerca, e nessuno apre a chi non bussa.

Siamo tutti chiamati da Dio, convocati ad essere allievi alla sua scuola, partecipi delle sue lezioni e della sua vita, perché Dio forma gli allievi e Dio si fa Maestro dei suoi allievi; Dio forma gli orecchi in grado di ascoltare le sue parole e Dio parla agli orecchi che ha formato; Dio crea il terreno capace di accogliere il seme e Dio getta il seme nel terreno che ha creato; Dio semina la sua fame nel mondo e Dio si fa pane per la fame che Egli stesso ha suscitato: affinché tutti sappiano che da Lui e in Lui possono trovare il terreno e il seme, la fame e il pane, l’orecchio e Colui che parla ad esso.

(II – 28.07.1976)

Dio vuole che tutti si salvino, Lo conoscano e vivano liberi nella Verità. Egli vuole liberare l'uomo, ogni uomo, dalla paura in cui l'immaturità lo tiene schiavo del denaro, della figura, del mondo. Lo vuole libero: libero di pensare, di amare, di vivere. "Siete chiamati a libertà; non rendetevi schiavi", annunciano tutti i suoi messaggi.

Attraverso tutte le cose e tutti i fatti, Egli ci istruisce sul cammino della vera vita; ogni giorno ci dà le sue lezioni per insegnarci a cercarlo ed a conoscerlo. Ha fatto e fa di tutte le cose una strada per i nostri passi; per cui ogni giorno può essere un passo verso la conoscenza della Verità e la nostra liberazione: se però guardiamo a Lui, perché non dobbiamo cercare l'approvazione degli altri, ma di Dio. È il problema posto ad ogni uomo.

Solo se riusciremo a trovare la nostra vita nello Spirito di Dio, troveremo anche la nostra libertà nel mondo.

Abbiamo troppo trascurato Dio; L'abbiamo tanto allontanato dalla nostra vita da renderlo un assente, un estraneo. È un errore, perché Egli è il più presente di tutti coloro che ci sono presenti, è il più intimo di tutti coloro che ci sono intimi; è tutto per noi.

Tutte le cose vengono per annunciarci e per rivelarci questo tutto di Dio, e quindi per aiutare anche noi ad inserirci nella vita.

Dio ha fatto e fa ogni cosa affinché la Luce splenda nella notte di ogni uomo e ogni uomo abbia la possibilità, che è grazia di Dio, di riconoscere ciò che più vale e che va messo prima di tutto: alto nella nostra notte per illuminarla. È per tutta questa opera di Dio che l'uomo giunge a capire l'esistenza di Colui che ancora non vede e a desiderare di conoscerlo. Nella nostra notte Dio ci fa capire l'importanza per la nostra vita di cercarlo e di conoscerlo.

È per l'opera di Dio che l'uomo giunge ad amare ciò che non passa, ciò che potrà contemplare sempre ed ovunque. Infatti la stessa parola di Dio ammonisce ogni uomo: "Non vivete per le cose che si vedono, ma cercate quelle che non si vedono: in esse è la vostra vita".

Così per l'opera di Dio si forma la notte nell'uomo, e per l'opera di Dio si forma la luce che illumina tale notte.

Dio operando forma nell'uomo il bisogno della Verità; per cui l'uomo sente il problema del significato delle cose e interroga.

Chi interroga incomincia ad avanzare verso la risposta. L'interrogazione è la notte; la risposta è la luce. Ma sia l’interrogazione, sia la luce, è Dio che le forma nell'uomo.

Quando l'uomo interroga Dio, il mondo incomincia a prendere significato: si illumina. Incomincia a diventare umano e l'uomo scopre di essere conosciuto.

Il mondo diventa umano nella misura in cui significa qualcosa; ma significa qualcosa nella misura in cui l'uomo interroga Dio. L'uomo interroga Dio nella misura in cui crede in Dio.

Il mondo senza Dio è necessariamente un mondo senza senso, cioè senza significato. Allora l'uomo si sente estraneo, ignorato dall'universo e nell'universo. Allora vede tutto come opera del caso: necessariamente. Ma anche questo è tutta opera di Dio. È Dio che forma la notte dell'uomo, ed è Dio che la illumina.

Dio forma nell'uomo l'orecchio capace di ascoltare le sue Parole e l'occhio capace di vedere il suo Volto. Ma l'orecchio da solo non può udire, e l'occhio da solo non può vedere: da soli sono immersi nel deserto della notte. Per questo ci sono uomini, e sono la maggior parte, che "hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non intendono" (Mt 13,13), come dice Gesù.

L’occhio dell’uomo da solo non vede: ha bisogno della luce. L’orecchio dell’uomo da solo non intende: ha bisogno di credere.

Per intendere le parole di Dio bisogna credere in Dio: "Chi è da Dio ascolta la parola di Dio"(Gv 8,47). Chi non crede in Dio, non ha orecchi per intendere le parole di Dio.

Se poi l'uomo ascolta la Parola di Dio, il suo occhio ha la luce per vedere il Volto di Dio. Luce che illumina la notte dell'uomo è la Parola di Dio: il Verbo. Nessuno può vedere il Volto di Dio se non per mezzo del Verbo di Dio. Questo accade affinché l'uomo sappia che tutto ciò che ha, lo ha ricevuto da Dio e che tutto ciò che può avere lo riceve solo da Dio.

Da Dio l'uomo ha ricevuto l'orecchio per intendere, ma è solo con Dio che può intendere con il suo orecchio. Così pure: da Dio ha ricevuto l'occhio per vedere, ma è solo con Dio che può vedere con il suo occhio. Altrimenti l'orecchio sente, ma non intende; l'occhio guarda, ma non vede. Senza Dio non si intende ciò che si vede, né ciò che si ascolta. Manca il significato. Tutto ciò che noi udiamo senza Dio, è rumore; tutto ciò che guardiamo senza Dio, è apparenza.

Quando non capiamo il significato di una cosa, siamo nella notte: per farci uscire dalla quale non bastano i nostri orecchi, né i nostri occhi.

(III – 25.08.1976)

L'uomo è nella notte: per uscire dalla quale non gli bastano gli occhi, né gli orecchi.

L'uomo è tenebre. Ma nelle sue tenebre egli porta già la testimonianza della Luce: egli porta con sé qualcosa più grande di sé e sente il peso della sua notte, sente il peso della relatività e della vanità delle cose e di tutto ciò che passa.

L'uomo è una notte che invoca l'alba. E non potrebbe invocarla se non gli fosse già in qualche modo presente. Sentire il bisogno di qualcosa è testimonianza di questo qualcosa.

Non c’è nulla che l'uomo desideri ardentemente come la Verità; e non c'è nulla che lo offenda tanto come la menzogna. Il cuore dell'uomo vuole riposarsi nella Verità; è esigenza, fame, bisogno della Verità e della Verità assoluta. Egli porta in giro la testimonianza viva che la Verità esiste. “Voi stessi dite che io sono” (Lc 22,70), dice Dio.

Ogni uomo è sede di un mistero profondo che non può in alcun modo nascondere. Lo rivela, lo annuncia, lo grida in ogni suo comportamento ed in ogni sua Parola.

Nella loro notte gli uomini non conoscono, non vedono Dio: “nessuno mai ha veduto Dio” (Gv 1,18); pure tutti hanno bisogno di conoscere Dio, di vedere la sua Verità, di scoprire la sua Presenza, di entrare in colloquio con Lui.

Tutti, anche coloro che vengono ritenuti lontani. Valga per tutti la voce di uno di loro: “Dirò il Tuo Nome, Signore, sedendo solitario tra le ombre dei miei pensieri; lo dirò senza parole, lo pronuncerò senza proposito, giacché io somiglio a un bimbo che chiama la madre cento volte, felice di poter dire: mamma!”.

L'uomo è un chiamato da Dio: l'informazione essenziale gli giunge su tutte le strade, in tutte le regioni della terra. La Luce giunge ad ogni uomo poiché tutto è opera di Dio, tutto è rivelazione di Dio. Tutto è annuncio, parola di Dio; tutto è conversazione di Dio con ogni uomo.

La Luce giunge, chiama, ma non si concede. È come il vento: lo senti, ma non sai donde venga, né dove vada. Così è lo Spirito: lo senti, ma non lo possiedi, non sai che cosa sia. L'uomo è una terra spazzata in continuazione dal vento dello Spirito. Un vento che ci sospinge, ci trascina, ci conduce.

La Luce ci convoca alla sua Città. Le parole di Dio ci raccolgono alla presenza di Dio. Tutto ci conduce a pensare Dio. Da tutte le vie siamo continuamente ricondotti qui per ascoltare da Lui, se abbiamo orecchi per Lui, le parole che nessun altro può dirci.

Vi sono parole che Dio solo può dire. E sono le risposte ai nostri problemi principali. Nessuno può dirci donde veniamo, dove andiamo, o quale sia il senso della nostra esistenza, del nostro vivere, del nostro soffrire: nessuna scienza, nessuna tecnica, nessuna ideologia, nessuna filosofia. “Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).

Dio solo è rivelatore di Se stesso e della sua Verità. Ecco perché tutte le creature convergono su questo infinito mistero trascendente: vogliono conoscere qui il loro vero nome, trovare qui la loro identità, il vero loro significato. “Uno solo è il Maestro dell'uomo”, dice Gesù (Mt 23,10).

Non c'è nessuno che possa fare da vero maestro all'uomo, poiché ogni dono vero viene dal Padre. Non date dunque a nessuno il nome di Maestro, ma imparate ad interrogare in tutto il Maestro divino che è con voi e che abita in voi. “Saranno tutti istruiti da Dio”, dicono i Profeti (Is 54,13; Ger 31,33-34).

Siamo tutti nell'aula di Dio e siamo tutti chiamati da Dio ad essere suoi discepoli. È Dio che ci fa conoscere Dio; è Dio che rivela all’uomo il suo Volto. È nella sua Luce che vediamo la Luce.

Siamo essenzialmente destinati ad un rapporto personale con Dio. Senza Dio nulla possiamo veramente intendere dell'essenziale; senza di Lui nessun nostro problema può essere veramente risolto. L'uomo da solo non vede, e non può vedere la Verità. “Dove Io sono, voi non potete venire” (Gv 7,34), dice il Verbo di Dio che abita nel seno del Padre e contempla il Volto del Padre. “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo” (Lc 10,22). Pure, la luce di questo Volto splende su di noi, in noi. Dio è Uno che vive con noi, tra noi.

Bisogna che impariamo a vivere personalmente con Lui nell’ascolto della sua Verità e nel rispetto della sua Presenza in tutto.

La Verità chiama tutti, ma si concede soltanto a coloro che la mettono prima di tutto, al centro dei loro pensieri, come loro preoccupazione principale, loro amore. Questi sono coloro che accolgono la Luce.

In questa Luce interiore è la più ricca sorgente di ispirazione, il nutrimento più valido per la nostra vita, la fonte del significato più profondo della realtà. Il non vederla o il non consultarla trasforma l’uomo in una città deserta, arida, senza vita.

(IV – 01.09.1976)

La notte è il segno di Dio; la luce è il segno di Dio. La notte in cui ogni uomo si trova, la luce che ogni uomo sospira, sono il sigillo di Dio sull'uomo, testimonianze della sua Verità.

L'uomo porta in se stesso ciò che lo sorpassa infinitamente: un mistero che è presente e trascendente nello stesso tempo. Ed è qui la chiave di tutta la problematica umana e di ciò che più rende inquieto l'uomo.

Per questo mistero di trascendenza che porta in se stesso, l'uomo è incomprensibile a se stesso; e per questo mistero di presenza che l'uomo porta in se stesso egli sa che Dio esiste e lo sa in un modo che non può cancellarlo dalla sua mente, poiché l'autore in noi del pensiero di Dio è Dio stesso. “Brilla su di noi, o Dio, la luce del tuo Volto"(Sal 4,7).

Brilla su di noi la luce di Dio, tanto che Dio è Colui che nessuno può ignorare; eppure è ciò che più sfugge all'uomo; per cui già Fénelon scriveva: "Ciò che più manca agli uomini è la conoscenza di Dio".

È qui, in questa Presenza che sfugge ad ogni sperimentazione, ma di cui l'uomo non è senza esperienza, ciò che gli annuncia la Luce e gli permette di aprirsi a Dio. "Ecco, Io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, Io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con Me", dice Dio (Ap 3,20). È la voce che ogni uomo porta nella sua vita.

Ogni uomo esperimenta questo Essere che sta alla porta di ogni suo pensiero, di ogni sua parola, di ogni suo problema e che gli fa sentire il bisogno di uno spazio più grande di quello che offrono le parole e i pensieri degli uomini.

Il nostro spirito porta l'impronta di Dio: presente, in quanto bussa; inafferrabile, perché è alla porta e non entra in casa nostra se noi stessi non gli apriamo: "...ne odi la voce, ma non sai donde venga né dove vada" (Gv 3,8).

Non sai! È il travaglio, la pena, l'inquietudine di ogni uomo che non può guarire lontano da Dio, da questo Essere che bussa alla porta delle nostre case ogni giorno.

Il nostro tempo in modo particolare è travagliato dalla fame di Dio, da questa Presenza misteriosa che inquieta, chiama, sollecita, esorta per farci uscire dal posto di blocco in cui stiamo consumando tutta la nostra vita dietro le parole, i problemi, le promesse degli uomini: sempre più vane, sempre più inutili.

Abbiamo bisogno di ascoltare Dio: punti luminosi brillano nella notte dell'uomo, ma se Dio non pronunzia la sua Parola che fa luce sul nostro abisso di tenebre, le tenebre non cessano di regnarvi.

Abbiamo bisogno di ascoltare Dio per rinnovarci, per guarire, per liberarci, per soprattutto smontarci da tutto ciò che crediamo o pretendiamo di essere, da tutto ciò che la gente, la società, la politica, il denaro ci hanno fatto credere di essere. Tutti i nostri mezzi di comunicazione quando non comunicano l’essenziale diventano delle autopompe per il nostro io...

"Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre". È necessario ascoltare la sua Voce e aprire la nostra porta alla Luce che si annuncia e chiama.

La Luce che brilla nelle tenebre va ascoltata. Accogliere la Luce è incominciare ad ascoltare la Parola di Dio, a fermare la nostra attenzione su Dio, ad aprire a Lui i nostri cuori, le nostre anime, a colloquiare con Colui che è presente tra noi e in noi.

Dio è Uno che vive personalmente con noi. Bisogna imparare a vivere personalmente (ciò che conta non è quello che avviene in gruppo, ma quello che avviene personalmente) con Dio se si vuol restare nella Verità. La vita è qui. La Luce è qui. La vita è essenzialmente un’avventura spirituale, interiore, personale con Dio.

Dio si annuncia in tutto, bussa alla porta, ma si rivela soltanto attraverso l'ascolto delle sue Parole: "se qualcuno ascolta la mia voce". Per questo la Parola, il Verbo di Dio dice: "nessuno può venire al Padre se non per mezzo di Me" (Gv 14,6). La presenza di Dio è grazia di Dio, dono di Dio, pienezza di grazia diffusa tra noi e in noi dal Verbo di Dio fatto carne e che pertanto è alla nostra porta.

Ma per ascoltare la voce di Colui che bussa alla nostra porta bisogna far tacere tutti i rumori che abbiamo in casa, bisogna cioè far tacere il nostro mondo, superare il pensiero del nostro io, poiché è proprio questo che alza il volume di ciò che si dice nel mondo fino a farlo urlare nei nostri orecchi ed a metterci in totale balìa di esso. Così accade che se l'uomo è una testimonianza viva che la Luce splende nelle tenebre, accade anche che l'uomo è una testimonianza viva che Dio resiste ai superbi e li disperde dietro i pensieri del loro cuore. Passano, resi ubriachi dalle questioni del mondo, e consumano la loro vita in cose che valgono niente.

Bisogna uscire dalla Babilonia e camminare sulla strada di Dio: altrimenti la Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non hanno compreso; non hanno tenuto conto della informazione ricevuta.

(V – Fine 08.09.1976)

(articoli scritti e pubblicati su “La Fedeltà” da Luigi Bracco)



“La luce risplende tra le tenebre e le tenebre non la compresero ”   Gv 1 Vs 5 Secondo tema.


Titolo: La Luce rifiutata.


Argomenti: Riconoscere la propria cecità – Interesse per il Creatore o la creazione – La giustizia essenziale – Alterare i valori – Dare a Dio quello che è di Dio – La vera dimensione della creatura – Le utopie - La Luce rifiutata (articolo) -


26/settembre/1975 


Esposizione di Luigi Bracco (appunti):

 

“…le tenebre non la compresero”; comprenderla vuol dire metterla in alto, lasciarmi attrarre.

Qui comprendiamo cosa vuol dire fare la volontà di Dio : non darci da fare, ma seguire l’informazione ricevuta, cercare la vita dove mi è stata segnalata: “in Lui era la vita! E la vita era la luce degli uomini”: la vita sta cioè nella conoscenza di Dio.

Se non ascolto, se non cerco di conoscere, non faccio la volontà di Dio; invece faccio la volontà di Dio quando ricevo l’informazione e la seguo, quando cioè mi distacco da tutto ciò che non è vita per cercarla dove mi è stata segnalata, cioè se metto questa informazione in alto.

Pensieri tratti dagli incontri del Sabato: Sabato 17.01.1976 (appunti)

Le tenebre di per sé, possono e vogliono accogliere la luce.

E come mai non l’accolgono?

Le tenebre non accolgono la luce quando, essendo tenebre, affermano di non aver bisogno della luce, la rifiutano, ritenendosi esse stesse luce. Soltanto le tenebre che non si riconoscono tali rifiutano la luce. Infatti Gesù dice: “Non sono venuto per i giusti (per coloro che si ritengono tali), per coloro che vedono (che dicono di vedere…)” (Mc 2,17).

L’opposizione viene da due cose uguali: luce con luce (quando cioè uno si crede di essere luce): infatti Gesù fu rifiutato da coloro che si credevano giusti.

Le tenebre non sono male. Tutto l’universo, la creazione è “tenebre” : “le tenebre coprivano la faccia dell’abisso”  (Gen 1,2) questo fin dal primo giorno, quando ancora non c’era l’uomo e quindi non c’era il peccato. Nel secondo giorno Dio disse: “Sia fatta la luce”(Gen 1,3). È la Parola di Dio che illumina le tenebre.

Se le tenebre accolgono la luce, allora si trasformano in luce (la luce scatta dall’unione di due poli opposti), si illuminano, ma l’anima riconosce che questa illuminazione è opera di Dio.

Prima c’erano le tenebre (l’orecchio preparato), poi la luce. Finché la creatura si sa “tenebre”, invoca la luce, è onesta.

“La luce risplende nelle tenebre”: usa il presente perché la luce non ha cessato di risplendere: le tenebre sono opera di Dio. Se accolgono la luce, è la fame che scopre il pane, se non l’accolgono c’è il peccato.

Le tenebre accolgono la luce quando credono che Dio è il Creatore di tutto. Allora accolgono tutto da Lui; non solo accolgono, ma riportano tutto in Lui per cercarne il suo pensiero. Quindi non basta dire “grazie”. Il vero grazie è cercare di capire. E questo anche nella sofferenza. Si ringrazia autenticamente nella sofferenza quando si è convinti che la croce è un dono. Quindi non basta accettare, ma bisogna cercare di capire e poi ringraziare. Allora si arriva a capire questo Amore, ci si sente “pensato”: si capisce che questo dolore serve per ristabilire l’amicizia (infranta, per esempio, da colpe precedenti, come nel caso dell’ergastolano del libro “Ecco la notte” ).

Dobbiamo sempre dubitare dei nostri sentimenti (es. degli Apostoli quando vedono Cristo risorto: la gioia altera e fa dubitare, per cui Cristo dice loro “Perché dubitate?” (Lc 24,38) ). Ci vuole sempre il superamento di noi stessi, delle nostre impressioni, perché Dio non si confonde mai con le creature.

Tutto quello che arriva a noi aspetta di essere portato a Dio. Questo “tratto di strada”, in noi, non si fa senza di noi (invece tutto arriva a noi senza di noi), non si percorre naturalmente, quindi richiede sempre questa fatica. Tutto naturalmente viene a noi, ma non più naturalmente viene portato a Dio.

Dio è in noi, ma non è noi: è sempre trascendente. Per questo, per non rifiutare questa Luce annunciata,  bisogna sempre superare il pensiero dell’io e riferire tutto a Dio, se no il nostro comportamento è deviante.

Anche il sentimento va superato: quindi la relazione non deve essere tra creatura e creatura: c’è sempre la mano di Dio, mai dimenticare il Creatore. Se mi viene pestato un piede, è Dio che me lo ha pestato e c’è sempre una ragione (la creatura è solo un mezzo). Allora, se cerco e capisco il significato, dico: “ti ringrazio perché mi hai richiamato a Te, hai corretto il mio sentimento”  (cioè capisco che sono stato pensato).

 Illuminandoci, tutto si illumina. Allora si entra nella carità e si ringrazia perfino il mezzo usato da Dio. Questo è andare oltre il sentimento e l’impressione, per cercare le ragioni in Dio. Questo è accogliere la Luce che risplende nelle tenebre. Quando invece non si supera il sentimento, si rifiuta la luce che risplende nelle nostre tenebre.

Conclusione:

Tutto questo è stato detto affinché abbiamo a desiderare di raggiungere il nostro principio dove tutto era parola di Dio.  

Sabato 16.04.1983

 

Marco: La traduzione del mio Vangelo dice: “ma le tenebre non l’hanno accolta”: come è possibile che in una stanza buia, se io faccio luce, le tenebre rifiutino la luce? Vuol dire che siamo noi a non volere vedere la luce, cioè che chiudiamo gli occhi?

Luigi: Certo, logico, dove splende la luce, le tenebre spariscono. Ma questo versetto effettivamente si riferisce all’animo umano; ecco, l’animo umano riceve l’annuncio di Dio, ma non è detto che l’animo umano lo accolga. Infatti accogliere l’annuncio vuole dire dedicarsi.

“Tu sapevi che Dio esiste, perché L’hai trascurato, e perché non ti sei impegnato?”.  In quanto Dio si è annunciato, Dio ti ha invitato.

Quindi, in quanto riceviamo l’annuncio di Dio, noi siamo vocati a Dio, siamo invitati ad interessarci di Dio. Quindi  chiunque trascura Dio, si sentirà dire: “come mai tu, invece di interessarti di Dio, ti sei interessato delle creature, di conoscere il mondo? Perché?”.

Marco: Ma perché mi devo interessare di Dio? Perché?

Luigi: Perché è il massimo valore.

Marco: Io sono stato creato per questo, quindi mi devo dedicare a questo?! È per questo motivo?

Luigi: Sì, certo; ma poi in quanto si annuncia, Lui, il Creatore, è il massimo valore. Ora, le creature hanno un valore diverso da Dio; cioè Dio vale cento, mentre tutte le altre cose valgono dieci, cinque, quattro, tre, due, uno. Allora, perché tu preferisci quello che vale dieci, cinque, quattro, tre, a ciò che vale cento?

Evidentemente in te c’è qualche cosa di sbagliato; perché se tu sei una creatura semplice, dai cento a ciò che vale cento, dai cinquanta a ciò che vale cinquanta, e dai cinque, quattro, tre, due, a ciò che vale cinque, quattro, tre, due; cioè rispetti i valori. E questa è la giustizia essenziale; quindi noi dobbiamo cercare Dio per giustizia, perché Dio è il massimo valore. E allora se è il massimo valore, richiede, da parte della creatura, la massima dedizione. Se invece noi nella nostra giornata diamo sette parti alla creazione, al mondo, e tre parti a Dio, noi evidentemente capovolgiamo i valori. Dio essendo il massimo valore, richiede da parte nostra molta più dedizione di quello che noi diamo alle creature. Altrimenti noi facciamo un’ingiustizia di fondo. Ora, questa ingiustizia che facciamo ricade su di noi.

Quindi il problema essenziale è questo: “Dio si annuncia, tu rispetta”; la creatura semplice è la creatura che è giusta; questa giustizia sta nel dare alle cose il loro valore, nel rispettarle. In caso contrario, se ad esempio io entro in un negozio senza rispettare i valori, rubo; se una cosa vale dieci, va pagata dieci; se una cosa vale cento va pagata cento: questa è giustizia. Quindi Dio si annuncia come il massimo dei valori, e allora dedica a Lui il massimo di te, paga il prezzo maggiore per Lui. Tutte le altre creature valgono meno di Lui; ma allora come mai tu ti dedichi di più alle creature che non a Dio? È perché c’è il tuo “io” in mezzo.

Amalia: Ma oltre ad essere un fatto di giustizia, si esperimenta proprio che Lui è la vita e che senza di Lui c’è morte.

Luigi: L’esperienza viene dopo. All’atto iniziale c’è un atto di giustizia: bisogna dare a Dio quello che è di Dio; tutta la creazione è di Dio: riportala a Dio, dalla a Dio! Dio è il massimo valore? Sì! Allora rispetta questo massimo valore; quindi dedicati molto di più a Dio che non alle cose. Se invece tu inverti i valori, capovolgi il rapporto e fai un atto di ingiustizia. Giustizia vuol dire dare ad ognuno il suo; e dare ad ognuno il suo vuol dire rispettare. Ecco, non bisogna alterare i valori: se una cosa è bianca, allora prendila come bianca e non dire che è nera; la giustizia sta lì: dare ad ognuno il suo; non debbo alterare. Se alteriamo i valori, introduciamo qualche cosa di soggettivo, ed è questo che poi dopo crea la confusione e ci allontana da Dio; quindi il punto iniziale, fondamentale è questa giustizia, ed è la giustizia di Giovanni il Battista, che è la preparazione all’incontro col Cristo. Se non c’è questa giustizia in noi, noi non incontriamo il Cristo; se non c’è questa giustizia non si entra nell’attrazione del Padre; e chi non è attratto dal Padre non può seguire Cristo, non può capirlo, e dice: “non m’interessa”, oppure: “mi dice cose astratte, perché la mia realtà di vita è tutta un’altra; quindi mi venga a insegnare come si guadagnano i soldi, come si fa carriera, come si trionfa nel mondo e allora lo seguo”. Ecco, non lo può seguire perché è attratto da altro.

Quindi il fondamento di tutto è la giustizia. Infatti perché il Cristo che viene è preceduto da tutto l’Antico Testamento?

Perché lo scopo dell’Antico Testamento è quello di portare l’uomo a questa giustizia di fondo, che, come dico, è la condizione essenziale per incontrare il Cristo; altrimenti non s’incontra il Cristo, o se Lo si incontra, Lo si incontra male, Lo si manda a morte, Lo si distrugge, si annulla dentro di noi, cioè si distrugge, si rifiuta la Parola di Dio, la si mette in Croce. Quindi il fondamento di tutto è questo rispetto al massimo valore.

Bisogna imparare a rispettare; per cui: “…dà a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21); cioè tutte le creature riportale a Dio, quindi abbi Dio come centro, come punto fisso di riferimento, e dedicati molto di più a Dio che non alle cose se vuoi essere nella giustizia; questo allora ti porterà nella vita. È dalla giustizia che scaturisce poi tutto il resto: la ricerca di Dio, l’incontro col Cristo, la fame, la sete, ecc. e quindi il cammino della vera vita.

Pinuccia B.: E scaturisce il vero amore, che non è sentimentalismo…

Luigi: Certo, tutto questo viene dopo; tutto è fondato sulla giustizia, ed è un rapporto di verità. Quindi le cose si annunciano già a noi con un certo prezzo, con un certo valore;  si annunciano già a noi, e non è che siamo noi che dobbiamo inventare o pensare Dio, no! Perché le cose ci sono date, tutte le creature parlano, ma parla anche Dio, ed ogni cosa ha il suo valore, ha il suo prezzo. Ecco, noi nel pensiero del nostro io alteriamo i valori; infatti se per esempio uno dice ad una donna: “Guarda come sei bella, come sei brava!”, la esalta,  gonfia il suo io, e allora lei dà più di sé alla creatura che la esalta che non a Dio; in tal caso c’è un rapporto di convenienza, di utilità nel pensiero dell’io, per cui preferisce dedicarsi alla creatura che le batte le mani piuttosto che a Dio che invece esige da lei qualche cosa, o tutt’al più non la gonfia. Infatti se c’è uno che non ci esalta è proprio Dio.

Dio ci riporta nella nostra vera dimensione; invece le creature generalmente, esaltandoci,  ci distolgono dalla nostra vera dimensione. Possiamo capire  perché l’uomo che si attornia di ricchezza è lontano dal Regno dei Cieli (Mt 19,24): la ricchezza è tutto un “fuori dimensione” dell’uomo; in quella condizione l’uomo dimentica la sua vera dimensione; la ricchezza è una gonfiatura. L’uomo ricco è un essere gonfiato, è un essere fuori dalla sua dimensione; per cui la condizione essenziale per entrare nel Regno è mantenerci nella nostra vera dimensione.  Infatti Cristo, venendo nel mondo, una delle prime cose che fa, è il discorso della montagna (Mt 5,1 ss), che  significa l’opera che Egli deve fare per riportare le creature nella loro dimensione: “Beati i poveri…beati quelli che piangono…”. La dimensione della creatura è quella. L’uomo vero e autentico è un uomo povero, è l’uomo che invoca, è l’uomo che ha bisogno. Ecco, l’uomo vero, autentico, è l’uomo che chiede; l’uomo che si crede qualcuno è fuori dimensione, si è gonfiato. Ora, qui ha alterato i valori, e quindi ha dedicato la sua vita ad altro da Dio.

Piero: Marco ha chiesto perché ci si deve dedicare a Dio; forse perché teme di perdere le altre cose; ma Dio è la cosa più importante, è la Verità, quindi se Marco cerca Dio, il giorno in cui, ad esempio, sarà sposato, vorrà bene a sua moglie nel modo giusto; perché arriverà il momento in cui i suoi sentimenti iniziali verranno sostituiti da un amore autentico. Con Dio fai l’esperienza che ogni cosa va al suo posto.

Luigi: Certamente, i valori vengono veramente rispettati per quel che valgono. Cioè, se tu hai ben presente il fine, tutti i valori vanno a posto; se non hai presente il fine facessi anche delle cose sante, sono tutte fuori posto. Puoi anche fare deserto per un anno ed essere tutto imbrodato soltanto dal pensiero di te stesso, dal pensiero del tuo io, e non ne esci. Quindi il problema è tutto un altro. Il problema è questo: sapendo che tutto viene da Dio, in tutto devi cercare il Pensiero di Dio; in qualunque luogo in cui ti trovi.  

Nino: “Le tenebre non l’hanno accolta”; sovente capita che l’uomo s’illuda di avere accolto la luce.

Luigi: Teniamo presente che accogliere vuol dire dedicarsi a-; quindi tu accogli in quanto ti dedichi.

Nino: Sovente noi crediamo di avere accolto, ma magari abbiamo accolto i sette decimi di qualcos’altro e i tre decimi di Lui, cioè in realtà non abbiamo accolto.

Luigi: Certo, poi il più delle volte noi diciamo: “io credo, io credo…”. No! credere vuol dire dedicarsi a- con la speranza di arrivare a-, perché la fede è un cammino verso una Meta. Quindi la fede è proprio la condizione per cercare Dio. La prima condizione per imparare è credere nel maestro; credere nel maestro vuol dire ascoltare, fare silenzio; cioè, tu metti a tacere tutto il tuo mondo e credi a quello che il maestro ti dice. E questa è la condizione per arrivare a capire. Ma se tu incominci a non credere, a rifiutare tutto quello che l’altro ti dice, non arriverai certamente a capire. Quindi arriva a noi la Parola; la Parola va creduta affinché possa aprirci all’intelligenza del fatto, di quello che la Parola stessa ci annuncia. Quindi la fede è la premessa per arrivare alla conoscenza.

Quindi Dio si annuncia, e annunciandosi chiede a te adesione; se tu aderisci, ti interessi di ciò di cui Lui ti dice e ti annuncia, allora, attraverso la parola, il segno che Lui ti manda, sarai condotto a trovare la Luce. La luce è la meta, la conoscenza di Dio, la vita. La vita sta nella Luce.

 

Don Giuseppe: Qui l’Evangelista presenta i due estremi: la luce che viene e le tenebre che rifiutano; però l’altra traduzione: “…le tenebre non l’hanno sopraffatta”, mi fa pensare che le tenebre non riescono a vincere la luce e che la luce poco per volta arriverà ad illuminare ogni luogo. Infatti abbiamo la tenebra oscura di chi si chiude a Dio e poi la penombra di chi incomincia ad aprirsi, che incomincia a capire qualche cosa e poco per volta avanza fino alla luce piena.

Luigi: Non è detto, non è automatico: c’è l’inferno.

Don Giuseppe: Ma Dio è così buono che anche una piccola apertura nell’uomo…

Luigi: Quello è scontato, però da parte della creatura ci deve essere quell’apertura.

Don Giuseppe: Se uno non riesce ad arrivare alla luce piena, però…

Luigi: Prima di tutto la luce piena non è opera dell’uomo, sia chiaro; la luce piena è opera di Dio, ma ci vuole l’apertura.

Don Giuseppe: Prima si è detto che Dio esige che l’uomo cerchi Lui perché se Dio è l’Assoluto, l’uomo deve dargli tutto, compresa la sua vita. Però questo discorso non possiamo farlo a un cristiano comune e neppure a noi stessi, in quanto quando usciamo di qui  ci troviamo sommersi  nel nostro lavoro: il nostro lavoro ci attrae, ci preoccupa e Dio non diventa sensibilmente, effettivamente il centro della nostra vita. Quindi questa è una cosa difficile da realizzare, perché è uno sforzo costante, ma la maggior parte dei nostri cristiani questo neppure lo pensa.

Luigi: Lo so, però la Verità va rispettata, quindi dobbiamo rispettare la Verità; quindi se Dio certamente è il massimo valore, non si può dire ad un laico, solo perché è un laico: “dedicati solo per una parte”, No! Il Fine è unico per tutti: laici, monaci o sacerdoti; quindi tutti devono essere impegnati in questo Fine. E ognuno risponderà per quello che potrà,  e Dio saprà…; però sappi che la giustizia sta lì.

La giustizia sta nel rispetto dei valori, nel dare ad ognuno il suo. Infatti quando chiedono a Gesù: “Dobbiamo pagare l’importo a Cesare?”, Gesù dice: “Date a Cesare ciò che è di Cesare, ma date a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21); per dire ad ogni uomo: “Questo è il problema vero della vostra vita! Voi vi fate tanti scrupoli di essere giusti tra voi e non vi accorgete di stare “scolando i moscerini e ingoiando dei cammelli” (Mt 23,24); cercate di essere scrupolosi della vostra giustizia e dimenticate questa giustizia: “dare a Dio quello che è di Dio. Date dunque a Dio il vostro pensiero, il vostro tempo, la vostra vita! perché tutto ciò è di Dio, allora datelo a Dio, riportatelo a Dio…. Che cosa state facendo?”.

È logico che ad un certo momento si crea la rivoluzione, però l’uomo incomincia ad essere orientato; ecco, è indispensabile che l’uomo arrivi a capire dove deve arrivare e si metta in cammino;  poi l’arrivo sarà opera di Dio. Se ad esempio scopri che devi arrivare sulla cima del Monviso, l’importante è che tu ti metta in cammino, poi anche se sei arrivato solo a Saluzzo,  l’importante è che tu sia nella giusta direzione. Ora, il fatto di sapere dove dobbiamo arrivare è già gioia; S. Agostino diceva: “il cercare è già gioia”. Il sapere per che cosa si deve vivere è gioia; poi l’arrivare sarà tutta grazia di Dio. L’importante è sapere dove devi andare, a che cosa serve la vita, perché altrimenti ti lasci guidare dalle impressioni, dai sentimenti, da ciò che ti piace di più, ecc. e pasticci. La meta devi averla ben chiara e netta: “Uomo, sei stato creato per conoscere Dio!”. Quando uno conosce la meta, poi si dà da fare per cercare i mezzi.

Pinuccia B.: Se si conosce la meta, si ha anche un punto di verifica personale, per evitare il rischio di illuderci di fare la Volontà di Dio….

Luigi: … e di essere giusti e buoni e di ringraziare Dio perché non si è come gli altri….

Pinuccia B.: Invece se tengo sempre presente la meta, tocco con mano il mio niente… Ed è solo toccando con mano il nostro niente che possiamo essere salvati.

Luigi: Certo! Ma la consapevolezza del nostro niente scaturisce dal rapporto con la meta. Se sai che devi arrivare sulla cima del Monte Bianco, incominci ad esperimentare la situazione in cui ti trovi, la lontananza e la mancanza di forze: allora esperimenti ciò che sei.

Ma se invece non ti vien detta la meta, tu credi già di essere sulla cima più alta del mondo. Tutto viene dal rapporto con la Meta; quindi abbi sempre ben presente qual è: Dio ti ha creato per quello! Adesso allora puoi misurarti e scoprire la tua povertà, il tuo niente. E allora anche nei rapporti con gli altri, non farai più il superbo,  perché tu stesso hai esperimentato quanto tu sia distante dalla meta per cui Dio ti ha creato. E allora deriva di lì la capacità di amare e di comprendere il prossimo. Altrimenti incominci a dire: “ma io sono diverso dagli altri… io sono giusto… io non ho fatto quel peccato che invece ha fatto quell’altro”. Ecco come allora giri nel pensiero del tuo io: è quello il cerchio chiuso! Noi ci costruiamo dei monumenti di orgoglio senza rendercene conto, magari anche con le nostre virtù, e sfuggiamo all’amore.

Pinuccia B.: Dio non ha paura delle nostre distanze, (Luigi: Certo, Dio non ha paura della nostra povertà), ha solo paura che noi non riconosciamo il nostro niente.

Amalia: “…ma le tenebre non l’hanno accolta” mi mette in evidenza il rischio che corro ogni giorno; quindi mi dice quello che devo fare: l’occupazione vera è quella di aprirmi alla Parola di Dio...

Luigi: Sapendo che tutto viene da Dio, in tutto devo cercare il Pensiero di Dio. Facendo questo supero me stesso, muoio a me stesso.

Pinuccia B.: Dicendo: “le tenebre non l’hanno affatto compresa”,  illustra la situazione di peccato in cui ci troviamo, cioè il peccato originale. Cioè, la situazione del mondo è quella.

Luigi: Comunque sia chiaro: quel comprendere vuole dire accoglierla, dedicarcisi:  non è ancora conoscere. La luce si annuncia, e in quanto si annuncia richiede da parte nostra la dedizione. Se io sono nella notte e non so dove andare, se ad un certo momento intravedo una luce lontana, è per me l’unico punto di orientamento; quindi avendo visto una luce, ho la possibilità di andare verso-; ecco, comprenderla, accoglierla vuol dire camminare verso-. Se tu sei nella notte, e ad un certo momento arriva un raggio di luce, segui quella luce, e quando arriverai, allora conoscerai. Infatti il Cristo stesso noi non sappiamo chi sia; noi viviamo di sentito dire; il Signore stesso dice ai suoi apostoli: “sono tre anni che siete con Me, ma ancora non mi avete conosciuto; quel giorno in cui vi manderò dal Padre lo Spirito, quel giorno conoscerete chi sono Io” (Gv 14,9; cf Gv 14,26). Quindi attualmente uno aderisce a Dio perché è attratto da Lui, interessato a Lui, per cui è attento a chi gli parla di Lui, perché gli interessa Lui. Le cose di Dio ci interessano perché siamo attratti da Dio stesso, ci interessa Lui; quindi  se troviamo uno che ci parla di Dio, questo ci interessa e  lo ascoltiamo,  anche se non sappiamo chi sia, ma lo sapremo poi.

È lì il problema della fede: è l’interesse che ci conduce al Cristo; infatti quando i primi discepoli incontrano Gesù, dicono: “abbiamo incontrato Colui di cui hanno parlato Mosè e i Profeti”  (GV 1,45), essi avevano l’interesse. Invece molti altri che L’avevano incontrato, L’hanno criticato, L’hanno condannato, L’hanno mandato a morte. Quindi la scelta presuppone sempre un interesse interiore, che è poi questa giustizia fondamentale, questo mettere Dio, dentro di sé, al centro, e non il proprio io. Ma noi dentro di noi mettiamo sempre il nostro io al centro; invece dobbiamo spostare questo centro, perché noi non siamo il centro, non siamo il Creatore, quindi dobbiamo toglierci di mezzo.

“Tu uomo, mettiti in periferia e metti Dio al centro”; se mettiamo Dio al centro, allora incomincia l’interesse per Dio, perché inizi a riferire le cose a Dio. Dio è il centro, quindi dobbiamo riferire le cose a Dio; ed è proprio questo bisogno di riferire le cose a Dio che ci porta al Cristo; trovato Cristo, possiamo dire: “finalmente ho trovato uno che mi riporta tutto a Dio, tutto al Padre” e ci aiuta perché pur riconoscendo che sia giusto riportare tutto a Dio, c’è il problema del non sapere come fare. Ecco, quando troviamo una guida che ci dice: “tu non sai come fare a riportare le cose a Dio? Segui Me, vedrai che ti condurrò”, è qui che potremo dire: “Finalmente ho trovato uno che mi aiuta ad arrivare dove voglio arrivare”; però noi dobbiamo sapere dove vogliamo arrivare. La guida noi la scegliamo e la seguiamo proprio in quanto abbiamo deciso la meta; se per esempio decidiamo di andare sul Monte Bianco, andremo a cercarci la guida che ci porti sul Monte Bianco; il giorno che troveremo la guida, diremo: “Finalmente ho trovato una guida che sa il cammino per arrivare sulla cima del Monte Bianco”.  Così è per la scelta di Cristo.

Noi possiamo individuare il Cristo proprio in quanto abbiamo scelto di arrivare ad una meta: conoscere Dio; soltanto in quanto uno ha scelto di interessarsi di Dio, di conoscere Dio,  può approdare alla guida, al Cristo; altrimenti no, o almeno se vi approda,  approda malamente, magari per doveri sociali, o per convenienza, o per l’ambiente, ma in tal caso è recitazione, una cosa fasulla: non c’è autenticità.

L’incontro con Cristo presuppone sempre il voler arrivare alla Meta.

Pinuccia B.: Però, in questo caso, questa luce che risplende nelle tenebre, non è ancora l’incontro col Cristo.

Luigi: No! È Dio che si annuncia. Le tenebre che accolgono il Dio che si annuncia sono le tenebre che si dedicano a questa Meta. Dio si è annunciato e adesso c’è l’interesse per Dio. Se c’è l’interesse per Dio, le tenebre hanno accolto la luce; sono ancora tenebre, ma hanno accolto la luce, e adesso arriveranno al Cristo.

Piero:Le tenebre non l’hanno accolta”. Sì,  noi nasciamo tenebra perché Dio solo è Luce , ma mi sembra di capire che ci siano due tempi nell’uomo: c’è il tempo dell’incoscienza, quando noi siamo nel peccato, ma non siamo coscienti di esservi, e c’è il tempo  in cui siamo coscienti. E Dio incomincia di lì a giudicarci, cioè a dire: “Tu prima eri nel peccato, però non sapevi, adesso però sai”. Infatti, parlo per esperienza personale, prima vivevo senza assolutamente rendermi conto di che cosa stavo facendo, però poi è subentrato il momento in cui ho saputo dove stava la colpa e da quel preciso momento è iniziato il tempo della responsabilità.

Sabato 11.02.1989

 

Nino: Noi siamo le tenebre bisognose di luce e siamo così stupidi da respingere la luce. Quindi è necessario che le tenebre si riconoscano tenebre, cioè è necessario che noi riconosciamo la nostra povertà, la nostra miseria, e accettiamo la luce che Dio ci può dare, e non rifiutarla.

Delfina:Le tenebre non la compresero…”Le tenebre non possono comprendere la luce fintanto che…

Luigi: No! non è che le tenebre non possono comprendere la luce, possono! Anzi debbono!

Altrimenti che cosa ci sta a fare la luce? La luce risplende nelle tenebre. Le tenebre di per sé non sono peccato; infatti Dio all’inizio creò la notte e il giorno. Quindi le tenebre sono anche creature di Dio; le tenebre non sono peccato. Nel versetto è detto che non hanno accolto la luce, ma non che non potessero accogliere la luce; infatti quando uno non può, non è in colpa. La colpa c’è se tu puoi. Quindi, evidentemente, se la Luce risplende nelle tenebre, vuol dire che le tenebre possono…; è proprio la luce che entra nelle tenebre, che dà alle tenebre la possibilità di accogliere. Cioè, la Luce è la Parola di Dio;    se la Parola di Dio ti arriva, non puoi dire: “la Parola di Dio mi arriva, ma io non posso accoglierla”. No! Tu puoi accoglierla, perché se Dio ti parla vuol dire che ti dà la possibilità di ascoltarlo, altrimenti ti prenderebbe in giro.

Delfina: Ma non la accolgo, perché finché sono nelle tenebre, che ho il buio intorno a me, non posso….

Luigi: Se Dio parla, dà la possibilità a colui che ascolta di accogliere la sua Parola; quindi prima che Dio parli noi siamo tenebre. Quando Dio parla, parlando (la sua Parola è Luce), dà a noi (tenebre) la possibilità di accogliere le sue Parole; se noi accogliamo le sue Parole siamo trasformati in luce, se invece non accogliamo le sue parole restiamo tenebre, ma con la colpa, perché la parola è arrivata e noi l’abbiamo rifiutata.

Ora, prima non eravamo in colpa, prima eravamo tenebra, infatti Gesù dice: “Se foste ciechi non sareste in colpa; è che essendo ciechi dite di vedere: lì sta la colpa! E il vostro peccato rimane” (cf. Gv. 9,41); “ Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato” (Gv15,22),  lì sta la colpa.

Delfina: Intendevo dire che chi vuole emergere dalle tenebre ad un certo momento scoprirà un segno di luce, che poi lo guiderà…

Luigi: No! Non sta nel “chi vuole emergere”, nessuno di noi può emergere, tutto viene da Dio, non viene da noi. Non dipende dall’uomo l’emergere; anche se ad un certo momento l’uomo dice: “voglio emergere” , può dire tutto quello che vuole, ma intanto affoga. Se Dio non parla, se la luce non arriva, noi possiamo piangere tutte le lacrime di questo mondo, ma non facciamo un raggio di luce. La Luce viene da Dio, e quando viene da Dio, ti dà la possibilità. Non è che ad un certo momento le tenebre dicendo: “io non voglio più essere tenebra”, cessino di essere tenebra: non è possibile. È la luce che arrivando nella tenebra  dà alla tenebra la possibilità di fare un salto, di passare dalle tenebre alla luce, se l’accoglie.

Quindi quando la luce, Parola di Dio, arriva a te, arriva a te, tenebra, come un annuncio, ti fa una proposta: “vuoi?”; evidentemente la proposta della luce è rivolta alle tenebre, ma se dice: “vuoi?” alle tenebre, vuol dire che dà la possibilità alle tenebre di fare il salto e di passare nella luce. Quindi non dire che le tenebre non possono, no! le tenebre possono, perché altrimenti Dio ci prenderebbe in giro. Se io dico ad un bambino: “guarda che devi arrivare sulla cima dell’Everest”, io lo prendo in giro, perché non ha la possibilità. Ora, se Dio ci dice una cosa, e noi non abbiamo la possibilità, ci prenderebbe in giro; ma se Dio ci fa arrivare una sua Parola, vuol dire che ci dà la possibilità. Quindi se la luce risplende nelle tenebre è perché dà la possibilità alle tenebre di accoglierla; se le tenebre non l’accolgono sono in colpa.

Giovanna: “Le tenebre non l’hanno accolta”, noi tutti siamo tenebre, però alcuni l’hanno accolta.

Luigi: Sì, infatti in seguito dirà: “A quanti l’hanno accolta ha dato la possibilità di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Però in Adamo è rappresentata tutta l’umanità, tutta la vicenda di ogni uomo, “…e se qualcuno dicesse io non ho peccato, sarebbe un menzognero” (1 Gv 1,8); infatti Cristo è morto per tutti. Se Cristo è morto per tutti vuol dire che tutti abbiamo bisogno di questa morte, dell’esperienza di questa morte; ma se abbiamo bisogno vuol dire che abbiamo rifiutato la luce. Il peccato contro la luce è l’autonomia del nostro io, è il non raccogliere in Dio, il non riferire più le cose a Dio.

Ora, in Adamo ci siamo tutti noi, perché facciamo una cosa sola; noi apparentemente con i corpi siamo separati uno dall’altro, profondamente, sostanzialmente siamo tutti partecipi di una cosa sola; per cui in conseguenza di questo, tutti noi impariamo molto prima a dire “io” che a dire “Dio”; e quando incominciamo a capire l’errore che abbiamo fatto nell’imparare a dire “io”, nel momento in cui decidiamo di non dire “io” …hai voglia!

Se ci facessero pagare soltanto una lira per tutte le volte che diciamo “io”, chi riscuote i soldi sarebbe miliardario. Eppure dobbiamo arrivare lì: a non più dire “io”.

Noi con una facilità enorme diciamo “io” e troviamo molta difficoltà a dire “Dio”. Addirittura per gli ebrei era quasi proibita la parola “Javhè”, perché non osavano dirla tanto era gravida, carica di significato.

Se qualcuno ci chiedesse di parlare di Dio, per la maggior parte di noi ci sarebbe scena muta, non riusciremmo a dire niente. Invece alla richiesta di parlare di noi stessi, avremmo dei romanzi da raccontare. Noi dobbiamo arrivare ad avere la stessa facilità a parlare di Dio  come parliamo ora del nostro io, e ad avere una difficoltà enorme a dire: “io”. Il giorno in cui si arriva ad una facilità enorme a parlare di Dio, a dire: “Dio, Dio, Dio…”  e una difficoltà terribile a dire “io”, allora ci siamo, è il giorno in cui si inizierà a vivere.

Pinuccia A.: Non capisco bene: “La luce risplende nelle tenebre e le tenebre non la compresero” : se una stanza è buia e io accendo una lampadina, le tenebre non esistono più; cioè dove c’è la luce non ci sono più le tenebre. Non possono coesistere…

Luigi: Si capisce, noi siamo tenebra, però Dio è tanto potente da fare arrivare la sua luce; ma la sua luce che arriva in questa tenebra non  la trasforma in luce automaticamente. È vero che se tu accendi la lampada automaticamente le tenebre spariscono, d’accordo, ma questo è segno…; però ciò che avviene automaticamente nel campo dei segni, nel campo dello Spirito non avviene senza l’adesione. Allora se si richiede l’adesione, succede che la luce non scaccia le tenebre automaticamente, ma si propone, cioè fa una proposta, è una parola, è un annuncio. Quindi ci fa una proposta: “vuoi diventare luce?”; noi possiamo dire: “no! io preferisco essere tenebra”.

Pinuccia A.: Sì, è come l’esempio che fai tante volte: basta un dito per non farmi vedere le stelle; cioè, può splendere tutta la luce che vuole, ma se io chiudo gli occhi rimango al buio.

Luigi: Infatti Gesù dice: “non assaggeranno la mia cena” (Lc 14,24), e lo dice a coloro che hanno messo “i buoi, i campi, e la moglie” (Lc 14,18-20) davanti agli occhi. Certo, se noi ci riempiamo gli occhi di terra, non riusciamo più a vedere; allora Lui ci dice: “togliti la terra e vedi, la luce c’è”. Noi dobbiamo tenere presente che nel campo dei segni le cose avvengono automaticamente, ma nel campo dello Spirito, perché lo Spirito è un campo di conoscenza, tutte le cose non avvengono automaticamente, ma richiedono l’adesione da parte della creatura. Quindi abbiamo quel passaggio dal campo dei segni al campo della Verità. Nel campo della Verità i figli di Dio nascono consapevolmente, non nascono per imposizione.

Qui, sulla nostra terra, i figli nascono, ma nessuno va a chiedere loro: “vuoi nascere?”; i figli nascono, per cui ad un certo momento la mamma dice: “sono io che ti ho fatto” , ma s’illude; qui le cose avvengono automaticamente, indipendentemente dalla creatura. Nel campo dello Spirito le cose non avvengono mai automaticamente, quindi non avvengono senza la creatura, indipendentemente dalla creatura. Questo vuol dire che Dio ci crea automaticamente, materialmente, per interrogarci, per chiederci: “vuoi nascere?”. Qui noi siamo nati senza di noi, nel campo dello Spirito non  nasciamo senza di noi; il che vuol dire che Dio ci fa nascere qui, unicamente per chiederci: “vuoi nascere?”. Ecco la luce! quindi Dio ci fa la proposta: “vuoi la luce? vuoi vivere?” e questa proposta ci responsabilizza; però non potrebbe farci la proposta se noi non esistessimo. Quindi, prima ci dà l’esistenza, ed è imposizione, e in questa esistenza ci interroga e ci dice: “vuoi?”, e rispetta la nostra scelta. Si entra nel Regno di Dio per partecipazione, per consapevolezza.

Franca: Tutti in un primo momento rifiutiamo la luce; e coloro che l’hanno accolta rappresentano coloro che…

Luigi: …attraverso l’esperienza di morte raggiungono quell’apertura che permette loro di  accoglierla.

Pinuccia B.: La consapevolezza di aver ricevuto la vita, di non aver fatto niente, di trovarci in un mondo già fatto, che tutto ci parla di un Creatore, questa consapevolezza è Luce, però noi possiamo trascurarla; …ma non è che noi vogliamo rifiutarla.

Luigi: Noi la rifiutiamo proprio trascurandola; quando uno si giustifica dicendo: “ma io devo preparare da mangiare”; benissimo, prepara da mangiare, ma tu trascuri la luce. Se Dio ti fa arrivare la sua Parola: “vieni alla mia cena”, e tu dici: “io ho i campi, i buoi, la moglie  non posso venire, abbimi per giustificato”, non sei giustificato. E se ti giustifichi dicendo: “ma i buoi, i campi, la moglie, il mangiare me l’ha dato Dio, la casa me l’ha data Dio, la famiglia me l’ha data Dio, e quindi questi sono i miei doveri…”, Lui ti dice: Io te li ho dati perché tu mi cercassi”. Quindi se tu veramente cerchi Dio, quando ti arriva l’invito “vieni alla mia cena”, pianti lì buoi, campi, moglie e vai alla cena. Altrimenti la luce è rifiutata.

La Luce rifiutata

Il tempo è un susseguirsi di informazioni di Dio all'uomo: informazioni di Dio su Dio, lezioni con le quali Dio forma l'uomo alla vita nella Verità.

Dio parla in ogni luogo, su tutte le strade degli uomini e in tutti i loro tempi; Dio parla anche là dove l'uomo è più nero, più chiuso e ribelle nella sua notte, perché se Dio non parlasse non vi sarebbe salvezza possibile.

La parola di Dio è rivelatrice. Con la sua parola Dio sulle tenebre che coprono l'abisso dell'uomo dice: “sia fatta la luce” (Gen 1,3).  E la luce risplende nella notte dell'uomo.  "E il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce: sopra coloro che abitavano nella oscura regione della morte, la luce è spuntata" (Is 9,1), disse Isaia profeta quando vide l'opera di Dio per la salvezza delle genti.

L'uomo non è lasciato senza informazioni per ciò che riguarda la sua esistenza, il suo fine, il suo destino, la sua vita principale, poiché Dio ha fatto bene ogni cosa, affinché egli possa camminare libero sulla strada della vita.

Tutto è stato fatto, e tutto ancora è fatto per mezzo della parola di Dio, affinché ogni uomo intenda lo scopo della sua esistenza; intenda e viva, cioè cammini verso tale fine giorno per giorno, con pazienza ed umiltà, perché si trova sul terreno di Dio, mantenendo la speranza di giungervi, poiché Dio stesso, che ha creato l'uomo, gli è a fianco sul cammino, gli parla e lo sostiene.

Segnalazioni sono poste su tutte le strade per dire all'uomo ciò di cui deve preoccuparsi prima di tutto, ciò che deve volere, amare, cercare con tutte le sue forze per non lasciarsi smarrire nella giungla delle parole umane. Segnalazioni sono poste su tutte le strade affinché nessuno possa dire: non sapevo!

Ma le segnalazioni vanno lette, credute, capite, seguite. La luce bussa alla porta della nostra casa: bisogna aprire ad essa la nostra porta ed accoglierla in casa nostra se vogliamo che la illumini.

La Luce va accolta.  La Parola va ascoltata e capita.  Succede però che la Luce risplende, ma le tenebre non l'accolgono. Tenebre che non comprendono perché preferiscono non comprendere: "si sono tappati gli orecchi per non ascoltare; hanno chiuso i loro occhi per non vedere e non doversi convertire" (Is 6,9-10; At 28,27).

Questo accade nel mondo degli uomini.  Certamente allora non udranno, non vedranno e non conosceranno; ma ciò non sarà a loro giustificazione. Chi alla guida di un’auto chiudesse gli occhi e poi dicesse: non ho visto la curva, certamente non potrebbe con questo giustificarsi.  La sua colpa non sta nel non aver visto la curva, ma nell'aver chiuso gli occhi.

L'uomo può non udire e non vedere, ma per questo deve tapparsi gli orecchi e chiudere gli occhi. La sua responsabilità sta nell'aver voluto tapparsi gli orecchi e chiudere gli occhi per non udire e non vedere. Implicitamente ha voluto rifiutare di ascoltare ciò che c'era da ascoltare ed ha rifiutato di vedere ciò che c'era da vedere. Qui l'ignoranza diventa colpevole.

"Tutte le volte che uno ascolta le parole del Regno di Dio e non si impegna a comprenderle, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore" (Mt 13,19). Ciò che non è compreso, non può essere trattenuto.

L'uomo si tappa gli orecchi e si chiude gli occhi quando si immerge nelle cose del mondo e fonda in esse la sua sicurezza e fa di esse lo scopo del suo vivere. Allora non udirà e non vedrà le segnalazioni della via della vita: le false sicurezze del mondo in cui egli ha posto la sua fiducia lo dispensano dal fare attenzione ad altro, da ogni ricerca  e da ogni conoscenza di Dio: sostanzialmente gli otturano gli orecchi e gli chiudono gli occhi.

Il nostro rapporto con le creature e il mondo deve servire a incrementare, non a dispensare da un contatto personale, vivo e vero con Dio.  Il mondo infatti è tutto sotto il segno del provvisorio e del relativo, e la dinamica del provvisorio ci spinge a cercare l'Assoluto.

Dio si annuncia, ci invita, ci chiama; ma se non abbiamo tempo per Lui, né pensiero, né cuore, noi chiudiamo i nostri orecchi e i nostri occhi per non udire e non vedere.

Non tener conto di ciò che ci è annunciato è rifiutarlo, è giudicarlo non interessante per noi, è disprezzarlo.       "Il peccato è adorazione di sé fino al disprezzo di Dio", scrisse S. Agostino.

         L'annuncio di Dio è una proposta, un richiamo, un invito ad occuparci di Lui: cercatemi e troverete la vita; seguitemi e sarete illuminati; conoscetemi e diventerete capaci di amore; ascoltatemi e conoscerete la Verità che vi farà liberi.

Il suo annuncio è un invito; richiede una dedizione: “va’, lascia tutto ciò che hai...” (Mt 19,21), “parti dal tuo mondo e vieni nella terra che Io ti indicherò”.  In questo sta il patto dell'alleanza tra Dio e l'uomo.

(I - 15.09.1976)

Dio creando l'uomo ha fatto con lui un patto di alleanza: gli ha dato i mezzi per udire le sue parole e per vedere le sue segnalazioni onde camminare sulla strada che conduce alla meta del suo destino, e gli ha detto: non tapparti gli orecchi per non udire e non chiudere gli occhi per non vedere le lezioni che giorno dopo giorno ti darò per tutta la tua vita per farti giungere alla conoscenza della Verità.

“Non tapparti gli orecchi, non chiudere gli occhi”: ecco il patto di alleanza di Dio con l'uomo. Dio non vuole né sacrifici, né offerte: vuole che l'uomo abbia gli orecchi aperti all'ascolto. Colui che è il Creatore di tutte le cose non ha bisogno dei beni di cui Egli stesso è il donatore.

Dio vuole che non ci tappiamo gli orecchi per non udire e che non chiudiamo gli occhi per non vedere: “ascoltate la voce di Colui che parla e non indurite i vostri cuori”. La sua Parola forma in noi un cuore capace di silenzio e di contemplazione.

Tutto è fatto per iniziare e incrementare un rapporto personale tra l'uomo e Dio.  È questo infatti il destino, la vocazione di ogni uomo: entrare nell'intimo della vita con Dio, conoscere il suo Signore.

L'uomo è stato creato per un giorno di nozze con il suo Dio, un giorno eterno, poiché in Dio tutto diventa vero e quindi immutabile e non è più soggetto alle vicende ed ai mutamenti dei tempi.

Dio opera ogni cosa per condurci a questa meta: ed è per questo che tutto è stato soggetto alla vanità del tempo che passa ed alla mutazione. Non per loro le cose passano e muoiono, ma per noi, per inoltrarci nell'essenziale del nostro destino, a quell'unica cosa necessaria di cui ci parla Cristo. Oh, la pazienza infinita di Dio nel ripeterci sempre le stesse cose, le stesse lezioni fino a che non abbiamo capito dove dobbiamo dirigere il nostro interesse di vita!

La sua Parola è voce che ci chiama: Dio vuole che non rifiutiamo la sua Voce.  La sua Parola è luce: Dio vuole che non rifiutiamo la luce.  La sua Parola è vita: Dio vuole che non rifiutiamo la vita. Non chiudere gli occhi, non tapparti gli orecchi, non rifiutare la luce.

Tutte le opere del Signore sono fatte per portarci nella vita del suo Regno: una realtà interiore tutta da scoprire e da costruire, magari sulle macerie fumanti di quella visibile.

Tutte le opere del Signore sono fatte per raccoglierci dall'esterno nell'interno e dall'interno in Lui, Verità antica e nuova, affinché guardando Lui, conoscendo Lui, contemplando Lui, possiamo essere trasformati nella sua Luce, nella sua Vita. Lui è la Verità; Lui è la certezza; Lui è la sicurezza infinita; Lui è il pane per la nostra fame e l'acqua per la nostra sete; Lui è il sale che dà gusto e sapore a tutte le cose; Lui è l'Amore.

Solo guardando Colui che è Luce, possiamo essere illuminati; solo guardando Colui che è semplice, possiamo diventare semplici; solo vivendo con Colui che è fedele, possiamo diventare, noi così continuamente instabili e mutevoli, fedeli.  Gesù infatti dice: “Sarete semplici se manterrete semplice il vostro occhio” (Lc 1,34). Ma come manterremo semplice il nostro occhio se non siamo capaci di mantenere lo spirito al disopra degli eventi e tutto ci distrae e ci svaga?  Il nostro occhio sarà semplice solo guardando ciò che è semplice, solo guardando Dio.  Per questo Dio ha dato il Figlio suo Unigenito al mondo, “perché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Dio che è semplice, per fare semplici i nostri occhi si è offerto alla nostra vista e si è fatto rifugio su tutti i nostri sentieri smarriti, affinché guardando Lui possiamo avere gli occhi pieni della sua Luce e la vita piena della sua Presenza.  Dio ha posto la sua Parola nel nostro mondo per questo.

Allora possiamo capire la parola del Vangelo quando dice: “chi non crede è già condannato”(Gv 3,18), perché non crede nella Parola unigenita di Dio: chiude cioè gli occhi per non vedere la luce. Chi non vuole vedere la luce è già condannato alle tenebre: “Il giudizio sta in questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce”(Gv 3,19).

Ma come è possibile che le tenebre rifiutino la luce, che l'uomo chiuda gli occhi per non vedere? In effetti, man mano che vive, l'uomo limita sempre di più il campo dei suoi interessi e quindi chiude gli occhi a tutto il resto.  Sono le sue opere che lo seguono e lo condizionano: egli diventa cioè figlio di ciò che fa e di ciò che dice. Tra le tenebre e la luce si intromettono le opere dell'uomo. Il Vangelo infatti dice: “gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3,19).

 (II – 22.09.1976)

L'uomo è un essere istruito da Dio. Ogni giorno Dio si fa spettacolo all'uomo per comunicargli le sue lezioni.

Se gli uomini parlano tra loro, a molto maggior ragione Dio, che dà all'uomo la possibilità di parlare, parla; e se Dio parla, ogni uomo è tenuto a capire le lezioni che Dio dà: a capirle, a meditarle, a custodirle. Sono infatti lezioni di vita eterna.

"Tu solo hai parole di vita eterna",  dicono gli apostoli al Maestro divino (Gv 6,68). E basta confrontare le parole del Vangelo con quelle che dicono o scrivono gli uomini per vederne la differenza.

Siamo tutti spettatori delle opere di Dio.  Ma non tutti abbiamo la possibilità di intenderle, cioè di vedere la Luce ch'è in esse.

Sono le nostre opere “malvagie” che ci impediscono di comprendere la Luce, perché ognuno diventa figlio di ciò che fa, figlio dei suoi interessi, delle sue ambizioni, delle sue opere; e se le sue opere sono malvagie, queste gli impediscono di credere nella Luce, di accoglierla, di seguirla.

"Chi fa il male resta schiavo di esso", dice Gesù (Gv 8,34).  Se schiavo, non è più libero di aprire la porta della sua mente e del suo cuore a chi vuole. Appartiene ad altri.

Così accade che si resti giocati dalle proprie ambizioni, nostro malgrado. “Avendo conosciuto l’esistenza di Dio, non Lo glorificarono come Dio. Allora Dio li ha abbandonati ai desideri del loro cuore e questi li hanno portati a fare cose che loro non convengono…”,  scrive S. Paolo nella sua lettera ai Romani (Rm 1,21-24).  Non c'è verità che ognuno esperimenti tanto quanto questa.

Allora gli orecchi si chiudono e gli occhi si coprono di uno spesso strato di nebbia.

L'uomo diventa figlio di ciò che opera, e se ciò che opera non è secondo lo Spirito di Dio, questo gli impedisce di accogliere ciò che viene da Dio.  Allora l'uomo diventa un paese che non può sopportare le lezioni di Dio.

Se gli uomini preferiscono le tenebre, è perché le loro opere sono cattive, non cioè secondo Dio, ed essi sono diventati figli di esse. Tutto ciò che non è secondo lo Spirito di Dio ci fa figli di altro padre, e questo non ci lascia più sopportare le parole di Dio.  Incomincia così la fuga da Dio.

Chi ha per padre Dio, ascolta le parole di Dio; le ascolta, le riconosce, le ama.  Ma chi ha altro padre, non può riconoscere né ascoltare le parole di Dio.

Attraverso i propri interessi ognuno determina la propria paternità e quindi la propria capacità o incapacità di ascolto. Sono i nostri interessi che aprono e chiudono i nostri orecchi all'ascolto e ci rendono capaci di portare e di custodire le parole che ci giungono, oppure ce le fanno rifiutare. C'è un'azione di rigetto anche nell'ascolto, perché nessuno può sopportare ciò che è in conflitto con il tesoro che porta nel suo cuore.

Vero, unico, grande interesse per l'uomo dev'essere Dio.  Gesù dice: "Per qual ragione non riconoscete il mio linguaggio?  Perché non potete tollerare le mie parole?  Chi è da Dio ascolta le parole di Dio.  Ecco perché voi non le ascoltate, perché non siete da Dio" (Gv 8,43.47).

L'anima dell'ascolto è l'interesse. Ognuno ha gli orecchi aperti a colui che parla di ciò che lo interessa.

Sono gli interessi che guidano gli uomini nella adesione alle ideologie. Si costruiscono filosofie, teorie, leggi e sistemi sociali per giustificare le nostre passioni e le nostre ambizioni. Chi ha interessi materiali non può fare a meno di vedere con simpatia e di amare le teorie che approvano le passioni materiali.

Si finisce così per pensare secondo le nostre opere anziché operare secondo i nostri pensieri.  A questo punto l'uomo si è chiuso in una prigione ed ha gettato via, lontano da sé, la chiave di essa.

È così che di fronte alla luce di Dio tra noi, nel nostro stesso mondo fatto di compromessi, di recitazioni, di abitudini e di tradizioni, scopriamo quanto sia distante da quella di Dio la nostra vita lacerata, dispersa, invasa dalle parole e dalle questioni del mondo.

Come mai non lasciamo entrare le questioni di Dio e lasciamo entrare le questioni del mondo? Quanti di noi resterebbero terrorizzati se potessero vedere il panorama del loro mondo interiore: abisso invaso dalle voci del mondo che salgono dal caos per ritornare nel caos: parole senza luce, senz'anima, senza ordine, che rifiutano ogni luce, ogni anima, ogni ordine! È tutta la nostra vita che se ne va.

La nostra anima, questo tempio fatto per raccoglierci nella preghiera e nel silenzio, è occupata, lacerata, divorata dal mondo che penetra in essa con tutte le sue voci e i suoi argomenti vani, e profana, come un branco di cani, questa cattedrale interiore in cui Dio è sempre esposto, e continua a restare esposto anche in mezzo alla marea di fango e di tenebre che sale ad invadere tutta la nostra vita.

(III – 29.09.1976)

"Il nostro peccato non è tanto di essere peccatori, ma è di non ascoltare Dio", scrive Jacques Loew.  Il vero peccato è non ascoltare, è tapparsi gli orecchi all'ascolto di Dio, è chiudere il cuore all'interesse per Dio. "Se oggi giunge a voi la Parola di Dio, non indurite i cuori", ripete la S. Scrittura nelle sue pagine (Sal 95,7 s; Eb 4,7).

La Parola di Dio ha con sé la luce stessa della Verità: non ha bisogno della testimonianza degli uomini; per cui rifiutare interesse alla Parola di Dio è rifiutare interesse per la Verità, è rifiutare Dio.

Dio Lo si rifiuta nella parola che giunge a noi: il vero peccato è non ascoltare. "Chi non ascolta Me, non ascolta Colui che mi ha mandato"  (cf Gv 12,44), dice il Verbo, la Parola di Dio che parla tra noi.

La Parola di Dio è in tutto, perché tutto è opera di Dio: una sua lezione per ogni giorno dell'uomo.

Se tutto è parola di Dio, tutto è informazione su Dio, segnalazione di Dio per l'uomo.  Dietro lo scenario dei tempi, delle stagioni, delle vicende grandi e piccole dell'universo, degli avvenimenti tra le creature, c'è la perenne presenza di Dio che in tutto ci informa sulla sua Verità e ci chiama ad essa.  Dio è in tutto: l'insensato non vi pensa; lo stolto non comprende.

Comprendere l'informazione significa guardare ciò che è segnalato.  Tutto accade per farci alzare gli occhi al disopra delle cose che si vedono, verso Dio.

Dice un proverbio indiano: "Quando il saggio con il dito indica la luna, lo sciocco invece di guardare la luna, guarda il dito".  Tutte le creature e gli avvenimenti segnalano Dio; ci indicano Dio. Gli uomini anziché guardare Dio, guardano le creature, guardano il fatto.  Non capiscono la segnalazione.  Lo sciocco invece di guardare la luna, guarda il dito, parla e scrive del dito, usa i mass-media per comunicare di aver visto il dito.  Allora la luce risplende ancora nelle tenebre, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce.  "La Luce venne nella sua casa, ma i suoi non l'accolsero" (Gv 1,11).  La notte dell'uomo non si apre più sul mattino, ma si è ripiegata su se stessa.

Dice il primo salmo, quello che inizia la lunga serie dei colloqui-preghiera dell'anima con il suo Dio: "Beato l'uomo che non segue il consiglio degli insensati, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti, ma si compiace della via di Dio e medita giorno e notte le sue parole".

Comprendere l'informazione è camminare verso Dio, è fare la volontà di Dio.

Fare la volontà di Dio vuol dire seguire l'informazione che Dio ci fa giungere: vuol dire cioè cercare la vita là dove è segnalata. La vita è in Dio, nel conoscere Dio.  Cercare la nostra vita qui vuol dire non cercarla più altrove.

La segnalazione del luogo della nostra vita ci evita la dispersione su tutte le altre strade.  Comprenderla vuol dire distaccarci da tutto ciò che non è vita e che non può essere vita, per cercare la vita là dove essa è segnalata. Vuol dire mettere questa informazione in alto nei nostri pensieri, prima di tutto e al disopra di tutto davanti ai nostri occhi. "Non avrai altro Dio all'infuori di Me"(Es 20,3); che significa: non metterai altro al centro della tua vita, sull’altare della tua mente e del tuo cuore.

È parlando di questo tempo di intelligenza dell'anima che il profeta Isaia scrisse: "In quei giorni il monte della casa di Dio sarà posto sopra tutti i monti e si alzerà sopra le colline; ad esso correranno tutte le genti.  E molti popoli andranno e diranno: venite, saliamo al monte del Signore, Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo sui suoi sentieri" (Is 2,2-3).

Dio ci segnala le sue vie affinché noi impariamo a camminare in esse. Comprendere la segnalazione è partire, è camminare: non domani, ma oggi, subito. Poiché tra le segnalazioni che giungono all'uomo c'è anche la segnalazione tempo.  E dire "tempo" vuol dire occasione che passa. Passa cioè dalle nostre mani nelle mani di un Altro.

L'informazione che ci dà il tempo è: Dio viene.  Dio è il futuro dell'uomo. Colui che ha creato nell'uomo l'attesa, è anche Colui che risponde all'attesa. È Dio che ha formato l'uomo all'attesa. Ed è Dio che risponde all'attesa dell'uomo: "Io sono il principio e il fine, l'alfa e l'omega dice Dio”  (Ap 22,13).

Dio è il principio, Dio è il fine di tutto ciò che accade. Solo chi aspetta in Dio e da Dio il suo futuro non sarà deluso.

L'uomo è tutto una promessa di Dio, una testimonianza viva della Verità di Dio e dell'attesa di essa.  "Voi stessi dite che Io sono" (Lc 22,70), dice il Signore. Ogni uomo con tutto ciò che è e con tutto ciò che non è, rende testimonianza che Dio è.

Colui che è, è Colui che viene, giorno dopo giorno, nella mente, nel cuore, nella vita dell'uomo.  Ad ogni uomo è annunciato: il Regno di Dio si avvicina.

(IV – 06.10.1976)

 "Lo sai tu per quale via si va dove abita la luce e si fugge al luogo dove hanno dimora le tenebre?" (Gb 38,19), dice Dio a Giobbe per fargli capire i suoi limiti, limiti di uomo che deve accettare e credere per arrivare a capire, e per insegnare, a lui ed a noi, che all'uomo non è data la luce né la via che conduce ad essa, poiché la luce dell'uomo è Dio, e la via che conduce alla luce è ancora Dio.  "Io sono la Via, la Verità, la Vita" (Gv 14,6), dice Dio.

Senza Dio l'uomo non ha la luce per illuminare e risolvere i suoi problemi, né vede la via per giungervi. Senza Dio l'uomo non può sfuggire al luogo dove dimorano le tenebre.

Dice ancora Dio a Giobbe, e in lui ad ogni uomo: "Dov'eri tu quando Io gettavo le fondamenta della terra?  Chi ha fatto il progetto dell'universo? 0 delle acque? 0 dei monti?  Hai tu forse ordinato mai il sorgere di un mattino? 0 il formarsi di una stella?  Hai tu programmato un'aurora? 0 il tempo della tua nascita?  Hai tu forse mai programmato un uomo? 0 un semplice filo d'erba? 0 il seme della più umile tra tutte le piante?"(Gb 38,4 ss).

Ogni giorno Dio ci pone questi interrogativi per smontare le nostre esaltazioni e farci scendere dai piedistalli su cui ci arrampichiamo a fare le statue sulle piazze del nostro paese.

Ogni giorno Dio ci manda le informazioni su ciò cui dobbiamo guardare prima di tutto per non perdere di vista la meta del nostro destino e per non smarrire la via che conduce ad essa.  Ma anche qui bisogna guardare a Dio per capire ciò che ci viene detto.

Le vie del Signore hanno una caratteristica: coloro che guardano a Dio vi camminano con facilità, poiché sono semplici; coloro che non guardano a Dio vi inciampano, poiché sono complicati.

Ogni parola di Dio è un invito alla luce, ed è via per il luogo dove abita la luce, ma è anche protezione dal luogo dove hanno dimora le tenebre.

Ogni parola di Dio è un dono che, se accolto e compreso, apre la nostra anima a doni successivi, sempre più ampi e profondi, verso quell'infinito della Luce divina che risplende in tutto e parla nel cuore dell'uomo.

Dio ci rivolge al futuro, orienta tutta la nostra vita alla sua Verità, ci raccoglie nella vita essenziale.  Non accogliere la parola di Dio è rifiutare la luce.

Ogni luce rifiutata ci porta via il futuro e ci lascia solo con il passato, e con le utopie: proiezioni del nostro passato in una realtà che non è più nostra.

Rifiutando la luce noi diventiamo tutto passato e niente più futuro. Restano le interrogazioni senza risposta, e quindi la grande solitudine dell’uomo nell’universo in cui nessuna creatura lo conosce, poiché tutto l'universo si rifiuta di conoscere colui che rifiuta di conoscere il Creatore.

Dio è principio di intelligenza, di comprensione e quindi anche di comunione con tutta la creazione.  Dio è luce e amore. Questa luce giunge all'uomo, lo chiama, lo visita ogni giorno.  Ogni cosa ha un suo messaggio per l'uomo.

Ma se ogni dono accolto apre la mente e il cuore dell'uomo a doni maggiori, ogni dono non accolto irrigidisce la mente e indurisce il cuore dell'uomo fino a togliergli ogni possibilità di scelta.  Rifiutando di accogliere la Parola di Dio si va verso una perdita del futuro, perché noi diventiamo sempre più figli del nostro passato. Gesù piangendo su Gerusalemme la rimprovera dicendo: "Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e tu non l'hai voluto.  Ecco la vostra casa vi sarà lasciata deserta: perché non hai conosciuto l'ora in cui sei stata visitata" (Mt 23,37-38). Dio visita l'uomo: la sua visita è l’occasione di scegliere. La Parola di Dio è una proposta. Ma l'uomo non può rinviare: il tempo passa, l'occasione passa e non rimane più nelle sue mani.

L'occasione non accolta è perduta; non solo, ma toglie all'uomo la possibilità di scegliere: gli porta via il futuro.  "Oh, se tu avessi saputo ciò che giova alla tua pace!  Ma adesso non ti è più dato" (Lc 19,41-44), dice ancora Gesù a Gerusalemme.  L'occasione passa e Gerusalemme non ha più la possibilità di scegliere: il futuro non è più nelle sue mani.

L'occasione di scegliere passa dalle nostre mani nelle mani di Dio, e quello che non abbiamo fatto diventa quello che non abbiamo scelto, e quello che non abbiamo scelto ci impedisce di scegliere.

Tutto ciò che l'uomo fa non secondo lo Spirito di Dio lo condiziona a tal punto da fargli rifiutare la luce e preferire le tenebre. 0 l'uomo vive secondo lo Spirito, o deve farsi uno spirito di ciò per cui vive. 0 si opera secondo il Maestro, o si deve diventare discepoli di quei maestri che sono secondo i nostri interessi e giustificano le nostre opere e soddisfano le nostre ambizioni.  Accade cioè quanto già scriveva S. Paolo: "Verrà tempo in cui gli uomini non sopporteranno la Verità, ma moltiplicheranno a se stessi i maestri secondo le proprie passioni” .

(V – 13.10.1976)

La luce della Verità di Dio è proposta ad ogni uomo; ma non imposta. Così accade che l'uomo la possa rifiutare.

Mentre la vita naturale in questo mondo ci è imposta, la vita vera, quella dello Spirito, che è vita nella luce della Verità, Dio non la impone; la propone a tutti, ma la offre e la dà solo a coloro che la cercano, la desiderano e la vogliono. Dio si fa cioè oggetto di valutazione da parte dell'uomo.  Per questo alla vera vita ogni uomo è chiamato, ma nessuno è costretto.

Dio dà la vita dello Spirito soltanto a chi la vuole, la cerca e la stima più di ogni cosa e sacrifica tutto per essa. “La preferii ai regni della terra ed ai posti di potere e di ricchezza; stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, e tutto l'oro solo sabbia. L’amai più della salute e della bellezza”, si legge nel libro della Sapienza (Sap 7,8-10).  Fintanto che anche noi non potremo ripetere queste parole nel profondo del nostro cuore, sarà impossibile per noi trovare la luce della Verità e incontrare la vera Vita.

Ma trascurando la luce di Dio, l'uomo deve rivolgersi alle favole ed alle utopie, anche se oggi non le chiama favole e utopie, ma ideologie. È quanto S. Paolo scriveva nella sua seconda lettera a Timoteo: "si ritireranno dall'ascoltare la Verità e si volgeranno alle favole". Quando si chiudono gli orecchi all'ascolto delle cose di Dio, si aprono necessariamente all'ascolto delle favole.

Tutti gli uomini oggi stanno correndo dietro alle favole: parlano, discutono, scrivono, programmano tutto senza tener conto di Dio: come se ogni cosa dipendesse da loro. Come è possibile questo? Sono ingannati dalle loro ambizioni, dalle loro passioni, dai loro interessi messi davanti ai loro occhi prima di tutto.

Basta un dito davanti ai nostri occhi per non vedere più le stelle.  È l'inganno del nostro io quando lo mettiamo al centro della nostra vita.

Si preferiscono le favole a Dio perché nelle favole si vedono soddisfatte le nostre passioni e le nostre ambizioni.  Sostanzialmente si preferiscono le nostre passioni a Dio; cioè si preferisce adorare il nostro io anziché Dio. E poiché il nostro io non è la Verità, non è Dio, ecco che deve rifugiarsi a credere nelle utopie e nelle favole per soddisfarsi.

Ma le favole e le utopie non essendo la realtà e non essendo il futuro conducono alle situazioni impossibili: ai muri, alle nausee, ai campi di deportazione e di eliminazione dell'uomo. Vi sono campi di deportazione e di eliminazione che ogni uomo si costruisce nell'anima con le sue stesse mani.

Se c'è oggi un aspetto tipico nel caos in cui ci siamo inoltrati  con la corsa al benessere materiale, alla sicurezza, al guadagno, ai sogni del nostro io, è quello dell'angoscia esistenziale che ormai serpeggia in tutti gli animi: l'angoscia cioè derivante dal senso di instabilità, di insufficienza di ciò che la vita e la società e la politica ci offrono. Vengono meno tutti i luoghi di stabilità e di fiducia e si annaspa in una società scossa da ondate di un mare in tempesta.  Ma anche questo è un segno ed una testimonianza del Regno di Dio.

Non si può dividere l’uomo da Dio senza rendere irreale e impossibile la vita dell'uomo, senza cioè alienarlo dalla realtà e quindi senza distruggere l'uomo.

Non è dunque vero che si possa impunemente dividere le esigenze dell’anima dalla vita, la vita dalla fede, la fede dalle opere, l'assoluto dal relativo e dal possibile. Solo quando il pensiero è secondo la nostra anima, la vita secondo la nostra fede, l'azione secondo il pensiero, e il relativo e il possibile secondo l'assoluto, solo in questa semplicità l'uomo trova la gioia e la sicurezza della vita.

La felicità dell'uomo sta nell'unificare, non nel dividere; sta nel rendere semplici, lineari, diretti i rapporti con Dio; sta nel credere, nell'amare, nel pregare. Tutto va visto in Dio, con Dio e da Dio, poiché tutto è in rapporto a Dio, Colui che è. Ogni esistente è tale per la sua relazione con Dio. Nulla c'è di autonomo nell’universo. “Io sono la vite, voi i tralci", dice il Signore (Gv 15,5).

L'autonomia è un'astrazione dell'uomo, una irrealtà che si forma nella mente dell'uomo quando dimentica Dio; sostanzialmente un sogno, una favola.

Affermando la sua autonomia da Dio l'uomo si pone fuori della realtà; allora le cose incominciano a farsi per lui terribilmente complicate, difficili, impossibili. Se uno volesse affermare la sua autonomia su un'autostrada, provocherebbe incidenti a non finire, paralizzerebbe il traffico e susciterebbe l'intervento di un'azione di rigetto e di eliminazione. È quanto avviene oggi nel nostro mondo.

(VI – 20.10.1976)

Le vie di Dio sono semplici e complicate: semplici per i semplici, complicate per i complicati.  "Rette sono le vie del Signore: i giusti camminano in esse, i malvagi vi inciampano", scriveva il profeta Osea (Os 14,10).

Dio non ha fatto difficile la via che conduce al suo Regno, né stretta la porta che introduce in esso, poiché Egli stesso dice che il Padre ha riservato i segreti del suo Regno per i piccoli, i poveri, gli umili.  Ciò che è fatto per i piccoli, i poveri, gli umili, non può essere una cosa difficile.

Ciò che rende difficile agli uomini vedere il Regno di Dio non viene dunque da Dio, ma da loro stessi, perché sono essi che vorrebbero entrare carichi di quei bagagli che non possono passare per la porta. Allora la porta si fa terribilmente stretta e la strada paurosamente difficile: "Oh! noi insensati che stimavamo la loro vita una pazzia e la loro fine senza onore; ecco che invece essi sono computati tra i figli di Dio e la loro sorte è tra i santi.  Dunque siamo noi che traviammo dal cammino della verità e la luce non brillò per noi; per noi non si levò il sole dell'intelligenza. Ci stancammo inutilmente nella via dell'iniquità e della perdizione, battemmo strade difficili e non conoscemmo la via del Signore. Che ci giovò l'ambizione?  E che ci apportò l'ostentazione delle ricchezze?", così si legge nel libro della Sapienza  (Sap 5,4-8).

Invece per le anime semplici nel credere e nell'amare, la via della Verità è semplice e chiara: è la via vera. Dice infatti ancora lo stesso libro della Sapienza:   "Luminosa e inconfondibile è la Verità di Dio e facilmente è veduta da quelli che l'amano, ed è trovata da quelli che la cercano.  Essa previene quelli che la desiderano e si fa loro vedere per prima. Chi di gran mattino andrà in cerca di essa, non avrà da stancarsi, poiché la troverà seduta sulla porta di casa sua... Stolti invece sono tutti gli uomini che non hanno la conoscenza di Dio e dai beni visibili non seppero intendere Colui che è, né dalla considerazione delle opere seppero riconoscere l'Autore" (Sap 6,12-17 ss).

Certamente la Verità di Dio non si vede tra le cose che si vedono nel nostro mondo con gli occhi e si toccano con le mani, perché se si vedesse e si toccasse così, non sarebbe più la Verità di Dio.  Dio è una Verità che è testimoniata da tutte le cose di fuori, ma che per vederla bisogna chiudere gli occhi a tutto ciò che è "fuori". Di qui una certa apparente difficoltà per noi che siamo abituati a vivere secondo ciò che si vede e si tocca.

Tuttavia questo non vuol dire che la Verità di Dio si neghi agli uomini o si voglia concedere soltanto a qualcuno, poiché ogni uomo è stato creato per conoscere la Verità di Dio e si salva conoscendo Dio.  Il bisogno che l'uomo ha di assoluto rivela e testimonia il suo destino e l'eredità alla quale egli è chiamato.

Scriveva s. Anselmo: "Se la Verità è detta nascosta, è solo per il fatto che non è manifesta a tutti; ma se la Verità non si manifesta a tutti, tuttavia non si nega a nessuno".  Ecco, questo è molto vero: la conoscenza della Verità di Dio non si nega a nessuno: né al grande e né al piccolo, né al ricco e né al povero, né al vecchio, né al sano e né al malato, né al giusto e né al peccatore, né al buono e né al cattivo, né al bianco e né al nero": Dio fa splendere il suo sole per i buoni e per i cattivi, e fa scendere la sua pioggia per i giusti e per gli ingiusti.

È l'uomo che rende difficile la Verità di Dio quando vuole misurarla con il suo metro, sottometterla alle sue condizioni mentre dovrebbe egli dettarsi le condizioni della Verità, quando vuole mettere al centro il pensiero di sé ed in periferia il Pensiero di Dio.  Allora si mette in condizioni impossibili, assurde.  E nell'assurdo la Verità si rende inaccessibile.

Non si possono servire due padroni, e quando si ritiene di aver trovato un accordo, in realtà si è sottomesso lo spirito alla materia, si è fatto servire la moneta buona alla cattiva, il migliore al peggiore: cioè si è venduto lo spirito al mondo.  Si arriva così alle deformazioni dello spirito, a chiamare bene ciò che è male, libertà ciò che è schiavitù, giusto ciò che è delitto, luce ciò che è tenebra e tenebra ciò che è luce. Allora si arriva ad uccidere in nome della vita e si costruiscono catene in nome della libertà.  Sono le contraddizioni assurde in cui cade l'essere umano quando non tiene conto di Dio.

(VII – 27.10-1976)

La conclusione del cammino di rifiuto della luce è nell'ignoranza delle tenebre dove l’uomo è cieco e crede di vedere, è morto e si crede vivo, cade in un abisso e crede di salire in alto, è misero e si crede ricco e felice, è schiavo e si crede libero, è niente e si crede tutto e il centro dell’universo.  Scriveva S. Agostino: "Ecco ogni giorno scopriamo che quanto più qualcuno si allontana da Te, vera Luce, tanto più si avvolge nelle tenebre, e quanto più è nelle tenebre, tanto meno vede i lacci sulla sua via e perciò meno conosce e più spesso è trascinato a cadere in essi e, ciò che è ancora più orribile, ignora di cadere. Chi poi ignora la sua situazione, tanto meno si preoccupa di risorgere”.

Quando non si tiene conto dell'impegno a cercare Dio, si rifiuta la luce che splende nelle tenebre e si rimane lontani dalla luce. Allora il Regno di Dio diventa il regno dell'imprevedibile, la venuta di quello che nessuno si aspetta, una notte che sorpassa tutti i calcoli e tutte le previsioni dell'uomo, perché quando si è lontani dalla luce non si vede dove si cammina, dove si va e non ci si accorge nemmeno degli errori, perché per vedere gli errori bisogna essere nella luce. Per riconoscere il male bisogna già avere una certa luce.

Quando si cammina nella notte si inciampa e si cade e, quel che è grave, come ci dice S. Agostino, non ci si preoccupa di risorgere perché non si è consapevoli della caduta. È come l'ubriaco che caduto in un fosso crede di essere giunto nel suo letto e ci sta.  Si fa allora l'esperienza della schiavitù delle tenebre, del vuoto, del nulla, ma senza più la volontà di uscirne.

Rifiutando la luce,  si rimane rifiutati dalla luce.

Chi non apre a Colui che bussa alla sua porta si troverà a bussare invano ad una porta chiusa, e chi non ha voluto conoscere non sarà conosciuto.

Per questo Gesù dice: "Sforzatevi di entrare per la porla stretta, perché molti, vi assicuro, cercheranno poi di entrare ma non ci riusciranno, una volta che il padrone si sarà alzato e avrà chiuso la porta; e se voi sarete fuori e picchierete dicendo: Signore aprici! egli vi risponderà: non so donde siate.  Allora comincerete a dire: noi abbiamo mangiato e bevuto alla tua mensa e tu hai insegnato nelle nostre piazze; ma Egli vi risponderà: vi ripeto, non so donde siate!  Andate via da Me voi tutti operatori di iniquità" (Lc 13,24-27).  L'amore rifiutato diventa l'amore che rifiuta e respinge.

La luce, come la vita, è sostanzialmente una scelta. Rifiutare di scegliere significa rifiutare la luce, come significa anche rifiutare di vivere. Non si rifiuta la vita uccidendosi, ma ci si uccide rifiutando di scegliere.

Scegliere vuol dire mettere nel nostro cuore, nella nostra vita, tra i nostri veri interessi, qualcosa prima di tutto, al disopra di tutto il resto, non a parole, ma a fatti.

Tutta l’opera di Dio è rivolta a proporci ed a farci capire quello che dobbiamo mettere prima di tutto. Dio opera in tutto per metterci in evidenza l’essenziale, per farci capire, per ripeterci, per urtarci talvolta, quando proprio non vogliamo capire, l’unica cosa che dobbiamo mettere come prima nostra preoccupazione di vita se vogliamo dare un significato ad essa.

Se la nostra vita è tutta un continuo inciampare e cadere, un continuo andare avanti e indietro, un avvolgersi in una matassa sempre più confusa e intricata di pensieri e desideri, non è perché la strada della Verità sia difficile, ma è perché la luce di Dio non splende nel nostro cuore; e se non splende nel nostro cuore è perché non abbiamo messo prima di tutto ciò che va messo prima di tutto.  

Il principio della luce viene da Dio; ma il principio delle tenebre viene dall’uomo, dal cuore dell’uomo.

Il principio di disgregazione dell’uomo e del mondo si verifica nel cuore dell’uomo. Ecco perché non si può prescindere da Dio quando si studia l’uomo.

L’uomo inciampa nella sua iniquità interiore verso Dio: allora si scatenano i venti che devastano la terra.

Per evitare questa iniquità interiore occorre che l’uomo attinga da Dio e dal suo Cielo la luce per illuminare e comprendere i problemi dell’esistenza e la realtà di tutto ciò che lo circonda; occorre che si convinca che la pace viene dalla preghiera, perché le grandi armonie, e la pace interiore è una grande armonia, presuppongono grandi silenzi, e che nessun sacrificio, nessuna rinuncia è troppo grande per giungere a conoscere Dio. Ma qui si presenta il problema della necessità dell’incontro personale con il Dio che discende dal Cielo, dell’incontro cioè con il Cristo, poiché “nessuno può salire al Cielo della Verità se non Colui che discende dal Cielo” (cf Gv 3,13).

 Riassumendo in sintesi possiamo dire che: il principio della vita si trova nella luce che viene dall’Alto, mentre il principio di disgregazione della vita si trova nel cuore dell’uomo quando non tiene conto di Dio e non si preoccupa di cercarlo.

(VIII – Fine – 03.11.1976)

(articoli scritti e pubblicati su “La Fedeltà”  da Luigi Bracco)