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La chiesa,
costruita alla metà dell'VIII secolo insieme al monastero dal
medico longobardo Gaidoaldo poco lontano dalle mura cittadine, è
la più importante e meglio documentata fondazione longobarda di Pistoia. |
In seguito la
chiesa ha assunto le funzioni parrocchiali che ancora oggi assolve e i
locali monastici sono da lungo tempo adibiti ad usi civili. Il fronte
della chiesa, il cui stile aderisce al particolare gusto policromo proprio
del romanico pistoiese, è scandito da cinque arcature su colonne quasi a
simulare un portico di facciata ed è aperto da tre portali dei quali il
mediano ha l'architrave scolpito. Delle quattro arcature laterali due, le
più vicine alla centrale, si ornano del motivo romboidale comune
all'architettura romanica di matrice pisana, mentre le due estreme sono
aperte da un oculo rotondo di età barocca. La ricca decorazione scultorea
del portale maggiore, con i capitelli della navata e il pulpito di Guido
da Como, sono uno dei più interessanti nuclei di scultura medioevale
della nostra città. Due protome leonine introducono, a destra e a
sinistra, l'impaginato del fronte e altre due, sottomettenti un uomo e un
basilisco, la ghiera policroma della lunetta del portale maggiore, il cui
architrave, sotto una cornice a foglie d'acanto, mostra la Teoria
Apostolica. Al centro è raffigurato il Salvatore con san Tommaso
che si accerta della veridicità della Resurrezione, alla destra e alla
sinistra sono gli Apostoli con il libro o il rotulo introdotti ai lati
estremi da due angeli. La storiografia artistica si è a lungo interrogata
sulla paternità di queste sculture ritenute dai più di quel Gruamonte che, nel sesto
decennio del XII secolo, firmava gli architravi delle chiese di S.Andrea e
di S.Giovanni Evangelista, a questo assai simili se non altro per la
comune matrice pisana. L'interno, la cui arcaica suggestione è in parte
frutto dei radicali restauri degli anni sessanta di questo secolo,
conserva l'intera decorazione della calotta absidale il cui possente Cristo
in Mandorla tra i santi Bartolomeo e Giovanni Evangelista, capolavoro
di Manfredino
d'Alberto, è il miglior esempio di pittura
tardo duecentesca della città. |
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Gruamonte |
Guido da Como |
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Manfredino di Alberto |
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Ignoto |
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Ignoto |
Ignoto |
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Ignoto |
Ignoto |
Ignoto |